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Autore: Falling_for_you    26/12/2012    2 recensioni
"La prima volta che lo vidi avevo sette anni ed ero troppo distante per poterne scrutare le linee, saggiare i sapori e distinguere le sfumature dei colori.
Pensai che era impossibile che quello fosse un bambino perché, mi dissi, i bambini sono colorati e non sono mai soli.
La seconda volta che lo vidi scoprii che aveva dodici anni, che non amava le lasagne e che odiava l'odore di cucina.
Scoprii quanto fosse bello osservarlo parlare a stento, corrugare le labbra ad ogni forchettata e arricciare il naso quando mia madre si apprestava ad aprire il forno.
La terza volta che lo vidi aveva diciannove anni e il viso sfregiato e pensai che al mondo non sarebbe esistito niente di più bello."
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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BUGIE BIANCHE DI SANGUE


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Si potrebbe concludere che più un bugiardo ha successo,

più gente riesce a convincere,

più è probabile che finirà anche lui per credere alle proprie bugie.



Open your eyes now

Open your eyes now
It's time to see
If you can reach me


Tutt'intorno c'era un gran casino che sembrava risucchiarti nella sua voragine di folgoranti luci stroboscopiche, di confuse grida sconclusionate e di dissennati corpi sudati e ansanti che si muovevano seguendo un ritmo incalzante, cadenzato, le cui note si ripetevano incessantemente sempre uguali picchiandoti la testa, infiltrandosi fin nelle viscere dei tuoi timpani, fracassandoli. Eravamo stipati in un inghiottitoio di incoscienza, ebrezza e pazzia.

Mi muovevo a disagio camminando sulle scarpe col tacco di mia madre che Martina mi aveva costretto ad indossare, una mano era artigliata ai lembi di quel vestito nero troppo corto, che a mala pena riusciva a coprirmi il culo, messo addosso soltanto con la stupida speranza che così, vestita a qual modo, potessi piacergli di più; con l'altra cercavo di divincolarmi in mezzo a quell'insieme avviluppato di braccia e gambe, volevo raggiungere l'uscita, respirare aria fresca che non sapesse di alcool, fumo e sudore, rilassare i timpani e camminare scalza per la strada fino a casa, insultandomi nei peggior modi possibili per aver sperato che lui potesse esserci e potesse vedermi.

Fu non appena mi chiusi la porta alle spalle che questa voglia svanì, completamente.


I due stronzi erano strafatti come ogni sabato sera. Italo era sdraiato a terra, sull'asfalto, il viso rivolto verso l'oblio della notte fonda, blaterava qualcosa mentre, insaziabile, continuava a portarsi alla bocca una canna e lui era lì, accanto, seduto con la schiena poggiata al muro e una birra tra le gambe. Il suo sguardo perso nel vuoto, almeno fino al momento in cui si fissò su di me. Fu come morire e rinascere in un nanosecondo, soffocare d'aria e smettere di respirare, smaniare e sentire i muscoli pietrificarsi, piangere e ridere contemporaneamente. Fu come vivere, finalmente.


Quello fu l'esatto istante in cui compresi quanto lui si fosse ormai radicato in me tanto da ridurre a brandelli le particelle invisibili della mia anima, fu quella la volta in cui realizzai quanto lui fosse un ottimo bugiardo.


-'Na, credo che mia sorella si sia innamorata-

-Ah si? Beh, è una femmina, è inevitabile che succeda-

-Passa le ore davanti a quella cazzo di finestra a vedere quello che che cazzo combini-

-Mi stai dicendo che tua sorella ha un cazzo di nulla di meglio da fare che spiarmi? Dovrei preoccuparmi per caso?-

-Non fare il coglione che fa finta di non aver capito. Ti sto dicendo che credo che si sia innamorata di te-

-Tua sorella è un cazzo di cliché-

-Sei proprio uno stronzo Leona'.Ha solo diciassette anni-

-Appunto. Se anche fosse vero quello che dici, vedrai che quando gli cresceranno le tette qualcuno le andrà dietro e si dimenticherà di me-

