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Autore: Ever Lights    30/12/2012    7 recensioni
«Tornerai presto?»
Mi baciò la fronte, stringendomi. Sentii le guance inumidirsi contro la sua divisa militare e provai a trattenermi. Percepivo l’odore di guerra, sangue, dolore, sudore, forza e amore su quel tessuto, ma una cosa in particolare mi colpiva e volevo cancellarmela dalla mente: odore di morte.
Ogni volta che mi avvicinavo a quell’uniforme, ogni volta che la prendevo fra le mani e me l’avvicinavo al petto, in lontananza scorgevo delle urla, dei rombi, degli ordini, lo scoppiare di bombe, mitragliatrici che scoppiettavano… Senza accorgermene, chiudevo gli occhi, li serravo e provavo ad allontanarmi da quei rumori.
«Ancora prima che tu possa dirmi ‘ti aspetto’ e sarò qui, amore.» Mi accarezzò i capelli, mentre io nascondevo il mio viso preoccupato e triste sul suo petto.
[...]
«Ricordi cosa ti avevo detto?»
«Non è facile vivere questa situazione, Edward.», mormorai, guardandolo intensamente. «Non posso lasciarti andare se non ho la garanzia che tornerai.»
[...]
Posò all’improvviso le labbra sulle mie. Non era un bacio come un altro: sapeva di addio, lo percepivo come un ultimo contatto prima della fine, prima che lui mi scivolasse dalle dita.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Be still

Be still
Capitolo due: How can you remember?


Bella.

Non era la neve (assente) che cadeva in piccoli fiocchi imbiancando tutto, non erano le canzoncine natalizie che si sentivano nei negozi, non erano le case addobbate che facevano sentire l'atmosfera natalizia a casa nostra.
Era Edward. Era sempre stato lui a farmi amare, in un modo particolare, quella festività. Riuscivamo a vivere quel periodo dell'anno nella più totale armonia che si poteva desiderare, rimanendo a casa a guardarci un film oppure a coccolarci davanti al camino. Andavamo spesso per una settimana o poco più in Canada, per prenderci un po' di tempo per noi stessi e rimanere da soli.
Ma quell'anno sarebbe stato diverso, completamente. Mancavano appena tre giorni a Natale, in casa non c'era neanche l'albero o fuori in giardino le luci non erano neanche state disposte. Il soggiorno in Canada non era stato prenotato, i film erano sullo scaffale, sotto un'immensa coltre di polvere.
E, cosa più importante, Edward non c'era. Quel pensiero pulsava tremendamente nella mia testa, e mi chiedevo come avrei mai fatto a trascorrere il giorno di festa senza averlo vicino a me. Era una tortura, non meritavo di viverla.
«We wish you a merry Christmas, we wish you a merry Christmas, we wish you a merry Christmas and a Happy New Year!
Good tidings we bring, to you and your kin. Good tidings for Christmas and a hapy New Year
Alice canticchiò intorno a me, ridendo gioiosa. «Dai, Bella! Canta con me!»
Sorrisi, solo per farla felice. «Perché non canti con i bambini? A me non va.»
Si voltò per tornare nella camera accanto, ma poi mi fissò interrogativa. Forse si era accorta del tono che avevo usato: duro e gelido.
«Oh, tutto okay?»
«Mh-mh.», bofonchiai, sedendomi sul divano. Non fece altre domande e se ne andò.
Sospirai pesantemente. Forse avevo pregato fin troppo che tutta quella preoccupazione nei miei confronti sparisse...
Ancora una volta era cambiata la situazione. Da una di totale ansia e domande verso di me, dove appena facevo un verso tutti accorrevano, eravamo passati ad una di totale menefreghismo.
Pure Renée, che fino a una settimana prima si era spaventata da morire – vedi l'episodio dell'incubo con conseguente febbre e corsa al pronto soccorso, ora non si sbilanciava a vedermi con le lacrime umide, né mi chiedeva cosa mi fosse successo.
Le persone sono così volubili...
Ormai la sera mi ritrovavo a piangere in silenzio, pensando a tutto il dolore che mi portavo dentro, e quello era l'unico modo per sfogarmi. Neanche accarezzarmi il pancione sentendo i calci del bambino mi aiutava più a calmarmi.
