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Autore: Mistral    10/07/2007    1 recensioni
…And through it all
She offers me protection,
A lot of love and affection
Whether I'm right or wrong,
She won't forsake me…

L’amore porta a fare cose incredibilmente stupide, ma molto spesso l’orgoglio fa anche di peggio… e questo rende tutto parecchio complicato. Perché mentire è una costante di base della condizione umana, l’unica variabile è riguardo a che cosa si mente.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Allison Cameron, Greg House
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2007

Scusate il ritardo nell'aggiornamento, ma quest'ultima parte della storia è stata particolarmente sofferta. Quando però ho trovato l'ispirazione giusta ho completato il capitolo in pochissimo tempo.

Che dire? Spero che vi piaccia e che sia all'altezza di quanto ho già scritto. Mi farebbe molto piacere ricevere delle recensioni con il vostro parere, aiutano molto.

Prima di concludere però, non posso non ringraziare Lety: è anche grazie a lei (o forse dovrei dire soprattutto grazie a lei) se questa fic non è finita nella lunga lista delle mie opere incompiute. Grazie mille di tutto sis, quest'ultimo capitolo è tutto per te. Ti voglio bene!

 

10 Luglio 2007

 

 

 

Everybody Lies

(Tutti mentono)

 

Part 3

 

 

Oh, I could say that's the way it goes
And I could pretend you won't know
That I was lying…1

 

 

Aprendo gli occhi la mattina dopo, ancora prima che - come capitava ogni volta - la sveglia le facesse prendere un bello spavento, Allison si sentì stranamente rilassata. Si girò su un fianco, raggomitolandosi sotto il piumone piacevolmente caldo, cercando di riordinare le idee.

Il primo pensiero che si impose perentorio sugli altri aveva dei gelidi occhi azzurri e un sorriso beffardo e rispondeva al nome di Gregory House. Ma l’immagine del suo capo aveva portato con sé anche il ricordo degli ultimi avvenimenti, che, per quanto lei potesse sforzarsi, restavano assolutamente inspiegabili. La dottoressa trasse un profondo sospiro e si passò una mano sul viso, decidendo che era meglio non cominciare subito a rovinarsi la giornata.

Si fece forza e decise di alzarsi, sebbene fosse ancora presto. Anche se, come sperava, nella notte avesse smesso di nevicare, le strade sarebbero comunque state in condizioni pietose, ragion per cui aveva già deciso di evitare almeno per quel giorno la macchina e di recarsi al lavoro in autobus; oltretutto il dottor Frank, il primario di pediatria, aveva chiesto il suo aiuto per un’epidemia di scarlattina che stava mandando in crisi il reparto, in un momento in cui la metà del personale era in ferie. E dato che House non le aveva permesso di passare mezza giornata ad assistere i piccoli malati, era stata costretta ad iniziare il turno con due ore d’anticipo per poter dare una mano al collega prima di tornare in diagnostica.

"Dai Allie, tirati su, i bambini ti aspettano!" si disse, buttando indietro le coperte.

Passando in cucina per prepararsi il caffè, notò sul tavolo la tazza rossa di House. Le scappò un sorriso: ancora non capiva cosa l’avesse spinta a raccoglierne i cocci e soprattutto a passare la sera e metà della nottata precedente cercando di rincollarli, specialmente visto che la mattina dopo avrebbe dovuto alzarsi presto… scosse la testa, accese la moka e tornò in camera a vestirsi.

 

In pediatria, la situazione era peggiore del previsto e ormai Cameron si era resa conto che quelle due ore che aveva passato ad aiutare le poche infermiere rimaste non sarebbero certo bastate. Massaggiandosi le tempie con un’espressione contrariata in viso, si diresse verso la saletta preposta per le pause del personale. Non avendo fatto colazione, aveva anche fame, oltre ad essere parecchio stanca; prese un pacchetto di wafer dal distributore e un cappuccino, poi con gesti fiacchi si sedette ad uno dei tavolini.

Fu così che la trovò qualche minuto dopo Wilson, venuto come ogni mattina a prendersi un caffè prima di iniziare a lavorare - intenta ad inzuppare lentamente un biscotto nel bicchiere, una mano sulla fronte e un’espressione parecchio insonnolita. Lei non si accorse della sua presenza, così l’oncologo ebbe modo di notare, benché abilmente celate dal fondotinta, le marcate occhiaie – come se Allison quella notte non avesse chiuso occhio. Gli tornò alla mente l’incontro-scontro che aveva avuto con la bella immunologa il giorno prima e la sua brusca reazione e temette che la faccenda fosse più grave di quanto avesse immaginato. Anche a costo di sembrare invadente e ricevere una risposta poco simpatica, decise di accertarsene.

Ma, prima che potesse dire qualcosa, la ragazza alzò gli occhi verso la porta e lo vide. "Buongiorno Wilson, tutto bene?" lo salutò, regalandogli un sorriso un po’ assonnato ma dolcissimo – il suo sorriso di sempre.

Wilson sorrise a sua volta. "Io sì… tu piuttosto? Dire che ieri non avevi una bella cera è un eufemismo… e poi come mai qui così presto?"

