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Autore: Gatto Magro    29/12/2012    1 recensioni
- Adesso c’è sangue anche sulla lampada, quella verde in salotto, e sono andata fuori in silenzio però, perché ho pensato che ora dobbiamo accendere la lampada col sangue di Brian sopra e mi è venuto da vomitare.
Genere: Angst, Dark, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ottobre 2010.

Benjamin credeva ci volesse più tempo.
Più tempo per mettersene alla ricerca, per imparare ad identificarlo e ad isolarlo dalle altre futili aggiunte edulcorate che ci sono cresciute attorno a causa della superficialità delle persone, per rendersi conto di averlo trovato e per capire che cosa si prova esattamente ad averlo in corpo, se è un’emozione precisa oppure un ibrido di istinti, un po’ come l’adrenalina o la paura.
Invece ne è quasi certo, e non è passato neanche un mese da quando la conosce; eppure il cuore scende di parecchi centimetri dalla sua sede originale nella cassa toracica, in caduta libera verso lo stomaco e il suolo, quando lei lo invita a uscire quella sera.
Gli sembra di avere le braccia troppo lunghe, i capelli sporchi e impresentabili, un brutto odore nonostante sia appena uscito dalla doccia bollente, ha paura di tartagliare in modo incomprensibile di argomenti improbabili, e mentre scende le scale per uscire si convince di respirare in maniera decisamente troppo rumorosa.
E se sta fantasticando? Guarda che ci sarà anche Brian, razza di cretino – gli sussurra all’orecchio una vocina perversa, - non sarete mica da soli, cosa credi. Non vuole rimanere sola con il tuo pessimo alito.
Benjamin raggela e cerca in fretta un pacchetto di gomme da masticare dentro la borsetta della madre, appesa all’attaccapanni in ingresso. Se ne ficca in bocca due e infila il pacchetto nella tasca del giubbotto.
Ricorderà quella serata con autentico orrore; al parco dove S gli ha dato appuntamento non solo trova Brian mascherato da vampiro in modo inquietantemente credibile, ma anche il proprio fratellino e una schiera di amici e compagni di scuola che al suo arrivo sollevano i bicchieri di plastica pieni di punch color sangue e gridano “Tanti auguri, Bee!”. La faccia di ogni persona è nascosta da una maschera orribile e deforme, o da baffi e barba finti, o dall’ombra di un cappello gigantesco oppure di un naso di plastica, o da uno spesso strato di trucco che varia dal fondotinta bianco-morto al prugna-zombie decomposto; Benjamin non trova S fino a che tutti gli invitati non si spargono per il quartiere per fare dolcetto o scherzetto. Molti di loro hanno quindici anni, è l’ultima volta che possono permettersi una cosa che sappia così di infanzia e caramelle.
Si sentono i rintocchi di mezzanotte intrecciarsi a risate distanti e urla attutite.
Una figura esile gli scivola accanto sulla panchina.
- Perché quella faccia? Avere quindici anni non è così grave.- gli soffia nell’orecchio prima di dargli un bacio sulla guancia. – Buon compleanno, Bee.
L’ultimo tocco di campana ha appena cominciato a sfumare nella notte quando Benjamin si volta e non vede nessuno al suo fianco.
Il ragazzo aveva appena accarezzato il pensiero di essere innamorato, e adesso scopre che l’amore è una forma di solitudine che fa fondamentalmente male.
 

 

Novembre 2012.

Brian apre gli occhi ma non è davvero sicuro di essere sveglio fino a quando non sente un dolore quasi extracorporeo, sordo, atterrargli pesantemente sullo zigomo destro e scendergli lungo tutta la metà del viso, entrargli dentro gli occhi e nelle gengive. Preso dal panico, resta immobile sul letto sbattendo le palpebre e fissando il soffitto, cercando di non mettersi a urlare, poi si calma e issandosi sui gomiti riesce a mettersi seduto e a mandare giù due pillole verdi che trova sul pavimento.
Si sente subito meglio, solo un po’ assente, mentre cerca di decidere se deve davvero vestirsi per andare a scuola, oppure non sia richiesto dal regolamento. Si metterà la camicia blu, decide, e un paio di jeans a caso.
Quando è in bagno e si tampona delicatamente i lividi sul viso con un asciugamano bagnato, si accorge perifericamente che il tessuto è sporco e incrostato, e non distingue abbastanza la propria immagine allo specchio per accorgersi di essersi infilato una canottiera da basket nera e sformata sopra il pigiama.
Ripassando davanti alla sua stanza raccoglie il cartone del latte mezzo vuoto e tiepido, lo sorseggia mentre scende le scale sbattendo i piedi che scivolano fuori dalle scarpe infilate come fossero ciabatte, il tallone disfatto e piegato verso l’interno. C’è un odore strano, in cucina. Brian strizza gli occhi feriti dalla luce grigia delle sette e mezzo, c’è una macchia scura ed opaca nella sua visuale: il tavolo è bruciato al centro, un cerchio perfetto, ed è venuta via un bel po’ di vernice che sciogliendosi ha rilasciato una puzza chimica davvero insopportabile. 
Brian china la testa nel secchiaio e vomita. Ci sono dei pezzi di carta sparsi intorno e sulla bruciatura, e un angolo intatto di quella che sembra una fotografia. Il volto di una giovane ragazza bruna è per metà sfigurato da una riga marrone lasciata dalla carezza di una fiamma; il ragazzo lo prende in mano con delicatezza e si accorge di quel che c’è sotto: nella polvere scura un dito ha disegnato una piccola E.
Brian sente il respiro abbandonargli i polmoni, come spinto da un muscolo fuori controllo. Inconsciamente cancella la lettera con il dorso della mano, mentre con l’altra si infila degli enormi occhiali scuri che gli nascondono il viso.

