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Autore: Eva Fairwald    29/12/2012    0 recensioni
''L'ombra del sole'' è un romanzo urban fantasy per ragazzi, ambientato in parte in Italia ai giorni nostri e in parte in una dimensione parallela, dove la magia è una realtà e convive con la tecnologia. Il romanzo è scritto in terza persona con narratore esterno ma onnisciente per fornire sempre una panoramica dei pensieri di tutti i personaggi coinvolti e una buona visione d'insieme.
Dora è una ragazzina come tante, con una vita normale e un po' noiosa, divisa fra la scuola e il tempo libero. Un giorno la sua quotidianità viene sconvolta: un demone la attacca mentre aspetta l'autobus per tornare a casa. Un ragazzo la salva e la costringe a seguirlo alla Biblioteca Storica, quartier generale dell'Unione Segreta.
In una dimensione parallela l'Impero del Sole ha sottomesso tutti gli altri popoli, molti sono costretti alla schiavitù, ma alcuni si sono organizzati e pianificano da anni un modo per liberarsi dell'Imperatore Heliodoro. L'Unione Segreta è ormai pronta ad agire e combattere per la libertà.
Perché l'Impero ha inviato dei sicari sulle tracce di Dora? Chi è quel ragazzo che l'ha salvata e che cosa si aspetta da lei l'Unione Segreta?
Genere: Dark, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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         Dora si tolse gli occhiali e prese il panno: non aveva ancora capito come fosse possibile avere sempre le lenti sporche pur continuando a pulirle. Li tenne saldi al centro sulla montatura trasparente e già che c'era diede una passata anche alle stanghette rosse. Portava gli occhiali da quasi due mesi ormai e odiava averli addosso, cercava di farsene una ragione, ma il suo viso deturpato dagli occhiali continuava a non piacerle.
         L'ottico le aveva detto che sarebbe stato come mettere i suoi bellissimi occhi azzurri in una vetrina, come un paio di brillanti da Tiffany… ma Dora non la pensava esattamente allo stesso modo, si sentiva di più come se gli occhiali cercassero di appropriarsi della sua faccia e di nasconderla al mondo.
         Gli avvistamenti del nuovo studente si erano protratti per tutta la settimana, senza tuttavia portare a nuove scoperte. Passava sempre tutto l'intervallo da solo a leggere la bacheca o a passeggiare per il corridoio. A quanto pareva non aveva socializzato con nessuno e neanche chiedendo alle ragazze delle altre classi era riuscita ad avere qualche informazione sul suo conto. La cosa era insolita, la loro scuola era grande, ma non enorme e si trattava pur sempre di una piccola città, non di una grande metropoli. Prima o poi le cose si venivano a sapere e almeno di vista ci si conosceva più o meno tutti. Nonostante le domande ai conoscenti delle altre classi, la provenienza del nuovo arrivato era ancora ignota. Se la scuola fosse stata interessante anche solo la metà di come appariva nei film americani, a quest'ora, grazie alle apparizioni in mensa e alle mille attività extrascolastiche avrebbe già saputo ogni cosa.
         Osservare quel ragazzo era ormai l'attività centrale della mattinata perché era troppo strano per farne a meno. Dora si sarebbe aggrappata a qualunque novità pur di sfuggire alla noia, anche se per pochi minuti.
         Aura di mistero a parte, sembrava un ragazzo normale, contro ogni aspettativa aveva persino risposto ad alcune delle occhiate di Dora. Speriamo non si faccia strane idee… aveva pensato la prima volta. Poi però durante la lezione di filosofia, aveva ripensato all'accaduto, filosofeggiava dopo tutto no? Insomma, alla fine se ne era uscita con un: ma che idee vuoi che si faccia uno così?
         Quando durante l'ora di ginnastica nel giardino della scuola lo sorprese ad una finestra fu addirittura contenta di vederlo e, per timore di essere fraintesa, non disse nemmeno nulla alle sue amiche, che tanto si accorsero della sua presenza poco dopo.
         I commenti nei suoi confronti erano migliorati dal primo giorno. Alessandra non gli aveva più dato del semaforo, sembrava invece essere stata colpita da un certo paio di jeans e Giorgia aveva molto apprezzato una maglietta particolarmente attillata. Dora si limitava a concordare, ma raramente aggiungeva qualche parere personale. Si sentiva in imbarazzo a trattarlo così, anche se tutti i loro commenti erano estremamente positivi. C'era qualcosa che andava oltre l'apparenza, Dora era incuriosita dal suo comportamento, non che l'aspetto non le interessasse, ma parecchie domande le frullavano in testa e non sarebbero stati un paio di bicipiti a fornirle le risposte che cercava.
