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Autore: Wolf    16/07/2007    4 recensioni
Un solo attimo di silenzio. Era il loro primo bacio, ma quello mancato. Si era fatto inverno...
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E fu soprattutto quando entrambi alzarono gli occhi.

(N.d.A. Ebbene sì, stasera sono stato a vedere Harry Potter e L’ordine della fenice e mi è venuta l’ispirazione… Ron e Hermione sono perfetti assieme.

Li ho immaginati così, in un momento ipotetico in cui si sono rifugiati nella stanza delle necessità ad esercitarsi sulla difesa contro le arti oscure. Enjoy!)

 

 

 

 

Expelliarmus!”

 

Le loro voci si erano incrociate. Pareva l’autunno, quando il vento spazza via le foglie, e vento e foglie, disfandosi l’uno nell’altra, danno l’impressione di sovrapporsi, e che quell’unico istante in cui entrambi sono sospesi assieme nel niente, sia l’attimo della creazione e della distruzione di tutto l’universo. Nonostante questo, era inverno.

 

Quell’inverno, l’esercito di Silente funzionava, funzionava perché era il suo inverno, perché erano giovani, Harry era giovane, la minaccia di una possibilità concreta per cambiare le proprie vite, per timbrare l’essenza dell’aria con il marchio Grifondoro, era giovane.

Ron Weasley però, funzionava un po’ meno. Come sempre nella sua vita, Ron sembrava funzionare meno. Ron non era bravo come amico, né come ragazzo, non era il migliore dei figli, né si distingueva a scuola o nel Quidditch. Il mediocre Ron, con i capelli rossi, il fisico allampanato e la sensibilità di un bradipo. Quello che a faccia faccia con Hermione Granger, non aveva tempo nemmeno di pronunciare la S della parola Stupeficium, prima di ritrovarsi con il culo per terra dall’altra parte della stanza.

 

Ora la sua bacchetta, era per terra.

 

Lo sguardo azzurro spalancato stava scivolando per l’appunto sul pavimento, dove giaceva sconfitta la sua bacchetta, tra gli echi del legno nella stanza, in quel giorno d’inverno.

Hermione sorrideva appena, teneramente. Ma Ron Weasley, anche nel momento in cui il suo sguardo si spezzettò di nuovo in quello di Hermione, dall’altra parte della sala, non era in grado di vederlo. Per lui era un sorriso di pena. In effetti, era la pena della vincente, sul perdente.

 

Mh…”

Riproviamo Ron, dai…”

Na, lasciamo perdere Hermione…”

 

Con il passo curvo e stanco, una smorfia di quelle nel suo stile, si lasciò cadere a terra, seduto contro il muro, dopo aver raccolto la sua bacchetta da terra. Lo sguardo si piantò sulle sue scarpe e lì rimase anche nei secondi dopo, in cui Hermione si avvicinò a lui.

 

“Coraggio Ron, puoi farcela!”

 

Non la guardava nemmeno quando lei ritrasse la mano che stava per posargli su una spalla. Lo sguardo smarrito di lei, in un attimo, lo sguardo adiacente alla calorosa consapevolezza del baratro, che si concentrò su ogni muro della sala.

 

“No, che cazzo, non posso.”

 

Le mani di lui penzolavano dalle ginocchia, con un gesto stizzito.

Gli occhi azzurri gli si rialzarono senza forza su di lei, e la guardò perdersi con un respiro profondo, quasi dovuto ed improvviso, sui muri attorno; come se d’improvviso trovasse gli spazi troppo piccoli, o l’inverno fuori troppo freddo. Non ebbe tempo di accorgersene, ma fissandola, ne rimase completamente sbigottito, al punto da sentire un colpo duro allo sterno. Ma solo il suo respiro balbettava nel silenzio.

 

“Alzati.”

“No.”

“Ho detto alzati, Ronald!”