"Il dottor Frank mi ha chiesto di dargli una mano in pediatria. C’è un’epidemia di scarlattina e metà delle infermiere sono in ferie. Riguardo a ieri…" l’immunologa al ricordo arrossì lievemente "Ecco… io vorrei scusarmi per come mi sono comportata, sono stata veramente scortese. Solo che…" si passò una mano tra i capelli, allontanando alcune ciocche dal viso "…beh, sai anche tu com’è fatto House"

L’oncologo le si sedette di fronte e accennò un sorriso. "Oh, lo so bene. Che è successo, Allison?"

Lei scosse la testa. "È successo che è sempre il solito bastardo ballista che si diverte a giocare con i sentimenti della gente… solo che io tendo ogni volta a dimenticarmene e continuo come una stupida a sperare che un giorno o l’altro la smetta di comportarsi così"

"Sul bastardo non ho niente da ridire, ma ti assicuro che House non mente né tantomeno calpesta i sentimenti delle persone senza motivo”

"Non difenderlo a spada tratta soltanto perché è tuo amico"

"La mia non è una difesa per partito preso, Cameron. Credimi, House agisce sempre seguendo una logica ben precisa, uno schema in cui la menzogna non trova posto: lui la considera troppo banale. Tutti mentono e sono capaci di mentire per ottenere ciò che vogliono, lui vuole dimostrare di essere in grado di fare di meglio"

"E il suo fare di meglio include provocare le persone toccando le loro corde più sensibili per potersele poi rigirare a piacimento?" replicò Cameron, gelida.

Wilson rimase sorpreso dall’espressione che lesse negli occhi e nella voce della giovane dottoressa, la stessa del giorno prima. Doveva essere successo qualcosa di veramente grosso tra lei e il diagnosta per farla reagire in quel modo. "House non si comporterebbe mai così con te, Allison" le disse, posandole una mano sul polso.

Istintivamente, e sorprendendo anche sé stessa, la ragazza ritrasse il braccio – Wilson non era House e la situazione era del tutto diversa, ma ugualmente Cameron si rese conto che preferiva evitare che un uomo la toccasse.

"Fidati, non lo farebbe mai con te" le ripeté l’oncologo.

"Ne sei convinto?" ribatté lei, con un tono neanche troppo velatamente sarcastico, su cui però James preferì sorvolare.

"Ti rispetta. Forse non ti ama, è vero, ma è affezionato a te, altrimenti quella volta che ti eri licenziata non sarebbe venuto a riprenderti” Davanti alla reazione testarda della donna, la voce di Wilson si era indurita "E lo sai che per un misantropo come lui è già tanto. Non so cosa sia successo e non insisterò per saperlo, ma sono assolutamente sicuro che lui non ti ha ingannata" concluse poi, alzandosi.

Lei si alzò a sua volta, quasi a fronteggiarlo. "Nella vita l’assoluto e l’assolutamente certo non esistono, Wilson. Tutto diventa possibile e spiegabile, se visto nell’ottica giusta – anche House"

Lui non trovò le parole per replicare, si limitò a girare i tacchi e andarsene. Non aveva nemmeno preso il suo caffè.

Sparito Wilson, Cameron si lasciò crollare sulla sedia e trasse un profondo sospiro, rovesciando la testa all’indietro; nonostante la risposta (forse troppo) dura che aveva dato all’oncologo, le sue parole l’avevano molto colpita.

Lui non ti ha ingannata.

E allora cosa aveva fatto? Cosa stava cercando di ottenere il diagnosta?

Ti rispetta…

Non calpesta i sentimenti delle persone senza motivo…

Alla luce del discorso di Wilson, quel che era successo tra lei e House aveva ancora meno senso. Era più facile prima, quando lo considerava semplicemente un suo perfido gioco. Le dava un motivo più che valido per odiarlo, una soluzione semplice al labirinto di sentimenti in cui si era persa da tempo.

Ma se House non l’aveva ingannata… allora cosa aveva fatto?

Ecco, adesso non riusciva più ad avercela con lui, ad ignorarlo. Nel contempo però, sapeva anche che non sarebbe comunque riuscita a guardarlo in faccia… bel casino, visto che doveva lavorarci assieme.

"Piantala Allison, è inutile che continui a girarci intorno!" si rimproverò, alzandosi in piedi di scatto "Chi vivrà, vedrà. Prima o poi capirai come stanno le cose"

 

House entrò in ufficio incredibilmente presto quella mattina, ancora prima che arrivassero i suoi assistenti, e subito si chiuse nel suo privè, tende abbassate e i-Pod nelle orecchie. Aveva bisogno di riflettere, ma a casa non riusciva proprio a farlo: a differenza del solito, quelle quattro mura gli ingarbugliavano i pensieri più di quanto riuscissero a sbrogliarli. Si allungò sulla sedia, poggiando i piedi sulla scrivania, deciso a non farsi disturbare per nessuna ragione. Che i paperotti al loro arrivo lo guardassero pure con aria stranita, tanto sapeva che sarebbe bastata una battuta delle sue per zittirli.

