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Autore: Alice Morgan    29/12/2012    2 recensioni
La diciassettenne Ariel Green non ha mai creduto di essere una ragazza normale. Perché Ariel, dopo la perdita del padre, è venuta in possesso di un potere terribile ed oscuro: percepire la morte imminente di chi le sta a fianco. Per le vie sporche e strette che si srotolano dal centro cittadino, negli ospedali e persino sui mezzi pubblici … ogni volta che qualcuno sta per morire, lei lo sente. E non può fare nulla per fermarlo. Fino a quando, un giorno, un terribile presentimento fa tremare ogni singola cellula del suo corpo e la lascia senza fiato. Per la prima volta la Morte non sembra cercare nessuno. Perché, questa volta, la Morte vuole lei.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5 – seconda parte
La bocca del Diavolo

    
La vita è un sogno dal quale ci si sveglia morendo.
Virginia Woolf

 

Tutto quello che Ariel riuscì a percepire nei successivi cinque secondi, fu un’infinita sequela di rumori assordanti che parevano volerle sfondare il cranio. Urlò, mentre la porta si disintegrava in milioni di affilatissime schegge di compensato che si dirigevano minacciose verso di lei.
«Giù!», gridò Mitch e la schiacciò a terra con tutto il peso, facendole da scudo, i pezzi di legno che si abbattevano in uno scrosciare disordinato su di loro. La ragazza si fece scappare l’ennesimo urlo di terrore, mentre il panico la teneva stretta in una morsa agghiacciante. Il Genio si inginocchiò e le afferrò il braccio. Aveva uno sguardo folle, un misto di eccitazione e terrore, e guardava Ariel con quei grandi occhi grigi quasi temesse di poterne dimenticare il volto. «Ascoltami bene», disse. Il suo tono di voce era fermo, eppure la ragazza poteva vedere la preoccupazione nei tratti improvvisamente duri del suo viso. « Tu adesso ti nascondi. E non esci finché non è tutto finito, hai capito?».
Le corde vocali come carta vetrata, Ariel non rispose. Lo shock, la nausea e la sensazione che stesse per accadere qualcosa di brutto – di veramente brutto – le impedivano di muoversi. Mitch, impaziente, la prese per le spalle e la scosse. «Ariel, guardami! Hai sentito quello che ho…».
Il rumore di migliaia di piccole schegge di vetro proruppe violento nella stanza. Quasi ci fosse stata una bomba atomica, tutte le finestre andarono in pezzi, provocando una pioggia di cristalli affilati e pronti a ferire. Il Genio lanciò un’imprecazione, mentre un bagliore verdastro si sprigionava dal suo corpo e lo avvolgeva in una sorta di involucro insieme ad Ariel. I vetri si scagliarono contro di loro, ma né Mitch, né la ragazza si fecero del male. Questa si ridestò giusto il tempo per capire cosa stessa succedendo. «Devi nasconderti», ripeté il ragazzo. «Subito!».
Ariel annuì, mentre si alzava e si faceva spazio verso il piano di sopra. Il cuore le batteva forte, i nervi che le bruciavano sotto il sottile strato di pelle che li ricopriva. Fece le scale il più velocemente possibile, spesso rischiando di perdere l’equilibrio e farsi male. Conscia di non potersi permettersi esitazioni, ritardi, mosse azzardate o checchessia, si chiuse la porta di camera sua alle spalle il più velocemente possibile. La schiena appoggiata al piano di compensato, strizzò gli occhi e tese le orecchie, in attesa di cogliere cosa stesse accadendo di sotto. Cercò di moderare il respiro in modo tale da poter sentire meglio, ma lì, intrappolata nella sua stanza, le mura della casa sembravano esser diventate impenetrabili. O, forse, il suo udito era disturbato semplicemente dal ronzio che le intasava le orecchie da quando qualcosa aveva buttato giù la porta d’ingresso. O qualcuno.
Un’ombra oscurò la finestra. Ariel spostò velocemente lo sguardo verso di essa, mentre il lampadario sopra la sua testa sfrigolava in minuscole scintille e si spegneva con un sospiro. Si concentrò sulle mattonelle del pavimento per impedirsi di urlare. Perché, se c’era una cosa che avrebbe voluto fare, era proprio gridare. Per la paura. Per il panico che le aveva reso carta vetrata la bocca. Per l’ossigeno, che in quel momento sembrava troppo poco. Per il possedere quello strambo dono. Per i Red Rose che gliel’avevano dato.
E per le urla di Mitch, che ora le arrivavano limpide e chiare all’orecchie, in un’unica, terrificante sinfonia. E le ordinavano quello che i suoi muscoli le impedivano di fare.
«Corri!».

***

 
Un bagliore violaceo proruppe nelle tenebre della camera. Tutto si tinse delle nuance dei ciclamini: le pareti, il soffitto, le ingenti quantità di libri sul pavimento. Solo, che ad accompagnare il colore, non era il profumo delicato dei fiori, quanto più la puzza di putridume e marcio della Morte. Le narici di Ariel pizzicarono e le fecero male, quando inspirò l’aria attorno a sé.
Dagli infissi della finestra, sottilissime lingue di vapore penetrano l’interno della stanza. Sfioravano delicate il pavimento lasciandosi dietro materiale fuso e maleodorante. E si dirigevano verso di lei, modellandosi in forme contorte e agghiaccianti nel tentativo di raggiungerla.
In un moto di terrore, la ragazza si girò e afferrò il pomello della porta, strattonandolo con forza per aprirla. Ma non appena le sue dita si posarono sull’acciaio, lanciò un grido. La maniglia era incandescente, come era diventata calda qualsiasi cosa, lì dentro. Dovette trattenere l’ennesimo singhiozzo quando si rese conto – e non senza una certa angoscia – che la porta si era completamente fusa con le mura della stanza, in un rivoltante agglomerato di legno e cemento.
Era in trappola.
Quella constatazione la fece quasi tranquillizzare. Stava per morire, dunque. La Morte aveva ottenuto quello che voleva e i Red Rose avevano fallito. Sperò, se non altro, in un qualcosa di rapido e indolore.
A smentire ogni sua speranza, un dolore lancinante le trafisse la gamba: il vapore – o qualsiasi schifezza fosse – l’aveva raggiunta. Con un misto di orrore e sorpresa, Ariel si accorse che la sua consistenza era più quella di una gelatina molle, che di un fluido e, quasi dotata di vita propria, l’agguantava in una presa forte e salda. Come a volerla scavare dall’interno, la cosa iniziò a … fonderla. Vide chiaramente la pelle divenire raggrinzita, come invecchiata di cent’anni, e sciogliersi in un mare di sangue e pus. Avrebbe voluto vomitare.
E, invece, iniziò a piangere.
Stupida sciocca, si disse. Reagisci.
Ma le lacrime cominciarono ugualmente a rigarle le guance, mentre il polpaccio sinistro si riduceva ad una poltiglia e ogni speranza che aveva di sopravvivere si affievoliva insieme alla sua vista. Quasi riuscì a sorridere mentre il buio la inghiottiva e perdeva i sensi.
L’ultima cosa che riuscì a percepire, fu il boato di qualcosa che andava in frantumi.
 

***

 
Riprese conoscenza troppo presto. Le immagini davanti a lei apparivano ancora sfocate, ma l’udito e – aimè – l’olfatto avevano ripreso a funzionare alla perfezione. La puzza di marcio la investì come un carro armato, provocandole l’ennesimo conato. Questa volta non si trattenne e rovesciò il contenuto pressoché inesistente dei suoi pasti.
Davvero disgustoso.
«Ariel».
Una voce, quella di Mitch, la costrinse ad aguzzare la vista e concentrarsi su quello che aveva attorno.
Quasi le venne da ridere.
Il Genio, sempre in jeans e maglietta, le stava davanti con l’espressione preoccupata e la teneva per le spalle, in modo da non farla scivolare. Era incredibilmente bello, si rese conto Ariel. Bello nonostante i tagli, i capelli arruffati e … il vomito sui vestiti.
Arrossì. A quanto pare aveva abbastanza sangue in circolo per permetterselo.
Buon segno.
«Riesci a camminare?», le domandò. Quella scosse la testa e, nel farlo, il mondo sembrò fare una capriola. Si guardò in giro. Si trovavano all’interno di quella strana bolla verde che Mitch aveva usato prima per proteggerli, però la stanza era diversa. La carta da parati rosa pallido era indubbiamente quella della camera da letto di sua madre.
«Dobbiamo uscire di qui», continuò il Genio. «Dovrò trasportarti, il che ci rallenterà».
«La mia gamba …», iniziò Ariel, la voce ridotta a un sussurro, improvvisamente consapevole del dolore che le percorreva a intervalli lunghi e regolari tutto l’arto sinistro.
«Guarirà», tagliò corto il Genio. «Ascoltami», e nel dirlo le afferrò il mento con una mano per calamitare lo sguardo di lei nel suo. «Usciti di qui, ci sarà parecchio casino. È una fortuna che tu viva fuori città, altrimenti la polizia avrebbe già circondato la casa. Fatto sta che, prima o poi, questo posto si riempirà di gente e a quel punto dovremo spiegare parecchie cose», alzò un sopracciglio, in un gesto eloquente.
E sexy.
Okay, smettila.
«E tu non vuoi raccontare quello che è successo, vero?», chiese Mitch, ovviamente retorico, ma Ariel scosse la testa in risposta, imprecando sottovoce quando la stanza iniziò nuovamente a girare.
«Perfetto», disse e si alzò, trascinando con sé la ragazza. La prese da sotto le ascelle, come una poppante, e con una torsione del braccio la sollevò, portandosela alla schiena. Con le poche forze che le rimanevano, Ariel allacciò le braccia al collo di lui, abbandonando la fronte sulla sua spalla. Inspirò forte. E arricciò il naso.
«Puzzi», si lamentò, prima di riuscire a trattenersi. Per un momento ebbe paura si potesse offendere, ma, non seppe perché, qualcosa le diceva che Mitch stesse sorridendo.
«È colpa della tua personalissima fragranza al gusto di vomito», rispose quello, confermando il sospetto della ragazza.
Che razza di bastardo.
«Vai all’inferno».
«Ci siamo già» e in quella, tirò un calcio alla porta, aprendosi un varco nella bocca del Diavolo.
 

***

 
Il montre molle di Salvador Dalì. Fu la prima cosa che venne in mente ad Ariel osservando le pareti liquefatte di casa sua, ormai divenuta un grottesco relitto di ciò che era stata in passato.
I brividi che le percorrevano la schiena, strinse più saldamente la presa attorno al collo di Mitch, probabilmente rischiando di strozzarlo.
Attraversarono i corridoi in silenzio. Spesso, anni prima, si era ritrovata a pensare a quanto fosse piccola la sua casetta se paragonata alle ville del centro. In quel frangente, le pareva persino troppo grande. Non vedeva l’ora di uscire da lì, osservare ancora una volta il cielo uggioso di febbraio, riabbracciare sua mamma …
Mia mamma!
Il pensiero di cosa le avrebbe raccontato una volta tornata per il week-end la paralizzò. Come avrebbe potuto spiegarle che la loro casa era andata completamente distrutta? Prima o poi l’avrebbe vista, avrebbe notato che quello che era accaduto non poteva essere il frutto di un banale incendio. E avrebbe fatto domande. Tante domande. Quesiti cui lei non poteva rispondere, anche perché Ariel stessa, per prima, non sapeva darsi una spiegazione. Si promise di chiedere a Mitch, una volta fuori di lì e di chiamare sua madre, sperando si bevesse la prima storiella le fosse venuta in mente.
Lo scricchiolio di qualcosa riportò la ragazza alla realtà. Sotto la maglietta, poté percepire i muscoli del Genio tendersi e allarmarsi, quasi fossero stati attivati da un interruttore invisibile.
Un capogiro la travolse quando si rese conto che la prospettiva del suo campo visivo era notevolmente distorta: il corridoio le sembrava troppo largo e le pareti che li circondavano parevano andando incrinandosi verso di loro, in un lugubre e terrificante movimento a moviola.
Il rumore assordante di qualcosa che si spezza e poi un boato minacciarono di farla svenire per la seconda volta.
Deglutì, mentre la consapevolezza di quella nuova minaccia le irrigidiva a uno ad uno tutti i nervi del corpo.
La casa stava per crollare.
E loro erano ancora all'interno.
 
Note dell’autore:
Non odiatemi se finisco sempre di scrivere sul più bello (o brutto, in questo caso) … mi piace creare suspense. O, almeno, ci provo.
Che dire? Lo so che vi avevo promesso una slide story, ma ho deciso di pubblicarla per il primo dell’anno, come regalo a chi mi segue :)
Spero di aggiornare il prima possibile. Perdonatemi, come sempre, per i mille ritardi! Un bacione e buon anno, nel caso in cui me ne dimenticassi!
Ellie.

  
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