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Autore: Infected Heart    25/12/2012    4 recensioni
Dopo il concerto al Mediolanum Forum di Milano (25-04-2012), mi è venuta l'ispirazione per questa fanfiction. Il protagonista maschile è Tuomas, e premetto che non intendo in nessun modo pretendere di sapere o interpretare per certo ciò che lui ha provato o prova. Le sue canzoni mi ispirano e fanno da sottofondo, a questa FF, e alla mia vita. Tutto qui. Inoltre, essendo io una pianista e una pseudo-cantautrice, ho preso anche un pò spunto dalla mia vita reale. Per inventare questa FF ho messo un pò dei miei sogni e della mia fantasia. Grazie di cuore a chi la leggerà.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: Si consiglia caldamente, per l’atmosfera, l’ascolto della canzone "Aria Di Neve", nella versione di Franco Battiato. Qui il link: http://www.youtube.com/watch?v=CkFAlkvkmCo
TUOMAS POV
Non sentivo nulla. Non percepivo nulla. Nemmeno il bruciore degli occhi, che si rifiutavano di lasciare uscire le lacrime. Avrei tanto voluto liberarmene, finché ce ne fossero state, finché gli oceani fossero stati in grado di contenerle. Walt, rigido e impaurito, seduto in braccio a me. Di fronte alla salma della donna che aveva cambiato le nostre esistenze. Nella vita e nella morte. Le sue labbra, sempre rosse di ciliegia; ora avevano il colore dei fiori di pesco. Quasi irriconoscibili, nel complesso delle caratteristiche del viso. Assurdo. E un altro spasmo scosse il mio corpo, incontrollabile e doloroso. Quante volte l’avevo sognata, vestita nei colori della primavera, sposa che mi raggiungeva all’altare. Con quelle guancie imporporite dall’emozione più pura; da quell’innocenza che solo lei sapeva preservare, nonostante tutto il veleno del mondo. Invece in quella stanza ora si respirava neve. Immacolata, sincera. Eppure ghermita, deturpata, dalla stessa Madre Gaia. Natura crudele dalla quale era nata. Futuro che l’aveva sovrastata, impedendo ogni nostra felicità, seppur umana e passeggera. I suoi genitori si erano chiusi in un silenzio ermetico e inconsolabile. Fortezza così fragile per la perdita di un’anima insostituibile. Stavano muti, accanto ai genitori di Lea. Due figlie uniche  che lasciavano un vuoto  ulteriormente incolmabile nei cuori e nelle vite delle loro famiglie, degli amici, e di chi era qualcosa di più. La volontà delle nostre amate era di aver presenti alla veglia e al funerale, solo i cari più importanti e veri: Anselmo, Laura, Adelia e Claudio; suddetti madre e padre di Lea, Ben, Luca, io, i Nightwish al completo, mia madre,  Mario; il ragazzo dell’archeologa defunta; i nonni di Giulia, Carla, Domenico, Elsa e Pietro, con pochi amici intimi di entrambe. Ora erano tutti qui, uniti nell’accompagnamento spirituale verso l’estremo saluto. Io di sicuro non l’avrei lasciata sola. Non finché avrei potuto starle vicino, vederla, sperare ancora che tutto questo potesse essere solo un incubo. Alcuni parenti mi guardavano male. Consideravano diseducativo e traumatizzante il fatto che un bambino assistesse ad un funerale, e si erano premurati di farmelo notare. Da parte mia avevo annuito, con pazienza. Grazie all’aiuto di Jessica, unica amica di Giulia e Lea che sapesse capire e parlare inglese fluentemente, avevo poi cercato di spiegare loro il motivo della mia decisione di rendere partecipe Walt a tutto ciò. Come se la situazione non fosse stata già abbastanza devastante. Nostro figlio aveva tutto il diritto di dire addio a sua madre. E i bambini, contrariamente a quello che pensa la maggior parte della gente, non sono stupidi. Cosa mi sarei inventato per spiegargli la scomparsa di Giulia? Avevo, perciò, optato per l’alternativa più dura da accettare. Ma lui così, col tempo, avrebbe potuto metabolizzare la morte, l’accaduto. La sincerità, a lungo andare, era sempre la cosa migliore. Comprensibilmente, faticava a realizzare un concetto astratto come la morte, e per il momento non mi aveva fatto domande, ancora troppo turbato. A tempo debito avrei cercato di spiegargli in termini semplificati il mistero insolvibile del ritornare polvere. Non mi piaceva forzare il fluire spontaneo degli eventi, e tenevo, ora più che mai, alla sanità mentale e all’avvenire di mio figlio. Volevo costruire delle basi solide, per lui, e per il nostro rapporto.