Era immobile in quella posizione ormai da un po’ e aveva intravisto il cangurino e il suo compare scambiarsi occhiate perplesse al vederlo già in ufficio, ma non se ne era minimamente curato. Stava veramente bene e anche i pensieri avevano cominciato ad incasellarsi al loro posto e quando dalle cuffie partirono sottovoce i primi accordi della sua canzone preferita, gli sembrò che tutto avesse finalmente ripreso a girare nella direzione giusta – vale a dire come voleva lui. Sempre ad occhi chiusi e senza togliere i piedi dalla scrivania, cominciò a suonare un’immaginaria chitarra: adorava Stairway to Heaven

"«There’s a lady who’s sure all that glitters is gold and she’s buying a stairway to heaven…»2" Canticchiava sottovoce, senza smettere di suonare l’aria, sul volto un’espressione beata.

Ad un certo punto, però, le sue dita si bloccarono nel mezzo di un accordo e la voce gli si spezzò. Il diagnosta socchiuse gli occhi, tirandosi a sedere e sfilandosi le cuffie; una smorfia di disappunto gli contrasse il viso. "«…’cause you know sometimes words have two meanings»3? Non mi ricordavo una cosa del genere… nah, mi sarò sbagliato…" Si rimise gli auricolari e fece ripartire la canzone da capo, cercando di cancellare quella frase scomoda dalla sua mente. Ma stavolta non suonava più, non gli riusciva.

«...Yes, there are two paths you can go by, but in the long run
There's still time to change the road you're on
And it makes me wonder...»4

Si alzò in piedi di scatto, innervosito. "Accidenti a lei! È riuscita a rovinare anche la mia canzone preferita!" sbottò, senza rendersi conto dell’assurdità di quanto aveva appena detto. Spense l’i-Pod e si diresse nella sala principale, alla ricerca del suo solito caffè; ma la moka era spenta e la sua personalissima tazza rossa non c’era. C’erano solo Chase e Forman, con un’espressione piuttosto stranita in viso. "Il mio caffè? Non me l’ha preparato nessuno?" domandò scocciato, rivolto ai suoi assistenti. Questi, da par loro, si scambiarono un'occhiata interrogativa; poi Foreman si limitò a riportare lo sguardo sul suo capo, inarcando le sopracciglia, mentre Chase si strinse nelle spalle e rispose, con tono freddo e volutamente neutro: "Guarda House che non tutti sono disposti a vivere la loro vita al tuo servizio, assecondando ogni volta i tuoi capricci". L'Australiano sapeva di aver rischiato grosso con quell'uscita, ma davvero odiava quell'atteggiamento del diagnosta.

Incredibilmente però, House non reagì come tutti si sarebbero aspettati, anzi per un attimo sembrò quasi incassare un invisibile colpo. "Uffa, come sei lamentoso cangurino..." sbuffò "Vabbè, vorrà dire che il caffè me lo farò da solo".

Si avvicinò all'angolo dello studio allestito come cucinino e iniziò a preparare la moka, poi si mise alla ricerca della sua tazza. Frugò per un po' nell'armadietto, prima di ricordarsi che non avrebbe mai trovato quel che cercava. Il fischio acuto che segnalava che il caffè era pronto bloccò sul nascere la sfilza di improperi che già gli stavano salendo alle labbra. Sempre più scocciato, afferrò la prima tazza che gli capitò a tiro, uno strano oggetto con applicata una (a suo giudizio) orrenda decorazione a forma di canguro, su cui campeggiava il nome di Chase e la scritta 100% Australian. "Oh santo cielo... certo che gli inglesi hanno proprio dei gusti assurdi..." esclamò, disgustato. Cercando di guardare la tazza il meno possibile, si versò il caffè e ne bevve un sorso. Trattenendosi poi a stento dallo sputarlo immediatamente - era qualcosa di assolutamente imbevibile, ma forse il cactus sul balcone di Wilson avrebbe apprezzato... l'oncologo tendeva sempre a dimenticarsi di innaffiarlo.

Liberatosi di quella sottospecie di caffè, il diagnosta decise che era decisamente meglio andarne a bere uno al bar, magari facendoselo pure offrire da qualcuno. Qualcuno come il suo migliore amico.

Non dovette faticare molto per trovare Wilson; questi infatti si stava già dirigendo verso la caffetteria al pian terreno, appunto per prendersi l'agognato caffè che un paio d'ore prima non era riuscito a bere. "Ehilà, Wilson! Come va?" lo salutò allegramente il diagnosta, gongolando davanti alla sua espressione stupita nel vederlo in ospedale prima delle undici del mattino.

"House! Cosa ci fai qui così presto? Ti è andata a fuoco la casa?"

"Ma perché devi sempre pensare così male di me? Oggi avevo solo voglia di lavorare... tutto qui. Piuttosto sei tu quello che mi sembra stia perdendo tempo in giro per i corridoi"

L'oncologo inarcò un sopracciglio, indeciso se ridere o incavolarsi per la faccia di bronzo che l'altro osava sfoderare ogni volta. "Veramente mi stavo solo prendendo una breve pausa per un ca-..."

"Ah, stavi andando a bere un caffè! Bene, cercavo giusto qualcuno che mi facesse compagnia... sai, i miei assistenti non sanno assolutamente preparare qualcosa degno di questo nome!"

