Faccio un balzo di lato, vedo tutto
a rallentatore. Il
proiettile, quasi invisibile, si avvicina sempre di più e
colpisce con violenza
Non ho capito che è
successo e ora sento solo voci in
lontananza. Devo rimanere cosciente.
Qualcuno mi sta toccando, mi culla,
mi sussurra qualcosa
che non riesco a capire. Devo rimanere
cosciente.
Alzo
con fatica lo sguardo in tempo per vedere Zayn che si toglie la felpa e
strappa
Inizia a girare la maglietta
strappata intorno al mio
braccio, vuole fermare il sangue. Bene, bravissimo. Rimanere cosciente
sarà più
facile se non continuo a perdere sangue.
–Dai
Eveleen,
ce la puoi fare, alzati.- mi incoraggia
Zayn. Mi aggrappo a lui e mi alzo. Sbatto più volte le
palpebre, poi inizio a
mettere a fuoco la situazione.
Un altro cadavere è a
qualche metro da me. È Alexander.
-Che
è
successo?- domando
tastandomi il braccio.
Niente di veramente grave.
-Beh,
ti ha
sparato.- spiega
Zayn, come se fosse la cosa
più ovvia. E un po’ lo è. –Ha detto che
siamo stati degli sciocchi a fidarci di Jody e Willy e che era tutta
una farsa.
Poi ha iniziato a dire cose senza senso e a sparare al vuoto. Quando ha
puntato
la pistola contro di me, che mi ero mosso per soccorrerti, Niall gli ha
sparato.-
Quindi, non solo ci siamo fidati
delle persone sbagliate,
ma non abbiamo la minima idea di dove ci troviamo. Perfetto, direi,
davvero
perfetto.
-Prima
cosa.- dichiaro,
guardando il torso nudo di Zayn. –Zayn,
indossa la felpa, fa freddo.- lui
sorride malizioso, ma si affretta a raccogliere la felpa da terra e
scrollare
la polvere, prima di indossarla.
-Seconda
cosa.-
continua
Louis al mio posto.
-Come
va il
braccio?-
chiedono in coro Louis e Niall. Il
secondo punto era chiedermi del braccio o parlare in coro? Boh.
-Va
bene,
grazie. Pensiamo a che fare ora, più che altro.- rispondo con una punta
d’irritazione, mentre arriva una
fitta di dolore dal braccio, quasi volesse ricordarmi che, ineffetti,
non sta
bene. Eppure in questo momento non m’interessa minimamente
della pallottola nel
mio braccio, a casa me lo cureranno. Ma è questo il punto,
prima ci dobbiamo
arrivare a casa. E per arrivarci dobbiamo completare questa dannata
missione.
Ora, come facciamo a capire dove siamo? Io di certo non ho preso nota
della
strada che facevamo, non pensavo ce ne fosse bisogno, in
realtà.
-Bene,
allora
andiamo.-
dice sbrigativo Niall.
-Dove?!
Come
facciamo a capire dove siamo?- domando
scettica.
-Al
contrario
di te, io mi sono guardato intorno mentre venivamo. So come tornare al
vicolo e
poi è tutto fatto.- ah. D’accordo, questa
non me lo aspettavo.
Sa come tornare al vicolo, perfetto.
Così ci incamminiamo
nuovamente, senza aver riposato
neanche un attimo. Niall è in testa e cammina a passo
sicuro, ma vedo la
frustrazione dipinta sui volti di tutti i miei compagni. Se per tornare
ci
vorrà quanto ci abbiamo messo per arrivare, non siamo in
buone condizioni,
ecco. Tutti stanchi e ancora doloranti, seppur armati, non serviremo a
molto.
Mi balena in mente la stupida idea di fermarci per un po’
nell’edificio con le
armi, ma la declino prima ancora di proporla. Non abbiamo tempo da
perdere e c’è
l’uomo morto, lì dentro. Non credo che riuscirei a
rivederlo.
Di nuovo, sento il bisogno
impellente di avere Liam e Buck
al mio fianco.
