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Autore: inbadlounds    27/12/2012    4 recensioni
[Long-fic, AU, OOC, baby!klaine]
Kurt e Blaine, due anime e una clinica.
Kurt e Blaine, due malattie diverse, uno stesso destino.
*
"Quando la Dottoressa Sorriso lo presentò agli altri bambini – chi sulla sedia a rotelle, chi con il braccio ingessato, chi, come lui, fasciato alla testa – tra tanti occhi curiosi e ammalati, solo due sfere di cielo colato riuscirono a incantarlo.
Erano così azzurri che per un attimo scordò la sua ossessione per quel posto. Lo odiava ma, con quegli occhi color del cielo, forse, forse avrebbe potuto odiarlo un po’ meno.
Blaine, più tardi, non sarebbe riuscito a definire il colore di quegli occhi .
Erano mare, cielo e sogni. Erano fanciullezza e dolore. Erano amore e dolcezza.
Che sciocchezza, avrebbe pensato, una persona normale li definirebbe solo azzurri.
Il contatto resistette un attimo, giusto il fruscio d’un battito di ali di farfalla, mentre il cielo e la terra si mescolavano in un vortice di emozioni e poi, come succedeva nelle fiabe, l’incanto si spezzò e rimase solo il vuoto. Ancora una volta il bianco. "
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2

Autrice: R i n

Titolo: WhiteRblood

Avvertimenti: AU, OOC [essendo, i protagonisti, dei bambini], Angst, Fluff.

Raiting: Arancione

Note: A fine capitolo. Leggetele, sono importanti.

 

 

 

WhiteRblood _

 

 

Capitolo II: His name is…

 

 

 

Quella mattina Blaine fu svegliato dal tintinnio di campanellini, mentre una flebile luce faceva capolino nella sua stanza.

La neve aveva smesso di scendere dal cielo, lasciando comunque un delizioso strato sul terreno, e ora Blaine riusciva a scorgere benissimo cosa accadeva nel grande cortile che circondava l’edificio.

Bambini e infermiere insieme - oh, notò Blaine, se erano felici! Parevano così vivi - addobbavano un enorme pino verde e rigoglioso.

Blaine sentì l’allegria riempirgli le vene e desiderò correre giù più in fretta possibile e partecipare alla decorazione nell’albero – amava il Natale: era sempre stata la sua festa preferita - e per nulla al mondo si sarebbe privato di tale gioia. Ospedale o no.

Si vestì frettolosamente – poté giurare di aver indossato la maglietta al contrario – e corse nel corridoio. Un’infermiera, però, lo spedì dritto dritto in mensa a fare colazione.

Blaine, per la prima volta dopo tanto tempo, si accorse che quell’edificio pullulava di bambini: solo ed esclusivamente piccole anime ingenue e indifese.

Tutti – dal piccolo George che piangeva da mattina a sera e teneva le manine ferme con del nastro ad Anita che, invece, non aveva neppure un capello - erano accomunati da una sola cosa: uno sguardo spento e malato. Quasi morto.

La cosa turbò parecchio il bambino che, per evitare ogni dubbio, chiese all’infermiera se quel posto fosse un ospedale. La donna rispose che «Sì» e sorrise «ma è un ospedale un po’ particolare. E’ una clinica, piccolo Blaine».

 

Una clinica pensò Blaine. Una clinica bianca. Blaine odiava il bianco, eppure in quel posto così bianco aveva conosciuto un nuovo colore e forse, grazie agli occhi cielo - mare, avrebbe odiato un po’ meno quel posto. Giusto un po’, si ripromise.

Arrivarono in mensa che Blaine ancora pensava a quell’inaspettato bambino dagli occhi color cielo. Forse fu il destino – perché Blaine cominciava a crederci davvero, nel destino –, ma in fondo alla stanza, tra le teste basse e affrante di molti bambini, gli occhi del piccolo si posarono dritti su una sagoma china. A pochi passi da lui, si accorse che era proprio il suo amico “occhi del cielo”.