Ricordando l'ottimo caffè di Cameron, James preferì non commentare, limitandosi ad infilare l'ascensore prima che House gli chiudesse le porte in faccia. Pochi istanti dopo, appena le porte scorrevoli si aprirono davanti a loro, il diagnosta scivolò fuori e si diresse deciso verso il bancone. "Ciao Molly!" salutò allegramente, rivolgendosi alla barista "Per me un caffè nero bollente e per il nostro James un bel decaffeinato... sai, altrimenti diventa nervoso..." aggiunse poi sottovoce, chinandosi leggermente verso l'incredula ragazza e facendole l'occhiolino. "Ah, ovviamente paghi tu, vero Wilson? Dopotutto mi hai invitato, mi sembra il minimo!" concluse, accomodandosi ad un tavolo, con un largo sorriso stampato sul volto. Un sorriso che, a chi come James conosceva bene il burbero diagnosta, si rivelava immediatamente per quello che era: artificioso. Ma in verità, tutto in Gregory House quella mattina era strano - come se egli stesse disperatamente cercando di nascondere qualcosa al mondo, ma anche e soprattutto a sé stesso.

L'oncologo scosse la testa e, allo sguardo interrogativo della giovane dietro il banco, rispose rassicurante: "Va bene così Rachel, non preoccuparti: metti pure sul mio conto"

"D'accordo, dottor Wilson" sorrise Rachel di rimando "Ecco i vostri caffè"

Wilson prese con cautela le tazze bollenti, poi si diresse verso il collega che già lo aspettava comodamente seduto al tavolo, giocherellando con il bastone. Quando lo raggiunse, l'oncologo non si sedette subito né passò il suo caffè ad House, che lo richiedeva allungando la mano; James rimase fermo in piedi, con le tazze a scottargli le dita, osservando attentamente il diagnosta.

Questi, non ricevendo il suo caffè, si spazientì e sbuffò, alzando gli occhi verso di lui. "Beh? Lo so che sono dannatamente affascinante, ma hai intenzione di passare la mattinata a contemplarmi? Almeno prima dammi il mio caffè, altrimenti si raffredda..."

Wilson rispose con un sorriso storto. "Tranquillo, non mi va proprio di fare la bella statuina... però voglio sapere una cosa. Prima tu rispondimi e poi ci beviamo insieme il caffè"

"Quando fai così sei veramente noioso, sai?"

"Può essere" rispose indifferente l'oncologo; poi il suo tono di voce cambiò di colpo, facendosi serio "Ma adesso dimmi cosa è successo tra te e Cameron"

Il lampo di un'emozione indefinibile passò rapido negli occhi cerulei del diagnosta, in totale contrasto con l'inarcarsi delle sopracciglia e l'espressione stupita e anche un po' scocciata cui atteggiò il volto. "Ancora con questa storia?" replicò, annoiato "E se io non volessi darti una risposta?"

"Io voglio una risposta" ribatté subito James.

House sbuffò platealmente, alzandosi in piedi e facendo dondolare il bastone. "È inutile che mi chiedi qualcosa che non so. Basta, me ne vado... mi hai fatto anche passare la voglia di bermi un bel caffè" concluse, dirigendosi verso l'uscita e lasciando un incredulo Wilson ancora con le tazze in mano.

 

Il diagnosta si allontanò velocemente, per quanto concessogli dalla sua andatura claudicante, e si infilò di nuovo nell'ascensore; una volta dentro, si abbandonò contro una delle pareti e chiuse gli occhi per un istante, traendo un profondo sospiro. Dopo un attimo, sembrò scuotersi e, aiutandosi con la punta del bastone, premette un bottone sulla pulsantiera.

In dieci minuti tutto il lavoro che aveva fatto per cercare di rimettere ordine nella sua testa era andato a pallino e anzi, le cose erano se possibile anche peggiorate... aveva bisogno di stare solo e di riflettere e c'era un solo posto in tutto l'ospedale dove avrebbe potuto fare entrambe le cose. In fondo a nessuno sarebbe mai venuto in mente di cercarlo lì, per di più con quel tempo. Ma prima voleva un caffè, ormai era quasi una questione di stato.

Dopo un salto alla macchinetta dell'ultimo piano, House salì velocemente le scale che conducevano sul tetto; quando aprì la porta della terrazza, si stupì nel vedere come il manto bianco caduto nella notte fosse già stato quasi completamente rimosso: degli efficienti operai avevano provveduto a ripulire la gran parte della superficie, lasciando solo un piccolo cumulo di neve che serpeggiava lungo il perimetro.

Il diagnosta attraversò lentamente la terrazza, andando ad appoggiarsi di spalle sulla ringhiera, gambe accavallate e testa rovesciata all'indietro, con lo sguardo perso tra le nuvole. Il cielo era terso, ceruleo e freddo, come sempre dopo una nevicata, la sua perfezione appena intaccata da quei disordinati fili bianchi. Tutto l'insieme dava un grande senso di tranquillità.

Ma Greg House non era uno che amava perdere tempo ad osservare gli spettacoli allestiti dalla natura, preferiva essere lui il regista e lasciare gli altri a bocca aperta a domandarsi come diamine avesse fatto ad azzeccare quella diagnosi o ad arrivare a quell'altra soluzione quando sembrava impossibile.

Senza che sapesse il perché, gli tornarono in mente quei pochi versi di Stairway to Heaven che l'avevano tanto colpito qualche momento prima, quando li aveva sentiti nel suo ufficio. E subito dopo, con una naturalezza che non lo sorprese affatto, venne anche il seguito della canzone.