Mi alzai goffamente dal divano, guardando fuori dalla finestra. Il giardino, spoglio, evidenziava ancora di più la mia voglia di trascurare quel Natale.
Sgattaiolai in camera, scivolando come un ladro in camera mia. Perlustrai con lo sguardo tutto l'ambiente, dalle tende lilla al letto ancora sfatto. Il suo cuscino era rannicchiato contro il mio, perché ormai era diventata abitudine consolidata stringerlo a me e inspirare a fondo il suo profumo prima di prendere sonno.
Dieci secondi dopo mi ritrovai davanti al suo armadio, a fissare quei pochi vestiti che Edward aveva lasciato a Jacksonville, a casa.
Perché quella era casa sua, nostra. Strinsi al petto una sua T-Shirt, quella comprata alle cascate del Niagara qualche estate prima, talmente usata che le scritte si stavano sbiadendo.
Colta da un magone improvviso, richiusi le ante e fissai il soffitto.
Quell'ambiente cominciava a starmi stretto, come tutti i vestiti che avevo nell'armadio che non mi entravano più, come la fede nuziale che mi stringeva l'anulare.
La fede, quell'anellino d'oro perfettamente incastrato nel dito. Aveva ancora un senso, per me, quel piccolo simbolo?
A me, non serviva per rappresentare l'amore che provavo per Edward, per il fatto che eravamo indissolubilmente legati davanti a Dio. Ma sarebbe servito, quando, per puro caso, Ed se ne sarebbe andato? Quando mi avrebbe lasciato sola, con suo figlio in grembo? Sarebbe servito davanti alla sua bara, avvolta nella bandiera americana, al suo funerale? Sarebbe servito, un giorno, per spiegare al nostro bambino che avevo amato suo padre così tanto da non riuscire a lasciarlo andare?
Quanto mi sarebbe servito quell'anello?
Dovevo tenerlo lì dov'era o lasciarlo a casa? Appoggiarlo al comodino avrebbe voluto dire che era la fine, lui non c'era, dimenticarlo, in poche parole. E io non volevo. Dimenticarlo era proibito, solo il pensiero mi faceva male, mi bruciava gli occhi, i polmoni. Mi ronzava nel cervello, annebbiandolo.
Scacciai subito quel pensiero, e decisi quello che dovevo fare.
Indossai un paio di jeans larghi e una felpa pesante. Nonostante l'ingombro del pancione, riuscii a legarmi le scarpe e mi infilai un cappotto pesante.
Scesi al piano di sotto furtivamente, cercando di dare meno nell'occhio possibile vista la marmaglia di gente che insediava il mio salotto. Tutti presi a cantare canzoni di Natale, a ridere e a pensare al domani.
Tutte cose impossibili per me. Potevo farlo, sì, ma non quando Edward non era al mio fianco, non quando non sentivo i suoi passi per casa.
Se lui non c'era, per me non aveva senso tutto quello. Non aveva senso vivere quel Natale come tutti gli altri.
Mi richiusi il portoncino alle spalle e fuggi lungo la via deserta, camminando velocemente per allontanarmi il prima possibile da quel buco. Quando fui abbastanza lontana perché mi vedessero, decelerai il passo, con il fiato già corto.
Le strade erano completamente vuote, segno che tutti erano in casa a finire gli ultimi preparativi, a divertirsi con i propri familiari e a provare le ricette che sarebbero state cucinate alla vigilia.
E in un attimo rividi me e Edward, in cucina, insieme, un anno prima.

«Stai bravo.»
Cacciai via le mani di Ed dalla ciotola dove stavo mescolando la salsa per l'arrosto, su cui girava come un avvoltoio già da mezz'ora abbondante.
«Voglio assaggiare, dai.», borbottò come un bambino impaziente. «Solo... Una punta di cucchiaio, non di più.»
«Non se ne parla!», esclamai, guardandolo negli occhi, pronta a difendermi dal suo sguardo da cucciolo. «Prima devo finirla! E poi fredda e cruda non è buona!»
«Ma chi se ne importa! Fammi assaggiare, su!»
Mi afferrò la mano che teneva la frusta e la sua bocca si avvicinò famelica all'utensile, ma io fui più veloce e mi scansai dalle sue braccia.