Cerco di non pensarci e guardo
Zayn, con fare
rassicurativo. Dopotutto, ci siamo quasi ormai e non
c’è nessun nemico che ci
può sviare. Non vorrei essere positiva, contando che ogni
volta che ho pensato
bene, in questa missione, è andato tutto storto. Eppure, non
posso guardare
Zayn e dirgli che stiamo andando al macello. Cosa ci aspetta lo
scopriremo
dopo.
Chi
vivrà vedrà.
In questo caso non mi sembra molto
appropriata questo
detto, così accartoccio anche quella in un lato oscuro del
mio cervello.
Vivremo tutti e vedremo tutti.
Durante il cammino, i vari
tentativi di Louis per iniziare
una conversazione sono subito interrotti da sbuffi e sguardi truci dei
ragazzi,
troppo stanchi per parlare. Gli do una pacca sulla schiena,
perché sarà almeno
la quindicesima volta che ci prova, e gli sorrido. Posso comprendere il
suo
bisogno di parlare, questo silenzio è alquanto imbarazzante
e tutti iniziamo
segretamente a chiederci se Niall sa davvero dove stiamo andando.
Certo, c’è
voluto molto tempo per arrivare a quel luogo e non ce ne stiamo
mettendo di
più, per ora. In situazioni del genere, però,
alcune domande te le poni. È continuamente
questione di vita o di morte e noi abbiamo già fatto troppi
passi falsi che non
potevamo permetterci. Penserei che a questo punto la Russia abbia
già
bombardato Holmes Chapel, ma se fosse così Alexander non
avrebbe continuato a
cercare di fermarci, no? Chissà cosa stanno facendo ora Jody
e Willy, non
vedendolo tornare. Bugiardi. Spero
tanto che vengano a cercarlo e rimangano terrorizzati a vita vedendo il
suo
corpo esangue. Beh, forse proprio questo no. È alquanto
cattivo come pensiero.
E perverso in modo molto negativo. Scuoto energicamente la testa, come
a
volermene liberare.
-Tutto
bene?- mi
chiede Zayn, turbato da questo strano gesto. Annuisco e
mi alzo sulla punta dei piedi per dargli un veloce bacio, poi continua
il
cammino.
Non per molto, però. –Eccoci.-
annuncia Niall qualche minuto dopo. –Quello
è il vicolo, ci basta attraversarlo e saremo arrivati nel
parco.-
-E se
lo
facessimo di corsa? Renderebbe tutto meno brutto?- chiedo stupidamente.
Sento il braccio di Zayn che mi
circonda la vita e mi
stringe un po’ a sé. –Magari
possiamo
sparare a vanvera davanti a noi, così saremo sicuri di
essere soli e…- inizia
Louis, le gote rosse per l’emozione di dire qualcosa
– a suo parere-
fantastica.
-…E
non
passeremo per niente inosservati.- termina
Harry, sconsolato, al suo posto.
-Corriamo,
se
c’è qualcun altro, gli spariamo
all’istante.- decide in fretta e con
determinazione Niall, prima di
perdere altro tempo.
Ci scambiamo tutti un ultimo
sguardo preoccupato,
impugniamo bene le armi e ci precipitiamo con velocità nel
vicolo. Avendo
camminato per tanto tempo, siamo stanchissimi e ansanti già
dopo cinque metri,
ma nessuno osa fermarsi. La mia milza chiede pietà e sento
che il mio braccio,
sollevato nello sforzo di tenere la pistola, preferirebbe non far parte
del mio
corpo, in questo momento.
Di corsa la via sembra molto meno
lunga e per fortuna non
siamo interrotti, quindi quando arriviamo nel parco, siamo
più stanchi e più
soddisfatti possibile. Probabilmente, è la prima cosa buona
che facciamo in questa
missione.
-Cercate
l’albero.- dico abbastanza inutilmente,
perché
tutti si erano già messi all’opera. Anche questo
compito non richiede uno
sforzo particolare: sapevamo già che era in corrispondenza
del vicolo.
Sollevati e festosi, ci avviamo
verso la strada giusta. Con
qualche giorno di ritardo, ma finalmente ci siamo.
E’ impossibile non notare
la differenza tra le due parti
della città e capisco perché Russel si trovi qui
e non dal lato di Alexander.