«...Your head is humming and it won't go,

In case you don't know...»5

Per quanto si ostinasse a negarlo, c'era qualcosa che non andava. E anche se fosse riuscito a continuare ad ingannare Wilson (cosa di cui però dubitava - si stava facendo dannatamente perspicace, accidenti a lui!), la Cuddy, i paperotti o chiunque altro, non poteva più ingannare sé stesso.

Era successo qualcosa, l'altra sera. Con Cameron.

E quel qualcosa non l'aveva lasciato indifferente.

Come non l'aveva lasciato indifferente il comportamento di lei il giorno precedente.

Anche se mettendosi (non senza sforzo) nei suoi panni, poteva capirlo. Poteva capire che lei ci fosse rimasta male, che si fosse sentita ferita, ma - dannazione! - perché non pensava che anche lui si fosse sentito ferito da quel «Ti odio» che gli aveva gettato in faccia?

Non tutti sono disposti a vivere la loro vita al tuo servizio, assecondando ogni volta i tuoi capricci...

Quella frase di Chase lo colpì come un fulmine a ciel sereno. Quando il biondo l'aveva pronunciata, lui l'aveva immediatamente dimenticata, archiviandola come un'altra delle sue stupide sentenze senza senso. Ma il cervello umano memorizza ogni cosa, sebbene poi non sia in grado di accedere a tutti i ricordi che possiede, e il suo aveva trovato proprio in quel momento la chiave per restituirgli quel pezzettino del suo passato. Per una volta il diagnosta non fu felice di constatare le enormi potenzialità della sua mente.

Con rabbia, gettò a terra il bicchierino di caffè semivuoto, osservando con sguardo assente la neve imbrunirsi e perdere il suo candore.

Cameron...

Era riuscito a farle conoscere l'odio. Lei, sempre così buona e dolce, così crocerossina. Lei che non aveva mai una parola di biasimo per nessuno... avrebbe dovuto sentirsi appagato da questo suo ennesimo successo. Ma non sentiva altro che un peso sul cuore cui non sapeva dare un nome.

«...And if you listen very hard

The tune will come to you at last...»6

 

Il rumore improvviso della porta che si apriva lo distolse da quelle scomode riflessioni; il diagnosta alzò gli occhi verso la soglia, che inquadrava la figura snella di Cuddy. Al vederla, l'espressione scocciata di circostanza comparsa sul suo viso assunse una sottile sfumatura interrogativa, cui Lisa, furiosa com'era, non prestò minimamente attenzione. "House! Non voglio sapere cosa diamine ci fai quassù, né tantomeno voglio sentire qualcuna delle tue solite scuse! Quel che voglio è che tu venga di sotto, subito!"

Benché il tono di Cuddy fosse decisamente perentorio, il diagnosta non mosse un muscolo, limitandosi a fissare la dirigente come se gli avesse chiesto la luna.

"Non fare quella faccia! Anche se fai sempre finta di dimenticartene, sei al lavoro. E dato che un paziente importante ha chiesto espressamente di te, muoviti a scendere giù!" insistette la donna.

"E tu digli di salire su" rispose lui, flemmatico.

"House non fare l'idiota!"

"Bah. Che ho detto di strano?"

Lisa si passò una mano sul volto, esasperata. "House, dannazione! Quel tizio è un pezzo grosso del consiglio di amministrazione! Muoviti e scendi!"

House sbuffò, poi si staccò dalla ringhiera, tirando una pedata nervosa al bicchierino del caffè, innocente foriero di così fastidiosi pensieri. "Bla, bla, bla... ho capito, mammina, adesso scendo..." ribatté sarcastico, superando la donna e infilando le scale.

Raggiunto l'ascensore, con Cuddy sempre alle calcagna, House premette svogliatamente il bottone del secondo piano, per dirigersi nel suo ufficio; notandolo, Lisa si frappose tra lui e la porta, mani sui fianchi ed espressione indispettita. "House il paziente, anzi il padre del paziente, ti aspetta in camera del figlio. Al primo piano! Dove stai andando?!"

Il diagnosta si bloccò, piantando il bastone a terra. "Da quando in qua il sottoscritto segue un caso stando nella camera del paziente? Sai come la penso al riguardo: tutti mentono, soprattutto i pazienti!"

"Anche un bambino di 5 anni che è stato intubato e quindi non può parlare?"

House scosse la testa. "Tutti. E se non mente lui, lo faranno i suoi genitori. Per quanto mi riguarda, quel tizio può anche pagarci un milione di dollari, tanto la mia politica non cambia. Se vuole parlarmi... beh, sa dove trovarmi!" concluse, spostando di peso Lisa con il bastone e infilandosi rapido nell'ascensore.

Cuddy stava per ribattere, ma le porte si richiusero davanti a lei; lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, scuotendo la testa. "E va bene, diamogliela vinta... basta che lavori. Anche perché quel tizio ci paga sul serio un milione di dollari..."

La direttrice imboccò rapida le scale e, arrivata di sotto, entrò subito in diagnostica, ma nella sala principale trovò solo Chase e Foreman. Si guardò intorno perplessa. "House?"