«Eh, no!», risi, correndo per casa con il mano la ciotola. Avremmo combinato guai, ne ero certa. Sentivo i suoi passi correre dietro di me, nel tentativo di raggiungermi.
Ben presto mi ritrovai in salotto, e scivolai per terra cascando nel tappeto.
«Ti ho presa!» Le risate di Edward si espansero per tutta la stanza, e vittorioso mi tolse dalle mani la salsa.
«E meno male che non era buona da cruda, eh?», borbottò, lanciandomi una frecciatina. Provai a sfuggire dal suo controllo, ma aveva ben capito che l'unico modo per tenermi ferma era sedersi sul mio bacino.
«Smettila! Così la finisci tutta e poi...»
Non mi lasciò terminare la frase che posò la bocca impiastrata. La sua lingua sapeva di salato, lo stesso gusto della ricetta... E sapeva di Edward.
Non controbattei ma risposi ben volentieri al bacio, lasciandolo appoggiare la terrina sul tavolo accanto a noi e poi allacciare le mani dietro al suo collo, spingendolo più verso di me.
«No, okay... Non era tanto male, infondo.», sussurrai sulle sue labbra, mentre non sentivo altro che i nostri respiri colmare il silenzio del salotto sotto i nostri gesti affrettati.

I ricordi procuravano dolore ancora di più della sua assenza. Le lacrime presero a scorrere e mi incamminai per le stradine che portavano oltre le colline, dove c'erano quei paesini sconfinati e tranquilli, dove io e Edward avremmo sempre voluto abitare.
Lì, dove l'erba dei prati era secca e gelata e gli alberi erano senza foglie, era visibile come ciò che provavo potesse manifestarsi anche su un posto. Perché, in qualche modo, rappresentava il mio dolore.
Scivolai via anche da lì, percorrendo un sentiero sterrato che portava ad un luogo a me caro.
Chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare dal vento. Sentivo le onde scrosciare sugli scogli e infrangersi, i gabbiani stormivano lontani, la brezza mi carezzava il collo e i capelli.
Quando rivolsi lo sguardo al cielo, ascoltai le nuvole rombare sopra la mia testa, grigie e cupe, quasi tristi. Che volessero piangere come me? In realtà sperai di no.
Feci per controllare l'ora sul cellulare ma mi fermai ancora prima di aver messo la mano in tasca. L'avevo spento, perché nessuno mi avrebbe dovuto cercare, ma tanto sapevo non sarebbe successo. Avevo bisogno però anche di un po' di tempo da sola, per pensare, per sentire le parole nella mia mente urlare e venire spazzate via dal vento, uscire dal mio corpo e trovare spazio per ribellarsi. Volevo solo percepire appieno i movimenti del mio bambino, come mai avevo fatto, neanche le sere in cui non riuscivo a prendere sonno e mi fermavo ad ascoltarlo con una mano accanto all'ombelico e un sorriso stampato in viso. Era un momento per, finalmente, recuperare tutto ciò che avevo perso in quei mesi, dove mi sembrava di essere stata spenta, senza anima, senza nulla per cui vivere, quando invece ce l'avevo proprio dentro di me, ma il dolore non lasciava spazio per niente che non fosse lacrime e urli muti nel cuore della notte.
Sulla spiaggia, nel nostro piccolo angolo di paradiso personale, il tempo sembrava essersi fermato. Tutto era come me lo ricordavo: sabbia mista a ciottoli, la roccia deformata dal sale, gli scogli a un centinaio di metri dalla riva... Esattamente come tanto tempo prima.
Ci eravamo costruiti, diciamo, quel posto tutto nostro, sebbene spesso fosse affollato di gente. Ma quando non lo era, quando non si sentiva altro che il mare mormorare e i gabbiani stridere, lavoravamo quel posto come se fosse stato creta. Immaginavamo di costruirci un capanno con le barche, un piccolo chiosco per i bambini. Cambiarlo e volgerlo a nostro piacere.
Senza accorgermene, mi ritrovai seduta a pochi metri dalla riva, con i palmi delle mani sulla sabbia, il viso rivolto verso il cielo, gli occhi chiusi, l'udito assente.