-Sei un porco-

-Che c'è?! Che ho detto di male?! E' una cosa naturale che le crescano le tette-

-Finiscila-

-Scommetto che saranno due gran belle tette-

-Sei un figlio di puttana, finiscila. Stiamo parlando di mia sorella! E poi tu non sei quello che si gira sempre a guardare il culo alle femmine?-

-Si, ma perché le loro tette non mi piacciono-

-Sei un porco-

-Me lo hai già detto-

-'Na, ce l'hai mai beccata mia sorella? A guardarti, intendo-

-No, mai. Comunque sono sicuro che la tua è solo una sega mentale, non può essere in fissa per me, neanche mi conosce-

-Dici? Fossi in te non ne sarei così sicuro-



C'era una stanza dalle pareti colorate, verde, arancione, giallo e celeste. Uno per ogni superficie, il soffitto rimaneva bianco ma soltanto perché voleva deciderlo bene, il colore; lo voleva originale, né troppo acceso, né troppo spento, né troppo intenso, né troppo blando, era tutta una questione di equilibrio. Le aveva dipinte tutte lei, tutte da sola, con indosso una vecchia salopette in jeans di sua madre e i capelli tirati su alla meno peggio per tentare di non rimanere soffocata dal caldo torrido di quell'estate. Ci aveva impiegato una settimana e mezzo, aveva sorriso saltando sul suo letto ricoperto da un telo, si sentiva leggera nonostante la nausea che la puzza di vernice le provocava e sebbene la signora Marisa Viscardi, sua madre, si fosse fermata a guardarla dalla porta; le braccia incrociate sotto il seno e un cipiglio nervoso sul viso, a conferma del suo disappunto manifestato fin dall'inizio dicendo che una stanza colorata non era una stanza seria e che avrebbe dovuto iniziare a crescere, a diciassette anni. La ragazza non le badò, fece di testa sua, come al solito.

Era disordinata quella camera, costantemente. Pile di libri sulla scrivania, principalmente scolastici ma ogni tanto compariva un romanzo, di quelli massicci- come diceva lei; fogli stracciati e scarabocchiati, quaderni, pennarelli e matite colorate, cartacce di caramelle e confezioni aperte di biscotti al cioccolato fondente ancora da finire. Le piaceva la cioccolata fondente, da morire:dura all'apparenza, assuefacente in profondità, come qualcun altro. Cumuli di vestiti sulla sedia o incastrati e appesi alla maniglia della porta e dell'armadio completamente ricoperto di fotografie di lei con Martina, in vacanza.


C'era musica nell'aria, aveva scelto lei cosa ascoltare, aveva deciso che Skin sarebbe stata perfetta per quel giorno; c'erano cd disseminati con le loro custodie sulle coperte di un letto ancora sfatto, c'era un ragazzo disteso proprio lì in mezzo: batteva i palmi delle mani sulle proprie gambe piegate faticando a seguire quel ritmo. C'era una finestra aperta, il vento caldo e asfissiante entrava bloccandoti il respiro, scuoteva una tenda di seta rossa al di là della quale, con i gomiti poggiati sulla ringhiera del balcone, c'era una ragazza. Sorrideva guardando fissa davanti a sé.