Il riccio rimase a fissarlo, sorridendo appena per evitare di spaventarlo – era bravo a sorridere, Blaine, aveva un sorriso così radioso – e notò che l’amico, visto così da vicino, somigliava davvero ad un piccolo angelo: uno di quelli che la mamma usava per tappezzare ogni angolo della casa. Angeli in cera, angeli in ceramica, angeli in terra cotta, angeli in plastica. Blaine ce l’aveva lì, a pochi passi, in carne ed ossa. Sorrise ancora.

Aveva una pelle chiara, occhi azzurri circondati da lunghe ciglia, una zazzera castana e un adorabile nasino all’insù. Sembrava una bambola di porcellana, come se fosse stato scolpito e poggiato lì, in quel posto, a dare luce quando la si era persa.

Blaine notò che era perso in chissà quale pensiero, perché i suoi occhi, un po’ più vivaci dal loro primo incontro, erano assorti. Sembrava fissasse il vuoto e nemmeno la presenza di Blaine sembrava destarlo dalla sua trance.

 

«Ciao».

Il bambino dagli occhi cielo sussultò e si voltò verso Blaine che lo guardava impacciato, mentre tentava un sorriso. Con lo sguardo puntato addosso, il bambino gli rispose un flebile «Ciao» e dopo averlo guardato a sufficienza, si apprestò a finire la propria colazione. Qualche minuto dopo, però, Blaine gli rivolse di nuovo la parola.

«Posso sedermi accanto a te?»

Il bambino dagli occhi cielo rimase perplesso, dopotutto era la prima volta che qualcuno chiedeva la sua compagnia. Era sempre stato un bambino solitario e preferiva giocare per conto suo.

 

Quali fossero i pensieri del bambino dagli occhi cielo, Blaine non poteva saperlo e quando lo vide annuire, tirò un sospiro di sollievo.

«Tu come ti chiami?» chiese il riccio, mentre l’infermiera gli serviva la colazione.
Blaine notò che il bambino impiegava un po’ prima di rispondere e si limitava, comunque, ad annuire con la testa o borbottare l’essenziale. Blaine si rattristò.

Nonostante ciò continuò a fissarlo, poiché il suo viso era come quello di un angelo, qualcosa che non ti stanchi mai di vedere. Proprio come il Natale.

 

«Kurt».

Era quello, dunque, il nome del bambino dagli occhi cielo.

Kurt.

Lo ripeté svariate volte, per sentire come suonasse sulle proprie labbra.

Le dischiudeva, poi batteva i denti sulla lingua e lasciava scivolare il nome nella gola.

Kurt.Kurt.Kurt.Kurt.

Era meravigliosamente perfetto.

Aveva appena trovato un amico con un nome perfetto.

Con quel dolce pensiero in testa Blaine terminò la sua colazione, di tanto in tanto lanciando piccole occhiate a Kurt che, avendo finito da un pezzo la sua colazione, stava con la mano appoggiata alla testa e gli occhi socchiusi mentre sospirava.

 

Nel farlo, notò Blaine, corrugava le sopracciglia, mostrandogli un’espressione sofferente.

Blaine rimase ad osservarlo mentre socchiudeva gli occhi e faceva leggeri sospiri. Era calato il silenzio, tra loro, e Blaine non riusciva a smettere di fissare Kurt.

Stava male ma non riusciva a capire cosa avesse… Era sicuro che non fosse un semplice mal di pancia, perché nemmeno lui stava male così.

Gli chiese se volesse andare a giocare nel cortile, magari aiutando la Dottoressa Sorriso a decorare l'albero, perché gli avrebbe fatto bene stare un po’ all’aria aperta. Glielo disse nella speranza che quel piccolo angelo si riprendesse e cominciasse a sorridere, perché Blaine ne era sicuro, doveva avere un bellissimo sorriso nascosto lì da qualche parte.

Kurt lo fissò, come faceva sempre prima di rispondere - un po’ come per misurare le parole, un po’ per cercare di capire cosa volesse da lui - e gli disse che no, sarebbe andato.

«La odio, la neve» gli disse, semplicemente.

 

Oh. La odi davvero?

 

«Anche io, la odio» rispose Blaine, ingenuamente. Sentì il cuore battere forte forte, come quando aveva lanciato una palla di neve talmente lontano da sentirsi il braccio intorpidito. Allora si era sdraiato sulla neve, col fiatone, e aveva sentito il cuore battere prepotentemente.