I due medici alzarono di scatto lo sguardo dal cruciverba che li stava tanto appassionando, cercando di darsi un contegno. "È arrivato un attimo fa e si è chiuso nel suo privè" rispose Foreman, accennando con la testa al piccolo ufficio a fianco.

"Penso che voglia rimanere solo, appena entrato ha subito tirato le tende..." aggiunse Chase, zelante.

Cuddy stava per ribattere qualcosa di poco simpatico, quando la voce del diagnosta si fece sentire dall'altro locale. "Sono qui mammina... non preoccuparti, non scappo"

"Anche se preferirei che il cangurino stesse zitto, ogni tanto..." aggiunse subito dopo, a mezza voce, senza smettere di fissare ciò che aveva catturato la sua attenzione appena varcata la soglia del suo ufficio personale: una tazza rossa. L'ombra vaga di un sorriso gli illuminava gli occhi mentre con cura, stando attento a non danneggiarla ulteriormente, la nascondeva sul fondo del cassetto della scrivania, assieme alla sua scorta segreta di Vicodin.

"Stavo solo cercando i pennarelli per la lavagnetta" disse poi, con un tono di voce di nuovo udibile. Rientrò nella sala principale, agitando due pennarelli colorati. "Evidentemente qualcuno" e qui cacciò un'occhiataccia a Chase "nel tempo libero si diverte ad usarli... ma per fortuna ne ho sempre una scorta nella scrivania"

La dirigente gli lanciò uno sguardo in tralice, come se avesse intuito qualcosa del vero motivo che aveva trattenuto House nel privè, ma non disse nulla, preferendo concentrarsi sul caso e altrettanto fece il diagnosta, ignorando la sua implicita domanda. Si schiarì la voce e poi, con tono professionale, iniziò ad elencare i sintomi del giovane paziente, mentre lui si avvicinava alla lavagnetta per prendere appunti.

"...e questo è quanto. Idee?" concluse Lisa dopo qualche minuto, facendo scorrere gli occhi sui tre medici.

Senza smettere di fissare la lavagna, House aiutandosi col bastone si trascinò accanto una sedia, poi vi si sedette a cavalcioni, incrociando le braccia sullo schienale. "Finalmente un caso interessante... brava Cuddy"

"Sarà anche interessante, ma questo non ci aiuta" commentò lei, con poca convinzione. Poi si accomodò sul tavolo, cominciando a confrontare i dati nella sua cartellina con quelli annotati dal diagnosta. "Ehi, ma... su quella lavagna hai scritto la metà di quello che ti ho detto!" esclamò infine.

House si strinse nelle spalle. "Senti, questo è l'ultimo paio di pennarelli funzionanti, ok? E non intendo sprecarli per scrivere tutti i sintomi poco interessanti che mi hai sciorinato... concentriamoci su quelli"

La dirigente lo fissò stupita, poi si rivolse ai due assistenti. "Non capisco proprio come facciate a lavorare con lui..."

Chase scosse la testa senza dire una parola, mentre Foreman si strinse nelle spalle e sorrise. "Dopo un po' ci fai l'abitudine"

Il neurologo stava per aggiungere dell'altro, ma House lo pervenne. "Allora, la vogliamo smettere di spettegolare? Piuttosto fate funzionare i vostri cervellini: cosa vi dicono questi sintomi?" li interrogò, indicando la lista scritta sulla lavagna. In risposta ricevette solo degli sguardi perplessi. "Beh? Nessuna idea? ... Chase, quando azzardi una diagnosi devi parlare un po' più forte. Altrimenti, se farfugli come tuo solito va a finire che non capiamo e il paziente ci rimane secco!"

A quell'osservazione, l'intensivista si fece purpureo, ma non trovò il coraggio di rispondere ad House alla presenza di Cuddy, che osservava la scena sempre più incredula. Nel frattempo il diagnosta si era rivolto proprio a lei, allargando le braccia con aria sconfitta. "Sono diventati improvvisamente muti..." commentò, sconsolato "Accidenti Cuddy, come faccio a lavorare con un team del genere...? Posso chiedere un consulto al primario di otorinolaringoiatria?"

Lisa si passò una mano sulla faccia. "House, ti prego..." 

Il diagnosta la ignorò, tornando a concentrarsi sui suoi assistenti. "Ma insomma! Anemia, febbre, diarrea, problemi renali, lordosi..." ad ogni sintomo che elencava batteva un colpo sulla lavagnetta con il bastone "...tutto questo non vi dice proprio niente? Nada de nada?"

Foreman incrociò le braccia e chinò la testa su una spalla, come se stesse seguendo il filo sfuggente di un'idea. "E se, facendo un'analisi approfondita del sangue del ragazzo..."

"Si?" lo incoraggiò House, chinandosi leggermente verso di lui.

"...risultassero delle anomalie nei linfociti T, potremmo..."

"Oh, alla fine ci siete arrivati!" lo interruppe House, afferrando deciso la pallina rossa sulla scrivania "Ma si può sapere perché quando avete delle buone idee ve ne state zitti? Mica vi mangio!" sbuffando si alzò, cominciando a camminare avanti e indietro per lo studio "Ok, facciamo le analisi al tale e vediamo cosa salta fuori"

"Mi sembra una buona idea" convenne Cuddy "Va bene, vado subito a dire alle infermiere di fare il prelievo" La dirigente uscì rapidamente dall'ufficio, soddisfatta che il suo miglior medico avesse finalmente deciso di mettersi a lavorare.