Qui tutto è pieno di vita, posso sentirla anche uscire da un
palazzo grigio. La
gente è rilassata e chiacchera allegramente per strada, come
se la guerra non
ci fosse. Dalle vetrine dei bar s’intravedono dei vecchi che
fanno un brindisi
allegro con pinte di birra. I negozi sono affollati e nessuno ne esce a
mani
vuote. In pochi passi che ho fatto, già tre o quattro
persone mi hanno sorriso
allegramente. Non ho mai visto dei sorrisi così sinceri tra
sconosciuti, a
Holmes Chapel e potrei giurare che non ci sono da
nessun’altra parte.
Se non fossimo nemici giurati,
potrei quasi dire che i
Russi mi stiano simpatici. Chissà perché i nostri
non li bombardano. È
dall’inizio della guerra che combattiamo sempre sulle terre
inglesi e siamo noi
a ricevere le peggiori sconfitte, per fortuna non ancora nucleari,
perché
provocherebbero enormi casini. Inizio a pensare che i Russi siano
ancora più
forti di quanto immaginavamo. Una signora mi sorride, stringendo la
mano di sua
figlia che non avrà più di cinque anni. Avrebbe
fatto lo stesso se avesse
saputo che sono inglese? La figlia si sarebbe spaventata? Se qualcuno
sapesse
da dove veniamo, staremmo ancora camminando tranquillamente in questa
via?
Aumento il passo, un po’
inquieta, e mi assicuro di zittire
chiunque di noi provi a proferire una sola parola. Non è il
momento né il luogo
adatto per parlare.
Ovviamente, se qualcuno ci
attaccasse ora, potremmo
benissimo ucciderlo, essendo tutti armati. Ma poi si creerebbe una vera
e
propria strage, giacché verranno a vendicarlo in men che non
si dica. Dobbiamo
passare inosservati e arrivare da Russel prima che faccia buio, magari.
Se la
città è così attiva di giorno,
sarà altrettanto –se non di più- la
notte.
-Come
faremo…?-
comincia
Zayn.
-Shhhh.-
lo
zittisco prontamente, e arrabbiata. Ho zittito ognuno di
loro un numero abbastanza grande di volte per convincerli a non
provarci più,
eppure continuano. Che rabbia. Anche
Zayn però sembra perdere le staffe. Mi afferra per un
braccio e avvicina la sua
bocca al mio orecchio, parlando in un sussurro veloce e arrabbiato.
-Cara
‘signorina
zittiamo tutti quanti’, come facciamo a chiedere alla
segretaria di Russel
senza farle capire che siamo inglesi?- che
domanda stupida.
Buck non mi ha detto niente di
questo, basterà nominare
Russel e lei ci porterà da lui, semplicissimo, no? Tanto
rumore per niente. Gli
sussurro tutto a mia volta, ma – come sempre- non sembra
essersi rassicurato.
Prendo nota mentale di preparagli una camomilla al giorno, quando
saremo a
casa, sarà molto utile sia per i miei che per i suoi nervi.
Do un colpetto alla spalla di
Harry, accanto a me, e gli
indico l’edificio che abbiamo davanti. Lui a sua volta
dà un colpetto a Louis e
si crea una specie di domino, fino ad arrivare all’ultimo,
Niall. L’edificio
viola, ci siamo. Tiro un profondo respiro ed entro per prima, aprendo
la porta
bianca come la neve più pura, appena caduta dal cielo. Dentro sembra come essere in
un altro mondo.
Lontano dalla guerra, lontano dalla felicità e
spensieratezza delle vie di
fuori, lontano dalla nostra epoca.
Davanti a me
c’è una scalinata di legno, ricoperta da un
tappeto rosso, così enorme e imponente da farmi credere di
essere entrata in
una reggia. Ai muri sono appesi quadri di ogni genere, alcuni
inquietanti in
realtà, ma nel complesso sono straordinariamente magnifici.