Dentro di me sentivo le voci mie e di Edward, nel momento in cui mi fece scoprire quel posto, quando mi aveva fatto sentire una donna per la prima volta, quando avevo capito che in un corpo possono viverci due persone senza grossi problemi.

«Edward, ti prego.»
«No, silenzio. E non sbirciare.»
Il fiato caldo di Edward mi solleticava la pelle dietro l'orecchio, il collo, il lobo, la guancia.
«Ma è proprio obbligatorio tutto questo?», mormorai, con la voce tremante. Mi aveva messo una benda sugli occhi appena saliti sulla sua auto e ancora non si era degnato di dirmi dove mi stesse portando.
«Mh, già. E ora st, ascolta soltanto, d'accordo?»
Non risposi e sbuffai soltanto, e percepii sotto i miei piedi della sabbia tiepida, scaldata dal sole di metà settembre. Aprii la bocca per dire qualcosa ma fui colta alla sprovvista da un fruscio accanto a me, poi da uno scroscio d'acqua, degli starnazzi.
«Dove sono?»
Edward sorrise. «Attendi ancora qualche minuto.»
Essendo scalza, sentii ben presto qualcosa di freddo e umido sfiorarmi i piedi, e lanciai un gridolino di sorpresa.
La benda stretta attorno al mio viso si allentò e le dita di Ed la tolsero. Rimasi ancora un po' con gli occhi chiusi, fino a che non percepii le labbra calde del ragazzo sulle mie.
«Eri tutta impaziente, e ora non guardi?»
Risi e dischiusi le palpebre. A parte il bellissimo viso di Edward davanti al mio, alle sue spalle vidi il mare, le onde blu morire sul bagnasciuga, i gabbiani bianchi  sopra le nostre teste, il cielo terso che si perdeva con l'orizzonte, la sabbia fine e chiara.
«Cosa diavolo...»
Ed posò la mano sulla mia bocca, per zittirmi. «È il mio regalo di compleanno da parte mia, per te.»
Tutto divenne lucido, segno che le lacrime stavano per fare capolino. «Cosa? No, ehi. Sei pazzo!»
Mi strinse al suo petto, carezzandomi la schiena. «Manco avessi speso un capitale, amore.»
Mi aveva chiamata amore. Succedeva spesso, ma in quel momento le sue parole mi bruciarono la pelle, la baciavano. Quel termine aveva definitivamente mandato i miei neuroni all'altro mondo.
«È tutto bellissimo, è un regalo stupendo.», mormorai. Per alcuni, sarebbe stata una delusione, ritrovarsi il giorno del proprio compleanno in una spiaggia deserta, e non magari con qualcosa di sfarzoso addosso.
Ma per me, quello che davvero importava, era il gesto, il pensiero che Edward aveva avuto. Era vero, forse non era nulla di speciale,  quel posto, ma per me, era semplicemente perfetto. Rappresentava in qualche modo lui, e me, insieme.
«Vieni.» Ed mi prese la mano e mi portò fino ad un angolino lontano da occhi indiscreti, dietro una serie di piante basse, dove il sole arrivava appena.
Mi fece sedere su una coperta che forse aveva messo lui mentre io ero bendata, la schiena contro una roccia. I nostri sguardi si incatenarono, i suoi occhi diventarono specchio dei miei.
Pochi secondi dopo, la sua bocca sigillò la mia, e ben presto sentii la sua lingua scollare le mie labbra. Lo lasciai fare, ma lo fermai quasi subito, impaurita.
«Dammi... Dammi un secondo.»
Mi fissò sconcertato... e intenerito. Dove era tutto il mio coraggio, in quel momento? Me ne sarei scappata ben volentieri a gambe levate, eppure il mio desiderio nei confronti di Edward era troppo forte, e come una calamita mi avvicinai di nuovo a lui.
Mi inginocchiai sulla sabbia e allacciai di nuovo le braccia al suo collo, posando le labbra sulle sue. Erano morbide, vellutate, e soprattutto trasmettevano tutta la voglia che provava nei miei confronti.
Slacciai la sua camicia, gettandola dietro a un cespuglio, e lui fece lo stesso con la mia. Le sue labbra percorsero il profilo della mia mascella, scendendo verso la spalla, posandoci sopra piccoli tocchi.