         Dora pensò di essere pazza quando cominciò a vederlo anche fuori da scuola.
         Era sabato quando lo adocchiò sul suo stesso autobus e, anche se faceva l'indifferente, era sicura di essere stata notata. Rayban Wayfarer neri con lenti a specchio, polo bianca, jeans scuri, cuffie al collo, iPhone in mano, zaino nero su una spalla; si confondeva alla perfezione fra gli altri studenti, ma Dora l'aveva riconosciuto al primo sguardo.
         Non voleva farsi qualche film in testa, ma credeva di essere abbastanza sveglia da accorgersi se qualcuno la stava osservando. Anche perché, da quando qualche mese prima aveva cominciato a ricevere telefonate anonime a casa e i ladri erano stati a rubare nell'appartamento sotto al suo, aveva imparato a stare più attenta e a tenere gli occhi aperti. O almeno così credeva.
         Tirò un sospiro di sollievo quando le porte si chiusero alle sue spalle e l'autobus la lasciò sola alla fermata. Che il nuovo arrivato vivesse nel suo paese le sembrava improbabile, altrimenti l'avrebbe beccato sull'autobus fin dal primo giorno. Si disse che certamente aveva qualcosa di meglio da fare che sorbirsi venti minuti di strada solo per seguire lei.
         Con gli auricolari ben saldi alle orecchie e la musica a tutto volume si avviò verso casa e non fece minimamente caso alla figura sbucata da una via traversa e che aveva adeguato il proprio passo al suo. Poco dopo le figure diventarono due, quella che camminava ad un centinaio di metri da Dora ed una più lontana, ancora in fondo alla via dove c'era la fermata e che correva a gran velocità.
         Dora aveva fame, il suo stomaco brontolava, doveva andare in bagno, lo zaino era pesante e sapeva che in freezer la aspettava anche una vaschetta di gelato al cioccolato, quindi aumentò il passo.
         L'inseguitore di Dora sentì un rumore alle sue spalle e quando si voltò era ormai troppo tardi per salvarsi. Era stato raggiunto, la sua missione era fallita, sentì le mani agguantargli la faccia e con uno scatto violento spezzargli il collo, senza nemmeno lasciargli la possibilità di parlare o in qualche modo difendersi.
         L'assassino diede un'occhiata al cadavere, il tatuaggio a forma di sole che aveva sull'avambraccio svanì. Poi alzò lo sguardo per cercare Dora e il suo zaino rosa. Era quasi arrivata ad una svolta, ma sapeva benissimo dove abitava e non aveva bisogno di pedinarla per rintracciarla. Tuttavia, tenendosi ad una certa distanza le stette dietro fino a quando non entrò in casa.
         Ignara di tutto quello che era appena successo alle sue spalle, Dora arrivò finalmente a casa e il suo pomeriggio di relax cominciò.
         Si era assopita sul divano mentre guardava la TV da pochi minuti quando il telefono squillò. Il suono acuto le perforò i timpani e la svegliò di soprassalto. Con un movimento scattante quanto quello di un bradipo in agonia fece strisciare un braccio verso il tavolino e afferrò il cordless.
         Sul display arancione lampeggiava la scritta ''Sconosciuto''. Non era affatto una novità per Dora. Schiacciò il tasto con la cornetta verde e, come si aspettava, nessuno rispose dall'altro capo, come al solito. Dora scaricò una vagonata di insulti, ma il suo interlocutore riattaccò troppo presto, impedendole di impiegare appieno la sua creatività.
         Ecco, l'integrità del suo pisolino pomeridiano era stata compromessa, il cattivo umore era sulla buona strada. Dora richiuse gli occhi e non ci mise molto per addormentarsi di nuovo.
         Dopo un pomeriggio passato a poltrire, Dora andò con gli amici in birreria, cioè a poltrire da un'altra parte. Non sapeva però che qualcuno curava ogni sua mossa da una Seat Ibiza blu nel parcheggio del palazzo di fronte al suo. Andavano in quella birreria tutte le settimane da mesi ormai e per quanto il posto fosse confortevole, Dora cominciava a stancarsi.
         Si sedette al solito tavolo, con i soliti amici, nella solita birreria. Il solito cameriere servì le solite birre e li rifornì delle solite patatine. Questa volta però si era fatta furba e si era seduta in una posizione strategica, dalla quale poteva vedere discretamente bene chi entrava e chi usciva dal locale. Non che avesse particolari speranze di fare incontri interessanti, ma chissà, non aveva nulla da perdere. In realtà avrebbe voluto fare nuove conoscenze e respirare un po' di novità, ma nonostante il carattere estroverso, fare nuove amicizie era decisamente difficile in un ambiente chiuso come quello in cui abitava.