Il soffito è tanto
alto da farmi credere di essere sul fondo di un enorme e ben arredato
pozzo,
cancello l’idea dalla mente solo perché su di esso
ci sono incise immagini di
angeli in guerra, quasi come in una delle più imponenti
chiese. La mia
perlustrazione del luogo è bruscamente interrotta dal rumore
della porta che si
chiude e da un piccolo colpo di tosse tipicamente femminile. Mi accorgo
che
accanto a noi ci sono una scrivania e una donna –signorina,
più che altro. La
postazione è perfettamente accordata con tutto il resto, il
legno è lo stesso
di quello delle scale e le incisioni d’oro sono uguali a
quelle presenti sulle
cornici degli innumerevoli dipinti. Mi aspetto, alzando lo sguardo, di
incrociarlo con una signorina vestita in modo antico, magari con uno di
quegli
splendidi vestiti enormi e ingombranti, come raffigurati in alcuni dei
migliori
– a mio parere- dipinti. Invece il mio sguardo quasi sognante
incontra degli
occhi verdi duri come il ghiaccio che mi squadrano dall’alto
al basso. Il
completo che indossa, sebbene abbinato al rosso del tappeto che ricopre
le
scale, non c’entra niente con come l’avevo
immaginato. Una semplice e comoda
camicia bianca, ricoperta da un cardigan rosso e una gonna, anche
abbastanza
corta, rossa. Si sente il rumore rimbombante dei tacchi mentre questa
fa il
giro della scrivania per avvicinarsi a noi.
Dice qualcosa con un tono
interrogativo, che assumono anche
i suoi occhi. Non sapendo niente di russo, e sperando che abbia chiesto
qualcosa tipo ‘cosa ci fate qua?’, rispondo con una
sola, semplice parola.
-Russel.-
dico
chiaro e forte, cercando di non far sentire troppo
l’accento inglese. La signorina non batte ciglio e dice
qualcosa molto simile
alle parole di prima. D’altro canto io, anche
perché non saprei fare altro, non
demordo.
-Russel.-
ripeto
con decisione, assumendo un tono e un espressione
più determinata. Lei mi squadra per qualche altro secondo
con sguardo
incriminatore, infine rivolge una veloce occhiata agli altri ragazzi e
si
decide a guidarci attraverso l’edificio.
Saliamo più di cento
gradini, prima di arrivare a un
corridoio, ampio ma debolmente illuminato, nel quale si trovano
–se ho contato
bene- dodici stanze. Le superiamo quasi tutte e la signorina si ferma
davanti a
una delle ultime e poi bussa piano.
Una voce grida qualcosa e la
signorina risponde, sempre
senza farci capire niente, poi apre la porta e ci fa cenno di entrare.
Sento i
suoi passi veloci abbandonarci appena ci richiudiamo la porta alle
spalle.
Anche questa stanza, che presumo
sia il suo ufficio, non si
allontana da tutto quello che abbiamo visto prima. La moquette rossa
è soffice
e sicuramente costosa ed è tutto fatto di legno intagliato
d’oro. È
incredibilmente grande per essere un luogo dove si sta prevalentemente
dietro
una scrivania e contiene mobili, come due divanetti, che non mi sarei
aspettata
di vedere. Un colpo di tosse attira la mia attenzione e alzo lo sguardo
verso
un uomo. Eccolo, finalmente. Russel, un uomo sulla quarantina
abbastanza
stempiato, con occhi color del ghiaccio che non trasmettono emozioni,
freddi e
calcolatori.
-Uhm…
salve.- dice
Niall un po’ in imbarazzo. Siamo al passo decisivo.
Mentre Russel con un ovvio
movimento impugna la pistola, ne
ha già puntate cinque alla testa. Lascia cadere il braccio
sui fianchi.
-Chi
siete? Che
cosa volete?- chiede
nervoso.
-Siamo
stati
mandati da Liam e Buck, dobbiamo annullare le precedenti prescrizioni.-
risponde
sempre Niall.
-Voglio
le
prove.- dice
Russel risoluto, evidentemente
cinque pistole non lo spaventano più di tanto.
-Leena,
dagli
il foglio.- il
foglio, sì, quello con il
simbolo. Il foglio che è nella cartella. La
cartella… che è a casa di
Alexander.
-Eveleen?-
mi
richiama Louis.
-Io…
non la ho.-