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Autore: Glory Of Selene    26/12/2012    2 recensioni
"Vai, vai, bellezza, il viaggio alla riscoperta del tuo passato comincia ora. E, chissà, magari imparerai anche qualcosa"
Cosa succederebbe se Tuomas e i Nightwish fossero trasportati in una favola, all'inseguimento di alcune delle loro vecchie canzoni?
Genere: Fantasy, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anette Olzon, Erno Vuorinen, Jukka Nevalainen , Marko Hietala , Tuomas Holopainen
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La zingara si sedette, scossa, per un solo istante.
L’ultima carta, quella della fanciulla, le si era sbriciolata in mano; e non aveva bisogno di una palla di cristallo per indovinare il perché di quel fenomeno.
Certo, nulla cambiava il corso degli eventi. Tra loro ci sarebbe stato un addio lo stesso.
Ma cominciò a chiedersi, dubbiosa, se quello che era capitato a Lisanna sarebbe potuto capitare anche a uno di loro, e quali sarebbero state le conseguenze.
I suoi pensieri erano scanditi dal ritmo ticchettante di un pendolo che da poco aveva cominciato il suo moto.


Nella radura, dopo la spiegazione di Jukka, era calato un mortale silenzio, per molti minuti.
Poi Marco aveva voltato le spalle a tutti, e si era incamminato verso la strada più vicina.
«Aspetta! Dove vai?»
Marco si fermò, senza guardare il chitarrista che aveva parlato.
«Mi dispiace, Emppu, mi dispiace davvero tanto. Ma tutto questo era destinato a fallire. Io ho seguito Tuomas, perché…» sospirò, scosse la testa. Il suo orgoglio non avrebbe potuto sopportare di scoppiare a piangere una seconda volta. «Perché era carismatico, dannazione, quell’uomo!» mormorò quindi tra i denti. «Pur senza che se ne rendesse conto. Mi ci ero affezionato. E non riuscirò a sopportare anche la sua scomparsa. Mi dispiace. …Addio.»
Il cantastorie rimase ad osservare il vuoto, sconvolto, anche dopo che lui se ne fu andato.
«E’ vero.» sussurrò Jukka, ma era stato solo un soffio impercettibile, e nessun altro l’aveva sentito. «E’ vero!» urlò, quindi.
Il cuore di Anette batteva all’impazzata.
«Prima Lisanna, poi Tuomas. E’ vero, è chiaro che siamo destinati alla disfatta. Non è mai stato da me abbandonare la nave, ma mi vedo costretto a farlo.»
Non uscì più nulla dalle sue labbra, e lui nell’andarsene si guardò indietro una sola volta, per lanciare un penetrante sguardo, quasi d’accusa, ad Anette.
Dopo qualche minuto di sconcerto, Emppu si lasciò cadere a terra, seduto sull’erba, nel vano tentativo di controllare tutti i sentimenti che gli erano esplosi in petto.
Era rimasto solo.
Era rimasto solo, lui, con Anette. Anette la traditrice. Anette che sembrava distrutta quanto lui; e questa era una cosa che proprio non riusciva a spiegarsi.