         Abbassò gli occhi per prendere una patatina e quando li rialzò la birra le andò di traverso. Seduto al bancone, solo naturalmente, c'era lui, il nuovo arrivato! Aveva appena ordinato e si guardava attorno. Che stesse cercando qualcuno? Di certo lo specchio appeso alla parete dietro al bancone l'avrebbe aiutato nel suo intento.
         «Cos'hai? Hai visto un fantasma?» le disse Simone, che era seduto di fianco a lei.
         Che stesse cercando proprio lei? O aspettava degli amici, o una ragazza?
         «No… solo un colpo di tosse.»
         Dora mentì. Non le andava di condividere i suoi pensieri, non in quel momento. Non voleva essere giudicata, non voleva passare per la solita paranoica. Tanto se avesse provato a spiegare la situazione ai suoi amici, si sarebbe sentita dire di smettere di drogarsi di telefilm e libri e di cominciare a frequentare il mondo reale un po' più spesso e, possibilmente, non da sola.
          Il ragazzo si voltò nella sua direzione e i loro sguardi si incrociarono. Dora non aveva intenzione di cedere per prima. Non ne era certa, ma le parve che per una frazione di secondo gli angoli della bocca di quel noto sconosciuto si fossero alzati accennando un sorriso. Era la prima volta che vedeva sul suo viso un'espressione diversa da quella seriosa e quasi preoccupata che sembrava avere stampata in faccia. L'avrebbe voluto vedere da vicino, avrebbe voluto sentire il suono della sua voce.
         Era un bel ragazzo, non poteva fare a meno di ammetterlo; i tanti commenti scambiati nell'intervallo erano pienamente giustificati e  condivisibili. I capelli castano chiaro con riflessi ramati erano una nota insolita e i suoi occhi… beh non erano scuri, ma Dora non era mai stata abbastanza vicina da riuscire a distinguere esattamente il loro colore. Una volta le erano sembrati verdi, ma era ben lontana dall'esserne sicura. La maglietta dell'Hard Rock Café di Dublino lasciava scoperte le braccia scolpite e gli stava quasi aderente contro il petto.
         Dora stava valutando l'idea di ricambiare e persino di andargli a parlare con la scusa di alzarsi per ordinare di nuovo, almeno avrebbe risolto il mistero e già che c'era avrebbe anche scoperto se aveva gli occhi verdi o semplicemente castani. Sarebbe stato carino conoscere almeno il nome della persona che ogni giorno spezzava la monotonia delle sue mattinate. Si era quasi decisa, quando un uomo si sedette al bancone accanto al ragazzo frapponendosi fra loro e costringendoli ad interrompere il contatto.
         Indossava una maglia sbracciata, i raggi del grande sole che aveva tatuato sulla spalla si arrampicavano fino alla base del collo, segnando vistosamente la sua pelle pallida e dall'aspetto quasi malsano. L'uomo la squadrò e Dora, disgustata, distolse lo sguardo e cercò di prestare attenzione alla conversazione in corso al suo tavolo.
         Il ragazzo guardò il tatuaggio, poi fissò l'uomo dritto negli occhi e si mise a ridere.
         «Che hai da ridere?»
         Invece di rispondere, lanciò un'occhiata allo specchio di fronte a loro e poi ripuntò gli occhi verdi in quelli neri dell'uomo. Mentre il suo interlocutore stava imitando i suoi movimenti per cercare di capire, gli appoggiò una mano sul braccio e a bassa voce parlò.
         «Sembra che qualcuno abbia un problema con gli specchi…» fece una pausa e guardò l'orologio, le lancette segnavano le 22.00, «e vista l'ora,  anche con le autorità.»
         «Andiamo, non vorrai denunciarmi solo perché ho aperto la caccia con un paio d'ore di anticipo.»
         Il ragazzo prese il cellulare dalla tasca dei jeans, scese dallo sgabello e si avviò verso l'uscita del locale.
         Se avesse ancora avuto un battito cardiaco la frequenza sarebbe salita fino alle stelle. L'uomo si alzò di scatto per raggiungere il ragazzo: nessuna immagine riflessa seguì i suoi movimenti.
         Quando l'uomo uscì dal campo visivo di Dora, non era il solo ad essere sparito. Anche il ragazzo misterioso si era volatilizzato, sparito nel nulla… lui e la prospettiva di una ventata di novità nella sua vita.