-Ce l'hai un fidanzato Bià?-

-Eh?! No!-

-Hai diciassette anni, non dovresti averne uno?-

-Se mi facessi uscire con te, lo troverei-

-Non ci allarghiamo troppo, le mocciose alle dieci devono stare a nanna-

-Sei uno stronzo-

-Grazie. Martina ce l'ha, il fidanzato-

-Martina cambia ragazzo ogni tre per due e poi lei ha le tette grosse-

-Vedrai prima o poi diventerai grande anche tu-

-Ha, ha... simpatico che sei-

-Non hai voglia di avere un ragazzo Bià?-

-Non adesso-

-Neanche di innamorarti?-

-No, non ora-

-Ma ce l'hai almeno uno che ti caga?-

-Si, ma non mi importa-

-Secondo me dovresti provare ad uscirci, magari ti piacerebbe-

-Io dico di no-

-Io invece dico che provare non ha mai fatto male a nessuno-




Sono sempre stata una con la testa costantemente troppo avanti con la fantasia, una folle sognatrice di deliri impossibili da realizzare che, tuttavia, non può sottrarsi dall'inseguirli perché crede che solo con essi la propria esistenza possa essere straordinariamente e semplicemente viva. Allora, smaniosa e accanita, lo faccio fino allo sfinimento, correndo a perdifiato incurante di star incespicando sui miei stessi passi, bensì tentando continuamente di tenere il ritmo, un piede dietro all'altro, con il fiato in gola ma sempre più in fretta, più veloce, nonostante le gambe molli e i muscoli acciaccati facciano dannatamente male, per raggiungere vittoriosa la meta e urlare al mondo di esserci in qualche modo, di esistere, indifferente ai marchi indelebili, aspri testimoni di celate ferite incise a fuoco sul corpo.


Per questo, fin da quel giorno, ho pensato, ipotizzato e immaginato il nostro primo incontro, scarabocchiandolo e scrivendolo nella mia mente ripetutamente, evitando di preoccuparmi delle sue non-forme dai contorni ancora indefiniti e imprecisati, dei silenzi assordanti, delle parole non dette ma impresse come uno schiaffo nella memoria, perché sono stata convinta fin da allora che, a tempo debito, quando forse saremmo stati pronti entrambi, sarebbe giunto il momento in cui le forme avrebbero conosciuto nomi nuovi, gli occhi avrebbero visto e le labbra si sarebbero finalmente mosse; ne ero certa, anche se magari all'inizio sarebbe stato tutto più appannato e sussurrato.


Ho pensato che mi sarei potuta avvicinare una sera, in un locale, quando sarei stata grande abbastanza e mio padre mi avrebbe permesso di andarci, magari con la scusa di non riuscire a trovare mio fratello e di aver perso le chiavi di casa, che in realtà tintinnavano sfacciate nella tasca del mio cappotto a ricordarmi di non illudermi. Mi sarei fatta aiutare a cercare Italo oppure con qualche subdolo artificio lo avrei incastrato e costretto ad accompagnarmi a casa solo per poterlo sentire sbuffare e imprecare, per osservare il suo profilo mentre avrebbe guidato incazzato la macchina e annusare l'aria impregnata del suo odore.


Ho fantasticato credendo che prima o poi ci sarebbe entrato di nuovo in casa mia, che una domenica di fine maggio si sarebbe presentato di fronte al cancelletto, avrebbe aspettato lì, come la prima volta, che Italo lo tirasse dentro. Avrei scoperto se la carbonara e le fettine panate gli piacciono, avrei ascoltato di nuovo il suono della sua voce e, forse, sarei stata con loro, lui e mio fratello, davanti casa a sentirli parlare di robe da maschi.

Magari da quel giorno in poi avrebbe dormito anche da noi nelle tetre notti in cui le mura della sua casa sarebbero state troppo strette, magari una di quelle sere ci saremmo ubriacati insieme, avremmo cantato guardando il cielo dal terrazzo della mia camera, forse ci sarebbe scappato anche un bacio, a fior di labbra.


Non avrei mai immaginato, però, che il nostro primo incontro potesse essere in realtà una grande bugia, una bugia bianca di sangue.



Ogni giorno hai addosso sempre la stessa sensazione, come la prima volta.

Le dita sono intirizzite, ne percepisci il formicolio frustante dei muscoli; non riesci a tenerle ferme, immobili, allora le muovi un po', giusto per rassicurarti, le agiti, avanti e indietro, apri e stringi, su e giù, ancora, da capo, avanti e indietro; senti le ossa scrocchiare sotto la pressione dei tuoi polpastrelli, non te ne curi ma continui, imperturbabile, finché non si indolenziscono e, stanche, non smarriscono l'unico senso che le tiene in vita, il tatto.

All'istante ti blocchi, avvilita, tuttavia non rimani lì, così. Non le lasci all'aria, libere, disubbidienti, pericolose, ma hai paura e le leghi, intrecciandole tra loro, prima di riporle, al sicuro, nella tasca del maglione di lana, quella che hai sul davanti e che ti permette di tenerle unite. E' troppo rischioso separarle.