Ben presto, mescolati al suono delle onde infrante sugli scogli e alle grida dei gabbiani, si percepirono respiri affannati, parole sussurrate al vento e mugolii silenziosi.
«Ti amo...», mormorai contro la sua fronte, socchiudendo gli occhi.
Ogni termine, ogni sussurro, ogni respiro che affiorava sulle nostre labbra traspirava un amore così forte da parere impossibile.
La mia mente era affollata da mille pensieri, dai ricordi che avevamo passato assieme. Tutti incredibili, ma nessuno riusciva a battere quel momento.
«Ti amo anche io, immensamente.», soffiò sulla mia guancia, portandomi ad un passo dal paradiso. «Ti sto facendo male?»
Scossi il capo, sebbene dentro di me sentii qualcosa rompersi e una lacrima mi sfuggì. «No, sto bene.»
Dolcemente, con la punta delle dita, cancellò via quella piccola traccia di dolore dal mio viso, per poi baciarmi di nuovo, per poi farmi perdere ancora una volta il controllo della realtà.
Niente poteva superare l'attimo in cui divenni una donna, completa, assieme a lui. Niente era meglio di quello.
Ero nel mio angolo di paradiso personale, con la persona che amavo, e, momentaneamente, mi bastava.

Il peso dei ricordi era terribile, e in più era tutto volontario. Rifugiarmi nel passato mi serviva, in qualche modo, per sentirlo accanto a me, per sapere che lui era ancora vivo, che non mi aveva lasciato mai, nonostante ora si trovasse a migliaia di chilometri da me.
Posai una mano sulla pancia, e cominciai a fantasticare con la mente. «Ciao, piccolino.», sussurrai, e sperai con tutta mia stessa di ricevere una risposta che non arrivò.
«So di averti un po' trascurato, ultimamente. E mi dispiace tantissimo, però la mamma ti promette che non capiterà più, okay? È solo che...»
All'improvviso non sapevo cosa dirgli, se fargli veramente quel discorso. So che poteva sentirmi, ma avrebbe avuto un senso quel discorso per lui, che ancora non aveva visto i miei occhi, il mio viso, il mondo intero?
«Tu conosci la mia voce, mi senti tutti i giorni, ti accarezzo dalla mattina alla sera. Però sai, piccino, c'è una persona che vorrebbe fare tutto questo e non può. È il tuo papà.»
Fissai le onde che arrivavano piene di schiume sul bagnasciuga. «Solo che... non è qui, da come ti sei accorto. È lontano, tanto, e non so quando sarà qui. Ma anche lui ti vuole bene, lo sai? Ti ama, ti ama proprio come me. È triste perché sa che fra poco tu arriverai e forse lui non sarà qui. Ma lui già ti conosce, quando parliamo assieme lui ogni tanto ti vede. Sa come cresci, come sei bello e già sa che sarai uguale a me. Io, in realtà, amore, spero che tu abbia preso tutto da tuo papà, perché è bellissimo, dolce, ha un carattere forte.»
Un calcetto arrivò proprio in direzione del palmo della mia mano, e sorrisi. «Però non posso dirti dove si trova. Lì c'è tristezza, decine di persone muoiono ogni ora e pochi lo sanno, non sanno cosa sia la felicità. Ci sono solo spari, scoppi, urla... E il tuo papà è lì, e non se lo merita. Ma il tuo papà è un soldato, amore, e quindi il suo dovere è proteggerci, anche da lontano.
E fra poco è Natale, e non sarà qui. È il primo natale senza di lui, purtroppo. Però... però lo penserò tutto il tempo, perché è sempre nel mio cuore, e mamma lo ama immensamente. Non riesco a stare un secondo senza pensare a lui, e rabbrividisco tutte le volte che penso a cosa potrebbe succedergli. È un posto terribile, quello in cui è adesso. Ogni secondo rischia di morire, di andarsene per sempre da noi. E io... io non potrei mai sopportarlo, amore, mai. Un'esistenza senza papà è come il giorno senza sole, la notte senza luna e stelle. Sarebbe terribile...»
Quando iniziò a piovere, non mi mossi. Lasciai che le goccioline di pioggia si mischiassero con le lacrime, che mi scivolassero lungo il viso indifferente, che mi bagnassero i capelli.