         Dora era furiosa, probabilmente era tutto nella sua testa e non aveva nemmeno il diritto di sentirsi così, ma lo stesso, non poteva farne a meno. Era da giorni che si scambiavano occhiate fugaci, ma mai nessuna era durata così tanto. Doveva pur voler dire qualcosa? Poteva essere interessato a lei? E lei era interessata? Beh ancora non lo sapeva, se solo avesse potuto scambiarci due parole! Forse sperava di potergli leggere negli occhi le risposte che cercava o forse voleva solamente che si schiodasse da quello sgabello e che facesse qualcosa, qualunque cosa, ma che facesse una mossa!
         E la mossa l'aveva fatta, se ne era andato. Non le aveva nemmeno lasciato la possibilità di smettere di aspettare che fosse lui a farsi avanti. Non che volesse davvero fare la prima mossa, ma magari prima o poi avrebbe perso la pazienza e si sarebbe avvicinata. Tanto che aveva da perdere? Al massimo sarebbe stata solo una figuraccia in più da aggiungere alla sua collezione. Era il senso di impotenza, quella certezza dell'occasione sprecata che l'aveva fatta arrabbiare così tanto.
 
 
 
 
         L'uomo fermò la porta prima che si chiudesse alle spalle di quello sconsiderato. Il gruppo di persone che stava sull'uscio a fumare non si curò di lui, né del ragazzo che con passo sempre più veloce svoltava nel vicolo alla sua destra.
         Il baluginio dei lampioni non arrivava fino alla fine della stradina, lì era l'oscurità a farla da padrona. Gli occhi dell'uomo divennero due globi scarlatti, fissi sulla luce del display del cellulare.
         «Metti via quel coso e non diventerai il mio antipasto.»
         Il ragazzo lo schernì con una risata e finse di comporre un numero.
         Due canini candidi scesero fino ad accarezzare il labbro inferiore dell'uomo e, prima che il ragazzo cliccasse sulla piccola cornetta verde, si lanciò contro di lui.
         Il vampiro non sapeva con chi aveva a che fare e l'idea che lo stesse provocando intenzionalmente non gli venne nemmeno per sbaglio: invece di affondare i denti nel collo del ragazzo, si trovò con le spalle contro il muro. Una mano stringeva la sua gola come una morsa rovente.
         «Quanti altri sicari sono sulle sue tracce?»
         Il vampiro cercò di liberarsi, ma quella mano si fece ancora più calda, il dolore era insopportabile e il lezzo della carne bruciata, della sua carne che si stava lentamente disfacendo lo immobilizzò.
         «Quanti ne vuoi. Aspettano solo l'ordine.» rispose con un filo di voce.
         Il ragazzo frugò nelle tasche del vampiro con la mano libera e prese il suo cellulare. Andò nell'elenco delle chiamate ricevute, le ultime cinque provenivano tutte da un numero salvato come ''X''.
         «Andiamo… nemmeno nei peggiori telefilm in seconda serata salvano il numero del capo con una ''X''.»
         Il vampiro ringhiò e il ragazzo fece partire la chiamata.
         «Fatto?» rispose una voce.
         Il ragazzo guardò il vampiro negli occhi rossi e sorrise.
         «Sì.» disse simulando una voce più profonda e stringendo la presa sulla gola; se fosse stato umano non sarebbe più riuscito a respirare.
         «Il tizio mandato dai ribelli ti ha infastidito?»
         «No.»
         «Bene, troverai il pagamento sul tuo conto appena mi invierai una prova.»
         Il ragazzo chiuse la chiamata e dopo averlo spento mise il cellulare nei propri pantaloni.
         Una cicatrice a forma di ''V'', inclinata su un lato e con l'intersezione rivolta verso l'interno prese improvvisamente vita e si illuminò come fuoco vivo sul polso del ragazzo.
         «Addio.»
         Una fiamma si sprigionò dalla sua mano e il fuoco attecchì subito ai vestiti del vampiro. Mollò la presa solamente quando si ritrovò a stringere un pugno di cenere. Si sfregò una mano contro l'altra per pulirsi dalla cenere e, come se nulla fosse, uscì dal vicolo e rientrò nel locale.
         Dora era ancora seduta a quel tavolo. Quella sera sembrava molto più carina di come era di solito a scuola. Forse era la canotta aderente e scollata  che a scuola non si permetteva di indossare, o forse era il fatto che avesse tolto gli occhiali, oppure i capelli biondi e ricci lasciati sciolti lungo le spalle… o magari un misto di tutti questi particolari.
         Il ragazzo sarebbe rimasto volentieri ad osservare Dora, ma quando lei lo aveva visto entrare si era affrettata ad ignorarlo e lui decise che per quella sera il gioco era finito. Le sorrise e, per la seconda volta nel giro di pochi minuti, attraversò nuovamente la soglia della birreria.
 

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