***

Plic.
Una goccia.
Plic.
Un’altra goccia.
Plic.
Un’altra dannatissima goccia.
Avrebbero mai smesso di cadere, si domandava lui? Lo spazientivano. Lo spazientivano terribilmente.
Lì dove si trovava, tutte le emozioni parevano amplificate. Qualcosa che l’avrebbe irritato superficialmente, ora gli poteva far montare un’ira della quale non conosceva neppure l’esistenza.
Faceva freddo. Faceva molto freddo. Aveva perso la cognizione del tempo, non sapeva più da quanto si trovasse lì, rannicchiato, la schiena contro la parete umida e gli occhi aperti su un buio profondo ed assoluto. Inizialmente quel buio l’aveva terrorizzato – a quei tempi gli era rimasto ancora l’orgoglio, e questo l’aveva costretto a non urlare –, ma  poi aveva dovuto abituarcisi.
Ah, se quel buio avesse potuto nascondere ai suoi occhi anche le illusioni alle quali era sottoposta la sua mente! Pareva amplificarle, invece.
«Tuomas…»
Lui gemette, e si raggomitolò ancora di più. Era arrivato. Di nuovo. Perché non lo lasciava in pace?
«Tuomas, guardami.»
Lui tremava. Non voleva alzare la testa, non voleva. E non sapeva perché sentiva ancora il bisogno di rispondere a quel nome – Tuomas –, non era neanche più sicuro di avercelo, un nome.
«Tuomas, se non mi guardi, sarò io a guardare te.»
Non era un tono minaccioso, sembravano piuttosto le parole rivolte ad un bimbo cocciuto, ma riuscirono lo stesso a fargli nascere in corpo un terrore profondo. E il pericolo, quello di essere guardato, che in apparenza poteva sembrare privo di senso, agli occhi del prigioniero ne assumeva uno ben preciso, e orribile.
Alzò gli occhi.
Davanti a lui c’era il viso di un uomo. La sua mente era confusa, non era sicuro di averlo già visto o meno, qualcosa in lui gli diceva che un tempo gli era stato famigliare, ma non riusciva proprio a rammentarsene, nemmeno sforzandosi. In quel momento, l’unica cosa che attirava la sua attenzione era il nero di quegli occhi.

***

Che schifo.
Se avesse dovuto descrivere la situazione nella quale si trovava, Marco non avrebbe saputo trovare due parole migliori. Che schifo.
La locanda era semivuota. Popolata solo da ubriachi nullafacenti e nullafacenti ubriachi. Il guerriero rientrava ampiamente in entrambe le categorie.
Il sognatore, e il vino. Che chosa triste.
Un poeta senza rime. Ecco cosa si sentiva, sì, un poeta senza rime; uno scrittore vedovo spezzato in due da catene d’inferno.

The dreamer and the wine
Poet without a rhyme

A widowed writer torn apart by chains of hell


Ancora due, tre, quattro, cinque, infiniti sorsi – perché contarli? –, e un’altra bottiglia poté considerarsi finita. La gettò a terra con un grugnito di fastidio; una bestia, era diventato una bestia, altro che scrittore.
Beh, in effetti, un poeta non lo era mai stato, aveva sempre preferito le armi alle parole, eppure in quel momento si sentiva non un guerriero, ma un poeta. Cose fragili, i poeti, facili da spezzare; e lui non si era mai sentito più spezzato di così.
L’unico pensiero lucido che gli sfiorò la testa quella sera fu: oh, Cristo… come odio quello che sono diventato!

Oh Christ how I hate what I have become!
 

***

«Riportami a casa!»
fu l’urlo disperato che riecheggiò per le segrete del castello.

Take me home!

***


«Eccoli!» gridavano i soldati.
Emppu e Anette si vedevano scoperti nel momento di loro maggior sconforto e smarrimento.
Non avevano più le forze per combattere, non avevano più il coraggio per lasciarsi uccidere. Così corsero.
Fuggi, corri, vola via – erano i pensieri concitati di Anette, che s’inoltrava tra gli alberi con le lacrime agli occhi, seguendo Emppu, quell’uomo così simpatico e premuroso che, tuttavia, non aveva ancora fatto cenno di volere anche lei nella sua fuga.
Fuggi, corri, vola via, conducimi smarrita al nascondiglio dei sognatori.

