Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Shichan    11/07/2007    2 recensioni
"So far from me, like the moon I could see in this sky full of clouds.." lo cantavo sotto quella pioggia che amo e odio, che ti trasforma, che mi cambia.

Melodie di un passato che ho composto in silenzio, accompagnamento di musiche che nel silenzio si confondono, mani che battono sotto un cielo sereno, passi e passi, senza mai avvicinarsi.

Tengo segreti questi miei sentimenti, perché non voglio ferirti, perché non voglio ferirmi, in questa farsa senza un pubblico, in questa elusione di cui mi illudo.

Leggete attentamente le 6 righe prima della storia vera e propria, aiuta a capire meglio ^__^ Se poi vorrete farmi sapere, arigatou minna! ^O^
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Voice of the Silence

 

 

E questa voce che ti chiama, quante volte l’hai sentita?

Forse tante, forse troppe.

Per questo riconosci la mia voce, anche quando la mantengo bassa per non farmi sentire?

Cosa senti, tu?

Senti un dolore chiuso nell’anima senza possibilità di fuga, forse.

O forse, senti solo un silenzio che riecheggia nel vuoto.

Oppure, è probabile che tu non senta nulla, nulla.

Il sussurro del vento.

La voce della foresta con le sue creature, che di notte vivono di quella luce che gli uomini disdegnano.

Un suono lontano, fatto di luci soffuse e ombre impenetrabili, che spaventano, che nascondono.

Basta saperle avvicinare.

Una creatura, un elemento… non hanno una sola faccia.

Ed i suoni, ogni cosa… non hanno solo un modo di essere ascoltati.

Cosa senti tu?

Oltre questi infiniti silenzi che opprimono il cuore, oltre questa illusione che si va formando?

Cosa senti tu?

Oltre questo cuore che batte sempre più piano, oltre quest’anima di cristallo che viene spezzata?

Cosa senti tu?

Insieme a questa musica che sa di te, di me, di noi?

E io?

Io cosa sento, invece?

Dolore.

Rimpianto.

Gioia, forse.

Eppure sento te.

I tuoi sussurri, i tuoi pensieri, ogni tuo respiro, ogni tua parola.

Tutto ciò che avevo.

Che non posso avere.

Che ho maledetto, per il dolore che mi provocava.

Tutto ciò che ho desiderato per anni, che vorrei tuttora.

Luce.

La luce che emanano gli angeli.

Gentile, confortante, quasi irreale, eppure sai che c’è, la vedi, la senti, quasi.

È palpabile come una mano gentile che si posa sul capo, è effimera come un sogno, è inafferrabile come il vento che soffia senza costrizione alcuna.

È libertà e prigionia, è voler volare e sapere di non potersi staccare da terra senza cadere.

È la perfezione, è l’irraggiungibile.

Sei tu.

Sai che questo viene negato alle creature senza ali, come me?

Sai che non posso avvicinarmi, vero?

Non ora.

Non più.

 

Nei giorni seguenti, i tre primini evitarono accuratamente di incrociare lo sguardo della docente. E, se già era difficile per Selene, che era Corvonero, per Micheal e Mary Sue era un incubo, visto che la giovane era anche la loro Capocasa.

Fortunatamente, la lezione con lei, almeno per quella settimana, l’avevano già fatta e di conseguenza potevano evitare almeno lo “scontro diretto”. Selene però, iniziò a temere per la sua vita il venerdì mattina, quando entrando in Sala Grande e volgendo lo sguardo verso il tavolo dei docenti vi scorse una figura conosciuta. Si trattava di una donna, era sua madre e il fatto che sedesse vicino alla professoressa Hamilton significava solo una cosa: se la docente le avesse detto che avevano spiato nei suoi ricordi, lei era una Corvonero morta e sarebbe stata il caso eccezionale di unica studentessa durata solo un anno in quella scuola.

Un brivido le attraversò la schiena, del tutto giustificato per chi conosceva sua madre, Sally McFinch, impiegata nell’Ufficio Misteri del Ministero della Magia.

Si sedette al proprio tavolo, imitata dagli altri due, che si diressero a quello di Serpeverde. Mary Sue, una volta sedutasi, si rivolse a Micheal: -Mike… forse dovremmo scusarci.- commentò, senza aggiungere nomi o simili, visto che il compagno poteva facilmente intuire a chi la ragazzina si riferisse. Stava per dire la sua in proposito, ma l’improvviso ammutolirsi della Sala lo distrasse.

Seguendo le teste dei compagni, anche lui e Mary Sue si voltarono verso l’entrata, notando due uomini entrare.

Il primo, capelli castani un po’ lunghi e scompigliati, occhi azzurro cielo. Fisico atletico, abbastanza alto, forse due o tre centimetri più dell’altro, che l’affiancava. Espressione seria e forse anche un po’ altezzosa, dovuta sia al ruolo che sapeva di ricoprire, sia al suo naturale carattere, variato di poco, da quando era un ragazzino. I lineamenti, benché fosse un giovane di ventitrè anni non erano eccessivamente marcati, non per la fanciullezza, ma per la caratteristica peculiare del volto che gli dava lineamenti se non femminei, nemmeno androgeni.

Il secondo, aveva i capelli castano rossicci, tendenti più al primo che al secondo colore, gli occhi limpidissimi, ancor più dell’altro. Leggermente lunghi, fino a toccare le spalle forse, erano legati in un ordinato codino basso che li teneva in modo tale che non costituissero un fastidio.

Fisico atletico anche lui, sebbene di pochissimo più basso del compagno, l’espressione era quella di chi è serio, conscio del motivo per cui è lì, ma non trattiene un sorriso a metà fra l’ironia nel vedere chi avanza con lui e la malinconia di quel luogo che poteva chiamare “casa”.

Sorriso palesato in un lieve incurvarsi delle labbra, visto che altro non era il caso si concedessero né lui, né il vicino.

Medesima divisa, medesimi gradi, cadenza del passo.

Due uomini che erano caratterialmente identici ed ostentavano a credersi opposti.

Due ragazzini che credevano avrebbero continuato ad odiarsi e farsi la guerra per sempre, senza mai scendere a compromessi.

Due colleghi, che lavoravano insieme, che cooperavano.

Due Auror, che affidavano l’uno la propria vita nelle mani dell’altro.

Micheal e Mary Sue li videro avvicinarsi al tavolo dei docenti, senza tuttavia sentire  nulla, notandoli rivolgersi solo alla preside, allontanandosi quasi subito, senza dare tempo a nessuno dei professori di dire nulla.

Quasi subito, la preside stessa si allontanava con loro, uscendo dalla Sala Grande.

 

***

 

Erano a lezione di Erbologia, quando quei due stessi uomini, giorni dopo, si ripresentarono davanti agli studenti, dopo giorni in cui non erano mai stati visti da nessuno, motivo per cui avevano ipotizzato che avessero parlato con la preside, per poi andarsene.

Micheal, Mary Sue e Selene, non avevano ancora avuto il coraggio di scusarsi con la docente che, da parte sua, sembrava non li avesse mai incontrati fra l’ultima lezione e quella in corso.

All’entrata dei due uomini, accompagnati dalla mamma di Selene, Karin assunse un sorriso gentile: -Niisan, Van… sono contenta di vedervi.- salutò i due Auror, i nomignoli infantili mai abbandonati.

