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Autore: _alexa    30/12/2012    3 recensioni
Arin Helen Ullik era la Regina delle Terre del Nord. Amava il suo popolo, al punto che per esso commise un grave errore. E allora venne ripudiata. Costretta a sopravvivere, anzichè vivere. Costretta a nascondersi, perchè da Regina è divenuta fuorilegge.
“Tu hai conosciuto tutti e due i mondi. Tu eri una Regina, vivevi nel lusso, comandavi tutto e tutti. E poi sei caduta in disgrazia, abbassandoti al livello dei ladri e dei truffatori per riuscire a sopravvivere. Io ti sto offrendo la possibilità di vivere, invece che di sopravvivere. Di conoscere la vera essenza di quella che tu oggi chiami Magia. Di conoscere davvero il Caos.” si avvicinò ulteriormente, tanto che dovetti alzare di più la testa per riuscire a guardare quegli occhi verdi animati da quella malizia che nessun libro avrebbe mai potuto descrivere.
E fu guardando quegli occhi e ciò che contenevano che decisi di accettare.
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Ho un incarico per te.”
Furono queste le parole che mi accolsero quella mattina quando entrai nella Sala Vuota. Lokj era già sveglio e mi stava aspettando, come sempre. Non l'avevo mai visto dormire, e m'era venuto il dubbio che non si coricasse affatto.
Non so per quale motivo, ma avevo intuito che quella mattina non sarebbe stata come tutte le altre. E la frase con cui mi accolse il mio Maestro non fece altro che confermarmelo. “Incarico?” domandai con tono perplesso.
Lui annuì. “Alcune volte, le persone pregano affinché io soddisfi i loro desideri. Mi convocano perché io porti il Caos nelle vite dei loro nemici.”
“E questa volta volete che sia io a eseguire ciò che altri vi hanno chiesto di portare a termine.” Lokj annuì di nuovo. “Devi andare a Zatmeniye. Nella casa del suo signore.”