19 e trenta. Eravamo rimasti solo in tre nella stanza, ad arginare l'ipotetica, e forse illusoria, solitudine di Giulia e Lea. Per sperimentare ancora, in qualche modo, la loro presenza più tangibile. Io, Laura e Claudio. In silenzio. Era tutto dentro di noi. Come sembravano materiali, ora, le parole. Evanescenti e inutili, come un soffio nel vento. Impalpabili, eppure così impresse a fuoco nel nostro cuore afflitto. Cuore…No. Un macigno nel petto. Denso, del sangue pieno di frustrazione che lo avviluppava, in un groviglio di pensieri che lottavano, pur sapendo di essere sconfitti. Ad un certo punto la madre del mio angelo, piano si avvicinò a me, quasi come timorosa di svegliare sua figlia. –Tuomas, vai su  da Walt. Qui ci penso io. Lei…lei aveva così bisogno del tuo amore. E ora sarebbe lusingata dalla tua devozione. Ma è meglio se vai a riposare e a mangiare qualcosa. Carla dovrebbe già aver preparato la cena. Vai con gli altri. Io vi raggiungo dopo. Per favore. Pensa…pensa a tuo figlio. Lui…lui è qui.- Vidi i suoi occhi velarsi e gonfiarsi di lacrime. Solo Dio sapeva quante ne avrebbe versate. Io le misi una mano sulla spalla, e a mia volta non riuscii a trattenermi. Sentivo le taciturne e calde gocce scendere. Ma me non importava. Non mi importava in alcun modo che gli altri vedessero il mio dolore. Non oggi, non per Lei. Laura aveva bisogno di avermi cuore a cuore, di arginare la solitudine, di capire che Giulia era stata amata, che verrà ricordata, e portata avanti, in ognuno di noi, fin quando il tempo ce l’avrebbe concesso; e forse anche dopo. Chissà se l’avrei più rivista. Giulia…Giulia. –Anche tu dovresti mangiare qualcosa, dopo. – Le dissi, nel mio italiano stentato, appena la mia gola me lo permise. – Non voglio lasciarla sola…- disse semplicemente, la madre. E la capivo appieno. Annuii, a testa bassa. – Vai…Anselmo ha messo Walt dormire nella stanza di…nella sua…-  aggiunse poi la donna, con voce spezzata. –Io annuii, e le posai una mano sulla guancia. Subito mi ritrassi. Solo in quel momento mi accorsi di quanto madre e figlia fossero simili. Diedi un ultimo sguardo alla bara, e raggiunsi il mio bambino. Dormiva placido, sul letto nella camera in cui la mia donna era cresciuta. Entrai con circospezione, neanche fosse un luogo sacro. Beh, in realtà per me un pò lo era. Quante cose aveva vissuto, prima che conoscessimo. Quante cose non avrei più potuto sentire raccontare dalla sua voce, sempre troppo veloce quando si faceva prendere dall’emozione. Mi sedetti sulla sedia della sua scrivania. Troneggiante, al centro di essa, la scatola degli effetti personali di Giulia. Proprio di fronte a me, come se mi chiamasse. Laura e Anselmo mi avevano detto di dare un’occhiata al suo interno, in caso ci fosse stato qualcosa che mi appartenesse. Ma io non volevo aprirla. Non ero ancora pronto, o almeno così mi sentivo in questo istante. Mi guardai attorno, pregno del profumo di lei; leggero e inconfondibile all’interno di quelle quattro mura. Pensavo di distogliere l’attenzione, ma in realtà l’ambiente lo amplificava, in un tutt’uno assuefante e doloroso allo stesso tempo. Spartiti ovunque. Disordinati, come solo lei sapeva essere, presa da chissà quale ispirazione  improvvisa. E fogli. Tanti fogli, con tante parole, affastellati sul pianoforte. Vecchi: si vedeva dalla matita leggermente sbiadita. Come un diario spontaneo che nessuno aveva mai più letto; neppure Lei. Mi avvicinai al suo strumento, ed iniziai ad osservare gli spartiti, gli scritti. Indeciso, sul leggerli o