Il più basso dei due, arrossì lievemente, forse imbarazzato dall’utilizzo di quel nomignolo dopo anni che non lo sentiva più. L’altro, si limitò a ricambiare il sorriso: -Lo stesso per noi, Karin.- Sally invece, osservava la classe, che già si riempiva di mormorii: -Un giorno tu mi spiegherai con quale pazienza insegni a questa mandria di mocciosi scalmanati, ma so già che non comprenderò le tue motivazioni.- Lieve sorriso della docente, osservando gli studenti: -Troppo complicato da spiegare, forse. Comunque, a cosa devo la visita da parte di tutti e tre?- chiese, domanda alla quale la serietà tornò fra i tre adulti.

Fu Livon a parlare: -Abbiamo qualche problema. Un caso su cui lavoriamo con l’Ufficio Misteri.- disse, il tono bassissimo, impossibile che fosse udibile per gli studenti. Karin fece un cenno affermativo con il capo, tornando poi ai ragazzi.

Il resto della lezione, o per lo meno quel che ne restava, fu svolto con ordine e nel massimo silenzio. Fu solo quando Karin congedò gli studenti, rimanendo nella serra sola con Sally e i due Auror che uno dei due, Nihe Spoon, parlò: -Scusaci se siamo piombati così a lezione, Karin, ma è piuttosto importante.- La mora sistemò uno dei vasi utilizzati in quell’ora, annuendo: -Non c’è problema, niisan. Tanto più che non ci sono altri modi di incontrare te e Van, purtroppo.- Entrambi gli Auror sorrisero, poi Livon prese la parola, espressione grave: -Immagino tu abbia letto la Gazzetta, ultimamente.- disse, e Karin sembrò comprendere al volo.

D’altra parte, negli ultimi giorni, sulla Gazzetta c’era stata sempre quella notizia con relativi risvolti, indagini e quant’altro.

“Uomo del Ministero ricoverato d’urgenza al San Mungo per sintomi sconosciuti”, di questo parlavano i diversi articoli.

Nessuna identità per l’uomo ricoverato.

Nessuna idea di cosa lo stava consumando in un letto d’ospedale.

Karin osservò tutti e tre, prima di parlare: -E io posso essere d’aiuto?- domandò, richiesta a cui Livon diede subito risposta: -Sei una delle più affidabili, tra chi può aiutarci. Per questo siamo qui.-

 

***

 

Da quel giorno, Livon, Nihe e Sally, sembravano aver deciso di alloggiare ad Hogwarts, ed ovviamente colei che riceveva più domande fra gli studenti era Selene.

Il problema era che la Corvonero, a differenza di Mary Sue, che spesso fra i Serpeverde sembrava un pesce fuor d’acqua, non era famosa per la sua pazienza: -Santo Cielo, il prossimo che mi chiede qualcosa io l’ammazzo!- esclamò il terzo giorno in cui, la mattina, il decimo studente le chiese informazioni. Mary Sue sorrise lieve, profondamente inquietata dalla ragazzina: -Ehm… cerca di capire, credono che tu possa sapere qualcosa perché la signorina McFinch è tua madre.-

Non l’avesse mai detto.

Di Sally McFinch aveva preso la cosa peggiore: il carattere.

-E sai quanto me ne frega?!- rispose, interrompendosi da quelli che, certamente, sarebbero stati una serie di insulti infiniti, alla vista del proprio Capocasa avanzare nel corridoio.

Clifton Lafayette, divisa impeccabile come sempre, si avvicinava con passo elegante e calcolato, facendo anche sospirare diverse studentesse.

Mary Sue si avvicinò di qualche passo, fermandolo: -Professor Lafayette, ha un momento, per favore?- chiese, educata. Il docente, individuatala, annuì gentile: -Certo, Mary Sue, dimmi pure.- replicò. La ragazzina non attese oltre: -Saprebbe dirci come mai la mamma di Selene e quei due Auror sono a scuola, signore?- domandò, diretta. Videro Clifton fare un lieve sospiro, prima di rispondere: -Mi spiace deludere le vostre aspettative, ma nemmeno io ne so nulla. Lavorano con la professoressa Hamilton, non so altro. È per questo che la vostra Capocasa non terrà lezione almeno per la prossima settimana.- disse, osservandoli.

Stupendo tutti, fu Micheal a parlare al docente, oltretutto, con estrema tranquillità ed educazione:

-Signore, non potremmo cercare la professoressa con lei?-

No, non gli interessava minimamente il perdono del docente.

Ma la Hamilton, era la Hamilton.

Era forse una sorella, forse la madre che lui aveva sempre desiderato, le cui attenzioni non sono palesate in maniera esagerata, ma sono una costante.

Sì, questo aveva trovato in quella docente così giovane, che per età non sarebbe mai potuta passare per la sua madre biologica.

Ma se era per lei, poteva anche andare d’accordo con Lafayette, per una volta.

-Va bene.- acconsentì il docente, forse più per l’incredulità di quella gentilezza, che per reali intenzioni.

Errore.

Gravissimo errore…

 

***

 

La serra era immersa nel massimo silenzio, l’attenzione dell’unica occupante sull’oggetto poggiato sul tavolo, di fronte a lei.

Una provetta in vetro, il liquido all’interno di un blu intenso, vicino al violaceo.

Sguardo serio e critico, guanti di pelle di drago indossati accuratamente; Livon e Nihe erano stati chiari. Ciò che l’uomo ricoverato al San Mungo aveva manifestato come “malattia”, era avvenuto nello stesso luogo in cui quel veleno era stato trovato. Il problema, era che si trattava di un veleno sconosciuto, probabilmente di fattura straniera, che non aveva trovato antidoto nemmeno dopo l’attento esame di ottimi pozionisti.

Motivo? Ingredienti non rilevabili.

E quello, a detta dei due Auror, era il compito che spettava a lei, per due motivi: in primo luogo, era una delle erboriste più capaci, nonostante i soli ventitrè anni. In secondo luogo, era sempre stata a contatto con i pozionisti o con chi riusciva bene in quella materia, come Clifton Lafayette, con cui si era categoricamente rifiutata di collaborare.

Avrebbero perso tempo, a litigare.

E quell’uomo, non poteva aspettare tempi così lunghi, specie perché non era stato in grado di ricordare in che occasione aveva assunto il veleno.

Sospirò, decisa ad estrarne qualche goccia dalla provetta, per controllarne in maniera più efficace i componenti e, magari, venirne a capo.

Con massima attenzione prese qualche goccia, posandola sul vetro di quello che era un microscopio di fattura babbana: -Alla faccia di chi disprezza gli utensili, babbani.- commentò, sarcasticamente.

Stava per chinarsi ad osservare, aggiungendo qualche goccia di acqua dopo un primo esame del liquido in uno stato “puro”, che la porta della serra si aprì.

Mary Sue Rothemberg, Selene McDougal e Micheal Spock.

E, con sua grande fortuna, nel senso altamente ironico del termine, Clifton Lafayette era con loro.

-Cosa c’è?- domandò, in tono abbastanza secco.

Di loro, ricordava l’ultimo torto nei suoi confronti, che sebbene non palesasse per l’imparzialità di docente, non aveva comunque dimenticato.

Di lui… beh, lui lo meritava e basta.

-Professoressa, ci chiedevamo…- iniziò Micheal, ma venne quasi subito interrotto dalla docente:

-Signor Spock, pensavo che, sebbene undicenni, voi foste comunque in grado di leggere il cartello sulla porta e comprenderne il significato con facilità.- Selene tornò sui suoi passi, notando sulla porta della serra, nella parte esterna, il cartello che vietava l’ingresso a chiunque.

Tornò dentro, sguardo basso.