Eppure Kurt rimase a guardarlo, sospettoso. «Se la odi, perché ci vai?»

 

Quando Blaine rimase solo, sentì di aver paura di quel posto. Allora corse, girando a destra e poi ancora a destra e a sinistra, finché non arrivò dinanzi una grossa porta con una targhetta affissa. Era un gatto spaparanzato su un grosso cuscino, e citava: Kurt Hummel , 350.

Era la sua camera.

Blaine si sentì tanto felice. Apriva e chiudeva la bocca in continuazione, con il petto che si alzava affannosamente. Era talmente fantastico aver trovato la sua stanza, che poco gli importò che il bambino non gradisse tanto la sua compagnia.

Blaine faceva cambiare idea a tutti e ce l’avrebbe fatta anche con Kurt.La camera era tinteggiata di un azzurro chiaro, con degli schizzi arcobaleno su ogni parete. C’erano un lettino, un armadio e un comodino, su cui era appoggiato un libro delle favole. Dall’altra parte della stanza c’erano degli scaffali pieni di libri, cassette e peluche, ma quello che colpì di più Blaine furono i vari giochi, nell’angolo della stanza. Il bambino fece un passo in avanti, titubante all'idea di entrare in una camera senza aver chiesto il permesso, soprattutto visto che di Kurt non c’era nemmeno l’ombra.

Guardandosi un attimo attorno e vedendo che non c’era nessuno nel corridoio, Blaine entrò.

Dopotutto, non stava facendo nulla di male, pensò.

 

Gironzolò a destra e a sinistra, attratto da tutte quelle meraviglie che Blaine aveva sempre desiderato vedere, ogni giorno. Ricordò che sua madre, una volta, mentre dipingevano la cameretta, gli vietò di tingerla di rosa – era il suo colore preferito – e di disegnarci degli unicorni.

L’attenzione di Blaine, però, fu attirata da una teiera, con dei piattini e tazzine colorate. Era un bellissimo servizio da the.

 

Blaine aveva avuto poche e rare occasioni di vederne uno e ricordò quando, tre Natali prima, ne aveva chiesto una nella sua letterina. Ricordò anche che il giorno dopo, scartando il regalo, aveva chiesto a sua madre se per caso Babbo Natale l’avesse confuso con qualche bambino. Perché Blaine ne era sicuro, lui non aveva chiesto un modellino auto comandato.

Quando Blaine aveva chiesto a sua madre come mai non aveva ricevuto quello che aveva chiesto, la donna aveva risposto che ormai era grande per chiedere regali del genere e solo le bambine più piccole potevano. A sentire quella risposta il piccolo aveva fatto spallucce e prendendo il nuovo giocattolo era messo a giocare nella veranda.

La sua veranda si affacciava su quella del vicino e notò Blaine, anche la sua amica, Sally - un anno più grande di lui - era l), a giocare. Aveva ricevuto un servizio da the - Blaine provò molta invidia - ed era circondata da peluche, tutti seduti assieme ad un tavolo.

Quel giorno Blaine scoprì quanto l'invidia potesse essere dolorosa (e che anche le bugie facevano male, poiché sua madre gli aveva detto una grossa, grassa, bugia). Pianse di nascosto, in bagno, mentre cercava di far entrare dell’acqua nella sua stupida macchina.

Provò un'inspiegabile invidia di fronte a quel gioco che tanto desiderava e che, chissà per quale scherzo del destino, si trovava nella stanza di Kurt.

Non è giusto pensò il piccolo mentre, per la prima volta in vita sua, prendeva una tazza colorata e se la portava in bocca, facendo finta di sorseggiare il the, immaginandosi seduto assieme all'orso Bear e al coniglio Buggy a chiacchierare del tempo o del gran galà a Villa Orsini. Oh, quanto gli sarebbe piaciuto partecipare con loro a un meraviglioso party…

 

Blaine aveva appena versato dell’altro the e stava gesticolando mentre raccontava ai suoi amici immaginari quanto fosse tremendo l’odore dell’alcool e della plastica ospedaliera, quando la porta si aprì.