Pensi di poter star tranquilla ora, rilassi i muscoli e abbassi la guardia perché loro sono lì, ferme, docili, ubbidienti, hai il controllo su tutto; sei una stupida in realtà. E' un attimo, il cervello che si sconnette e il cuore che rimbalza sempre più prepotentemente nel petto, avverti il suo rumore arrivare fin dentro i timpani, ti snerva risucchiandoti la calma.

Il formicolio ritorna e sembra corroderti la pelle; ecco: già non sei più diligente.

La mano, impaziente, scorre lenta dall'alto verso il basso, è ormai persa e ipnotizzata in un movimento che conosce a memoria, riconosce lo spessore dell'adrenalina, dell'ansia e dell'aspettativa, il desiderio e la speranza sono sempre gli stessi.

Il movimento dei polpastrelli è impercettibile, invisibile, sfregano esagitati e titubanti gli uni sugli altri, non vorrebbero farlo, vorrebbero scontrarsi, saggiarsi e tastarsi ma sono impossibilitati da quel sottile e liscio strato di tessuto che li divide, allora le dita si attivano ancora stringendolo rabbiose, lo accartocciano ingabbiandolo tra la loro trama, si contraggono sempre di più, sempre più forte perché la conoscono già quella consistenza scivolosa e vellutata, quasi innaturale; lo sanno che è solo il preludio di ciò che potranno limitarsi a guardare immaginando come sarebbe posarsi su di lui, sulla sua pelle, sul suo corpo.

Gli occhi forse sono gli unici ad essere vagamente soddisfatti, mai fermi e perennemente attenti e vigili, pronti a cogliere ogni minuzia, ogni tonalità con tutte le sue differenti gradazioni, e a suggellare quell'immagine nella mente, vorrebbero che fosse meno sfocata e più vera, vorrebbero vedere ciò che non vedono da lì. Non appena un piccolo spiraglio di possibilità e incertezze si apre di fronte a loro, si spostano rapidi, abbandonando la lucentezza fastidiosamente abbagliante del colore rosso fuoco di quella seta che le mani si sforzano ancora di raggrinzire, sono alla ricerca di una luce diversa, più confusa e oscura ma indispensabile. La sua luce, quella che ancora non sa di avere.


Delusione è la prima emozione che ti strippa il petto non appena prendi coscienza che davanti a te il nulla è padrone, dall'altra parte solo mattoni, legno e vetro; una finestra vuota e inanimata, quella. Lui non c'è.


Le gambe dondolano da una parte all'altra, i piedi rimangono incollati su quelle mattonelle e le mani stringono ancora di più quel pezzo di stoffa che hanno tra le dita. Decidi di aspettare, forse a breve farà la sua comparsa con una tazza di caffè alla bocca e una sigaretta ancora da iniziare, allora farai un sorriso e finalmente lo guarderai sempre con la solita domanda a balenarti per la mente: non sai se a lui piaccia con o senza zucchero, il caffè. Tu scommetti amaro.

Lo senti di brancolare nel buio, di cadere ogni giorno sempre più in fondo, più in basso, lo sai di esserti persa, di aver smarrito la bussola e di essere imbrigliata in un limbo tra il passato e il presente che saresti in grado di attraversare se solo avessi il coraggio di chiuderla, quella finestra. Tuttavia resti lì comunque, paralizzata, con l'unica magra consolazione che almeno le ante siano spalancate e che lui sia sveglio, in giro per casa o chissà dove.


Rimani ferma, in attesa. Ma di cosa? Di cosa.


Un sospiro esce dalle labbra screpolate, si piegano in una smorfia rassegnata quando capisci di aver atteso troppo. Sei una sciocca, te lo ripeti con rabbia digrignando i denti e indurendo la mascella, sei una sconsiderata perché hai perso il pullman che ti avrebbe portato per tempo all'università, la lezione- era importante e ti sarebbe piaciuta- è iniziata da un bel pezzo e sarai fortunata se riuscirai ad ascoltarne l'ultima parte arrancando nel seguire il filo logico di cui non conosci né l'inizio, né la fine.

