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Autore: WriteYourSelf_    30/12/2012    9 recensioni
NIALL JAMES HORAN
ENTRATO IN GUERRA A 16 ANNI. MORTO A 16 ANNI IN LIBIA TRE MESI DOPO IL SUO ARRUOLAMENTO COMBATTENDO PER LA PACE DELLA PROPRIA PATRIA
13/09/1993 - 22/12/2009
IN MEMORY
«Bambina mia, ti amo. Mi dispiace di ritrovarmi in un cimitero e non al tuo fianco. Ma sappi solo che ogni volta che guarderai le stelle, guarderai i miei occhi. Che ogni volta che ti senti smarrita, alza il capo e sii cosciente di portare la mia aureola, te la regalo. Ogni volta che mi cerchi con lo sguardo, non osservarti nei dintorni, ma osserva il tuo cuore, toccalo, fallo sorridere, fallo battere all'impazzata. Se lo vuoi sapere, è lì che mi trovo ora.»
Belinda è innamorata follemente di Niall, ma lui ora non c'è più. L'unica cosa che le rimane è il diario che le regalò prima di partire in guerra. Il suo fratellastro riparte per l'Iraq e lei cade in depressione. Scrivere sul diario le aiuta molto. E' l'unico collegamento che la lega a Niall. Ma inaspettatamente si ritrova due braccia che l'avvolgono, proteggendola. E' Louis William Tomlinson, il più desiderato della scuola e fratello di Ashley Kate Tomlinson.
OS.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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diary pages as a goodbye

Diary pages as a goodbye

«Dear Niall, do you remember summer of ’09?...»

             «I miss you... 

                           ...every hour...

                                          ...of every day.»

 

 

La pioggia picchiettava imperterrita sul terreno, ed intanto io ero comodamente seduta sulla sedia a dondolo di mia madre al caldo. Come sempre, tenevo la penna stilografica regalatami da mia nonna impugnata ed intenta a scrivere quelle poche frasi sul diario. Avevo un appuntamento con lui, ogni giorno alla stessa ora. E mi mancava, ogni ora di ogni giorno. Di solito scrivevo sì e no sei righe, non mi dilungavo oltre. Ma in quel momento non sapevo davvero cosa scrivere. Forse perché non avevo argomenti importanti o aneddoti divertenti di cui parlare, citazioni preferite da scrivergli... o magari perché mancavano solo tre pagine per finire il diario. Era il mio unico collegamento con lui e dovevo contenermi, era solo questione di mettere a freno i miei sentimenti. A volte mi capitava di proiettare sulla carta tutto il dolore che avevo provato e che provavo ancora, andando fuori le sei righe standard. Sono sempre stata testarda e spesso mi contraddico da sola, ma era proprio questa mia caratterestica che piaceva a lui di me: testarda e contraddittoria. Me lo aveva detto il giorno prima dei suoi sedici anni, io a lui piacevo, e lui piaceva a me. Sembravamo una coppia perfetta, benché non fossimo ufficialmente fidanzati, ci stuzzicavamo un po’ a vicenda come facevano i giovani allora. Ci dichiarammo all’unisolo mentre le nostre mani si erano unite completandosi e ci guardavamo intensamente negli occhi. Avvertii molto prima del nostro primo bacio che la  nostra amicizia era andata ad approfondirsi sempre più, che qualcosa era cambiato e che dopo averlo invitato a casa per cena, mi accorsi che i miei genitori non facevano altro che ripetermi in continuazione di quanto educato e gentiluomo fosse. “Uno studioso, intelligente, fedele, gentiluomo, educato, bravo ragazzo”  li corressi io. Questi erano gli aggettivi che gli avevo attribuito la prima volta che i nostri sguardi si incrociarono, precisamente il due settembre del 2009. Mi innamorai dapprima dei suoi occhi azzurri penetranti e conoscendolo man mano mi riscoprii di adorare il suo strano accento buffo. Dopo un mese, ne rimasi cotta.

Alla fine decisi di scrivere qualche parola, rinchiudendo in me la voglia di usare tutto lo spazio ancora – e non per molto – disponibile.