 

Giugno 2002.

Jimmy una sera chiede a Grace quand’è che ha intenzione di iniziare a preoccuparsi.
Si stanno preparando per andare a dormire, lei si sta spalmando una crema idratante su mani e gambe e lui compare dalla porta del loro piccolo bagno con lo spazzolino in bocca e un po’ di dentifricio sul mento.
Grace aspetta a rispondere. È la domanda che aspettava e alla quale non ha una risposta adeguatamente sincera, perciò temporeggia prendendo in giro prima di tutto se stessa; e se Jimmy si riferisse a Collins, che sta finendo il liceo e aspetta quella borsa di studio per il calcio? Il futuro di un figlio è qualcosa di cui è legittimo preoccuparsi, e dopotutto Collins è il maggiore, la loro prima prova di genitori. Oppure quel “preoccuparti” è detto così, un’esagerazione, e sta per un problema di poco conto come la lavastoviglie che si è rotta di nuovo, la radio che si rifiuta di sintonizzarsi sul canale 113, le tasse scolastiche, i capelli di Brian.
Grace si dice che è davvero ora di portare quel bambino da un barbiere. Lo farà questo sabato, certamente. Con le mani unte chiude il barattolo di crema e lo spinge in fondo al cassetto.
- Lo porto sabato, magari con Collins così se li fa tagliare anche lui.
Il marito inarca le sopracciglia.
- Di che stai parlando?
- E tu?
Jimmy sbuffa forte e degli spruzzi di dentifricio gli finiscono sul pigiama. Torna dentro il bagno e si sciacqua la bocca continuando a parlare con un tono quasi arrabbiato.
- Mio Dio, Grace! Apri gli occhi! Tua madre è… lei… - il getto del lavandino si spegne, una piccola pausa, poi l’acqua riprende a scorrere. – Sta facendo qualcosa a Sun e a Brian. Non dirmi che non te ne sei accorta, sono strani, cosa sta succedendo?
- Crescono.
- Crescono? – Jimmy è di nuovo sulla porta, questa volta con un asciugamano stretto fra le mani e gli occhi spalancati. – Grace, ma che cazzo?...
- Jim, abbassa la voce! Ti sentono i bambini.
- Non stanno crescendo, Grace. Hanno incubi tutte le notti. L’hai sentito Brian l’altra notte? – L’uomo fa uno sforzo per controllare il tono di voce, ma cominciano a tremargli le mani.
Grace guarda il marito vagare con uno sguardo addolorato per la stanza, per poi tornare a guardarla negli occhi e sbottare – E’ quasi svenuto!
La donna abbassa gli occhi sul copriletto e si domanda “per quanto altro tempo?” senza trovare le parole per finire di formulare il pensiero. – Era solo un sogno, si è spaventato…
- Aveva le mani sporche di fango, e non si ricordava nulla. Come diavolo ha fatto a uscire di casa? E dov’è stato? E Sunshine, che non sa ancora leggere, maledizione, e parla come un professore di storia?
La stanza piomba nel silenzio, con Jimmy a corto di fiato e parole, incapace di elencare tutte le incertezze e i dubbi che lo divorano quando pensa ai suoi due bambini, e Grace che segue i profili dei ricami delle coperte, persa nei pensieri che non può condividere con il marito perché non le crederebbe.
- Non stanno crescendo, amore. – mormora l’uomo atterrito dalle sue stesse parole. – Sembra rimangano bambini persi nel bosco in una favola.
Grace spalanca la bocca ma non ne esce alcun suono. 

   
 
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