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Autore: Beliel    16/07/2007    2 recensioni
Un ragazzo distrutto dall'alcol e dalla droga... ma giunge inattesa una possibilità di salvezza...
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4:Crisi

4:Crisi

 

 

Non me ne accorsi, ma preso dalla lettura il tempo passò velocemente e di Valeria nessuna traccia.

Mi stavo incominciando a preoccupare per lei, che fosse arrabbiata con me?

E poi,seppur in ritardo, il desiderio della droga incominciò a farsi sentire.

Avevo ancora un po’ di cocaina nel giubbotto, per cui mi guardai intorno per cercarlo, ma non lo trovai.

Cominciai a sudare freddo e a essere in ansia, desideroso della sostanza.

Cercai di concentrarmi sulla lettura, ma quando si è arrivati a questo punto, non si può più fare a meno della droga, a meno che si voglia impazzire.

Inutilmente tentai di addormentarmi.

Decisi che, anche se costretto a frugare per tutta la casa, avrei trovato il giubbotto con dentro il mio tesoro.

E in quel momento tornai a essere ossessionato, convinto di essere spiato, perseguitato.

L’effetto della cocaina, in tutta la sua forza.

Solo allora mi accorsi che la porta della stanza era chiusa a chiave.

Ero imprigionato, mi sentivo morire lì dentro.

Mi coricai sul letto, in lacrime, con la testa sotto il cuscino.

Volevo la droga, potevo uccidere per la droga, cercai qualcosa per sfondare la porta, ma inutilmente.

Mi misi a gridare più forte che potevo, ma il mio era solo un debole lamento che non raggiungeva l’orecchio di nessuno.

Stavo per impazzire, quando finalmente, in preda al mio delirio, sentii la serratura della chiave che si muoveva e in seguito la porta aprirsi.

Entrò Valeria, con qualcosa in mano, ma appena mi vide in quello stato, lasciò cadere per terra tutto con uno schianto e mi fu vicino.

Si sdraiò velocemente accanto a me e mi abbracciò forte, tenendomi fermo, dato che ero in preda a forti convulsioni, simili a crisi epilettiche.

E restammo così per non so quanto tempo: io chiedevo la droga, ma lei non mi rispondeva e mi teneva fermo, e io non avevo la forza di reagire.

Appoggiò la sua testa sul mio petto, come se fosse la mia ragazza e restammo così in silenzio.

Non mi guardava negli occhi, ma mi accorsi che, di nuovo, stava piangendo.

Poi so soltanto che svenni.

 

Valeria era per terra, in una pozza di sangue, l’avevo uccisa io.

Ancora con il coltello in mano, con il sangue che gocciolava, mi disperai.

L’avevo uccisa perché mi aveva impedito di assumere la droga, ma ora che l’avevo fatto mi sentivo in colpa.

Sentii delle sirene: era la polizia.

Una pattuglia sola: scesero di macchina con le pistole puntate contro di me, mormorandomi qualcosa che non riuscivo a capire.

Mi mossi e sentii un colpo.

 

Mi svegliai di soprassalto, ancora intontito, ma stranamente non più bisognoso di droga.

Mi accorsi guardando verso la finestra, che era notte fonda.

Di Valeria nessuna traccia.

Era da tanto che non mangiavo e mi sentivo debole.

Accesi la luce e mi guardai intorno: Valeria sul comodino mi aveva lasciato un recipiente pieno di cibo.

Mangiai con gusto ogni cosa e mi sentii soddisfatto come mai era successo: il cibo era stranissimo, ma mai avevo mangiato qualcosa di così buono.

Non volendo disturbare Valeria che sicuramente dormiva( e lì mi sbagliavo, come in futuro vi dirò) e non avendo sonno, presi il libro del giorno prima, Il nome della Rosa, e continuai a leggerlo.

Ero arrivato al punto in cui uno dei monaci era stato trovato morto in una bacinella colma di sangue di maiali.

Cercai di immaginarmi la scena e mi venne da ridere: era proprio vero che la droga mi aveva danneggiato il cervello(e ancora oggi lo noto) permanentemente.

 

  
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