Il rumore della porta che si chiudeva alle spalle di Cuddy fu seguito da qualche istante di silenzio, in cui si udiva solo il tonfo lieve e ritmico della pallina che House lanciava in aria e prontamente riprendeva al volo, seguendone la parabola con lo sguardo. All'improvviso il diagnosta riportò gli occhi sui suoi assistenti, sulle labbra un sorriso soddisfatto. "Visto? Non era difficile! Ora, qual è il prossimo passo?"

Foreman inarcò le sopracciglia, stupendosi di una domanda così ovvia. Lanciò un'occhiata a Chase che si strinse nelle spalle, poi rispose: "Beh, Cameron farà le analisi e in base ai risultati decideremo cosa fare"

House annuì, rigirandosi la pallina fra le dita. "Non fa una piega. Ma... non vi sembra che ci sia un piccolo particolare che non torna?"

L'intensivista scosse il capo, perplesso. "Non ti seguo, House"

"Te lo spiego subito, cangurino. Conta con me... uno..." iniziò, indicando l'Australiano con il bastone.

"...due..." E qui si spostò su Foreman.

"...e tre... giusto?" La sedia vuota dove di solito sedeva Cameron. "Non notate niente di strano?"

"Già, adesso che me lo fai notare è da ieri che non vedo Cameron..." rifletté ad alta voce il neurologo.

"Io l'ho vista stamattina in pediatria" li informò Chase "Mi ha detto che aiutava Frank con l'epidemia di scarlattina che sta mandando in crisi il reparto"

House lo sollecitò a proseguire. "Quindi...?"

"Quindi probabilmente sarà in laboratorio ad analizzare i campioni di sangue dei bambini" completò Foreman.

"Vado a chiamarla" si offrì l'intensivista, alzandosi e dirigendosi rapidamente alla porta. Aveva già la mano sulla maniglia, quando House lo richiamò.

Chase si girò, sul viso una curiosa espressione tra lo scocciato e l'interrogativo. "Che c'è?"

Il diagnosta non disse nulla; si limitò a lanciargli la pallina, con un sorriso indecifrabile stampato in faccia. Preso in contropiede, il biondo mancò la presa e la pallina rotolò sotto il tavolo.

Approfittando di quel diversivo creato ad arte, House oltrepassò il giovane assistente e sparì rapido nel corridoio, lasciando i due medici ad osservare una scena assolutamente inedita e di cui non avevano capito quasi nulla.

 

Tirando un profondo sospiro, Allison si scostò i capelli dal viso e mise sul microscopio l'ennesimo vetrino. Le piaceva il suo lavoro, certo, ma passare la mattinata ad analizzare decine di campioni di sangue soltanto per verificare la presenza del batterio della scarlattina era piuttosto frustrante. D'altro canto, però, il laboratorio con il suo silenzio e la sua penombra avvolgente era un posto estremamente rilassante e oltretutto dover stare lì le dava una valida scusa per non girare per i corridoi dell'ospedale, rischiando di imbattersi in House - il che era di per sé un'ottima ragione per non lamentarsi e non avere troppa fretta di completare tutte le analisi.

Concentrata com'era sul suo lavoro, l'immunologa non si accorse né dell'apertura della porta d'ingresso, né della sagoma che un attimo dopo si appoggiava svogliatamente allo stipite, senza staccarle gli occhi di dosso.

Convintissima di essere sola, Cameron si mise a canticchiare sottovoce. "«...Let me be the one you call, if you jump I'll break your fall, lift you up and fly away with you into the night. If you need to fall apart, I can mend a broken heart. If you need to crash, than crash and burn: you're not alone...»7

Protetto dal buio, sicuro che lei non l'avesse ancora notato, House sorrise: cantava bene e anche il pezzo che aveva scelto l'aveva colpito molto - sebbene lui non l'avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura e nemmeno a sé stesso. Scosse la testa e decise di interrompere quel privatissimo spettacolo che l'immunologa gli stava offendo, battendo discretamente il manico del bastone contro la parete.

Cameron sobbalzò a quel rumore inatteso e si voltò di scatto verso la porta; quando riconobbe House sgranò gli occhi, spiazzata nel vederselo comparire davanti così all'improvviso. "House! Cosa ci fai qui?"

"Un uccellino chiacchierone mi ha detto che hai passato la mattinata in pediatria... cos'è, preferisci i mocciosi al sottoscritto?"

Quell'esordio venato da una punta di gelosia la lasciò abbastanza disorientata, ma Cameron ebbe la prontezza di nascondersi dietro un sorriso e un'alzata di spalle. "I bambini mi sono sempre piaciuti, lo sai"

"Bleah! Piccoli, irritanti e frignoni... non so davvero come fai!" rimbeccò House, con un'espressione schifata in viso. Ma subito cambiò tono e discorso: "Ah, ho notato che hai comunque trovato il tempo di passare nel mio ufficio..."