Corri per la camera incespicando sui tuoi stessi passi, ti vesti afferrando le prime cose che ti capitano sotto gli occhi fregandotene se i colori non saranno abbinati, prendi qualche quaderno a caso sperando di aver scelto quelli giusti, abbandoni la stanza, incurante del letto sfatto e della baraonda in cui l'hai lasciata, vai in bagno, ti lavi il viso ma non ti pettini, i capelli li leghi in un'oscena coda storta mentre scendi le scale, non hai tempo per la colazione, miri dritta alla porta e la apri.


Il tonfo sordo dei quaderni è la prima cosa a risvegliarti, sono scivolati dalle tue braccia fattesi improvvisamente di creta, i fogli degli appunti si sono sparsi disordinati a terra ma non è importante, ora. Indispensabile invece è non tralasciare nessun dettaglio, coglierlo, conoscerlo, assaporarlo, rubarlo e, alla fine, amarlo. Percepisci la forza abbandonarti, i muscoli molli, la testa girare, lo stomaco contorcersi e il cuore schizzare impazzito nel petto, credi che questo sia l'ennesimo brutto tiro mancino del destino, sei sicura di sognare e che la gola riarsa e fervida sia soltanto una tua strana impressione, perché sei certa che sia impossibile che lui sia lì, qui, davanti a te, a me, ora. Lo sai, lo conosci, ne sei certa. Lui non sarebbe mai venuto a casa tua, non avrebbe oltrepassato quel cancelletto di ferro, ma avrebbe aspettato proprio lì davanti, come quotidianamente ha fatto per tutti questi anni.

Lo senti, allora, logorare violento le tue viscere, lo intuisci, di non aver capito proprio niente.

Ti fissa preso in contropiede schiudendo il pugno con cui avrebbe bussato alla porta e abbassando il braccio, non si aspettava di trovarti lì, eppure sa che ci abiti; si sente ingabbiato, in trappola, e non sai perché ma lo vedi, è sotto ai tuoi occhi: i muscoli si contraggono, il viso si indurisce, gli occhi si congelano, il respiro si fa più irregolare, la cicatrice si torce.

Ciononostante lo trovi bello, così, da vicino, come lo ricordavi.


-Chi cazzo sei?- la sua voce è calda, cavernosa , ora puoi ascoltarlo meglio il suo ritmo.

Ti riscuoti dalla tua bolla immaginaria, accarezzi con lo sguardo quell'incisione perpetua ripercorrendo le sue strade, cerchi di ricordarne i sentieri, ti soffermi sulle sue labbra pensando che vorresti sfiorarle, di nuovo; solo dopo metabolizzi il significato delle sue parole.

Sei certa di aver capito male.

-Come scusa?- la tua voce, invece, non è stata mai così gracchiante e stridula come lo è adesso.

-Dio... pure rincoglionita se l'è portata a casa, 'sto stronzo- sospira e sbuffa spazientito prima di volgere il suo sguardo di nuovo su di te -Ti ho chiesto chi cazzo sei- ribadisce convinto mentre la paura scorre nelle tue vene comprendendo i significati nascosti di quelle parole, intuendo il gioco sporco che ha avuto la forza e il coraggio di iniziare.

-Direi chi cazzo mi pare- lo dici abbassandoti a raccogliere i quaderni, sfuggi al suo viso, metti in ordine i fogli sparsi, scappi dai suoi occhi, non li ricordavi così freddi, passi una tua mano tremolante tra i capelli scompigliandoli ancora di più, prendi un respiro profondo e ti rialzi. Le tue iridi in quelle di lui, impassibili e coraggiose perché tu hai deciso di non giocare, di fare sul serio. Tu non sei una bugiarda, lo sai tu e lo sa lui, che finge di non sapere chi tu sia. Finge.

-Che c'è, hai mangiato troppo yogurt a colazione?- nessun risolino o ghigno impertinente sul suo volto, solo l'impassibilità di un grande attore.

-No, l'acidità è una dote naturale-

-Allora scommetto che stanotte ti sei sfogata troppo poco, ma non ti preoccupare, la prossima volta gli dirò di andarci giù più pesante. Sempre se ci sarà una prossima volta, ovviamente- non ti guarda quando lo dice, non ne ha il coraggio, preferisce di gran lunga spostare irrefrenabile quelle pozze ghiacciate da una parte all'altra, limitandosi soltanto a far stridere le sue unghie su specchi rotti.