A fissarlo c’era Kurt, bianco come un fantasma.

«Vattene!» Era un sussurro, quello. Eppure Blaine l’aveva udito benissimo.

«Vattene!» Ripeté e a nulla servirono le scuse di Blaine mentre posava malamente la tazza.

L’ultima cosa che vide prima di chiudersi la porta alle spalle, fu Kurt che prendeva la tazza e la rimetteva a posto, con gli occhi bianchi e odiosi. Blaine non riconosceva più il suo amico occhi cielo.

Senza un motivo preciso, una volta che ebbe raggiunto la sua camera, Blaine cominciò a piangere.

 

Fu così che lo trovò, qualche ora più tardi, la Dottoressa Sorriso.

La dolce infermiera  si appoggiò ai piedi del letto e con una mano accarezzò il piccolo corpicino scosso dai singhiozzi.

«Perché piangi, piccolo mio?» Gli chiese, ma il piccolo di parlare non ne aveva proprio voglia, quindi si limitò a grugnire.

 

Si ricordò, improvvisamente, di quando sua madre lo aveva costretto a giocare con quello stupido bambino al parco. Aveva i capelli neri, neri, nerissimi, e si divertiva a gettare fango sulla sua maglietta preferita. Eppure sua madre continuava a costringerlo a restare lì («Perché ho da fare, sto parlando, smettila di frignare e vai a giocare subito con quel delizioso bambino. Non ti sembra delizioso, Carmela? Proprio un ottimo amico per il mio piccolo Blaine».)

Anche quella volta aveva grugnito, indispettito, e aveva imparato che i suoi denti sbattevano troppo violentemente e che la pancia gli faceva male tanto di più.

Con la Dottoressa Sorriso accanto, però, non aveva paura del dolore. Ogni volta che stava male, e poi guariva, la deliziosa infermiera portava al bambino una grossa ciotola di caramelle e cioccolato.

Fu così che, per un po’, Blaine dimenticò la sofferenza di Kurt, che stranamente sembrava essersi ripercossa su di lui, e si lasciò accarezzare dalla sua Signora Sorriso.

 

 

Era scuro fuori quando Blaine decise di parlare alla Dottoressa Sorriso, la quale, per tutto quel tempo, era rimasta accanto a lui, canticchiando un motivetto sconosciuto nella speranza che il piccolo si calmasse. Le disse del suo primo e unico amico, le disse della stanza, le disse dei giochi e di quel servizio da the. Le vomitò addosso, parola per parola, tirando su con il naso di tanto in tanto, strofinandosi gli occhi, ormai rossi dal lungo pianto, per non piangere di nuovo. Solo dopo, le disse la cosa che più lo ferì. Le raccontò di quel suo sguardo, così bianco e freddo – tanto che sembrava morto, e Blaine, per un momento, aveva avuto paura - da fargli gelare persino le ossa. Poi di nuovo, altre lacrime gli bagnarono il viso -  Blaine era sicuro che fossero finite, perché quel giorno aveva davvero pianto tanto tanto –mentre terminava il racconto, per poi accucciarsi sul grembo della Dottoressa Sorriso, vergognandosi di quello che aveva fatto.

Non aveva capito come, ma aveva perso il suo unico amico, forse per sempre. 

 

«A volte per sempre è solo un secondo1» rispose l’infermiera, sorridendogli docilmente.

Blaine la guardò confuso, domandandosi se la dolce infermiera avesse cominciato veramente a parlargli come i grandi, mentre questa gli asciugava gli occhi e gli posava un bacio sulla fronte, decise di raccontargli una storia.

 

«L’hai mai sentita la storia del “Camaleonte e la farfalla2, Blaine?» e il piccolo rispose di no, allora la Dottoressa Sorriso iniziò il suo racconto, mentre sistemava il bambino nel letto.

«Questa è la storia del camaleonte e la farfalla. La storia di due piccoli esseri che, per qualche strano scherzo del destino, si sono incontrati.»