«E ora vedi? Anche gli angeli piangono, come la mamma. Ma non dovrei piangere, non dovrei. Non fa bene né a me né a te, ci renderebbe tristi. Purtroppo però mamma non riesce a essere felice, se papà non è qui. Quando ho scoperto di averti dentro di me, lì sì che ero felice, e spaventata, perché non sapevo cosa fare... Ero sola, indifesa, e tu già eri grande come un fagiolo. Avevo paura di perderti, avevo paura che anche tu te ne andassi, che mi lasciassi sola. Non avrei sopportato tutto questo. Ma tu sei forte, amore, sei rimasto con me per tutto il tempo. Anche se sei un birichino perché ancora nessuno ha capito se sei un maschietto o una femminuccia... Io spero che tu sia un bel bambino con gli occhi verdi e i capelli rossicci, uguale a tuo padre, così avrei sempre una parte di lui con me. Ma se fossi una bambina so che saresti bella come il sole, con le guance sempre imporporate e i capelli color dell'oro e rossicci, ricci, lunghi e morbidi; gli occhi grandi e luminosi, che riflettono la tua voglia di vivere. Saresti la bambina più bella del mondo, saresti la mia principessa, ti amerei come si può amare l'ultima cosa sulla terra. Ti amerò perché sei la mia bambina, dentro di te custodisci la migliore parte di me, hai i miei pregi e i miei difetti. E il tuo papà ti amerà perché sarai la cosa più cara che ha qui, perché il tuo sorriso lo rallegrerà nei momenti bui, perché quando vedrà il tuo viso crederà come davvero abbiamo potuto fare un capolavoro come te.»
Risi della mia poca modestia, ma mi veniva naturale parlare a mio figlio in quel modo, come se già mi capisse, come se già mi amasse.
«Ti amerà perché sarai il suo angioletto, la sua peste, il suo cuore, perché la sera ti stringerà al suo petto e ti dirà quanto sei importante per lui, perché le notti che passeremo insonni ti cullerà per farti addormentare e ti sussurrerà all'orecchio le ninnananne più dolci che esistono. Ti amerà perché... perché sarai tu, perché capirà cosa si è perso in questi mesi, perché sarai la cosa più importante per entrambi, sarai l'incoronazione del nostro amore, tutto ciò che abbiamo sempre desiderato.»
Avevo iniziato a singhiozzare molto forte e qualcuno chiamò il mio nome da lontano. Probabilmente era solo una mia impressione, ma quando mi sentii toccare la spalla capii che non mi ero immaginata nulla.
«Cristo santo, Bella!»
Charlie aveva il fiato corto, teneva le mani sulle ginocchia e mi fissava incredulo. «Cosa ci fai qui?»
Scossi il capo, cercando una risposta, ma lui mi aveva già presa in braccio e portato il auto. «Dio mio, sei fradicia!»
Mi posò in una coperta calda sul sedile, stringendomi a sé per qualche secondo. «Mi hai fatto preoccupare...», mormorò con voce così bassa che a malapena distinsi le parole.
«Scusa, papà...», risposi sottovoce, e lui mi lasciò andare, sedendosi accanto a me.
Non mi rivolse più la parola per tutto il tragitto, e mi rannicchiai su me stessa, con le braccia attorno alla pancia, come a proteggere mio figlio. Arrivati a casa, mi sollevò di peso e mi scortò fino in salotto, adagiandomi sul divano. Mia madre subito mi fu accanto, e mi prese la mano.
«Dio mio, Bella, amore...»
«Sei uscita fuori di testa per caso? Ti abbiamo cercata per tutto il tempo!», gridò spazientito mio padre, con gli occhi lucidi. Tutta l'ansia provata ore prima stava venendo a galla.
«Charlie...», lo riprese mia madre, guardandolo severa. «Non mi sembra il caso di fare scenate proprio ora.»
«Renée, è il momento invece! Ti rendi conto di quello che sarebbe potuto succedere? E se fosse caduta, o se si fosse fatta male, ed era da sola? Se fosse successo qualcosa al bambino e lei non poteva chiedere aiuto a nessuno?»
Abbassai il capo, con le lacrime pronte a uscire. Mi sentii tremendamente in colpa, in quel momento, perché non avevo badato alle conseguenze che poteva comportare quella mia azione. Non avevo considerato il fatto che ero da sola, con un bambino in grembo... non avevo pensato a quello che sarebbe potuto accadere.