meno, vagavo per la camera, nervoso. Conoscendola, a Giulia non avrebbe fatto molto piacere se qualcuno avesse messo il naso tra le sue cose. Ma io non ero “qualcuno”. Io ero l’uomo che aveva detto di amare, per cui aveva sacrificato tutto, seppur invano. Ora convinto, mi voltai, e raccolsi ogni più piccolo pezzo di carta vergato dalla sua scrittura. Avido, scorsi ogni riga, ogni lettera, ogni pensiero lasciato lì per sempre. Passarono i minuti. Dieci, venti, mezzora, un’ora, o forse anche più. Non avrei saputo dirlo con certezza. –Papà, non piangere. - Fu mio figlio a salvarmi da un immersione senza fondo nell’anima e nei ricordi; ora condivisi, chiusi nella mia mente e custoditi. –Vieni qui.- dissi, in una supplica. In questo piccolo essere era racchiusa tutta la felicità del mio universo. Io dovevo sostenere mio figlio, e tale forza sarebbe tornata indietro, come un boomerang. Ne ero certo. E’ per questo che si chiamano “relazioni”, no? Le persone sono inscindibilmente connesse, legate, a dispetto di tutto. Anche degli addii. Ciò che lasciano, rimarrà sempre un bagaglio impercettibile, ma aleggiante in ogni gesto, essenziale per il vivere quotidiano. –Perché piangi se dici che la mamma ora è felice?- Oh, già. Avevo dimenticato che mi era scappata una frase del genere, il giorno prima. Sospirai, pesantemente. – Perché non è più qui con noi, amore.- Lo sentii stringersi più forte a me, e poi mio figlio mi guardò negli occhi. I suoi lucidi quanto i miei. –E dov’è?- Ecco. Era arrivato il momento del discorso. Ed ero terrorizzato. Cercai di pensare al modo più gentile e autentico per affrontare l’argomento, ma tutto ciò che inondava il mio se era un enorme punto interrogativo. – Questo non so dirtelo, Walt. Mi dispiace. – Esordii. – Ma Giulia era…ha fatto così tanto bene per noi. E’ sicuramente in un bel posto. - -Noi andremo anche lì un giorno?-  mi chiese ancora lui. Domande lecite su un problema che purtroppo aveva dovuto affrontare troppo presto. - Piccolo mio. Sai, come ti ho detto, un giorno noi ci spegneremo. Proprio come delle macchine. Succede ogni giorno, in tutto il mondo. Qualcuno di sconosciuto chiama alcune persone, e non si sa dove le porta. Magari in cielo, ma nessuno può saperlo con certezza. Il papà non conosce tutto, sai? Ma può dirti che Giulia ora sta bene. Anche se sicuramente sente la nostra mancanza. Ci amava tanto, lo sai vero? E ci ama ancora. Ma non ha deciso lei di andarsene. Lei avrebbe voluto ancora rimanere qui con te.- Misi insieme una risposta che mi sembrava plausibile e più o meno comprensibile per un bambino di quell’età. Osservai quest’ultimo, speranzoso, e in attesa della sua reazione. Dopo un attimo di pensoso silenzio, finalmente Walt parlò. –Ma quindi, visto che ci vuole bene, questo vuole dire che lei può vederci, ma noi no?- -Esattamente. E’ un mistero anche questo. Ma vuole il meglio per me e per te.- Ahimè, non avrei saputo spiegarglielo meglio. Com’era sveglia questa nostra creaturina, però. Mi stavo stupendo ad ogni sua frase di quanto fosse attento e perspicace. Ma è noto, solo uni sciocco non si accorgerebbe di quanto i bambini arrivino con estrema precisione all’essenza delle cose.  – E’ cattivo.- Mi stranii a questa sua affermazione. – Chi?- domandai, ingenuamente. –Quello sconosciuto che ha voluto la mamma da lui. – Lo so che sei arrabbiato per questo. Ma Giulia era così importante e buona, e questo sconosciuto ha bisogno di lei per fare del bene. La tua mamma era speciale. Ma ti svelo un segreto: da dov’è può vedere chi ci vuole fare del male, e ci protegge.