-Quanto a lei.- disse la docente, ora rivolta a Clifton, -Professor Lafayette, la sua completa assenza di maturità mi lascia interdetta. Io vieto l’ingresso ai colleghi, a maghi adulti, lei ci porta degli studenti, per di più primini. Devo circondare la serra di Schiopodi Sparacoda e mettere davanti alla porta un drago, per sperare che la sua lucidità e presunta intelligenza di ex-Corvonero guidino le sue azioni di docente e Capocasa?- aggiunse, in un tono che i tre non le avevano mai sentito, tranne quando li aveva trovati nel suo Pensatoio.

Clifton strinse i pugni, in quello che era il gesto meno visibile per scaricare la tensione a quel trattamento. Lieve sospiro, il suo, forse per evitare a sé stesso una risposta fin troppo acida: -I ragazzi erano preoccupati, non vedendola più fra le mura di Hogwarts in questi giorni.- replicò, in quella che era la verità, ma sapeva tanto di scusa.

Karin sbuffò appena: -In ogni caso, vi pregherei di non accedere alla Serra fino ad un mio contrordine.- replicò l’attenzione che tornava alla provetta. I tre primini annuirono, uscendo ed attendendo il docente, ma Clifton li congedò a sua volta: -Voi rientrate al castello, ragazzi, io devo parlare di alcune cose con la professoressa Hamilton.- disse. I tre annuirono, uscendo definitivamente e richiudendosi la porta alle spalle.

Karin non si voltò nemmeno: -Cosa c’è di così urgente?- chiese, rivolta a Clifton, il quale rivolse lo sguardo al veleno, mentre rispondeva: -Quel veleno… non sarebbe meglio se tu ci lavorassi con qualcuno che capisce un minimo di Pozioni, visto che tu a scuola sei sempre entrata in panico quando si trattava di quella materia, Karin?- chiese, utilizzando nuovamente il nome della giovane.

Cosa che non risultò molto gradita, forse.

-Come te, ad esempio?- domandò Karin, stavolta alzando lo sguardo: -Sappiamo entrambi che passeremmo la metà del tempo a discutere e comunque lo dicesti tu stesso, no? Ognuno doveva trovare la sua strada, e finché avrò controllo sulla mia, non ho la minima intenzione di farla incrociare nuovamente con la tua persona, Lafayette.-

Faceva male, dire quelle parole.

Faceva male sentirsele dire.

E per cosa? Per ciò che era stato detto anni prima, appena dopo il diploma, quando entrambi non sapevano nemmeno se quel “qualcosa” lo sarebbero diventati sul serio?

Non lo accettava.

Si era forse rassegnato all’odio della ragazza che per lui era sempre stata la persona più importante?

Forse sì, o forse no.

Avrebbe accettato quell’ostilità, se avesse avuto una ragione valida per esistere.

Ma così no. Per parole pronunciate quando devi ancora iniziare, forse, a capire qualcosa della vita… no, non così. Con quelle condizioni, non accettava né il trattamento, né le sue parole, né i suoi atteggiamenti: -Karin, dannazione, smetti di fare la bambina!- esclamò.

La calma è la virtù dei forti, ma non è infinita.

-Io la bambina?! Parli tu, Clifton?!- arrabbiata, ma almeno lo chiamava di nuovo per nome, anche se non riusciva a capire se era il caso di considerarla una buona conquista o meno.

-Parli tu, che ti sei comportato come un bambino, senza capire, dopo sette anni che eravamo l’uno l’ombra dell’altro, che le parole possono ferire?! Quante volte lo hai fatto? Quante?! E quante volte ancora dovevo sorridere e perdonarti, essere comprensiva e ripetermi “capisci Karin, hai promesso di avere pazienza, non puoi infrangere una promessa fatta a lui”?! Beh, anche la mia pazienza ha un limite e lo ha superato sei anni fa grazie a te! Quindi scusami davvero, Clifton, se non ti accolgo con un tappeto rosso ogni volta che ti incrocio!!- esclamò, sortendo l’effetto che, da bambina, sperava sempre di non ottenere mai.

Ferirlo.

Non si curò nemmeno di ascoltarne la replica, voltandosi verso la provetta e togliendo il piccolo tappo in sughero che, all’entrata dei tre studenti e del docente aveva messo, onde evitare spargimenti di veleno per la serra,  con il risultato di far morire la metà delle piante presenti.

Prese l’acqua, pronta ad aggiungere alcune gocce a quel che restava nella provetta, così da avere sia un campione del veleno diluito, sia uno “puro”.

Solo su una cosa, Clifton aveva ragione: per una che, in passato come allora, entrava in panico ogni volta che reggeva e doveva modificare una pozione, era davvero stupido mettersi ad esaminare da sola un veleno, come quello che i due Auror le avevano affidato.

E il risultato che ottenne, lo confermò.

Aggiunse l’acqua per diluire, cosa anche sensata, se non ne avesse messa troppa.

Videro il colore del veleno cambiare per qualche istante, fino a raggiungere una tonalità leggermente più scura, e provocare l’esplosione della provetta.

Istintivamente, Karin alzò le braccia così da coprirsi il viso da eventuali schizzi del liquido… schizzi che non arrivarono mai. Quando riaprì gli occhi, che aveva chiuso appena udito il rumore dell’esplosione provocata, si rese anche conto di essere abbracciata.

Da Clifton.

 

Biblioteca.

Reparto Pozioni.

Pioggia.

E, come sempre, un Clifton di pessimo umore.

E lei lì, in silenzio, a studiare la materia che reputava più noiosa, per stargli un po’ vicina, come ogni volta che il tempo peggiorava e con lui il carattere del Corvonero.

Poi parole, che non si pensano, che non si vorrebbero dire.

Parole che feriscono, tanto, troppo.

Lacrime, che sono sempre nascoste al mondo, tranne che con lui e Sally.

Pianto, pianto, per la figura di Clifton che viene sostituita a quella di Sarah, perché le parole che risuonano così dannatamente uguali a quelle della sorella, nella sua mente…

E lui l’abbraccia.

Calore.

Gentilezza.

Tranquillità.

Protezione.

Ne era certa. Quei sentimenti non sarebbero mai cambiati…

 

Scosse la testa, cercando di scacciare via quel ricordo.

Fuori…

Fuori…

FUORI!

Via dalla mente, perché lo sapeva, non avrebbe portato a nulla!

Solo altro dolore, per niente, per aggrapparsi ad un’illusione, di nuovo, come quando era bambina e delle illusioni faceva la sua vita.

Era ora di smetterla.

Lo scostò da sé, bruscamente: -Non… devi… toccarmi!-

Lo disse con così tanta rabbia, così tanta disperazione, che Clifton lo capì.

Capì che se lei gli avesse lanciato un Cruciatus, avrebbe fatto meno male.

Comprese che, Karin non era cambiata, né da quando aveva undici anni, né da quando ne aveva diciotto.

Nascondeva tutto, tutto.

E soffriva.

A causa sua.

Di nuovo.

-Karin, per Merlino, vuoi smettere di comportarti da bambina?! Ti rendi conto che ti è appena esplosa una provetta vicino?!- domandò, secco, la gentilezza di un tempo, dimenticata.

La mora, espressione arrabbiata, lo spinse verso la porta della serra, sebbene non potesse pretendere di spostare chissà quanto quello che, un tempo undicenne abbastanza deboluccio, era ora un uomo.

-Fuori da qui. E veda di non rimetterci piede, professor Lafayette, o potrebbe trovare davvero degli Schiopodi, la prossima volta. E per la cronaca,- disse, obbligandolo ad uscire dalla serra, -io non voglio il suo aiuto!- concluse, sbattendogli la porta in faccia.

Tornò al tavolo da lavoro, inspirando per calmarsi, osservando la provetta intatta.

Avrebbe dovuto trattarla con i guanti, visto che ora il campione in suo possesso era diminuito, ma avrebbe scoperto di cosa si trattava.