 

Lo sguardo nero, da caffeinomane, si rinfrancò nel suo come il francobollo sulla lettera. Quando non si attacca bene e gli assesti un pugno deciso per farlo completamente aderire, là, là dove è il suo posto. Con tanta forza che Ron dovette ritrarre il viso indietro, mentre i capelli gli sfioravano il muro gelato, d’improvviso. Non ebbe la voce per rispondere, e affogò in un altro respiro che balbetta e non mente e sentendo la voce aggrapparsi allo stomaco per non uscire dallo stomaco, richiuse le labbra che erano pronte a parlare.

Pronte ed incoscienti.

Ma non si mosse, rimase con le labbra serrate, le mani a penzoloni oltre i jeans che si serrano in uno sforzo di volontà involontaria, una sulla bacchetta, l’altra sul suo pugno.

 

Ron…”

 

Avrebbe quasi voluto supplicarla, ma non lo sapeva.

In effetti, erano tutti e due in quel raro momento in cui sei ancora così giovane da non sentire nemmeno una delle piccole voci del tuo inconscio. E non le senti, perché sei talmente in mezzo a quel trambusto adolescenziale che non sai assolutamente distinguere una sola voce, in quel coro così ben disposto a confonderti.

Avrebbe voluto supplicarla, in realtà, di non dire mai più il suo nome in quel modo, appoggiandolo alle labbra così, come se ci premesse contro con tutta la sua forza…

Quella forza.

Quella che permeava interamente Hermione Granger, scatenando in Ron quella che sembrava nascosta – mai ammessa -  e feroce stima, e qualcosa di più profondo e muto, che taceva le parole non richieste.

Non si mosse, rimase immobile, senza riuscire a trattenere l’impulso di abbassare gli occhi, senza riuscire a respirare, con le labbra ancora serrate in quella smorfia sconfitta e rassegnata, amareggiata, che gli si attaccava addosso così spesso.

Hermione non trattenne più la mano che bruciava nel ritrarsi, anche quella così spesso, e lo afferrò per la spalla, tirando il maglioncino granata.

 

“Dai…”

 

Il gesto era simbolico, quasi quello di una bambina che tira la manica di un adulto.

Perché Hermione Granger dopotutto era quella bambina che tira la manica di un adulto, nel profondo, proprio nello stesso posto in cui Ron Weasley era innamorato di lei.

Incapace peraltro di rendersi conto, anche solo di quella richiesta disperata e pacifica, Ron non fece altro che emettere un roco verso di disapprovazione, lanciando uno sguardo da ragazzo scontroso che ha voglia di bisticciare, dritto tra gli occhi scuri di Hermione. Una fucilata veloce, dritta al cuore di lei, che eppure sembrava alla vista rafforzato, mentre dentro ogni volta di più si incrinava.

Non rispose ancora, chinando la testa di più sulle sue scarpe.

Fu allora che il gesto di Hermione si ripeté, e divenne più profondo e violento, strattonandolo per la maglia mentre reciprocamente Ron si proponeva appena in avanti con un gesto istintivo del braccio, afferrandole con le dita strette la stoffa della camicia sul braccio.

Ottenne il sorpreso gemito di dolore di Hermione, che lo spinse allora istintivamente contro al muro sempre stringendo la sua maglia che ora gli si attorcigliava sgretolandosi in mille pieghe, attorno al collo.

 

E’ che come in tutte le migliori cose nella vita, non c’era stato bisogno né di parole, né di raziocinio.

Ora c’era l’eco del lamento di Hermione, che ancora digrignava i denti, scivolando in ginocchio di fronte a Ron. Le braccia d’istinto si lasciarono, e ricorsero al riparo.

Hermione si massaggiava il braccio, Ron la spalla.

Entrambi, apparivano molto più consapevoli di un dolore più profondo, non chiaramente distinguibile dalla paura e dalla gioia, il reale bisogno delle loro reciproche attenzioni curative.