- Gli parlai sottovoce, guardandolo dritto nelle sue pupille allagate. Sentivo che aveva capito esattamente cosa intendevo, nonostante il mio tentativo assai triste di indorargli almeno un po’ la pillola. -Credici, Walt. Ti aiuterà. Ti aiuterà…- spontaneamente queste parole abbandonarono le mie labbra, e raggiunsero di nuovo, come un segnale, gli occhi di mio figlio. – Mi manca tanto la mamma…- un singhiozzo e una manina che mi strinse il pollice all’improvviso.- Anche a me. Non sai quanto. Ma io ci sarò sempre. Non dimenticarlo. Sono qui, per te. Non me ne vado. Non dimenticarlo. Il papà non ti abbandonerà.- Lo cullai, lo cullai, e lo cullai. Così, uniti, crollammo addormentati, sul pavimento. Lì, tra gli spartiti, che rappresentavano, come uno specchio, quella vita. Quella melodia di cui era terminata una Corrente, ma era altresì iniziata una Giga*, la Sua Giga, dal tema variopinto e senza tramonto.
Il giorno seguente, h 15.30.
Tutto scorreva davanti ai miei occhi e attorno a me, ma io non c’ero: assente con mente e anche corpo, se possibile. Mi sembrava di essere in una bolla di sapone, dove non si riusciva ad esperire nulla. Per l'ennesima volta in questi giorni di calvario. Forse una difesa inconscia. Come un'ovattatura dal mondo esterno. A me, però, andava bene così. Mi bastava passare indenne quelle tre ore di funerale, chiesa, cordoglio e convenevoli. Avrei avuto poi tutta la vita per compiangere la mia amata. In solitudine, lontano dagli sguardi altrui, che si insinuavano, sempre di troppo. Ad un certo punto il ronzio indistinto di prete e gente venne sostituito da un silenzio, pesante di attesa. Poi Laura mi diede una leggera gomitata. Di nuovo la voce anziana del prete, e Jessica che suggeriva al mio orecchio – Ha chiesto se qualcuno vuole parlare di lei. E’ il momento giusto.- Sì, e quella ragazza italoamericana tanto gentile mi avrebbe aiutato a rendere onore a Giulia, almeno a parole. Traduzione concordata e supporto di sua madre. Non avrei potuto chiedere di più. Il difficile, però, sarebbe stato, ora, rendere pubblica un’anima. Anzi, due. Le nostre. Mi alzai, e Don Domenico si fece da parte per lasciarmi il microfono. Era incredibile. Io, che avevo sempre odiato parlare in pubblico; io che nemmeno sapevo la lingua di questo paese, ero stato incaricato il giorno prima, dai famigliari del mio angelo, di mostrare a tutti che persona integra, sincera e appassionata  questo era. Sarebbe stato doloroso, e complicato. Ma in un certo senso mi faceva sentire meglio lo sgravare di un peso coloro che in questo momento avevano l’universo dei sentimenti soffocato in gola. Anselmo, Laura, Delia e Claudio erano troppo sommersi dalla sofferenza per pensare ad altro. Perciò, io per Giulia e Mario per Mara avremmo provato a fare un loro ritratto col pennello dell’amore, sperando che risultasse chiaro a tutti i presenti. Jessica, al mio fianco, pronta a farmi da interprete. Questa ragazza mi lanciò un’occhiata incoraggiante, alla quale, davvero, faticai a ricambiare. In realtà non ero molto certo sul come iniziare. Ma poi chiusi le palpebre, e fu Lei che mi condusse, Lei che si spiegò. Scelsi la via più lineare, lasciando perdere discorsi lacrimevoli che non sarebbero serviti a nessuno. Qui doveva nascere forza, fiducia per superare questo momento. Non ulteriore disperazione. Non mi presentai, ne feci caso al mormorio che era aumentato a dismisura: mi feci coraggio e andai dritto al punto. – Io penso che il miglior modo di raccontare e ricordare Giulia sia attraverso le sue stesse emozioni, i suoi scritti, la sua musica. Niente la rappresenta di più di ciò che riusciva a riversare in una forma superiore di contenuto. L’arte dell’uomo, questo cercava di elaborare, la nostra piccola pianista. Le situazioni che le stavano strette, le parole più profonde e impaurite, e quelle che avevano urgenza di essere urlate, negative e positive.  