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Autore: grows    30/12/2012    0 recensioni
Cronache di un'aspirante artista (apostrofato). Ferraglia, prospettive, pensieri. Una vita agognata e desiderata che si compie e ha i suoi effetti. Un sottofondo musicale appena accennato, superflui i dialoghi.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: Incompiuta
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La calma infusa da una nottata insonne e dal mattino successivo.

Il mattino seguente l'aria era umida, le nuvole annunciavano una pioggia più o meno imminente. Zoè ed Eugène si erano lasciati in tarda notte, dopo un tragitto in automobile durato meno di quanto loro avessero percepito. Zoè
dormì ben poco, le ore che separavano il rientro in casa dall'alba le trascorse a letto, senza mai prender sonno del tutto, l'abat-jour sul comodino accesa, in realtà mai stata spenta, accompagnava le sue notti sin dall'infanzia, e si spegneva soltanto all'alba, quando quella luce artificiale la infastidiva. La luce si rifletteva sulla copertina bianca del libro che più amava, 1984, poggiato lì accanto a lei da qualche giorno ormai, con l'intento di rileggerlo, come per ricordare i buoni propositi che ogni sera si rimandavano al giorno dopo.
Decise di lasciare quel nido caldo una manciata di minuti prima del sorgere del sole, le piaceva guardar fuori dalla finestra quando il sole non aveva ancora colpito con i suoi raggi taglienti le stradine che si aprivano alla sua vista, possibilmente stringendo tra le mani una tazza bianca, calda, ma non fumante di tè verde. Si fece strada nel corridoio sfruttando gli spiragli di luce (o buio) che prepotentemente entravano dalle piccole finestre, giunse in cucina e riscaldò l'acqua. Si accorse che poggiate sul bancone da cucina vi erano delle chiavi, le sue chiavi, quelle di Eugène. Riconobbe le chiavi di casa, le aveva tenute lei senza restituirle, ma non ricordando nemmeno perché l'avesse fatto. Si chiese come avesse fatto Eugène a non accorgersene, o se accorgendosene avesse preferito non disturbarla o chiamarla, ma non ci stese a pensare per altro tempo. A richiamare la sua attenzione fu un rumore che proveniva dal corridoio, Aramis si era svegliato, i passi del gatto a cui era già abituata richiamavano quotidianamente la sua attenzione, come un suono nuovo che giunge all'orecchio di un bambino, si fermava prestandogli attenzione ogni giorno. D'altra parte era l'unico suono emesso dall'animale, dato che il miagolio rauco spesso non giungeva all'orecchio di chi era intorno a lui.
Era presto, troppo presto per poter chiamare qualsiasi persona, ma Eugène non era una persona qualsiasi, avrebbero conversato a qualsiasi ora del giorno e della notte, senza particolari differenze. Odiava telefonare però, la trovava una cosa inutile, colma d'imbarazzo e parole (o silenzi) sconvenienti. Prese comunque il telefono e compose il numero, che sapeva a memoria, senza mai averlo imparato volontariamente, era l'abitudine. Rispose dopo parecchi squilli, a bassa voce disse
«Zoè» ci pensò, era la prima volta che sentiva la sua voce dal pomeriggio prima, pur avendo passato la sera insieme. «Le tue chiavi sono da me», disse. «Passo dopo», «Non sei rientrato a casa?» «Sono rimasto fuori, in giro», non le parve così strano «Sì, ti aspetto», e posò il telefono. Non l'avrebbe visto per un po', quindi decise di sedersi a leggere, guardando la città che si svegliava dal torpore notturno, accese lo stereo, Takk.
  
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