E senza l’aiuto di nessuno.

 

-Ehi… dai Jo, andiamocene, sono stufa di stare a guardare gli scatti nevrotici della Hamilton contro Lafayette.- disse una voce fuori dalla serra, in un sussurro. Quel qualcuno chiamato “Jo”, sorrise divertito: -Stavolta quella donna ha un tantino esagerato. Lei ama ridicolizzare gli altri, stavolta tocca a lei.- disse, per poi allontanarsi dalla posizione da cui aveva spiato fino ad allora.

 

***

 

Lunedì, Hamilton in serra.

Martedì, Hamilton in serra.

Mercoledì, Hamilton in serra, vista di sfuggita a pranzo.

Giovedì… inutile continuare, no?

Erano quattro giorni che Karin Hamilton, non usciva dalla serra se non per pochissimo e gli studenti, i docenti, chiunque a scuola l’aveva notato, anche i muri.

Nonostante ciò, però, si presentava sempre in maniera ordinata, quelle poche volte che lo faceva. Il sabato, sembrò trovare pace, unendosi come di consueto prima dell’arrivo dei due Auror, a studenti e docenti per la cena.

La prima a sincerarsi del suo stato fu Sally: -Ehi Mikki, sicura di non stare esagerando?- chiese, osservandola. Karin annuì: -Guarda che ci lavoro solo di giorno, Yui, non sto perdendo il sonno, né altre cose così.- replicò, una nota divertita nella voce. Il pasto proseguì nella massima tranquillità, con relativa sorpresa di alcuni studenti nel rivedere la docente unirsi al tavolo degli insegnanti come aveva sempre fatto fino a una settimana prima.

Finito di cenare, ognuno di loro si diresse ipoteticamente verso il proprio ufficio, Karin e Clifton, che già normalmente non si esibivano in inutili, reciproci convenevoli, ora non osavano nemmeno volgere l’uno lo sguardo sull’altra.

Una volta giunta nel proprio ufficio, si chiuse la porta alle spalle, senza notare alcune figure nascoste dalla penombra che sogghignavano divertite: -Adesso ci si diverte, signorina Hamilton…- disse una, per poi allontanarsi con altre, senza aggiungere altro.

 

La docente, chiusasi la porta alle spalle, sospirò appena, stanca.

Con quel veleno, non era ancora riuscita a fare granché, oltre a dividere i componenti e, benché sia Nihe che Livon continuassero a ripeterle che era un buon risultato, alla fine a lei non andava bene per niente.

Le sembrava di essere inutile, malgrado le avessero chiesto aiuto.

Si poggiò allo stipite della porta: giramento di testa, di nuovo.

Negli ultimi due giorni le capitava spesso, specie quando era in serra, cosa piuttosto comprensibile, visto il caldo che già faceva fuori in giardino e che, di certo, aumentava esponenzialmente nella serra.

Inspirò diverse volte, cosa che di solito funzionava. Allo stesso tempo, bussarono alla porta:

-Avanti.- rispose, lasciando che, chiunque fosse fuori, entrasse nel suo ufficio.

E, a farlo, furono Micheal, Mary Sue e Selene. Non le diedero nemmeno il tempo di fargli notare che, data l’ora tarda, sarebbe stato meglio che tornassero tutti e tre nei propri dormitori:

-Professoressa- esordì subito Selene, -noi vorremmo scusarci. Non volevamo mancarle di rispetto, anche se sappiamo di averlo fatto, però…- fu interrotta, proprio dalla docente: -McDougal, i ricordi delle persone sono qualcosa di prezioso, a cui nessuno con un minimo di coscienza rinuncerebbe mai, nemmeno per tutto l’oro del mondo. È proprio perché sono così importanti, tanto da spingere ognuno di noi a proteggerli con tutto se stesso, che non andrebbero mai violati. Ed è quello che avete fatto. Il passato appartiene ad ognuno di noi, e solo ognuno di noi può decidere se rivelarlo o meno.- disse, osservandoli.

Annuirono, mestamente, e forse Micheal avrebbe aggiunto qualcosa, se un tonfo sordo di cui non aveva colto l’origine avesse catturato la sua attenzione.

E meno male.

Nell’alzare il volto, ciò che vide gli fece ringraziare chi, lassù, sembrava volergli bene, per non avergli permesso di vedere come si fosse arrivati a quello.

Karin Hamilton giaceva a terra, svenuta, il petto che si alzava e si abbassava in un respiro affannoso che non preannunciava nulla di buono.

Ma a terra non c’era la docente, no.

Karin Hamilton era svenuta, e sembrava stare più male di quanto uno svenimento potesse causare.

E aveva sette anni, ora.

 

***

 

C’era un cosa, per cui era sempre stata ammirata dai suoi compagni.

Non che ne sentisse particolare necessità, questo era vero, tuttavia sentirsi ammirare dagli altri Serpeverde solo per il fatto che, cresciuta, sarebbe stata un’ottima Cercatrice, le scocciava un po’.

Eppure, ora, la sua agilità… ringraziava il cielo di essere così veloce nel correre ed evitare ostacoli, fossero essi armature o studenti.

Non fece in tempo a formulare quel pensiero che si scontrò contro qualcuno: -Ahi…- mormorò, sbilanciandosi indietro ma fermata da colui che aveva urtato: -Rothemberg, non dovresti correre nei corridoi, men che meno a quest’ora.- la ammonì Clifton, con tono pacato. Mary Sue alzò lo sguardo: -Signore… la professoressa Hamilton…- disse, riprendendo fiato. Lui sembrò cambiare atteggiamento: -La professoressa Hamilton cosa? Che cos’è successo Rothemberg?- Mary Sue prese fiato, inspirando: -Lei… è svenuta… la febbre…e poi è… è…-

Troppi tentennamenti, per un Clifton Lafayette agitato: -Andiamo.- si limitò a dire, dirigendosi verso l’ufficio di Karin, preoccupato, benché l’espressione sul volto di limitasse a serietà.

 

Giunti entrambi davanti alla porta, Clifton non si preoccupò né di bussare, né di fare altro, solo entrare. Nessuno apparve oltre la porta, dunque avanzò nell’ufficio, Mary Sue che lo affiancava e bussava ad un’altra porta: -Mike, Selene! Sono io!- disse, l’aria e il tono preoccupati, mentre la Corvonero andava ad aprire, lasciando entrare l’amica e il proprio Capocasa.

Clifton individuò facilmente Micheal, seduto sul bordo del letto della docente, cui si avvicinò egli stesso, restando a dir poco di stucco poco dopo: -Ma cosa…?-

Karin Hamilton, si presentava ora ai suoi occhi come la Karin che aveva visto tanti anni prima in foto quando, entrambi al primo anno, ne aveva vista una sua con le due sorelle.

Piccola di statura, esile di costituzione, i capelli lunghi mori erano sparpagliati sul cuscino dalla federa candida, come le lenzuola, sopra cui c’era una coperta bordeaux. Le palpebre calate sugli occhi che sapeva azzurri per quante volte li aveva osservati, la pelle chiara arrossata, il respiro irregolare. Posò una mano sulla fronte della “bambina”. Calda, come pensava. Sospirò: -Grazie al cielo, è solo febbre. Anche se non capisco come sia tornata…- una breve pausa, il cervello da Corvonero e Pozionista che lavorò ed elaborò in pochi istanti: -Presto Grifondoro avrà dei punti in meno, se la mia testa non è del tutto persa.- sussurrò, senza specificare oltre davanti ai tre.