 

Caro Niall, uso la parola ‘caro’ perché per me lo sei stato davvero, e lo sei tuttora, questo mi sembra di non avertelo mai detto.
Oggi non ti racconterò la mia giornata, credo di averti fatto le scatole piene di quello che mi succede a scuola senza te al mio fianco
(anche se puoi benissimo immaginarti cosa passo).
Ti dirò invece che ti penso. Ogni momento della mia vita. Mi manchi angelo mio, guardami da lassù in cielo e proteggimi come solo tu sai fare.
Ti amo.                      

  Sempre e solo tua, Belinda.

 

Sei righe. Sei precise righe, non una in meno, né una in più. Avrei preferito scrivere paragrafi su paragrafi, ma sapevo che non potevo farlo, soprattutto ora che mancava poco a concludere ciò che avevo iniziato con un tuffo al cuore. Prima che andasse in Paradiso, lui mi aveva lasciato qualcosa di suo. Ne piango solo al ricordo.

Nonostante l’inverno alle porte era una bella giornata.
Si mise a gattonare sul letto per recuperare la sua macchina fotografica persa tra le coperte. Una volta che mi raggiunse sul divanetto affianco, mi prese una guancia e la baciò e, prima che potesse staccare le sue soffici labbra come la neve sul mio viso, scattò una fotografia. Era una di quelle poche macchinette fotografiche rimaste sul mercato che potevano stampare la foto appena fatta. Lo guardai attaccare quell’immagine sulla copertina di un diario.
“E’ tuo?” gli chiesi curiosa indicando il diario. Lui rise scuotendo ritmicamente la testa a destra e a sinistra. Era un movimento meccanico che mi venne di paragonarlo ad un piccolo e tenero robot. “Piccolo e tenero robot” ripetei incurante. Quasi non mi ascoltò, e ne rimasi delusa, ma non a lungo: mi si avvicinò un centimetro di troppo e da lì avemmo il nostro primo bacio. Poi scocchiò un’ultima occhiata al suo lavoro, e con braccia possenti, mi strinse con forza le spalle. Il maglione che indossavo era fino rispetto alle felpe che di solito portavo, tanto che riuscii a sentire il calore delle sue mani a contatto con la mia pelle. Ricambiai il suo sorriso ed infine prese il diario di cui avevo chiesto poco prima e, con attenzione e sguardo tenero, me lo diede, appoggiandolo sul cuore.
“Ora è tuo” mi disse. Io lo guardai sorpresa quando, sfogliata la prima pagina, lessi la dedica. C’era scritto: “Alla più bella del reame, abbine cura fino al mio ritorno”.

All’epoca non sapevo in che posto doveva recarsi. Socchiusi le palpebre, tentando di evitare inesorabilmente di far scendere quella lacrima che continuava a pizzicarmi gli occhi. Ma era del tutto inevitabile che accadesse quanto detto; così mi feci trascinare in quel lungo pianto ormai abitudinario.
La porta dell’ingresso si aprì, facendo intravvedere il berretto cilindrico color verde oliva di mio fratello. Come avevo potuto scordarmi del suo arrivo?
“Scusami, scusami, scusami!” gli urlai correndogli incontro. Quando finalmente gli fui vicina allungai le braccia fino al suo collo e mi lasciai trasportare dal suo profumo che per mesi era mancato in casa. Sempre abbracciata a lui, mi asciugai il viso rosso dal pianto e qualche lacrima scesa nel vedere i suoi occhi nocciola. 
“Non sai quanto sei mancato a mamma e papà, sul serio” lui, sorridendo, abbassò lo sguardo sui suoi scarponi malamente ridotti.
“E a te? Non ti sono mancato?” mi chiese. Non seppi il perché ma mi sentii colpita e affondata. Il mio pensiero fisso era sempre stato il timore di perdere il diario che Niall mi aveva regalato.
“Certo. Ogni sera, prima di andare a dormire, prego per te affinché torni sano e salvo.” Ed era vero. Non seppi il motivo del suo sorriso ambiguo, ma una cosa era certa: Zayn mi aveva pensato costantemente in questi due lunghi mesi di servizio al Paese.
“Lì fuori non sai mai se farai ritorno, o semplicemente, non sai mai se la notte rientrerai in caserma.” Lo disse con una tale amarezza che ebbi la paura di un improvviso scoppio isterico, ma per fortuna non avvenne. Non sono mai stata brava a tranquillizzare me stessa, e di conseguenza gli altri, ma mi sentii in dovere di dargli una confortevole pacca sulla spalla. “Allora...” abbozzai. “Finalmente ti ho davanti, fratellone mio!”, continuai con la poca voce che possedevo.
Fratellastro” mi corresse lui. 
"Ora vado a farmi una doccia" aggiunse con voce distaccata e fredda.
Annuii.