Getaway, runaway, fly away
Lead me astray to dreamer`s hideaway


Le lacrime le impedivano la vista; per lei fu quasi impossibile accorgersi della buca prima di appoggiarci sopra il piede. Una sola fitta alla caviglia, e cadde rovinosamente a terra. Non sarebbe riuscita a mettersi in piedi.
Già se li sentiva addosso, già si sentiva addosso il freddo delle loro armi.
«Sbrigati Anette, sbrigati!»
Arrivò una mano dall’alto.
Emppu la incalzava con lo sguardo; anche lui piangeva.
Lei sentì il proprio cuore sciogliersi, e liberarsi per la prima volta dal ghiaccio che l’avvolgeva, ma non c’era tempo.
Non posso piangere perché chi mi sostiene piange di più – pensava. Non posso morire, io, una puttana per il freddo mondo…
«Perdonami» mormorò. Non era sicura che Emppu la sentisse, ma dopotutto non le importava, era come una conversazione con se stessa. «Non ho che due facce. Una per il mondo, una perché Dio mi salvi.»
Non posso piangere perché mi sostiene piange di più. Non posso morire, io, una puttana per il freddo mondo.

I cannot cry `cause the shoulder cries more
I cannot die, I, a whore for the cold world
Forgive me
I have but two faces
One for the world
One for God
Save me
I cannot cry `cause the shoulder cries more
I cannot die, I, a whore for the cold world


Emppu continuava a fuggire, sostenendo Anette. Non voleva morire; non voleva lasciare che Tuomas morisse. Non poteva credere alle parole delle Annunciatrici, non poteva.
Non poteva pensare di aver perso Tuomas in quel modo.
Ancora si rivedeva davanti agli occhi le immagini del sogno che quella notte aveva fatto…
La mia casa era là e poi… quei campi di paradiso! Giorni pieni di avventura, uno con ogni viso sorridente.
Altre lacrime.
La realtà era cosi dura, invece…

My home was there `n then
Those meadows of heaven
Adventure-filled days
One with every smiling face


***

Jukka bussò alla porta più volte.
Sembrava non ci fosse nessuno.
Sbuffò, spazientito, e picchiò sul legno corroso dal tempo con più forza.
Ancora nessuna risposta.
«Dio santo, lo so che ci sei, apri!» sbraitò.
La porta si socchiuse di pochissimo.
«Coda di paglia?» domandò Jukka all’occhio che lo stava scrutando dalla fessura tra la porta e il muro.
«Non si è mai troppo previdenti, di questi tempi.» rispose l’altro, che appurato il cessato pericolo si decise ad aprire finalmente la porta. «Accidenti, Julius… troppo tempo che non ci vediamo.»
Un abbraccio fraterno tra i due.
«Cosa ti porta sulla soglia di casa mia?»
Lo sguardo del pirata si adombrò; l’ometto – un uomo basso, tarchiato e perennemente sudato – non mancò di notarlo.
«Brutti affari.»
L’altro annuì e lo invitò ad entrare in casa.
Jukka prese una sedia e si versò nel bicchiere senza tanti complimenti il primo alcolico che l’amico gli mise in mano.
«Ma tu non ti eri mica imbarcato con i pirati? Com’è andata con… aspetta… Dark Passion, si chiamava?»
Un’occhiataccia del pirata lo indusse a lasciar cadere la domanda e non tornare più sull’argomento.
«Voglio imbracciare le armi. Voglio vendetta.»
L’ometto aggrottò la fronte.
«Dimmi tutto.»
Ci volle una buona mezz’ora per spiegare tutta la situazione. Alla fine, l’omuncolo era visibilmente scosso; aveva gli occhi strabuzzati, e stava sudando persino più del solito.
«Accidentaccio, Julius. È davvero… nobile.» pronunciò la parola con cautela. «Davvero nobile da parte tua.»
«Per favore, basta parole. Basta lodi. Dimmi se si può fare, dimmi… per una volta, che il mio cuore ha ragione.»

Please, no more words
[…]
No more praise
Tell me once my heart goes right


Un confronto di sguardi lungo molti minuti.
Poi l’omuncolo annuì.
«Hai deciso di morire. Ma di farlo con stile. Approvo. Posso aiutarti.»
Entrambi sorrisero; i sorrisi di due vecchi squali, che alla marea non vogliono arrendersi.






















 

  
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