Li osservò poi uno ad uno, stava per aggiungere altro, quando un mugugnio lo distolse dall’intento. Si voltò verso Karin, che si era messa a sedere, la mancina che stropicciava l’occhio in maniera infantile, l’aria stanca ed assonnata, probabilmente a causa della febbre.

Tenerezza.

Questo provava verso quella bambina con cui era cresciuto, e che ora era di nuovo piccola.

Lei spostò lo sguardo sui tre e poi su di lui, ed era già pronto a sentirsi urlare contro di uscire, vedendola avvicinarsi al punto del letto in cui si era seduto, quando la bimba aprì bocca: -Clif…- mormorò: -Mi fa male la testa…- disse, accoccolandosi a lui.

La osservò, perplesso da quel cambiamento, ricordandosi poi l’ultima lezione fatta ai ragazzi del quinto anno. Memoria ed Età, che stupido era stato. Sospirò osservandola e prendendola in braccio: -Lo so, è perché hai la febbre Karin. Ma passerà.- spiegò paziente alla bambina che lo ricordava come era da undicenne, carezzandole dolcemente il capo. Si voltò poi verso i tre primini: -Mary Sue, potresti riempire quella bacinella,- gliela indicò, -con l’acqua fredda e prendere un panno nel bagno, per favore?- chiese alla Serpeverde, che annuì, eseguendo le direttive.

Si voltò poi verso gli altri due, dopo aver rimesso quella Karin bambina sotto le coperte: -Micheal, Selene, per fare la pozione contraria io non posso muovermi da qui.- disse, piegando le gambe così da essere alla loro stessa altezza: -Ho bisogno di qualcuno che faccia avanti e indietro dal mio ufficio, però, e soprattutto che voi non diciate nulla di quello che è accaduto alla professoressa Hamilton. Le mancate lezioni sono coperte dal suo lavoro per il Ministero, quindi non sarà un problema sotto questo punto di vista. Posso contare sul vostro aiuto e il vostro silenzio?- concluse, osservandoli in attesa di una risposta.

Selene annuì subito, spostando lo sguardo su Micheal, imitata dal docente: -Aiutare lei?!- chiese, quasi scandalizzato dalla cosa. Rimase in silenzio, annuendo solo dopo qualche minuto, strappando un mezzo sorriso a Clifton e un sospiro sollevato a Selene: -Ma sia chiaro che io non lo faccio per lei! Per niente! È solo che la professoressa Hamilton…- una pausa, lo sguardo si spostò su Karin, nel letto e sulla scena che aveva visto poco prima la docente bambina accoccolarsi all’uomo. Sbuffò: -Se tornasse grande starebbe meglio. È solo per questo che io la aiuto! E sappia che, comunque, anche se la professoressa ora si comporta a quel modo con lei, io non la rispetto affatto!- aggiunse, quasi a volerlo chiarire ad ogni costo ogni volta che poteva farlo.

Clifton sorrise, perché tanto gli bastava, congedando Selene ad occuparsi di avvertire gli altri insegnanti. Quando la Corvonero lasciò la stanza e, conseguentemente, l’ufficio di Karin, Clifton si voltò verso Micheal: -Spock, possiamo parlare un attimo, mentre Karin dorme?- chiese, osservandolo, uno strano sorriso sul volto; rassicurante e gentile come sempre, ma divertito, come raramente lo si poteva scorgere sul suo volto.

Somigliava a quando, da bambino, andava a cacciarsi nei guai mettendosi contro Nihe o Ryan, che a quei tempi, sopportava poco.

Micheal annuì, e Clifton iniziò a parlare, mentre Mary Sue restava dietro la porta del bagno, la bacinella con l’acqua ed il panno in mano: -Micheal, io credo di capire uno dei motivi per cui mi sopporti così poco. Non c’entra la purezza di sangue di cui parli per sentito dire, né la superiorità delle case che non vedi in altro modo che come concetto astratto. C’è dell’altro, e lo sappiamo tutti e due, giusto?- Micheal non abbassò lo sguardo, piccolo concentrato di orgoglio quale era: -Non parlo di queste cose solo perché le ho sentite e non sono concetti astratti come dice lei!- ribatté a tono, l’aria scocciata come ogni volta che parlava con il docente.

E Clifton, di nuovo, sorrise: -Della purezza di sangue, tu non puoi capire nulla, ad undici anni, con tutto il rispetto. Anzi, più probabilmente, non ne conosci davvero nemmeno il reale significato di questo concetto, che di certo avrai udito da adulti che non hanno avuto l’accortezza o il buon senso di tenertene fuori. Per quanto riguarda la lotta delle case, con tutto il rispetto, ma nemmeno io, o la tua Capocasa ci avevamo capito molto ad undici anni. Dubito possa farlo tu, sei qui solo da un anno, dovresti darti tempo.- spiegò, osservandolo: -ci sono cose, invece, che anche un undicenne può fare senza reale bisogno di comprenderle.- proseguì. Micheal stava per ribattere quando Clifton gli chiese a bruciapelo: -Sei affezionato a Karin, vero?-

Il rossore dell’undicenne bastava ed avanzava come risposta.

Era chiaro già per chi aveva ascoltato le parole del Serpeverde poco prima, ma per lui che le aveva provate a sua volta, alla sua stessa età, era un libro aperto facile da leggere: -Bene. Per me, è lo stesso. Per questo, sono sicuro che noi un punto d’incontro possiamo trovarlo. Sei una persona che vuole bene a Karin, per questo andrà tutto bene.- concluse, con quel tono e quell’espressione gentile che solo lui riusciva ad avere anche dopo discorsi seri o dolorosi.

Eppure, faceva male a lui, parlarne.

Quel ragazzino, era uno specchio distorto di un sé stesso undicenne che mai avrebbe voluto ritrovarsi come alunno.

Micheal e Clifton undicenni, cos’avevano in comune? Tutto e niente.

Lui calmo, riflessivo, amante della quiete e dei libri, per non parlare delle Pozioni; educato, di buona famiglia, senza pregiudizi.

Micheal? Lui era impulsivo, totalmente inaffidabile, sgarbato, irrispettoso, casinista, con pregiudizi persino sul cibo. Figurarsi sulle persone, che amava più guardare dall’alto in basso che negli occhi.

Questi erano loro. Uno nel passato, uno nel presente.

Ma il senso di protezione verso Karin era simile.

L’amore per lei era simile, anche se non uguale.

Uno l’amava come un fiore ama la luce del sole.

L’altro, come una mamma gentile che non aveva.

E per questo, Clifton non sopportava la vicinanza di Micheal.

Troppi ricordi, troppo dolore, troppi pensieri che urlavano nella sua mente stanca di tutto ciò.

E la consapevolezza che Micheal poteva voler bene a Karin finché voleva, mentre lui, qualunque fosse il suo amore, aveva una sola opzione.

Tenerlo alla larga da lei.

Micheal lo osservò: -Bene. Allora veda di farla tornare come prima!- insolente come sempre, ma lui lo reputava un bene.

Se lui, in qualsiasi modo avesse finito per somigliargli… già. Probabilmente, la sua unica possibilità sarebbe stata distogliere lo sguardo, come quando da bambino si scusava con Karin.

Se non per altro, perché qualcuno che ti ricorda te stesso accanto alla persona che ami ti fa soffrire.

La tua copia, quella ti uccide.

Annuì verso Micheal, lieve sorriso, per poi alzarsi e dirigersi verso il letto dove riposava Karin; Mary Sue uscì, nel contempo, dal bagno, porgendo al docente la bacinella piena e il panno.