Zatmeniye era una città vivace. Le Terre del Nord avevano sette città principali, una per ognuno dei Sette Dei, e ogni città era gestita da un signore. Zatmeniye era una delle mie preferite, quella a cui facevo visita più volentieri quando ero principessa e poi Regina. Era la città delle feste, dei divertimenti e del Carnevale. Ma non era per quello che ero andata lì quel giorno.
Prima di uscire dalla Caverna avevo avuto una forte discussione con Lokj. Oserei dire che avevamo litigato. L'incarico era uccidere il signore di Zatmeniye.
Quando Lokj me lo aveva detto, ero rimasta ammutolita per diversi secondi, che credo si fossero poi trasformati in minuti. Lo avevo guardato con occhi sgranati, busto in avanti e mani completamente aperte, fino a quando le mie labbra non avevano trovato il modo di trasformare i miei confusi pensieri in parola. “State scherzando, vero?”
Lui aveva scosso la testa. “No, Arin. È il tuo incarico.”
“Io non ucciderò il signore di Zatmeniye solo per il capriccio di un abitante.” avevo replicato, riprendendo finalmente l'uso anche del resto del mio corpo.
Lokj non si era mosso. “E invece è esattamente quello che farai, Arin. Non accetterò altre obiezioni.”
“No!” avevo esclamato, scuotendo la testa. “Io ho dei principi che voglio rispettare!”
“Tu hai accettato di essere mia allieva, Arin Helen Ullik!” il tono che aveva usato mi aveva fatto sobbalzare. Il suo volto aveva perso i lineamenti aristocratici e fini per prendere quelli di un demone glaciale. La sua voce risuonava nella Sala Vuota, lugubre e spaventosa. “Io ti ho portato via da una vita di stenti, e ti ho chiesto solo la tua fedeltà. Ora tu prenderai il tuo pugnale e il tuo arco e ti recherai a Zatmeniye, ucciderai il suo signore e tornerai qui. Ti è chiaro, Arin?” Ero finita con le spalle al muro. Lokj mi sovrastava, e la sua già notevole altezza sembrava essersi moltiplicata. Mai avevo avuto più paura di quanta ne avessi in quel momento. Non potei fare altro che annuire e dire “si, Maestro.”
E così mi trovavo in una delle città più importanti delle Terre del Nord per uccidere il suo signore come se niente fosse. Pregai che la Dea perdonasse ciò che stavo per fare.
Avevo preso la forma di una fanciulla dai capelli color paglia, con gli abiti di una contadina. Il coltello era, agli occhi delle persone che incontravo una piccola sacca di cuoio, mentre l'arco e la faretra semplicemente non li notavano. L'unica cosa che non ero riuscita a modificare erano gli occhi; così, per non far notare quello viola, avevo messo un cappello di paglia che facesse ombra. Era quasi sera, e avrei agito due notti dopo. L'idea mi faceva contorcere lo stomaco, ma cercavo di ignorarlo. Non potevo esimermi.
Mi appostai vicino alla casa, e per i due giorni successivi studiai i movimenti delle guardie e feci qualche domanda discreta sui suoi abitanti e le loro abitudini. E la notte dell'omicidio arrivò fin troppo in fretta. Quando lo spicchio di luna fu alto nel cielo, senza riprendere il mio aspetto, forzai col pugnale la serratura del cancello sul retro ed entrai nel giardino della casa patronale. Sapevo che non avrei incontrato guardie in quella parte di parco: il signore di Zatmeniye si era scelto delle sentinelle negligenti.
Arrivare al piano delle stanze fu semplice. L'ombra era mia amica. Riconobbi in fretta anche la stanza del signore: c'erano due guardie piantate sul davanti, con le loro spade sguainate. Erano entrambe sveglie e attive: le uniche in tutto la casa. La porta era davanti a me: scoccai una freccia nel corridoio sulla mia destra, facendo in modo che pensassero che arrivava da quello sulla sinistra. Difatti, esse si misero a correre in quella direzione, lasciandomi campo libero. Entrai senza far rumore.
Il signore sembrò non essersi accorto di nulla: il suo russare si sentiva da dietro la porta. Mi avvicinai lentamente ed estrassi il coltello. Ma quando fui accanto al suo letto, il pugnale sguainato, la mia mano si fermò. Mi accorsi che tremava, violentemente, e io non riuscivo a darle l'ordine di abbassarsi sul cuore dell'uomo ignaro della mia presenza e del suo significato. Il mio respiro aumentò, e potevo sentire il battito del cuore talmente forte che non capivo come facesse il signore a non svegliarsi. Fu solo quando lui aprì di scatto gli occhi che la mia mano agì da sola. Il sangue schizzò, sporcandomi il viso, mentre il coltello penetrava nel suo petto. L'uomo voltò lo sguardo verso di me, e io vidi la vita scomparire dai suoi occhi mentre emetteva gli ultimi rantoli. Infine, spirò.
Non seppi come riuscii ad uscire dalla casa patronale. Ma quando fui fuori corsi attraverso le strade deserte di Zatmeniye, attraverso le porte della città e poi nel bosco. Ero tornata senza accorgermene al mio vero aspetto. Con il fiato corto ficcai più e più volte le mani sporche di sangue in un ruscello, cercai di pulirmi il viso, di lavare il coltello, ma sembrava che non funzionasse. Avevo sempre le mani intrise di sangue, mi sentivo sporca dentro. Avevo appena violato il più sacro dei principi della Dea. La stessa Dea che aveva salvato la mia vita, quando ero giunta in quel Ducato così lontano dalle Terre del Nord, ora mi guardava piangendo, perché io avevo tolto la vita a uno dei suoi figli. Ero diventata un'omicida, avevo infranto il più vincolante dei miei principi.
Fu con questi pensieri che rimisi piede nell'antro. E forse, furono proprio questi pensieri a farmi perdere i sensi tra le braccia del mio Maestro, senza darmi nemmeno la forza di dire una parola.


















































Ed ecco qui la parte quarta. Ci ho messo un bel po' a scriverla, soprattutto perchè è un momento molto delicato della storia. Spero solo che sia all'altezza delle aspettative...
Aprofitto per ringraziare ancora
BlackyBy77_Let it shine e FrostedSecrets. Grazie per le vostre recensioni, davvero, non sapete quanto mi fanno piacere! <3
Uh, ve ne dico un'altra. Provate ad ascoltarvi Credimi ancora di Marco Mengoni e ditemi se non sembra Lokj che parla ad Arin! O.O XD
  
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