«Non mi sarebbe successo nulla, papà...», tossii infreddolita. Quelle parole scatenarono ancora di più l'istinto protettivo di Charlie.
«Questo lo dici tu! Ma non sempre le cose vanno come vorremmo noi, Bells! Ci pensi se davvero fossi scivolata e avessi battuto la testa? Cosa avresti fatto?»
Nascosi il viso sotto alla coperta, respirando più profondamente per non scoppiare a piangere come una bambina.
«Davvero, Renée... Non può comportarsi in questo modo, adesso. Non è più una bambina, è adulta ormai, e aspetta un bambino!»
«Char, per favore.»
Mio padre sbuffò e io alzai lo sguardo. «Posso andare in camera o no?»
Mi sentii tanto un'adolescente dopo un litigio con i propri genitori. Quando raggiunsi la mia stanza, caddi sul pavimento, piangendo come mai prima di allora. Tutto quel peso, tutti quei problemi erano troppo, per me.
In quel momento, davanti ai miei occhi vidi il campo di battaglia. Pieno di colonnine di fumo che salivano verso il cielo, rendevano tutto offuscato. Non mi fu difficile trovare Edward.
Mi venne da vomitare quando, con la mia immaginazione, vidi il suo volto, pieno di sangue e ferite aperte. Aveva gli occhi aperti, tesi all'indietro. Le iridi verdi scomparivano oltre le palpebre.
La divisa a chiazze era macchiata di colore rosso, un po' ovunque. Sul petto, sulle gambe, accanto al collo... in mano, teneva ancora un'arma.
Non trattenni un urlo, anche se sapevo benissimo che era tutto frutto della mia mente.
«Non ci sei... Non ci sei...», sussurrai, la fronte appoggiata al pavimento. «Perché non sei qui? Perché, amore mio?»

La calca all'aeroporto era incredibile. Decine di famiglie, la mia compresa, erano stipate in un angolo nell'attesa dell'arrivo di quel dannatissimo aereo, che avrebbe riportato a casa i soldati, dopo mesi di lontananza.
«Chissà come sta Edward...», sussurrai, con le mani congiunte sotto il mento. Alice sorrise della mia impazienza e mi carezzò la schiena.
«Starà bene. Non è la prima volta che si allontana, lo sai. Se la cava sempre.»
Per lei era facile. Da quando suo fratello si era arruolato, lo avevano chiamato tre volte prima che io lo conoscessi e quella era la prima vera occasione che stavamo così lontani. Era vero, forse solo due mesi non erano nulla in confronto all'anno intero che Esme e Carlisle avevano vissuto senza sapere se loro figlio sarebbe tornato in patria... vivo.
Per loro non era stato facile appoggiare il desiderio di Edward, ma dopotutto, quale genitore avrebbe voluto vedere il proprio bambino in guerra?
Eppure loro avevano detto di sì, avevano visto Ed salire su quell'aereo e avevano pregato notte e giorno affinché non gli succedesse nulla. E la gioia che avevano provato vedendolo correre verso di loro era indescrivibile.
«Lo spero, Ally.», sussurrai, e il mio cuore iniziò a battere freneticamente. Mezz'ora dopo l'intero reggimento ci raggiunse, e non resistetti quando vidi Edward in mezzo a loro.
Gli corsi incontro e lui mi prese al volo, stringendomi a sé. Le lacrime furono incontenibili, i singhiozzi inarrestabili. Era lì, con me, era di nuovo tornato a casa.
«Edward...», continuavo a bisbigliare sulla sua spalla, mentre lui mi circondava con le sue forti braccia.
«Sono qui, amore mio, sono qui.», mormorò, catturando il mio viso fra le mani. I suoi occhi erano lucidi, le iridi verdi brillavano per la felicità, e sembravano urlare al mondo intero che anche quella volta ce l'aveva fatta.
Posò le labbra sulle mie e il bacio che ne seguì fu il vero contatto che mi fece capire che non stavo sognando. Il mio soldato, il mio Edward, era di nuovo con me, e mi stava stringendo con tutta la forza che aveva in corpo.
«Mi sei mancato tantissimo...», dissi sulla sua bocca e lui sorrise fra le lacrime, vedendo che indossavo il suo bracciale. Me lo aveva regalato una settimana prima che partisse, ed era stato terribile vederlo ogni giorno al polso senza avere la consapevolezza se lui sarebbe tornato.
«Non potevo non fare ritorno, lo sai...», rispose e si asciugò il viso con la manica della divisa. «Mi sei mancata da morire pure tu...»
Gli carezzai la mano e mi accorsi che si era chinato su un ginocchio, issandosi sull'altro. Aprii la bocca per dire qualcosa ma non uscì neanche una parola e il suo viso comparve un sorriso, il suo sorriso. Dio, come mi era mancato...
«Cosa... cosa stai facendo?», confabulai confusa, e lui mi fece segno di stare in silenzio. Stavo andando in iperventilazione.
Non so come ci riuscì, ma estrasse dalla tasca una scatolina blu, e quando l'aprì, il fiato mi si mozzò.
«Isabella Swan, prometto qui, solennemente, davanti a tutte queste persone, di non lasciarti mai più sola a soffrire. Ti amo e ti amerò fino a che questo pazzo cuore non si fermerà, perciò vuoi farmi lo straordinario onore... di diventare mia moglie?»
Annuii confusamente e ripetutamente e lui mi accolse sul suo petto. «Sì, sì e ancora sì...»
Mi baciò dolcemente, e capii che le mie preghiere, a qualcosa, erano servite.
«Non ti lascerò mai più, te lo prometto. Non rimarrai mai più sola, sarò sempre qui al tuo fianco, per sempre.»
Con quelle parole, sigillò il suo giuramento sulle mie labbra e tutta la tristezza, la rabbia, il dolore e la paura scomparvero dal mio corpo, lasciando solo il posto alla cognizione che il mondo ora poteva anche finire, perché Edward era accanto a me.
«Rimarrò sempre qui...», sussurrò ancora, e sì, nulla ormai poteva separarci, nessuno poteva dividerci, niente poteva spezzare il nostro amore senza prima distruggerci.



Angolino tutto mio :3        
Io avevo avvisato sui fazzoletti, eh. Sono serviti?
Strano, ma vero, sono riuscita a scrivere questo capitolo in 4 gg :o
Be', anche se sono successe un paio di disavventure, come ad esempio il pc che ha deciso bene di lasciarmi per sempre a piedi, dicendo alla sua scheda madre di bruciarsi per non farmi scrivere -.- Fortuna volle che avevo salvato tutto su un archivio (dovevo formattare) e quindi eccomi qui :D
E poi, vi do un consiglio spassionato: NON INSTALLATE PER ALCUN MOTIVO LINUX. Mai.
È uno schifo, non lo sopporto. Mi ha cancellato mezzo capitolo (5 pagine) e ho dovuto riscriverle in un'ora... Se non è sfiga la mia.
Allora, cosa dire? Vedere ben 34 persone che hanno messo Be Still fra le seguite solo per il primo capitolo... è emozionante. Non pensavo facesse così tanto "clamore", in qualche modo... E poi ci sono le 14 personcine che l'hanno messo fra le preferite e le 2 fra le ricordate <3
E poi le sette recensioni.. awwwwwwwwwwwww brodo di giuggiole proprio!
Comunque, davvero, mi avete reso una persona felicissima. Questo progettino è importante per me, molto, e vedere che c'è gente che lo apprezza... Be', dire che mi fa felice è insulso, e non renderebbe a sufficienza l'idea.
Non so quando aggiornerò all'ultimo capitolo (OMG, mi fa strano dirlo çWç). Sicuramente nel 2013 :) Peenso, mal che vada, il 2 o il 3, quindi abbastanza presto :)
So, attendo ancora le vostre recensioni, che mi fanno taaaanto felice (a chi non lo fanno? lol) e niente :) Spero che vi sia piaciuto questo capitolo (come al solito mi è nato dal profondo del cuore).
Ci si legge ;)
BUON INIZIO 2013, CON LA SPERANZA CHE SIA UN ANNO MIGLIORE PER TUTTI. (iniziamo magari con qualche foto robsten, che dite? lol)
Un bacione, alla prossima,
Giulia.

   
 
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