Clifton osservò l’orologio al polso, che segnava ormai la mezzanotte passata: -Ragazzi, tornate ai vostri dormitori. Rimango io qui.- disse, Selene che rientrava con gli ingredienti che Clifton gli aveva chiesto di prendere dalla sua dispensa personale. Mary Sue osservò il docente: -Signore, la professoressa è la nostra Capocasa, lei non può mandarci…- iniziò, venendo interrotta dal professore: -Io sono anche un docente, per di più Capocasa. Ho il dovere di mandarvi in dormitorio, anche Karin lo farebbe.- rispose, con tono calmo ma che chiudeva lì la discussione.

Uscirono dunque dalla sala, lasciando anche l’ufficio mentre Clifton andava a sedersi accanto a Karin, sul letto. Era in silenzio da qualche minuto, quando udì la voce di Selene parlare: -Signore, posso dire alla professoressa che lei l'ha vegliata, quando si sveglierà?- Clifton la osservò qualche istante prima di spostare lo sguardo su Karin, che dormiva placidamente nel letto: -Non servirebbe.- rispose.
-Invece sì. Se la Hamilton potesse vedere come noi lo sguardo e la gentilezza che gli rivolge, di certo capirebbe.- replicò Selene, l'espressione seria, prima di uscire definitivamente.
Sorrise divertito: era proprio la figlia di Sally McFinch, istintiva come quel gatto infame che la madre, ad undici anni, si portava sempre dietro.

 

***

 

Due giorni dopo, Karin Hamilton fu vista nuovamente circolare per Hogwarts, e la sua breve assenza dai corridoi scolastici, era stata collegata al lavoro per quei due Auror arrivati insieme alla dipendente dell’Ufficio Misteri, Sally McFinch.

Ciò non diminuì comunque le ore che la docente passava nella Serra, apparentemente decisa ad entrare in simbiosi con essa, o a trasferire lì il proprio ufficio, fra una battuta e l’altra degli studenti ignari. Si trovava di nuovo lì, di fronte a quel veleno, quando sembrò finalmente giungere ad un qualche risultato, non chiarissimo, ma nemmeno sperato ormai.

-Miracolo…- mormorò a sé stessa, sarcastica, riconoscendo l’ultimo ingrediente di quel veleno complesso ai livelli di un pozionista più che capace. Lei invece, che a Pozioni era sempre entrata nel panico per paura che il calderone le scoppiasse sotto il naso, di certo non era la persona più adatta ad occuparsene… o almeno, non da sola.

In realtà, lo sapeva perfettamente, avrebbe impiegato la metà del tempo, se ci avesse lavorato con Clifton. Lui non entrava in panico ed aveva la lucidità necessaria ad analizzare quel veleno dividendone i componenti, lei aveva la memoria e la passione adatta per riconoscere quei componenti ad un primo sguardo o ad una semplice analisi.

Ma si sa, l’infantilismo è spesso una grossa pecca degli adulti.

Fece appena in tempo a sistemare la provetta lontano dai guai, che bussarono alla porta della Serra: lieve sospiro, e permesso di accedere, mentre la porta si apriva con un lieve cigolio: -Ciao Karin.- salutò Livon, la divisa da Auror in ordine, dietro di lui Nihe, i primi bottoni della divisa identica a quella di Livon sganciati. Karin sorrise, supponendo che si trattasse più di un modo per non apparire uguale a Livon che altro, considerando il passato dei due: -Ciao Van. Niisan.- salutò, notando solo in un secondo momento Sally: -Come mai tutti e tre qui? Devo preoccuparmene?- chiese, nota divertita nel tono, osservando quel trio male assortito.

O almeno, in passato non avrebbe potuto definirli in altro modo: Nihe e Sally odiavano Livon, quest’ultimo odiava a sua volta i due. Nihe e Sally, invece, non si erano mai dati peso l’un l’altra più del necessario.

Lei? Faceva tutte le volte da paciere, ovviamente.

-Scoperto qualcosa?- chiese Sally, diretta tanto in quel momento quanto lo era sempre stata in passato: -Sì. So di che veleno si tratta. O meglio, ne ho riconosciuto ogni componente.- replicò Karin, seria. Livon sorrise apertamente: -Bene. Sapevo che ci saresti riuscita.- disse, evidentemente sollevato.

Peccato che non sarebbe durato molto: -Non rilassarti Van. Conosco i componenti, ma non ho capito come quell’uomo possa essere stato avvelenato.- Nihe, fece un passo avanti, affiancando Livon: -Che intendi? Bevendolo, no?- Livon dissentì con il capo, stupendo in parte Nihe e Sally, mentre Karin rimaneva impassibile, lo sguardo che si alternava dall’Auror a un insieme di fogli su di uno scaffale vicino.

-Non è esatto, Nihe.- iniziò l’Auror, osservando il collega, -Quell’uomo ha assunto il veleno, ma da recenti analisi, non è stato rilevato in nessuna parte del suo corpo. E questo non è normale.- Nihe non gli diede neanche tempo di aggiungere altro: -E quando intendevi dirmelo?- chiese, gelido.

-Non appena sarei stato certo dei componenti dello stesso.- replicò con altrettanta freddezza.

Nihe si voltò, dirigendosi verso l’uscita: -Perfetto. Come al solito, tu lavori da solo, Vanerie.- sentenziò, uscendo senza aggiungere altro.

Karin li osservò, l’aria preoccupata: -Van… tu e Nihe…?- fu Livon ad interromperla: -Lascia che smaltisca la rabbia, ormai lo conosco abbastanza. Ha solo qualche ritorno all’infanzia in alcuni atteggiamenti, ma sa meglio di me quanto è importante questo caso. Tu preoccupati solo di capire come l’uomo del Ministero può essere stato avvelenato. Al momento, è l’informazione che più ci preme sapere.- replicò, osservando la docente, che annuì.

Pochi minuti dopo, Livon e Sally lasciarono la Serra, mentre Karin osservava con aria pensosa la provetta, facendo avanti e indietro per un piccolo tratto. Era facile, come la diceva Livon, ma in realtà le sue conoscenze delle piante si limitavano alla scomposizione del veleno nei suoi ingredienti. Non era né un medimago né un Pozionista, per poter capire come quell’uomo era finito al San Mungo con sintomi sconosciuti.

Poi, l’illuminazione: conosceva qualcuno forse ancora più capace di un pozionista qualsiasi, visto ciò che era stato in grado di fare su stesso.

Con passi veloci si avviò verso l’uscita della Serra, prendendo il mantello e mettendoselo sulle spalle prima di varcare la soglia ed uscire definitivamente, avviandosi lungo il limitare della Foresta Proibita.

 

***

 

Avanzò, il passo lento, cosa insolita per chi si trova nella Foresta Proibita, visto che non dovrebbe avere altro desiderio che uscirne il più velocemente possibile. Lei, invece, sembrava non a suo agio, ma almeno tranquilla. Il cielo, prima che venisse coperto dalle fronde degli alberi era sereno, la luna non del tutto piena ancora, illuminava la volta celeste.

Avanzò, inoltrandosi sempre più, senza il minimo rumore, i passi silenziosi attenti anche ad ogni minimo rametto che, se spezzato, poteva significare ritrovarsi con una serie di creature pronte a cenare con lei. E non nel senso di “fammi compagnia mentre mangio”.

Qualche altro passo e fu fermata da una voce: calda, sensuale.

Erano di certo i primi aggettivi utili a descriverla per chi la udiva.

Profonda, inquietante.

Erano quelli che saltavano alla mente subito dopo: -Non è pericoloso, per un essere umano così grazioso, girare in piena notte nella foresta? Qualche creatura crudele e particolarmente sanguinaria potrebbe approfittarne, non ci ha pensato, professoressa Hamilton?- chiese questa, il tono che sfumava in beffardo.

Karin si voltò, sorriso candido in volto: -Per fortuna tu non sei fra i miei nemici, Sirjan.- replicò, osservando il giovane di fronte a lei. Sguardo neutro, che le ricordava molto l’apatia che la caratterizzava da bambina, occhi color dell’oro che sembravano incapaci di mostrare i sentimenti del loro possessore. Capelli di media lunghezza, scuri, sorriso serafico in volto, tono mantenuto sempre alto quel tanto che serviva a farsi udire dalla docente: -Per tua fortuna, io sono in grado di sapere come ti muovi, se sei abbastanza vicina, mocciosa erborista.- replicò, in quella che era ironia gentile, almeno dal suo punto di vista.

Karin si limitò a sorridere come si farebbe con una persona molto importante: -Evita di sorridere a quel modo.- disse il giovane, osservandola: -Perché? Non posso sorriderti?- chiese lei, non comprendendo appieno quelle parole. Lui sospirò, avvicinandosi a lei di qualche passo. La mancina afferrò con un gesto lento e gentile una ciocca di capelli della giovane: -Non come se fossi la persona per te più importante. Quel sorriso, nella tua mente, è ancora legato ad un umano vivente.- rispose, le labbra che si posavano sulla ciocca per brevi istanti, prima di tornare in posizione retta:

-Per quale motivo sei venuta qui, Karin?- chiese, osservandola. La giovane tacque qualche istante, prima di rispondere: -Non capisco come sia stato assunto un veleno.-

Sirjan parve soppesare le sue parole, in interminabili minuti di silenzio, dopo i quali era di nuovo chino e vicino abbastanza da sussurrare a bassa voce ma essere ugualmente udito: -Karin, posso bere un po’ del tuo sangue?- La ragazza arrossì leggermente: -E-eh? Va bene, anche se non vedo cosa c’entri con…- replicò, venendo interrotta da Sirjan stesso: -C’entra.- si limitò a dire, prima di affondare i canini nel collo candido della ragazza. Karin si lasciò sfuggire un lieve e breve gemito: per quanto donatrice, non ci si abitua mai al morso di un vampiro.

Dopo qualche istante, Sirjan si allontanò dal collo della giovane, che inspirò un paio di volte, per poi osservarlo; non fece domande, lui l’anticipò: -Del veleno, non c’è nulla che io possa dirti.- disse, senza lasciarsi sfuggire l’occhiata di disapprovazione di Karin: -Sirjan, non puoi non saperlo! Tu conosci ogni pozione e veleno non nota ai Pozionisti che albergano fra i maghi!- esclamò, il tono leggermente più alto, il broncio sul volto, che la faceva apparire più giovane di quanto già non fosse. Sirjan sorrise: -Questo è dato dalle mie condizioni. A differenza dei miei simili, io non sono nato vampiro, lo sono diventato.- replicò voce calma ed arcana, come di chi racconta memorie perse nel tempo come il vento che soffia senza mai fermarsi: -Eppure, non sono qualcuno che conosce ogni legge che regola il mondo di voi esseri umani. E, tuttavia, quelle che conosco, nemmeno a me è dato infrangerle. Dunque non puoi chiedere, oppure ti è concesso farlo, ma a me non è dato rispondere, se non ritengo sia necessario.- concluse, come se parlasse di qualcosa a lui totalmente estraneo.

-Questo è solo egoismo! O è vendetta, perché nessuno dei maghi ti aiutò ad evitare quel vampiro che ti morse? Cosa speri di ottenere condannando l’uomo che ha assunto quel veleno? Speri di poterti sentire meglio, o di tornare umano?! Sai meglio di me che nessuna delle due cose può accadere, e se fai questo per dispetto, sei solo un…- fu bloccata da Sirjan, le spalle contro il tronco di un albero: -Non parlare di cose che non comprendi! Cosa sai tu del mio passato se non le ombre che io ti ho svelato?! Non giocare al comando con me, ho fatto un patto di protezione e tu di donazione, non c’è altro che mi obblighi nei tuoi confronti o in quelli degli umani, ragazzina!- esclamò, il tono duro, l’aria per la prima volta spaventosa, nei confronti della ragazza.

Tremò, per la seconda volta, da quando lo conosceva.

-Ho capito.- disse, osservandolo, -Non ti chiederò altro. Torno in serra.- concluse, spostandosi da quella posizione, raggiunta dopo pochi passi dalla voce del vampiro, ora calma e sibillina come poco prima: -Ti consiglio di tenere d’occhio quei cuccioli di mago. Non vivranno a lungo se si insinuano nella foresta fino a tal punto, ed io non faccio la balia, ho un solo patto da rispettare.- concluse, indicandole un cespuglio con un cenno del capo.

Karin lo osservò per qualche breve istante: -Uscite immediatamente prima che lanci uno Schiantesimo.- minacciò, voce estremamente seria. Poco dopo, Selene, Micheal e Mary Sue uscivano dal loro nascondiglio improvvisato; Karin li osservò, furente: -Ora mi sono stancata.- iniziò, una brevissima pausa prima di continuare quello che si preannunciava o come discorso terribilmente lungo, o come breve ma non indolore: -Cinquanta punti in meno a Corvonero e cento a Serpeverde, tanto per iniziare. Una settimana di punizione per tutti e tre, vi comunicherò come e quando scontarla. Quanto a lei, signorina McDougal, visto che sembra non capire quello che dico quando parlo di non interferire con gli affari dei docenti, farò in modo che sia sua madre stessa a spiegarglielo.- Selene rabbrividì. Purtroppo per lei, conosceva bene sua madre infuriata. Karin si rivolse dunque a Micheal e Mary Sue: -Quanto a voi due, visto che avete così tanta voglia di ignorare gli ammonimenti della vostra Capocasa, vi proibisco,- calcò l’ultima parola, -di uscire dal castello. In caso contrario, io stessa provvederò a farvi espellere.- concluse, l’aria gelida.

Non per nulla, il Cappello l’aveva assegnata a Serpeverde, a suo tempo.

I tre non azzardarono alcuna replica, limitandosi ad abbassare lo sguardo: -Rientriamo, ora. E la prima parola su questa serata sarà considerata come mancata obbedienza alle mie punizioni.- disse, allontanandosi di qualche passo.

A fermarla, fu nuovamente la voce di Sirjan: -Karin.- la chiamò, ottenendo l’attenzione della docente che si voltò in sua direzione, imitata dai primini, senza che se ne accorgesse: -Passerò l’eternità nelle condizioni che non ho scelto né desiderato. E l’eternità è un tempo lunghissimo, che non può essere misurato in alcun modo, per essere spiegato. Voi uomini, non lo conoscerete mai, né oggi, né in futuro, probabilmente.- una breve pausa, in quel discorso apparentemente senza capo né coda: -Karin, la morte è qualcosa che molti colgono come liberazione, come potrei fare io che conosco ciò che l’alternativa ad essa mi impone. Tuttavia, molti la vedono come la dannazione di non aver avuto abbastanza tempo per realizzare gli obiettivi che si erano prefissati. Ma l’errore che gli uomini, maghi e non, commettono, è credere che la morte sia un problema che si riduce al singolo individuo.- la osservò, come un padre che spiega alla propria figlia come va il mondo, e attende di capire se lei segue il suo ragionamento.

Karin annuì, impercettibilmente: -A soffrire maggiormente, è chi rimane in vita, Karin. Per questo, bisogna cercare di non avere mai rimpianti, quasi a dover essere pronti in ogni istante, ad ogni respiro che fai, che faccio. Reale o fittizio, questa non è cosa che conta.- concluse. Karin lo osservò, prima di parlare: -Stanne certo, eviterò la morte di quell’uomo, cosicché non abbia rimpianti.- disse, sorridendo lievemente, prima di allontanarsi con i tre studenti.

Sirjan, quando furono abbastanza lontani, salì con un agile balzo sull’alta quercia lì vicino, potendo così osservare il cielo sereno, illuminato dalla luna: -Parla finché è dato avere voce, sussurra finché è concesso respirare.- disse, criptico e inudibile se non per quel cielo che non poteva dare risposta alcuna.

 

***

 

Uscire dalla foresta si era rivelato un poco più difficile che entrarci.

Le creature che l’abitavano, conoscevano il patto vincolante fra la docente e il vampiro, tuttavia nulla vietava loro di voler fare dei tre studenti la propria cena.

In conclusione, un Acromantula si era fatta venire fame quando ancora non erano a metà strada: e lei era docente di Erbologia perché le piante, per quanto letali potevano essere immobilizzate.

Cosa che, con un Acromantula femmina, decisamente alterata per la vicinanza di un primino incosciente alle sue uova, e affamata, non puoi fare.

Salvo conoscenze particolari, o una bella E in Cura delle Creature Magiche, entrambe cose di cui non disponeva.

Il risultato finale era stata la riuscita fuga, che si sarebbe rivelata perfetta, se con una zampata il ragno gigante non avesse sbattuto la docente contro l’albero, con non poca violenza.

Giunti ormai al limitare, dopo aver corso ad un ritmo che gli lasciava ponderare l’idea di iscriversi alle Olimpiadi babbane, si fermarono per riprendere fiato. Karin si ritrovò a respirare affannosamente anche dopo un po’ che avevano rallentato, complice il colpo inferto dall’Acromantula che le aveva mozzato il respiro un paio di volte. Tossì abbastanza rumorosamente, la mancina che andò a coprire la bocca. Quando l’allontanò da sé, notò una macchia di sangue sul palmo: -Andiamo bene…- sussurrò sarcasticamente, osservando il liquido rosso e avvertendone il sapore ferroso in bocca. Mary Sue si avvicinò, l’aria allarmata:

-Professoressa, ma cosa…?!- chiese, venendo interrotta quasi subito da Karin: -Tutto a posto, è solo la botta.- disse, il tono calmo: -Ora avviatevi ai dormitori.- ordinò, osservando poi i tre allontanarsi, mentre lei si dirigeva al proprio ufficio.

 

Giuntavi, chiuse la porta alle proprie spalle, sospirando.

Di nuovo giramenti di testa. Inspirò, sedendosi sul letto a baldacchino, restando in silenzio per qualche tempo, prima di chiamare un nome apparentemente insensato: -Mic.- chiamò, voce chiara ma stanca. Poco dopo, un elfo domestico apparve con uno schiocco nella stanza della docente:

-Grazie di essere venuto.- iniziò, un sorriso gentile nei confronti della figurina che si torturava il gonnellino. Karin riprese: -Avrei bisogno di un favore.- L’elfo, Mic, alzò lo sguardo, fiero di poter rendere servigio ad un abitante del castello: -La signorina chiede a Mic e Mic lo fa! Meglio che può, sì!- esclamò felice, quasi quella fosse la sua massima aspirazione.

O forse, semplicemente, lo era davvero.

Karin sospirò nuovamente, l’aria seria: -Mi serve un libro dalla sezione proibita della biblioteca. Dai questa alla bibliotecaria, ti darà quello che cerco.- disse, passandogli un pezzo di carta ove c’era l’autorizzazione firmata da lei. Poi, riprese: -Dopodiché, passa a prendere questi ingredienti dal professor Lafayette e questo in infermeria.- concluse, dandogli un secondo foglio, ed osservando l’elfo domestico sparire con un sonoro “pop”.

Osservò il camino spento, vista la temperatura estiva.

Se aveva compreso come agiva il veleno, quell’uomo del Ministero si sarebbe salvato.

 

 

Questo sussurro che rompe il silenzio, ho creduto di non riuscire a pronunciarlo ,che non potesse raggiungerti. Riesci a sentirlo?

Forse no, forse sì.

Eppure, potrei urlare e non verrebbe udito, intrappolato in questo mondo di ombre che luce non conosce e non può far altro che desiderare.

In questo silenzio io non ho potuto fare altro che racchiudere la mia anima, o quel che ne era rimasto.

C’è chi dice che la morte accolga solo chi ne è meritevole.

Altri dicono che più vuoi vivere, più essa cerca di raggiungerti.

Quale sia la verità, io non lo so.

Vivere.

Morire.

Combattere.

Arrendersi.

Rancore.

Perdono.

Non sono che scelte che solo il singolo individuo può fare, tuttavia non interessano mai soltanto chi decide di intraprenderle.

Come strade senza uscita create per confondere e far perdere l’animo umano.

Un animo così debole e volubile, da risultare noioso trarlo in inganno.

Un affanno senza fine è quello degli uomini, mentre le anime eterne, le creature senza Tempo, che alle sue leggi senza appello non devono sottostare, osserveranno divertite quello scenario ai loro occhi così patetico da sembrare finzione.

E tu?

Tu cosa sei?

Un uomo o una creatura senza tempo?

Una volta, avrei detto “un uomo”, che con pacata gentilezza riusciva a far sparire ogni paura, così come ogni incertezza spaventava il mio cuore di bambina.

Adesso direi “una creatura senza tempo”, perché beffardo osservi ogni mia mossa fatta sempre e costantemente in funzione di te.

Te ne fai beffe, senza pensare, senza più credere in quella promessa che ci eravamo fatti.

People dreaming about things end happily.

Lo credevamo, sì.

Ma è una stupida illusione senza fondamenta.

Destinata ad essere infranta, senza la minima pietà.

Le cose non finiscono sempre in maniera felice.

La felicità è effimera.

Lo sai tu.

Lo so io.

Ed è l’unica consapevolezza che abbiamo entrambi, vero?

Clifton… hai mai ascoltato la voce del silenzio?

 

 

 

To be continued…

 

Nda: Una cosa breve, promesso XD Il commento vero e proprio da parte mia è solo alla fine di Elusion U__U (alias, il prossimo capitolo... gioite! Non vi tedierò oltre! =P) La cosa importante di questo capitolo (che mi sembra peggio del primo ç_ç) credo sia il rapporto che si è creato fra i tre primini e i due docenti. Tengo molto a quello fra Micheal e Clifton, ad essere sincera, perché c'è qualcosa che vorrei riuscire a comunicare, alla fine della ff, fra questi due.

Spero di riuscirci ^__^

Special Thanks!:

Sephta: Piccolettaaaaaaaa ^O^ *se la grabba* sorry se ti ho fatto aspettare tanto, ma ecco il secondo capitolo! >__< Per il terzo... sì, direi un paio di mesi e forse lo leggerai u___u"" scherzo! XD *si nasconde da eventuali colpi di bazooka*

Nacchan: considerare questa ff "<3" era il complimento più bello che potevi farmi X°D Grazie di leggere ogni cosa che ti sottopongo, appena smetterò di vagare fra le feste dei 18 anni, mi metterò in pari con le tue ff =________= *odio per le feste dei 18*

Niisan: Ma io te l'avevo detto che Clifton era protagonista! U__U Piuttosto, ringrazia il cielo che non ho messo yaoi in questa ff, e ringrazia che sia Clif il protagonista... se era Nihe finiva male e sai cosa intendo! ^________________^ *sadic smile* In ogni caso, grazie dei complimenti, ma tu esageri *sisi* Spero che anche il 2 ti sia piaciuto ^^

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Shichan