Allison aprì la bocca per rispondere ma non riuscì a a far altro che annuire, rossa in viso, aspettando che fosse il diagnosta a fare la mossa successiva. Anche lui però sembrava piuttosto in difficoltà, perché improvvisamente le sue AllStar erano divenute degne di tutta la sua attenzione. "Beh... grazie..." sputò fuori infine in tutta fretta, sempre fissando il pavimento. Subito dopo rialzò lo sguardo e chinò la testa sulla spalla. "Però, accidenti! Potevi restituirmela prima!" esclamò "Stamattina per bere il caffè sono stato costretto a prendere in prestito quell'obbrobrio a forma di canguro! Non so davvero come fa Chase ad usare una tazza così brutta..."

L'immunologa, che fino a quel momento aveva quasi trattenuto il fiato per la tensione, scoppiò in una risata liberatoria. "Hai usato la tazza di Chase? Quando lo scoprirà andrà su tutte le furie! Comunque non è poi così brutta, dai..."

"Hai ragione, non è brutta: è oscena..."

"Eh, eh, eh... sempre drastico tu..." sorrise la ragazza "Ma per curiosità: come ha fatto a rompersi la tua tazza?"

A quella domanda, House esitò per un secondo. "Colpa di Foreman... gli ho chiesto di dare una spolverata alla mensola sul cucinino e ha fatto cadere tutto. Sai, pensavo fosse un valido maggiordomo e invece..." rispose infine, gli occhi che saettavano ovunque senza mai fermarsi sul volto scettico di Cameron.

Pur sapendo benissimo che il diagnosta le aveva raccontato una storia che puzzava di falso lontano un miglio, Allison decise di non insistere oltre. Sorrise e portò la discussione su un argomento che le stava particolarmente a cuore. "Ogni giorno si imparano cose nuove... comunque anch'io ho dovuto ricredermi su una cosa, sai?"

L'espressione interessata del suo interlocutore la spinse a proseguire. "Hai ragione tu, House: tutti mentono"

House sorrise: ancora una volta, lei aveva capito. Senza bisogno di parole. E con quella frase gli stava tendendo una mano per ricominciare.

Il suo sorriso si allargò e altrettanto fece quello comparso sulle labbra di Cameron. "Visto? Ho sempre ragione io... tutti mentono! E ne avrai un'altra riprova con il caso che ci ha appioppato Cuddy... vieni, mi serve giusto un immunologo..." aggiunse poi, oltrepassando la soglia.

Senza aspettare la risposta della ragazza, il diagnosta si incamminò nel corridoio iniziando ad elencare i sintomi del paziente, sicuro che lei l'avrebbe seguito.

E Cameron, dopo un attimo di esitazione, lo fece, un dolcissimo sorriso ad illuminarle il viso.

Perché tutti mentono e, se è vero che l'amore porta a fare cose incredibilmente stupide, l'orgoglio fa anche di peggio. E questo rende tutto parecchio complicato. Ma per quanto gli esseri umani possano essere contorti, spesso basta davvero poco per ricominciare a camminare insieme...

 

 

Because I can't stop loving you
No, I can't stop loving you
No, I won't stop loving you

 

Why should I?

 

(Even try)

I'll always be here by your side.
(Why, why, why?)
I never wanted to say goodbye,
(Why even try?)
I'm always here if you change, change your mind…8


 

 


Per la cronaca, il paziente cui si accenna nella fic è affetto da una malattia abbastanza rara chiamata Displasia immuno-ossea di Schimke che si manifesta appunto con i sintomi citati, più tutta un'altra serie di disturbi. Personalmente non la conoscevo, ma ringrazio Daniele e i suoi studi di medicina per avermela suggerita.

 

 1- Da Can't Stop Loving You di Phil Collins

"Oh, se potessi dire che è così che vanno le cose

E potessi fingere che tu non sapessi

Che stavo mentendo"

 

2- Da Stairway to Heaven dei Led Zeppelin, come le successive

"C'è una donna che è convinta che è oro tutto quel che luccica

E si sta comprando una scala per il Paradiso"

 

3- "Perché si sa che a volte le parole hanno due significati"

 

4- "Sì, ci sono due sentieri che puoi percorrere, ma lungo il cammino

    C'è sempre tempo di cambiare strada.

    E questo mi fa pensare"

 

5- "La testa ti ronza e, se non lo sapessi,

    Non smetterà"

 

6- "Se ascolti molto attentamente

    Alla fine la musica arriverà anche a te"

 

7- Da Crash and Burn dei Savage Garden

"Permettimi di essere la persona a cui ti appoggi,

Se ti buttassi, fermerei la tua caduta,

Ti rialzerei e volerei via con te nella notte.

Se sentissi il bisogno di lasciarti andare,

Potrei medicare un cuore spezzato.

Se sentissi il bisogno di spaccare tutto, sfogati:

Non sei solo"

 

8- Di nuovo Can't Stop Loving You

"Perché non posso smettere di amarti

No, non posso smettere di amarti

No, non voglio smettere di amarti

 Perché dovrei?

 (Anche se ci provassi)

Resterò sempre qui al tuo fianco

(Perché? Perché? Perché?)

Non ho mai voluto dirti addio

(Perché dovrei anche solo provarci?)

Io sarò sempre qui se tu cambiassi, cambiassi idea"

 

   
 
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