“Stai dritta con la schiena!” mi rimproverò mia madre. Non replicai e feci come mi aveva chiesto. Per tutta la cena rimasi con la bocca chiusa, in parte perché masticavo il cibo, in parte perché me lo avevano imposto i miei genitori. L’altro bambino di cui non conoscevo il nome sedeva in tavola di fronte a me. Non sapevo la sua storia e né perché da un giorno all’altro era piombato in casa nostra senza preavviso, ma continuavamo a guardarci complici.
A fine serata mia madre ci accompagnò in cameretta mia.
“Dividerai il letto con Belinda” gli disse con fare gentile e cordiale. Dopotutto mia madre aveva sempre avuto secondi fini.
Quando uscì dalla stanza io e il bambino ci stavamo osservando timidamente.
Mi si avvicinò sfoderando un sorriso magnifico: “Quindi ti chiami Belinda” constatò. Io abbassai lo sguardo sulle mie Lelli Kelly.
“Beh, sì, ma tu chi sei?” gli domandai. Forse all’epoca ero fin troppo scontrosa, ma non mi parve giusto tenere in casa uno sconosciuto.
“Mi chiamo Zayn Jawaad Malik e sono di origini pakistane. Forse non ti hanno detto niente i tuoi genitori, ma mi avete adottato. Dovrai abituarti alla mia presenza. Vivrò con te e la tua famiglia d'ora in poi.” Sconvolta, mi andai a sedere sul materasso. Perché i miei genitori lo avevano adottato? Nel frattempo, Zayn si sedette al mio fianco continuando a fissare un punto davanti a lui.
“Forse non sono abbastanza per loro? Non mi vogliono più? E’ per questo che ti hanno adottato? Per voler bene ad un altro bambino?” replicai ancora sotto schock.
Lui mi guardò con pietà. “Certo che ti vogliono bene Robert e Sonny” io ricambiai il suo sorriso confortante.
Infine ci abbracciammo e rimanemmo entrambi l'uno accanto all'altro per tutta la notte.
Aveva un profumo al miele che mi cullava e mi addormentai solo dopo avermelo inflitto nelle narici. Poi sorrisi: dal quel giorno la mia vita sarebbe cambiata. Io, Belinda Pimt, avevo un fratello maggiore.








Due giorni dopo.

Due dita mi presero una guancia e me la pizzicarono. Urlai infastidita e aprendo gli occhi incontrai il sorriso meschino di mio fratello. Sbuffai inorrodita di essermi svegliata così tardi – riuscii a sentire la puzza di bacon dall’alito di Zayn, segno che aveva già pranzato – e misi la testa sotto il cuscino per non sentire le sue lamentele. Poi però due braccia mi presero la vita sollevandomi e io provai la sensazione strana di volare. Troppo tardi: Zayn mi rimise in piedi per terra. Mi strofinò le sue mani ghiacciate sotto la maglia del pigiama e brividi di freddo mi agghiacciarono il respiro.
“Aah, corri!”, mugulai con la voce ancora impastata dal sonno. Lo rincorsi per tutto il corridoio ma le mie fatiche erano sprecate dal momento che mio padre ci rimproverò. Lo ignorammo, come facevamo di solito, e riprendemmo la nostra corsa contorta.
“Non riesci a prendermi, Bella?” Sapeva quanto mi dava fastidio quel nomignolo.
“Giuro, se ti prendo non sai cosa ti faccio, Pakistano!” Poi si bloccò ed io non rendendomene conto gli andai addosso buttandolo per terra, e con lui io sopra. Stavamo entrambi riprendendo il fiato per la tortuosa sfida che ci eravamo lanciati poco prima. Sentii il suo addome contrarsi, rendendosi più duro. Accantonai l’impulso di toccargli gli addominali poco scolpiti, ma al solo pensiero arrossii, e credo che lui se n’era reso conto.
“Allora... adesso che mi hai preso cosa mi fai?” mi chiese con un accenno di malizia. Prima che potessi rispondere, mio padre si presentò in cucina. Sbarrò gli occhi notandoci sdraiati l’uno sopra l’altro sul pavimento con il respiro affannato.
“Cosa stavate facendo?” ci domandò prima che mi facesse rotolare da una parte per aiutare Zayn a rialzarsi.
“Niente, Robert” gli rispose il moro sistemandosi un bottone della sua camicia. Mossa molto sospetta agli occhi di mio padre. Ci dedicò un’ultima occhiata cattiva prima di scomparire a prendere il giornale nella cassetta della posta. Io ero rimasta inerte sul parquet, e solo in quel momento notai che papà aveva aiutato Zayn a rialzarsi, ignorandomi completemente.
“Non prendertela” mi comunicò lui furioso per poi congedarsi nella nostra cameretta.