E la dottoressa raccontò di come un triste e solitario camaleonte, costretto a mimetizzarsi con ciò che lo circondava, dopo una caduta dall’albero che ormai considerava la propria casa, cercava un modo di risalire sull’albero. Tuttavia era troppo intontito dalla caduta e, per poterlo fare, partì come un marinaio, via terra invece che via mare. Nel suo cammino, però, si imbatté in quella che poi si sarebbe rivelata la fortuna della sua vita. Una bellissima farfalla imprigionata in un rovo.

«La farfalla è Kurt, vero, Dottoressa?» la interruppe Blaine che, quieto e silenzioso, con occhi attenti, ascoltava la storia.

La dottoressa, invece, lo stupì, rispondendo che poteva benissimo essere lui, la farfalla.

Blaine la guardò confuso, domandandosi come fosse possibile, perché lui di certo non si sentiva una farfalla. Insomma, le farfalle sono bellissime e fragili e poi… volano.

«Che cos’ha fatto, dopo, il camaleonte alla farfalla?» chiese il piccolo, con occhi tanto grandi, quanta lo era la sua curiosità.

«L’ha salvata» gli rispose, semplicemente, la Dottoressa Sorriso.

 

Il piccolo si strofinò gli occhi – gesto che non sfuggì alla Dottoressa che gli intimò di andare a dormire – e, fra un mugugno e un altro, si infilò nel letto mentre la donna gli augurava la buonanotte.

 

«Buonanotte, Blaine» gli sussurrò all’orecchio e il piccolo si abbandonò a sogni confusi, fatti di giochi sbiaditi di luci e ombre, colori che si mischiavano tra loro creando illusioni, e due occhi chiari - quegli occhi – che lo fissavano da così vicino che Blaine pensò che lui fosse davvero lì. Forse era la luce che entrava dalla serranda semichiusa a dar questo effetto o forse, forse, era solo la fervida e stupida immaginazione di Blaine.

 

Quando Blaine venne svegliato dalla Dottoressa Sorriso – «perché è una bella giornata, Blaine! Oggi vai con gli altri bambini a finire di decorare l’albero!» – si chiese se quella notte, effettivamente, avesse dormito o fosse stato tutto un sogno.

Eppure, dando un ultimo sguardo alla sua camera, niente sembrava indicare la presenza di Kurt; sconsolato – e forse leggermente illuso – Blaine raggiunse, strisciando i piedi per terra e indossando una giacca sgualcita, con le maniche troppo grandi, gli altri bambini e andarono fuori.

 

Non si accorse, però, che un bambino con in mano il suo inseparabile o lama peluche, lo osservava dall’alto della sua camera.

 

 

 

1. Citazione tratto dal libro “Alice e il paese delle Meraviglie” di Lewis Carroll.

2. Il “Camaleonte e la farfalla” è una raccolta illustrata che mi è stata dedicata da un mio carissimo amico. Il succo della storia è quella che viene raccontata nel capitolo, se volete potrei creare l’album sulla mia pagina Facebook , per una lettura. Segnalatemelo nella recensione! J

 

 

 

N/A:

 

Ed eccomi qui, come promesso!

Un altro capitoletto pieno di spiegazioni.
Finalmente appare Kurt, il bambino dagli occhi color del cielo.

Insomma, ora che anche Kurt si è presentato…dal prossimo inizia la “vera” storia.
Cosa succederà? A voi le idee!

PS. Per quanto riguarda la malattia di Kurt, non dico nulla ma continuate pure a indovinare. Se tutto va bene, avrete la verità ufficiale al quinto capitolo J

 

Ringrazio le 7 persone che mi hanno recensito, le ben 18 persone che hanno messa la storia tra le seguite, le 3 persone che l’hanno messa tra le preferite, le 2 persone che l’hanno messa tra le ricordate e le 194 persone che l’hanno semplicemente letta. Grazie, davvero di cuore.

Ci vediamo tra due settimane e nel frattempo colgo l’occasione per farvi tantissimi auguri di Buon Anno (quelli di Natale, erano già nel pacchetto :P)!

 

 

Se avete dubbi, domande, curiosità o per sapere quando aggiorno potete trovarmi alla mia pagina Facebook.

 

A presto,

Rin.

 

   
 
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