Quelle con cui, indirettamente, cercava di aiutare le persone che non lo volevano. Quelle con cui aiuterà ora e in futuro. Ne sono certo. Potete avere vissuto Giulia un solo minuto, due ore, un mese, o degli anni. Per voi io posso essere un estraneo, ma se siete scettici riguardo alla mia persona, potete trovare conferma nel vostro cuore: lei lasciava sempre il segno. Non solo con il suo inconfondibile rossetto rosso fuoco. Ma con ogni occhiata, mai lasciata al caso; sembrava leggesse l’anima della gente. Con i suoi sguardi buffi. Con una sua carezza di conforto sulla guancia. Con il fiume della sua voce, che a volte stancava, ma appena cessava ti accorgevi di non poterne fare a meno. L’amore custodito e svelato di una giovane madre. Di una figlia. Di una donna. Con un senso della giustizia a volte esageratamente dettato dalla morale e dall’istinto più primordiali. Lei si riduceva all’essenza nel vivere. Pura autenticità. Tutto questo era e rimarrà Giulia.
“Beats on your grave,
lonely soul.
Sweat sound forever pleasing
His silent worshipper.
Grey sky,
your eyes.
Never ending protection
For me.
Rain for life
Hands longing for
Your redemption.
Every single note
I kept for me.
Your greed, your lust
Now yours.
Every single note
I kept for me
Will sing
My eternal devotion
In you.
Release, my love.
Release, heartbreath.
Release, my love.
Release, dear stardust.
That sound you never heard
Will remain
And forever stays
In you.”
Ecco. Quello che ho appena letto è il testo di uno dei brani musicali che aveva composto piuttosto recentemente. L’interpretazione la lascio a voi. Giulia sentiva l’urgenza, il bisogno viscerale di raccontarsi agli altri, di farsi conoscere per ciò che era davvero. Nel bene e nel male. E per quanto questo possa risultare un’utopia per un essere umano, io voglio almeno tentare di realizzare il suo più grande desiderio. Ricordatela semplicemente per ciò che di più vero era, e portatela cara nei vostri cuori. Tenetela al caldo, lasciandola libera di farvi vivere le vostre storie nel futuro più prossimo, ma mai dicendole addio. Questo è per te, Giulia. Sai, mi sembra quasi di vederti ridere, sciolta dalle catene dell’ipocrisia di questa terra. Ti vogliamo bene. Ti amo. E continuerò ad amarti. Non aver paura. – Mi fregai gli occhi con il polso. Maledette lacrime. La sua visione di noi, presi come singoli, rinchiusa in quella poesia, in quella canzone sparsa di note e accordi su carta. Visione che ha reso più che esplicita la nostra assurda, libera eterodipendenza l’uno verso l’altra. Quell’abbandono così simile alla pace dei sensi. Alla morte. Chissà, forse ero vicino alla soluzione del mistero. No. Si. No. Ero crollato. Distrutto dalle macerie della vita che avevo sognato di costruire. Insieme a Lei. Insieme all’altra metà di me, ora così dispersa, brancolante nel buio. O almeno così credevo. In fondo chi sa cosa c’è dopo che la Moira ha tagliato il filo? Basta. Al diavolo il dolore pudico. Mi fiondai al piccolo organo elettrico della chiesa, e diedi fiato a tutto ciò che avevo tenuto dentro me, per anni. – Questa è la risposta a te. Il mio saluto, amore mio.- sussurrai, tra me e me.