Una settimana dopo.




Caro... caro Niall,
Non dovrei scriverti... rimangono poco più di due pagine, sai? Ma è più forte di me.
Cosa faccio dopo aver finito il diario? Non avevo mai pensato di chiedertelo. Dannazione.
Senza te non so come vivere, seriamente.
Zayn è ripartito per l'Iraq. L'ho saputo leggendo la lettera che mi ha lasciato ieri mattina sul comodino.
Ho il cuore a pezzi. Ha confessato di amarmi e di non riuscire più a sopportare il fatto che non sarò mai sua,
e quindi, da quanto ho capito, andare in guerra per lui è un modo per sfogarsi.
Non riesce a capire che se gli succedesse qualcosa di brutto, io sarei persa? Senza un punto di riferimento?
Mi hanno abbandonato tutti, Niall. I miei genitori non mi hanno mai dato ascolto, mi odiano, lo so.
Mi sento più sola che mai. Ma tu rimarrai per sempre nel mio cuore.
Io ti amo, e questo sentimento nei tuoi confronti non cambierà mai.
Non riuscirai mai a liberarti di me, come io non riuscirò mai più ad appropriarmi del mio cuore, che, nel 2009, tu mi rubasti.
Caro Niall, ricordi l'estate del 2009? La più bella della mia vita.
Al solo pensiero mi scappa una lacrima.
Non mi importa se a dividerci c'è quel cielo azzurro, ultimamente grigio e spento.
Le nuvole sono solo un ostacolo che insieme, nel bene o nel male, supereremo.
Perché io credo nell'amore infinito e, angelo mio, io ho scelto te.
So per certo che al mio fianco, qualsiasi cosa accada, rimarr...




Qualcuno, dietro di me, mi picchiettò la spalla. "Che fai?" chiese una voce pimpante.
Il rumore dei passi di chi traslocava dalla mensa alle rispettive aule contrastava sempre il suono della campanella. E notando che in giro non circolava un'anima, l'ansia si fece spazio dentro me: che mi fossi beccata per la seconda volta consecutiva il ritardo?
"Mi ascolti oppure no?" Mi girai, non prima di riporre penna e diario nel mio armadietto su cui poco fa ero poggiata per scrivere a Niall.
"Niente, Ash", dissi imbarazzata "Non faccio nulla, anzi, ora prendo i libri di letteratura. Mi sarò beccata un ritardo, e anche tu" conclusi dandole le spalle.
"No, aspetta!" Mi girai per una seconda volta, impaziente di finire la conversazione. "Cosa vuoi da me, Ashley?" chiesi irritata.
"Ti volevo chiedere se gentilmente avresti votato per me all'elezione di rappresentante d'Istituto. Se lo farai, e sempre se tu voglia, sarò in debito con te."
Un ricordo vacuo mi sfiorò la memoria:

"Credo che mi candiderò."
"Sicuro?" gli chiesi. Provai ad immaginarmelo in giacca e cravatta di fronte a tutti gli alunni dell'Istituto, intento a leggere la sua lista con gli aspetti positivi e negativi che avrebbero comportato le sue innovazioni alla scuola.
"Sarò gelosa di tutte le attenzioni femminili che riceverai" confessai.
"Almeno saprò che a me ci tieni" Gli diedi un pugno sul petto.
"Certe cose non devi nemmeno metterle in dubbio, Horan" detto questo, mi allontanai dandogli le spalle.
Il nostro primo litigio.
 
"Allora?" La sua voce rauca mi riportò alla realtà. Cominciava ad infastidirmi quell'incontro.
"Mi dispiace, ma quest'anno non voterò per nessuno."
Quel posto se lo meritava Niall.



...So per certo che al mio fianco, qualsiasi cosa accada, rimarrai tu.

Persa tra le righe, tua Belinda.







2 anni dopo.

Dopo aver oltrepassato il bar dell'ottava strada, ricevetti un pugno al cuore.
Dopo aver svoltato a sinistra, deglutii a fatica.
Dopo che controllai quanti kilometri mancavano, mi asciugai una lacrima.
Attraversai il tunnel e parcheggiai alla mia destra. Chiusi la mia auto e ficcai dentro la tasca del giaccone le chiavi. A passo lento mi avvicinai al cancelletto di ferro; mi aveva dato sempre l'aria triste entrare in quella radura deserta. Quei pochi alberi spogli mi facevano sentire angosciosa più del dovuto. Strinsi forte al petto il diario, posizionandolo sul cuore, esattamente come l'aveva posizionato lui la prima volta che me lo regalò; il mazzo di peonie bianche lo tenevo alto, vicino al mio viso, per sentirne il delicato odore.
Sospirai incredula di riuscire ancora a camminare nonostante la tremarella. Ho sempre temuto quel posto. La gente anziana, e non, che ci entrava e non ne usciva più, catturati dalla morte. Mi sentivo intimorita dalle occhiate che mi rivolgevano, come se fossi diventata improvvisamente un alieno.
"Bella." Non mi girai. Riconobbi immediatamente la sua voce cristallina. Louis William Tomlinson, il più desiderato della scuola e fratello di Ashley Kate Tomlinson.
"Belinda" lo corressi ancora una volta io, sempre dandogli le spalle. Fece un passo soffocato tra l'erbaccia secca e mi fronteggiò. Alzò le sopracciglia. "Cosa ti porta qui?" mi domandò accarezzandomi una guancia. Mi scostai prudentemente, abbassando lo sguardo sul terreno e continuando a guardarlo di sottecchi. Sapeva il motivo, ma perché chiedermelo? Che lo volesse sentire da me? Dalla mia bocca? Capirlo con una mia lacrima?
"Non andartene." Mormorò lui prima che fuggissi dal suo sguardo inquisitorio.
Mi sedetti su una panca, poggiando il mazzo di fiori accanto a me.

Sto venendo da te per salutarti...


Mi sistemai come meglio potevo i capelli, ravviandoli. Ricominciai la mia passeggiata, sbuffando dalla collera. Ripresa dallo stato inconscio in cui sprofondai, mandai mentalmente a quel paese i ragazzini che trottolavano per le strette vie, stressandomi.
Persi la cognizione del tempo ma me ne fregai, anche se la poca luce rimasta in cielo mi dava l'idea di che ore si erano più o meno fatte.
Mi persi anche, era un labirinto fatto di lapidi e pezzi di piccoli tronchi, su cui uno, tra l'altro, inciampai. Quando persi le speranze, il mio sguardo venne catturato dall'ultima lapide della quinta fila a destra.

Eccoti.

"Cristo, quanto tempo sarà passato dal nostro ultimo abbraccio o sorriso?" chiesi tra me e me. A passo deciso mi avviai disperatamente verso la lapide di ferro. Mi sedetti a gambe incrociate davanti all'epitaffio. Ripensandoci, non avevo mai letto cosa aveva voluto che ci fosse scritto sulla sua lapide. Una leggera pioggerellina mi accerezzò il dito che avevo allungato per togliere la polvere sulle piccole incisioni marcate, ma sembrò che l'acqua avesse fatto il lavoro al posto mio, quindi indietreggiai l'indice e mi riscaldai, per così dire, le mani nelle tasche dei jeans. Da lì a pochi minuti, si manifestò un vero e proprio acquazzone che non mi diede via di fuga, né protezione. Ditemi, come aver l'impulso di fuggire dalla pioggia quando si ha di fronte l'amore della propria vita?
Mi alzai di poco il collo del giaccone per scaldarmi la gola.
La foto incorniciata che lo ritraeva era fissata al marmo bianco latte, poco più in alto di un piccolo vaso nel quale affidai le peonie. Mi stropicciai gli occhi ripetendomi di rimanere sveglia. Ogni mia voglia di dormire fu svanita nel leggere quelle parole su cui prima tentavo di togliere la polvere.