Evitando accuratamente lo sguardo l’uno dell’altra, non guardavano niente e tutto, tamburellando contro muri e immagini troppo veloci, nell’immaginazione, con gli occhi tremanti di chi ha guardato per un attimo sul baratro. Ma un attimo così piccolo, da non poterlo distinguere da un sogno.

Lucido.

 

Erano entrambi così zitti che cantilenavano perfino gli specchi della stanza delle necessità. Si fissavano le spalle con la coda dell’occhio, tra i riflessi, l’un l’altra. Si guardavano le spalle, da loro stessi. Non sembrava esserci una parola, nemmeno una sola, da poter dire.

E per quei numerosissimi, preziosissimi, istanti, ad entrambi pareva di non averne mai conosciuta una di parola. Non avrebbero saputo dire, né da quanto tempo, né in che modo, erano vivi sotto forme definite. la magia avrebbe potuto sconfinare in tanto infinito.

 

E fu soprattutto quando entrambi alzarono gli occhi.

 

Allora la mente, prima lucida, si affollò di domande, punti interrogativi capovolti, svolazzanti, senza basi né completi, diagonali e di profondità differenti. Di parole, che sembravano tagliare l’anima in pezzettini. Ed entrambi sentirono in modi differenti, il pulsante bisogno di dichiararsi un affetto a parole, a parole di qualunque tipo. Un ti voglio bene, un mi dispiace, un per sempre…

 

Cazzo Hermione…”

 

O qualcosa del genere. Qualcosa che comprendesse nuova violenza, a squarciare le paratie dei dubbi. Qualcosa che potesse lanciare benzina sul fuoco, e accrescere il fumo così tanto da rendere possibile uno svenimento che liberasse da tutti quegli insopportabili, impossibili da decodificare, sentimenti.

Lei aprì le labbra sporgendosi in avanti all’improvviso, quasi da toccargli con le spalle le ginocchia. In realtà solo le punte dei capelli gli accarezzarono i jeans, ma le mani rimasero abbandonate stavolta tra le sue cosce inginocchiate sul pavimento freddo. Come se avessero incrociato le bacchette in un incantesimo qualunque, quando erano ancora fragili e mollemente lasciate andare dalla loro forza che li abbandonava, ora, facendoli restare vittime di qualcosa di tremendamente, spaventosamente, razionale.

 

Sei un cretino, avrebbe voluto dire lei. Stava caricando dentro si sé tutta la forza e la rabbia necessarie per inghiottire i chili sovrabbondanti di desiderio misto a dolore, prima di emettere quel fiato ricco di forme, dalle sue labbra. Stava lì, con i capelli che scivolavano di millimetro in millimetro sui jeans e sulle mani di Ron, le labbra pronte ad emettere il fiato vincente, sibilato, che non lascia scampo. Ron con la schiena premuta contro il muro come se cercasse in esso una spinta per potersi anche solo avvicinare, ma trovando solo un riparo e un carnefice.

 

E tutto era un momento.

Un momento, come d’autunno.

 

Come le loro voci incrociate.

 

Come il silenzio e le spinte violente l’uno contro e verso l’altra.

 

Questione di quegli attimi, solo uno, due, due secondi e mezzo, pieni di un cortocircuito di emozioni, quelle stampate nello spazio tra il passato e il presente, e nel tempo che intercorre tra le labbra e occhi.

 

E fu soprattutto quando entrambi alzarono gli occhi.

 

 

Poi Hermione non emise quel fiato. Scivolò senza essere toccata, nella sua razionale volontà. Ferrea e inconsistente assieme, come la tramontana o il mistral. Si premette sulle ginocchia per sentire la durezza irresistibile del terreno, si alzò.

Si alzò perché non era capace che di rendersi completamente nelle mani della sua scellerata mania di ragionamento, perché mordendosi le labbra si sentiva migliore come sempre. Senza contare i morsi al cuscino.

E lui rimase a guardarla senza fermarla. E con la smorfia in faccia, fu soprattutto quando lei non ci fu più, che sentì che l’autunno era finito.

E si era fatto inverno.

 

  
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