“Sopra le nuvole c'é il sereno 
ma il nostro amore non appartiene al cielo. 
Noi siamo qui tra le cose di tutti i giorni 
i giorni e i giorni grigi. 
Aria di neve sul tuo viso, le mie parole 
sono parole amare senza motivo. 
Prima o poi tra le nostre mani 
più niente resterà. 
E' una vita impossibile 
questa vita insieme a te. 
Tu non ridi non piangi non parli più 
e non sai dirmi perché. 
Lungo la strada del nostro amore 
ho già inventato mille canzoni nuove per i tuoi occhi. 
Più di mille canzoni nuove 
che tu non canterai.”
Cantai, e suonai, finchè lo strazio che provavo e la dolcezza di Giulia non furono intrecciati, per l’ultima ed eterna volta. Di quel giorno non ricordai più nulla. Solo una rosa, viola di sangue, lasciata da Marco sulla pietra fredda di Lea e Giulia. Ormai la loro casa era il tutto e il nulla. Polvere che ai miei occhi era preziosa e allettante più del diamante. Giulia e Mara. Rose, selvagge, e da ora in poi testimoni dei tempi dei tempi.
Giulia. Quella Musica aveva trovato la morte. Ma grazie a Lei, io avevo conosciuto la Vita.
                                                          THE END
 
 NOTE AUTRICE:
- La Giga e la Corrente sono delle sezioni di un componimento musicale classico, la Suite. Uno dei più rilevanti compositori di questo genere è il clavicembalista J. S Bach.
- Il primo testo citato è un mio componimento, mentre il secondo è  il testo della canzone “Aria Di Neve” di Sergio Endrigo.
- La traduzione del mio testo in inglese:
“Battiti sulla tua tomba, anima solitaria.
Dolce suono, che pacifica eternamente
Il suo muto adoratore.
Cielo grigio
I tuoi occhi.
Protezione senza fine
Per me.
Pioggia della vita.
Mani bramose della tua redenzione.
Ogni singola nota
che ho custodito per me.
La tua avidità, la tua lussuria.
Ora ti appartengono.
Ogni singola nota
che ho custodito per me
Canterà
la mia eterna devozione
In te.
Riposa, amore mio.
Riposa, soffio di cuore.
Riposa, amore mio.
Riposa, cara polvere di stelle.
Quel suono mai ascoltato
Rimarrà.
e per sempre resta
In te.”
 
Innanzitutto BUON NATALE a tutti. Poi devo davvero aggiungere che sono immensamente triste per il fatto che questa storia sia finita. I personaggi mi stupivano ogni giorno, mentre scrivevo e loro architettavano le avventure che avrebbero vissuto tra le righe di questi capitoli. Grazie a loro che mi hanno fatto sognare, e grazie a tutti voi per aver messo la storia tra le seguite-ricordate etc…Per le recensioni, per i consigli e il supporto. Insomma…per avere seguito Tuomas, Giulia, e me, fin qui. Kiitos di cuore. Spero che questo finale non vi abbia deluso. Un abbraccio a tutti voi. P.s: Giusto in tempo per il compleanno di un certo Herr Holopainen ;)
  
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