NIALL JAMES HORAN
ENTRATO IN GUERRA A 16 ANNI. MORTO A 16 ANNI
IN LIBIA TRE MESI DOPO IL SUO ARRUOLAMENTO
COMBATTENDO PER LA PACE DELLA PROPRIA PATRIA
13/09/1993 - 22/12/2009

IN MEMORY

«Bambina mia, ti amo. Mi dispiace di ritrovarmi in un cimitero e non al tuo fianco. Ma sappi solo che ogni volta che guarderai le stelle, guarderai i miei occhi. Che ogni volta che ti senti smarrita, alza il capo e sii cosciente di portare la mia aureola, te la regalo. Ogni volta che mi cerchi con lo sguardo, non osservarti nei dintorni, ma osserva il tuo cuore, toccalo, fallo sorridere, fallo battere all'impazzata. Se lo vuoi sapere, è lì che mi trovo ora.»


Chiusi gli occhi, lasciando cadere una lacrima salata, e mi rivissi in svariate scene con Niall, il mio Niall:

"Non ti mordo mica."
"Come?"
La mia mano sudacicchia prese la sua, calda e rassicurante, ma allo stesso tempo decisa, ricambiando la stretta. Io guardai questo contatto incredula. Non mi ero nemmeno resa conto di quello che era successo. Forse perché continuavo a fissare quei suoi occhi azzurro cielo, o forse perché ero incosciente sul come iniziare un argomento.
"Io sono Niall, il vicino di casa." Il suo sorriso raggiante venne interrotto da Zayn, che mi fece allontanare dal ragazzo biondo guidandomi in cucina e appoggiandomi una mano sul fianco destro. Non seppi se chiamarla fortuna o sfortuna. Fatto sta che di quei sorrisi ipnotici non ne avrei mai fatto a meno.

-

"Mi stai chiedendo se voglio uscire con te?" La mia voce tremolò e mi lasciai scappare nel bel mezzo della frase un gridolino isterico, che non tralasciava spazio all'immaginazione.
"Con te, Adelle e Adrian" si schiarì la voce, sobbalzando.
Lo sapevo, era troppo bello per essere vero. Ma, un momento.
"Però considerando che Adelle e Adrian fanno coppia fissa, mi stai chiedendo se voglio uscire con te?"
O la va o la spacca, mi ripetei.
"Beh, vedila come vuoi tu..."
mi rispose lui grattandosi la nuca nel pieno imbarazzo.
Non riuscii a non evitare un ghigno di soddisfazione.

-

"Tu hai fatto cosa?" gli chiesi spalancando la bocca e sbarrando gli occhi.
"Okey, basta, mi sono già pentito. Non dovevo dirtelo...", abbassò lo sguardo, come era suo solito fare.
Guaivo dalle risate, e lui non si fece che trasportare. Più lo conoscevo, più mi sembrava buffo e innocente quanto un bambino.
Poi portai le mani, diritte, ai lati della bocca e, con tutta la voce che avevo, urlai: "Ieri Niall si è pisciato addosso!!"
E fu lì che iniziò il nostro
gioco, o almeno a me piaceva chiamarlo così. Mi saltò sopra e, mettendosi a cavalcioni, iniziò a farmi il solletico. Quando si parla di solletico, mi viene da tremolare: la sola parola mi provoca fastidio. Ma lì, in quel momento, provavo tutto tranne che irritamento. Perché con lui stavo così bene che le sue mani a contatto con il mio collo era l'unica cosa che mi ero riscoperta di desiderare per tutta la giornata. Continuava a solleticarmi le parti del corpo più sensibili, ed io cominciai a muovermi ad ogni suo tocco delicato. Alla fine ci ritrovammo a rotolare per la collina, ognuno concentrato ad ascoltare la risata dell'altro.

-

"Mamma, ti presento Niall, un mio amico" annunciai dopo essere entrata in casa e dopo aver posato l'ombrello e la giacca che mi diede Niall.
"Uh, ullallà!" disse mia madre, sorridendo.
Strano.
"Piacere di conoscerla."
Si strinsero la mano affettuosamente, come se si conoscessero da una vita, e per un momento supplicai che mia madre lo chiamasse 'genero'.


"Perché...? Perché?" urlai. Mi portai le mani sul viso, coprendolo, e lasciai indifferente che un ciuffo di capelli ribello mi solleticò le dita. Solo che... "IO ODIO IL SOLLETICO! "
Mi alzai improvvisamente, e sul punto di ricadere per colpa di un arbusto che non notai, mi abbandonai alla lapide accanto, stando attenta a non sbilanciare nuovamente il peso all'indietro. Mi ricomposi, rimproverandomi di non essere mai stata così stupida ed ingenua.
"Se fossi in te, tuo fratello non lo userei come un oggetto a cui aggrapparsi." Mi girai, incredula.
Scossi violentemente la testa, mordendomi la lingua, perché se perdessi il controllo, la mia stessa lingua sputerebbe fuori insulti a non finire. Louis William Tomlinson.
"Il fatto è che tu non sei me" mormorai. Sentii quella sensazione chiamata 'orgoglio'. Mai mettere in mezzo... Zayn.
Cosa?
Un dolore fitto mi scosse il cuore, scosse Niall, che abitava dentro di me. Mi cominciarono a tremare le gambe ed io non mi mossi finché la sopportazione delle articolazioni del ginocchio mi permise di rimanere stabile, inchiodata a terra. Poi però caddi sui fili bruciati d'erba; sicuramente il sole dell'estate scorsa aveva fatto il suo lavoro. Implorai il Signore di aver capito male. Anche la lapide che avevo di fronte, che si trovava affianco a quella di Niall, aveva uno spesso strato di granelli di polvere. Con un soffio leggero li feci volare tutti, causando una nuvoletta grigiastra volante davanti ai miei occhi. Mi scansai il necessario e, deglutendo, lessi in mente le parole incise sul marmo opaco, toccandole e continuando a seguirne i lineamenti con il dito quasi volessi accarezzarle.

ZAYN JAWAAD MALIK
ENTRATO IN GUERRA A 16 ANNI. MORTO A 19 ANNI
IN IRAQ, COMBATTENDO PER LA PACE DELLA PROPRIA PATRIA
12/01/1993 - 20/12/2012

IN MEMORY
«Mi dispiace averti lasciato nella noia, mi dispiace averti lasciata con una lettera. Pensavo sarei tornato, e invece giaccio sotto terra, o alla meglio, lassù in cielo. Sono un egoista egocentrico, lo so. Ti ricordi quando me lo dicevi tu? Non ti dimenticherò mai Belinda. Tutte le volte in cui volevo piangere, dalla fatica, dagli sforzi, dalla pressione che mi esercitavano, io sorridevo, consapevole di averti a casa, serena, senza, o almeno spero, preoccupazioni. Sai, anche se non mi ami, penso alla tua felicità, anche se ora non ci sono più. Ci vediamo dall'altra parte, sorella mia.»

Il mio corpo sussultava dai singhiozzi. Ogni piccola parola, un proiettile all'anima. Una sillaba, una lacrima. Non ero io a ragionare in questo modo, bensì era il mio corpo a regire senza il mio volere. Stavo strappando quei pochi fili d'erba rimasti dalla rabbia e dalla rassegnazione, quando sentii una mano accarezzarmi i capelli.
"Cosa stai facendo, Louis?" chiesi serrando la mascella, ripugnata nel sentire il suo tocco. Il respiro rallentava, così i miei battiti. Morire, accanto a mio fratello e al mio ragazzo. Presi in considerazione quell'idea stramba e surreale.
"Non hai più le palle per rispondermi, Will?" domandai dopo una manciata di secondi. Non sentendo nessun tipo di risposta - un ghigno, uno sbuffo, un risolio - mi alzai dal terreno e mi girai verso di lui. Almeno una smorfia in viso che di spalle non potevo vedergli ce la doveva avere.
Invece, lo sorpresi a piangere, le mani che coprivano gli occhi per non far scendere le lacrime. Fu dopo un tempo interminabile che proferì parola.
"Perché Will?" la sua voce tremava, ed io ero ancora ignara del motivo del suo pianto, o perlomeno, ancora non ci ero arrivata.
Invece, io mi sorpresi a sorridergli.
"Will come William" dissi con voce rassicurante e quasi tenera. Tomlinson che piangeva! Da registrare e condividere il video su Youtube, veramente!
"Chiamami semplicemente Lou" disse con voce impastata, smarrendo la sua cristallinità. Piantai lo sguardo sulle mie scarpe, sentendomi stranamente in colpa.
"...Lou?" sussurrai insicura io.
"Mmh" lo accettai come un 'sì?'.
Mi avvicinai, incerta. "Che è successo?" Mi fissò con quei suoi occhi color del ghiaccio, che mi ricordavano tanto il mio irlandese, e mi sentii in soggezione. Aspettai una risposta, e accorgendomi che non arrivava, strinsi saldamente la sua mano, incoraggiandolo a parlare.
"Io..." abbandonò il contatto visivo spostando lo sguardo altrove. Sentii la delusione sbocciare come una rosa profumata. Ma a contrario di essa, io non sono un fiore, e la delusione non fiorisce, al massimo marcisce. E stava marcendo me, come marciva chiunque la provava. Giurai che se fossi una rosa, in questo momento mi sarei ritrovata dei petali sgualciti.
Inaspettatamente Louis mi abbracciò. L'abbraccio più caloroso e sincero che mi avessero mai regalato dopo la morte di Niall.
"Oh, Belinda." Sentire la sua voce fu per me un senso di sollievo e sconforto: singhiozzava.
"Ero con lui, in Iraq, ma ho abbandonato la missione dopo nemmeno due mesi. Sono un fallito, un perdente. Avevo paura di morire, di lasciare i miei cari. Non me ne fregava niente se ero in servizio per il Paese, per me quel contava era vivere, sapere di non morire per merito del nemico. Quindi ho lasciato che se la sbrigasse Zayn senza di me e il mio appoggio. L'ho tradito, Belinda. Avevo il timore di dirgli che tornavo a casa, e non solo per pochi giorni, come mi era successo invece alla morte di mio nonno, l'anno scorso. Ho dato l'incarico a Jonathan, sia per quanto riguardava la missione, sia riferire il mio abbandono della caserma a Zayn..."
Lasciai che riprendesse fiato, rimanendo immobile nell'abbraccio in cui eravamo ancora stretti, una specie di vincolo di sangue.
"...In caso di una probabile morte, ogni soldato, all'inizio del trasferimento in caserma, ha il diritto di registrare le sue probabili ultime parole, e queste, vengono riferite a sua volta al notaio, che le trasforma in epitaffio. Il soldato sceglie come testimone un altro soldato, questa è la regola. E Zayn scelse me, come Niall scelse me e Zayn."
Al pronunciare il nome di Niall, Louis ebbe un ripensamento. Sapeva che soffrivo ancora per lui, per il mio primo amore.
"Ricordo quel giorno come se fosse ieri- continuò lui -Teneva la testa china, i gomiti sulle ginocchia, seduto su una sedia. A separarmi da lui c'era un vetro. Sembrava una sala di registrazione. Infatti, prima dell'arrivo del Generale per registrare le sue ultime probabili parole, eravamo soli e stavamo scherzando. Lui cantava a squarciagola, dovevi sentire che voce che possedeva, Belinda! Era un mostro a cantare, ci sapeva davvero fare! Scherzai sul fatto che avesse sbagliato carriera. Ma anche in guerra Zayn era un tipo tosto. All'entrata del generale Rick Googman, il silenzio più totale. Ad ingannare il tempo e il silenzio che avvenne prima della registrazione, erano i nostri sguardi ansiosi. Tu non ci sei mai passata, e credo e spero che non ci passerai mai, ma per un soldato la registrazione delle ultime probabili parole è un momento importantissimo. In caso di una futura e probabile morte, segna le tue ultime probabili parole, che sono sacrosante. E' divenuto una specie di rito che si fa prima di andare in guerra, oramai. