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Autore: EleninA_90    10/07/2007    2 recensioni
Una bambina.
Una ragazza.
Due epoche diverse.
Lo stesso amore per la vita.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Giappone feudale
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Kumiko Chiaki

LA PICCOLA KUMIKO E LA NOBILE CHIAKI


Giappone, XX secolo

Non era la prima volta che Kumiko, mentre attraversava il parco cittadino per recarsi a scuola, si soffermava ad osservare con curiosità un piccolo tempio votivo, in riva a un laghetto artificiale e circondato da grandi e rigogliosi alberi di ciliegio, i cui petali contribuivano a rendere ancora più incantevole ai suoi occhi quel piccolo squarcio di paradiso. Per cui non bisogna stupirsi se, mentre un pomeriggio si trovava a passeggiare lungo quei viali assieme alla nonna, non riuscì a trattenersi dal domandarle a chi mai fosse dedicato. A quelle parole, l'anziana signora inarcò le sopracciglia ed increspò le labbra.

-Non mi stupisce che tu non lo sappia, dato che risale all'era Sengoku, e voi giovani d'oggi siete così poco informati, oltre che interessati, riguardo il vostro passato...- disse con disappunto.

Kumiko alzò gli occhi al cielo, sbuffando annoiata.

-Nonna! Non iniziare, per favore!-

-Calma, calma... Ma devi ammettere che è un vero peccato che solo in pochi sappiano in onore di chi sia stato eretto quel tempio, è una storia così affascinante...- disse, accennando un sorriso complice alla nipote.

Come previsto, a quelle parole la bambina si illuminò dall'entusiasmo. Dopotutto, le erano sempre piaciute le storie, in special modo quelle della nonna.

-Hai detto una storia?- ripeté -Oh, ti prego, nonnina cara, me la racconti?- la implorò, facendole gli occhi dolci.

Lei però scosse la testa in segno di diniego, dopo aver controllato l'orologio.

-Magari un'altra volta, Kumiko, ormai è ora che ti riporti a casa...-

-Ma io la voglio sentire adesso! Per favore, dai...- continuò la nipotina piagnucolando.

Questa volta fu il turno della donna di mostrarsi esasperata, ma alla fine cedette alle sue richieste, sapendo bene che quando Kumiko voleva qualcosa non c'era verso che si rassegnasse a un semplice “no”.

-E va bene, mi arrendo...- sospirò, andando a sedersi sulla panchina più vicina assieme alla nipote, la quale fremeva dalla curiosità. Quindi, con gli occhi che le luccicavano per l'emozione, come ogni volta che le narrava una storia, iniziò il racconto.


Al tempo dell'epoca Sengoku, ovvero attorno al XV secolo, il Giappone non era uno stato unitario come al giorno d'oggi, ma era suddiviso in centinaia di piccole regioni autonome. Questo perché l'imperatore, che aveva la propria sede a Kyoto, aveva ormai perso gran parte della propria autorità, specie nei luoghi più lontani dalla capitale, e il potere effettivo era retto dallo shogun, il generale di più alto grado dell'esercito, da cui poi dipendevano i vari daimyo, ovvero coloro che potevano vantare le cariche feudali più importanti e che si tramandavano il potere per via ereditaria.

Il clan degli Hasegawa era, all'epoca, una delle dinastie più potenti ed influenti di tutto il nord del Giappone, ma iniziò ad attraversare un periodo di crisi nel momento stesso in cui Midori, la sposa del daimyo Shigemitsu Hasegawa, partorì due gemelli, Takeshi e Naosuke. Nel giro di pochi anni fu presto chiaro che i due, sebbene fossero identici per aspetto, erano però diametralmente diversi. Takeshi, infatti, superava il fratello ed eccelleva in ogni campo: capace di maneggiare la katana e di

cavalcare meglio del più valente samurai della regione, era anche dotato di un ingegno finissimo e avido di conoscenza, applicandosi negli studi con lo stesso zelo che dimostrava in battaglia. Naosuke, invece, sebbene fosse privo di tutte queste doti, era chiaramente il prediletto dal padre, viziato oltremisura: se con Takeshi il daimyo era sempre severo e inflessibile, senza lodarlo mai per il suo operato e addirittura rimproverandogli ogni sua più piccola manchevolezza, con Naosuke era magnanimo e permissivo, e si dedicava anima e corpo affinché fosse cresciuto ed istruito nel migliore dei modi soltanto lui, ignorando in modo quasi ostinato il talento del fratello.

Per questo motivo, quando Shigemitsu si ammalò gravemente e si trovava ormai in punto di morte, tutti davano per scontato che avrebbe finito per nominare come suo successore Naosuke. Fu allora che Takeshi, nel cui animo si erano generate un invidia e una gelosia infinite, oltre che un'eccessiva ambizione e brama di potere, ritenendosi il più degno a diventare il futuro daimyo, iniziò a meditare un piano per ribaltare la situazione a suo favore. Stando attento a non farsi notare da nessuno, si introdusse verso sera nella stanza del padre e si avvicinò al suo capezzale, fingendo di essere Naosuke, con lo scopo di indurlo a stendere il testamento. Dopo averlo persuaso a fare ciò con un' astuto discorso, approfittando del fatto che, un po' per la malattia e un po' per la vecchiaia, la sua vista era estremamente debole, non solo Takeshi fece in modo che a lui spettassero il potere e tutti i possedimenti paterni, ma addirittura riuscì a far firmare a Shigemitsu l'obbligo di Naosuke e di tutta la sua discendenza di servire lui ed i suoi successori nella più completa fedeltà ed obbedienza, oltre che di essere pronti a rischiare persino la vita pur di proteggere il proprio signore, pena la condanna a morte. Infine, per evitare che il suo piano venisse sventato e redatto un nuovo testamento, fece bere subito dopo al padre da un calice che, a detta di Takeshi, lo avrebbe aiutato a prendere sonno. Un sonno che si sarebbe rivelato, tuttavia, molto, molto lungo.

Quando, il giorno seguente, si seppe della morte di Shigemitsu e del testamento che aveva lasciato, che non mancarono di suscitare uno stupore enorme tra tutto il popolo, nessuno, nemmeno Naosuke, poté opporsi né alla successione al feudo di Takeshi, né alla regola disumana che aveva imposto al clan. Da allora esso venne pertanto scisso in due casate, quella principale, ovvero quella che deteneva il potere, e quella cadetta, totalmente subordinata alla prima.

Per circa un secolo questa organizzazione gerarchica si dimostrò perfettamente efficiente, al punto che il potere degli Hasegawa crebbe in maniera notevole, e il suo dominio si estese talmente tanto da riuscire a comprendere quasi tutta l'isola di Hokkaido. Ma questa loro egemonia sull'area settentrionale non poté non impensierire il clan dei Nakamura, i quali temevano che la bramosia di potere degli Hasegawa potesse spingerli ad ambire il possesso anche dell'isola di Honshu, oltre che, soprattutto, del loro feudo. Pertanto, ottenuto l'appoggio anche di altre casate dell'isola, il daimyo Noritaka Nakamura allestì un temibile esercito, con cui mirava a distruggere una volta per sempre la dinastia degli Hasegawa. Fatte sbarcare quindi le sue truppe nell'Hokkaido, iniziò dunque a sottomettere un villaggio dopo l'altro, massacrando l'intera popolazione, senza risparmiare nemmeno le donne e i bambini.

Fu allora che l'anziano daimyo Eizo Hasegawa, dopo aver visto che il suo esercito, benché fosse valoroso, non poteva nulla contro quello guidato da Noritaka, decise di inviare un'ambasceria affinché si potesse giungere a una pace senza dover versare ulteriore sangue. Eizo sapeva bene che Noritaka gli avrebbe imposto delle condizioni durissime per il ritiro delle sue truppe, ma amava troppo il propri sudditi per poter anteporre l'orgoglio degli Hasegawa al loro benessere. Eppure, nonostante questa sua consapevolezza, niente avrebbe lasciato immaginare al daimyo fino a che punto si sarebbe spinta la crudeltà di Noritaka.

Quando Chiaki, la prima ed unica figlia che il daimyo aveva avuto dalla sua ormai defunta moglie, venne interrotta durante la lezione di koto dall'irruzione della vecchia Kaede, la sua insegnante, Izumi, non poté fare a meno di mostrare il suo più profondo disappunto. Ma prima che potesse proferir parola, l'anziana serva la ammutolì all'istante.

-Mi dispiace interrompere la vostra lezione, ma il signore desidera poter parlare con la nobile Chiaki il più presto possibile.- disse, fissando Izumi con aria di sfida. Sapevano bene entrambe che nessuno poteva opporsi a un ordinamento del signore, figuriamoci una semplice insegnante di koto. Difatti, nonostante i manifesti tentativi da parte della povera Izumi di trattenere l'allieva, Chiaki abbandonò all'istante cetra e plettri sul tatami e, senza farselo ripetere una volta di più, uscì dalla stanza il più velocemente possibile. La cosa non deve sorprendere più di tanto, perché la giovane odiava il koto almeno tanto quanto odiava la sua maestra. D'altro canto, suo padre non faceva che ripeterle che nessun uomo perbene avrebbe mai voluto prendere in sposa una donna incapace di suonarlo, per cui, essendo in età da marito, non poteva rifiutarsi di prendere lezioni.

Kaede richiuse quindi vittoriosa il fusuma, poi iniziò ad affrettarsi, con passo straordinariamente rapido per la sua età, lungo il corridoio.

-Sbrigati, Chiaki, sai bene che all'onorevole Eizo non piace attendere!- la riproverò severa quando vide che era rimasta indietro, con lo stesso tono che usava con lei da bambina.

Lei sobbalzò sorpresa, quindi, cosa che non si addiceva affatto alla figlia di un daimyo, raggiunse correndo la serva.

-Posso domandare il motivo di tutta questa fretta?- le domandò stupita.

-Non ne ho la minima idea, ma ciò che è certo è che vostro padre sembrava piuttosto sconvolto quando mi ha chiesto di mandarti a chiamare, per cui non mi sembra una cosa saggia farlo aspettare oltre...- spiegò con pazienza.

Chiaki deglutì preoccupata. Prima, presa com'era dall'euforia per la mancata lezione di koto, non le era nemmeno passato per la mente che suo padre non la disturbava mai senza avere una motivazione più che valida. E, da quanto aveva detto l'anziana Kaede, non si prospettava nulla di buono, questo era certo.

Una volta raggiunta la stanza del padre, la serva aprì lentamente la porta scorrevole, introducendo Chiaki nella stanza.

-Onorevole Eizo, vostra figlia...- disse con fare rispettoso.

Il daimyo, che stava bevendo con aria assorta del sake, alzò lo sguardo in direzione della porta.

-Come? Oh, certo. Grazie, Kaede, puoi andare.- rispose lui.

La serva accennò un inchino, quindi si congedò lasciando soli padre e figlia. Chiaki gli si avvicinò nervosamente.

-Mi avete mandato a chiamare?- domandò con timidezza.

Il damyo annuì, facendole cenno di andarsi a sedere davanti a lui. La giovane si inginocchiò sul tatami, in attesa che il padre finisse di bere il sake, osservandolo con ansia. Eizo Hasegawa era piuttosto anziano, certo, ma non ricordava di averlo mai visto con un'aria talmente stanca e provata, neppure in quei tempi terribili in cui imperversava il conflitto con i Nakamura. Di certo c'era qualcosa che lo tormentava particolarmente, e Chiaki aveva la netta sensazione che fosse proprio per quel qualcosa che l'aveva fatta chiamare.

Finalmente il daimyo posò sul tavolino la ciotola, appena svuotata, e alzò gli occhi sulla figlia. Le rivolse uno sguardo colmo al tempo stesso di pietà e di tenerezza, prendendole la mano destra tra le sue in un'insolita manifestazione di affetto, che turbò ancora di più la giovane. Quindi, dopo un lungo respiro, iniziò a parlare.

-Chiaki, tu sai che giorni fa ho inviato al daimyo dei Nakamura la richiesta di poter stipulare una pace tra le nostre famiglie, dichiarandomi disposto ad accettare qualsiasi sua richiesta...-

Lei annuì educatamente.

-Certo, padre, questo lo so bene...- rispose.

-Ma quello che non sai è che oggi è arrivato un messaggero in risposta da parte del daimyo, recante le condizioni imposte alla nostra famiglia per il ritiro delle sue truppe dal territorio di Ezo...- fece, e così dicendo porse alla figlia una pergamena su cui era impresso il sigillo dei Nakamura. Chiaki la prese con mani tremanti, e la srotolò agitata con la maggior delicatezza possibile.

E, mentre la leggeva, il suo cuore mancò un battito.

-Non è possibile...- mormorò, troppo sconvolta per riuscire a dire altro o per proseguire la lettura.

Eizo divenne scuro in volto.

-Purtroppo è così. Quel mostro di Noritaka non si è accontentato di richiedere un'enorme quantità di tributi, ma pretende anche il sacrificio di un membro della nostra famiglia...-

Ma in quel momento il fusuma si aprì nuovamente, e la vecchia Kaede interruppe il suo discorso.

-Signore, come mi aveva chiesto ho fatto venire anche il giovane Heiji...-

Il daimyo annuì lentamente, ed Heiji fece il suo ingresso nella stanza con un lieve inchino. Heiji Hasegawa era l'unico cugino di Chiaki, di poco più grande di lei, membro del ramo cadetto della famiglia. Nonostante ciò, lui e la giovane non si erano mai preoccupati eccessivamente delle loro differenti discendenze, ed erano cresciuti fianco a fianco sin da quando erano piccoli. Per Chiaki, Heiji non era solo il suo migliore amico, ma gli voleva bene quasi come se fosse suo fratello: per questo motivo si era sempre rifiutata di considerarlo come un suo subalterno, dato che a lei la distinzione tra la casata principale e quella cadetta appariva assolutamente insensata.

Chiaki sul momento non capì come mai suo padre avesse fatto chiamare anche Heiji, ma poi le venne un terribile sospetto. Si voltò di scatto verso l'anziano daimyo, ma dalla sua espressione capì che i suoi timori erano fondati.

-Padre!- esclamò sconvolta -Non vorrete realmente consegnare a Noritaka....-

Ma Eizo, non rispose, abbassando lo sguardo. Heiji si inginocchiò accanto alla giovane, sorridendole tristemente.

-Chiaki, non fare così...- le disse -Sai bene che come membro del ramo cadetto della famiglia, è mio dovere difendere anche a costo della morte te e tuo padre...-

-Ma morirai!- gemette lei, ormai in lacrime -Morirai! Non posso permettere che ti accada una cosa del genere, sai bene che tengo a te più della mia stessa vita...-

Heiji l'abbracciò con dolcezza, accarezzandole i capelli corvini per consolarla.

-Mi dispiace, ma è inevitabile, non c'è altra soluzione...- le sussurrò.

-Ma perché proprio tu!- protestò lei divincolandosi e rivolgendosi al padre infuriata -Non ha fatto nulla di mal...-

-Sciocca!-

Chiaki si ammutolì. Eizo non si era mai rivolto a lei con un simile tono di voce.

-Sei davvero un'ingenua! Pensi forse che a me non importi nulla di Heiji? Se potessi, non esiterei a consegnare me stesso in persona nelle grinfie di quel maledetto, ma i Nakamura non otterrebbero alcun vantaggio dalla mia morte, dal momento che ormai sono abbastanza vecchio da morire tra breve comunque, e difatti Noritaka è stato abbastanza avveduto da esplicitarlo nel suo messaggio... E poi, per quanto riguarda tuo cugino, è suo onere, oltre che onore, in quanto membro cadetto della famiglia, difendere la casata principale! E lui lo sa bene, dato che si è preso le sue responsabilità senza protestare!-

La ragazza guardò stupita il giovane.

-E' vero?- mormorò incredula -Ma perché non me ne hai parlato prima? Perché tenermelo nascosto fino ad ora?-

Heiji però voltò il capo, evitando il suo sguardo inquisitore.

-Perché ormai ti conosco abbastanza bene per sapere già che tu ti saresti opposta...-

-E a ragione! Non...-

Ma Eizo la interruppe nuovamente con cipiglio severo.

-Adesso basta, Chiaki! Sei troppo coinvolta emotivamente nella questione per riuscire a ragionare in modo obiettivo! Sei ancora piccola per saperlo, ma la vita non è così semplice come pensi tu, ed è inevitabile prima o poi fare delle scelte spiacevoli, anche se richiedono enormi sacrifici...-

-Ma...- fece lei, tentando di giustificarsi.

-Niente “ma”! Per quanto mi riguarda la decisione è stata presa! Heiji!- disse, rivolgendosi al giovane -Inizia a preparare i bagagli, domani stesso potrai partire per Hakodate, ti fornirò una piccola guarnigione come protezione e tutti i viveri necessari per il viaggio... Quanto a te, Chiaki, puoi tornare alla tua lezione di koto. La discussione è finita.- concluse il daimyo risoluto, facendo loro cenno di andare.

Heiji annuì obbediente, inchinandosi, come si conveniva, per poi uscire dalla stanza. Chiaki lo seguì mortificata, mordendosi le labbra e tremando per l'indignazione. Suo padre non la teneva minimamente in considerazione, per lui la sua unica occupazione e preoccupazione dovevano essere le lezioni di koto, certo... Diamine, non si era accorto che Heiji non era l'unico dei due ad essere cresciuto? Se pensava che sarebbe rimasta, buona buona, a suonare la cetra mentre la persona a cui teneva di più al mondo andava a morire, allora la sottovalutava enormemente...

Quella stessa notte, Chiaki, dopo essersi assicurata che tutti erano ormai andati a dormire, si vestì rapidamente, e, dopo aver raggruppato in un piccolo fagotto gli oggetti che lei ritenne più necessari,

sgattaiolò di nascosto dalla propria stanza per raggiungere le scuderie del castello. Non fece in tempo ad afferrare le briglie del suo cavallo, però, che una mano le si posò sulla spalla, facendola sussultare. Si voltò di scatto impaurita.

-Vecchia Kaede! Mi hai spaventata!- sospirò sollevata, riconoscendo il profilo dell'anziana serva -Cosa diamine ci fai qui?-

La donna ridusse gli occhi a due fessure.

-Guarda che questa domanda la dovrei fare io a te... Dimmi che non hai intenzione di fare quello che temo...-

Chiaki abbassò lo sguardo.

-Credo proprio di sì, invece... D'altronde, non posso permettere che Noritaka uccida Heiji! Andrò da lui e cercherò di convincerlo a rivedere questa sua assurda condizione di pace...-

La serva scosse il capo sconsolata, prendendole le mani.

-Mia piccola, ingenua Chiaki! Sai bene che i tuoi intenti sono destinati a non andare a buon fine, anzi, stai andando ad offrire a Noritaka la tua vita su di un piatto d'argento...-

Lei la fissò ostinatamente.

-Non mi importa se quello che voglio fare può sembrare una pazzia. E, se dovessi davvero fallire, sono disposta anche a sacrificare la mia vita pur di salvare quella di Heiji; lui non merita di morire solo perché è nato nella casata cadetta! Non posso non fare nulla per impedirlo, non riuscirei a sopportare un tale peso sulla coscienza...- disse Chiaki risoluta.

Kaede sospirò con rassegnazione.

-Ormai ti sei decisa, a quanto vedo... E immagino che non ci sia nulla che ti possa dire per farti cambiare idea, vero?-

-Infatti.- fece Chiaki, con l'accenno di un sorriso sulle labbra -Però, anche se non mi approvi, vorrei tanto che tu mi potessi concedere comunque la tua benedizione...-

La donna la guardò con dolcezza, gli occhi che luccicavano nel buio per la commozione.

-Certo che no, sciocchina...- le sussurrò, baciandola con tenerezza sulla fronte -Abbi cura di te, mi raccomando.-

Chiaki ricambiò l'abbraccio, imponendosi coraggiosamente di non piangere.

-Puoi contarci...- rispose sorridendo.


-E poi com'è andata a finire? Su, non tenermi sulle spine!- protestò Kumiko indignata.

La nonna guardò la buffa espressione sul volto della bimba, trattenendosi dallo scoppiare a ridere. La divertivano sempre moltissimo le reazioni della nipote ogni volta che interrompeva un racconto, e ormai non riusciva più ad astenersi dal farle quel piccolo dispetto.

-In realtà, ammetto di non conoscere bene nemmeno io la fine di questa storia...- rispose, alzando gli occhi pensosa -Si dice che Noritaka, nonostante l'insistenza di Chiaki, non abbia dimostrato la minima pietà nei suoi confronti, facendola decapitare. E, non essendo stata soddisfatta la sua sete di sangue, avesse ucciso anche il giovane Heiji, per poi far recapitare le teste dei due giovani all'onorevole Eizo...-

-Ma è orribile!- fece Kumiko disgustata.

-Effettivamente è un finale un po' macabro... Ma esiste anche un'altra versione, ovvero quella che Noritaka, profondamente colpito dal coraggio e dalla grandezza d'animo della giovane, non solo avesse finito per cedere alle sue suppliche, ma addirittura le avesse chiesto di diventare sua moglie...-

-E lei cosa rispose?- domandò la bambina incuriosita.

-Anche qui i pareri sono discordi. Alcuni dicono che abbia accettato, altri, invece, che abbia declinato la sua proposta, per poi sposare il giovane Heiji, di cui era segretamente innamorata. Inoltre, con questo matrimonio, Chiaki colse l'occasione anche per annullare una volta per tutte la regola imposta sulla casata degli Hasegawa da Takeshi...- spiegò la nonna.

-Aspetta, ma avevi detto che Heiji era suo cugino! Non poteva sposarlo!-

-E perché no?- rispose la donna, facendo spallucce -All'epoca era piuttosto d'uso che si sposassero tra loro membri di una stessa famiglia. E poi, per quanto ne sappiamo noi, se Chiaki era disposta a sacrificare la sua vita per lui, era probabile che provasse qualcosa di più della semplice amicizia nei confronti di Heiji...- disse, con un sorrisetto malizioso stampato sulle labbra.

Kumiko non aggiunse altro, rivolgendo lo sguardo al tempietto davanti a loro, con fare pensoso.

-Se fossi stata nei panni di Chiaki, non so se avrei fatto lo stesso. Non capisco se fosse stata una ragazza molto coraggiosa, o semplicemente molto incosciente...- osservò, quindi, dopo averci riflettuto su.

-Chi può dirlo?- ribatté invece la nonna, scompigliandole i capelli affettuosamente -Sei ancora troppo piccola, vedrai che quando ti sarai innamorata di qualcuno il suo comportamento non ti sembrerà più tanto insensato! E poi, se fosse stata solo una sciocca come dici tu, non credo proprio che gli Hasegawa avrebbero eretto addirittura un tempio in suo onore, come invece hanno fatto...-

-Va bene, va bene, alla fine hai sempre ragione tu!- sbottò Kumiko mettendo il broncio.

-Era ora che lo capissi, piccola mia!- fece lei, ridendo di gusto -Forza, adesso però andiamo, il sole ha già iniziato a tramontare...-

-Cosa?- fece la bambina sorpresa -No, per favore, prima volevo andare a fare una visita velocissima al tempio...-

L'anziana donna alzò gli occhi al cielo.

-Te la concedo, ma che sia davvero velocissima! Sennò chi la sente più tua madre se non sei a casa per l'ora di cena...-

Kumiko annuì obbediente e scese con entusiasmo giù dalla panchina, sistemandosi la gonna a pieghe per poi correre verso la piccola costruzione sotto gli alberi di ciliegio. Da quel giorno, ogni volta che capitò in quei paraggi, ne approfittava sempre per fare una piccola sosta al tempietto, e recitare anche solo una breve preghiera. E come sua nonna le aveva narrato la storia di Chiaki, così lei la raccontò ai propri figli e ai figli dei loro figli, essendo del parere che una tale manifestazione d'amore non meritasse di essere dimenticata, ma che dovesse, anzi, rappresentare un esempio per la vita di tutti.


Owari


Ciao a tutti! Innanzitutto, volevo rubare un paio di righe per ringraziare tutti coloro che sono riusciti ad arrivare sino alla fine senza addormentarsi... E che magari mi lasceranno pure un commentino piccino picciò... Grazie di cuore. Si dice che una storia non sia degna di essere chiamata tale fino a quando non viene letta, altrimenti resta soltanto un semplice foglio di carta macchiato d'inchiostro. Per cui ci tengo a ringraziare in primo luogo Meg, la mia buona, vecchia amica che ebbe l'”onore” di leggere questo racconto alla prima fase della sua stesura... E ovviamente il mio nume personale, la mia carissima, ma ormai ex, professoressa di Italiano, senza la quale non sarebbe stato nemmeno scritto, dato che è stato perché voleva che scrivessimo una novella come compito delle vacanze se l'ho fatto... Ma la lista delle persone da ringraziare sarebbe interminabile, e anche se tentassi di citarle tutte certo finirei per dimenticarne qualcuna!

Con tutto il mio affetto

EleninA

  
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