Il loro sfrigolio graffia i tuoi timpani e ferisce le sue mani.

Veramente non pensavi che sarebbe andata in questo modo il vostro, nostro, primo incontro. Probabilmente ti sei rincoglionita così tanto a tentare di definirne le forme e i contorni da illuderti di poter contare qualcosa, di esserci, per lui, che speravi solo potesse essere meno cagasotto con te, con me.

- Si certo, ovviamente. Sono solo le cagasotto teste di cazzo come te che mi irritano di prima mattina- non sfuggi alle sue pupille, tu.

-Levati dalle palle, parli troppo- svia il discorso tentando di entrare ma non ti sposti.

-Non mi freghi, Leonardo-

E' la prima volta che lo chiami per nome e avresti voluto farlo in maniera differente, magari sussurrandoglielo all'orecchio con un sorriso stampato sulle labbra o con le dita tese a rimarginare i graffi della sua pelle. Non avresti voluto dirlo così, con rabbia, orgoglio e la mente stracciata dalla paura che lui potesse realmente essersi dimenticato, di te, che sei sempre te, me, con il cuore seviziato dal dolore della sua indifferenza, della certezza che la sua ferrea volontà fosse veramente quella di dimenticare ciò che ancora non c'è stato.

-Italo è in cucina, scommetto che la strada te la ricordi- sibili spaventosamente fredda prima di fuggire, come un' anima che non riconosce più il limbo in cui si è schiacciata e l'unica cosa che le rimane sono salate gocce di sangue di una bugia bianca.

Open your life now
Open your life now
I'll try to be
All that you need me
To be




-Sai 'Na, avevi ragione su mia sorella-

-Di che parli?-

-Si è fidanzata-

-Ah si? Non pensavo che le tette crescessero così in fretta-

-Non è innamorata di te-

-No-

-Un po' sono sollevato-

-Perché?-

-Avrei dovuto farti il culo a strisce-

-Ito...-

-Lo so-


She'll be a star now
She'll be a scar now



Just one second, please...

Jingle bells, jingle bells,

Jingle all the way!

O what fun it is to ride,

In a one-horse open sleigh... yeah!!!

Ok... il clima natalizio mi ha dato sicuramente alla testa o molto più probabilmente è stato lo spumante! Non dovrei essere qui a pubblicare, non secondo i miei programmi, ma ci sono. Volevo farvi un piccolo regalino di Natale visto che si dice che dovremmo essere tutti più buoni, ma in realtà è solo perché sono un pochino troppo euforica( e direi che l'avevate capito vista l'introduzione...) dato che tra poche ore volerò dritta dritta a Praga....Au revoir Italie!!!!!!!!!!!!

Non so che cacchio ci azzecchi il francese visto che lì dovrebbero parlare ceco o qualcosa del genere, ma si sa: la pazzia è pazzia! Comunque passiamo alle cose serie. E' un capitolo importante questo, c'è il loro primo incontro e non è sicuramente rose e fiori, inoltre nei flashback emerge un po' di più la personalità di Italo. Vi prego di non giudicarlo subito male, perché se da un lato è amico di lui, dall'altro è il fratello di lei, ciò che fa lo fa perché ama entrambi, tanto.

Non so, man mano che scrivo mi sto accorgendo che i capitoli sono molto introspettivi e, per parlare di loro due, non ne posso fare a meno; c'è tanto da dire e purtroppo è anche complicato, è difficile da comprendere perché non si può rimanere in superficie ma magari ci si deve soffermare sul significato di una singola parola. Non lo so, magari sono tutte inutili seghe mentali che, come al solito, mi faccio, ma spero di non tediarvi troppo e di non risultare noiosa e pesante con il mio modo di scrivere.

Ringrazio nuovamente chi ha recensito, chi ha inserito la mia storia tra le preferite, seguite e ricordate e chi ha la voglia anche solo di passare per di qua e arrivare alla fine del capitolo.

Tanti, tanti, tanti auguri! Di buon anno, visto che Natale è ormai passato!

Dasvidania,

Fal

  
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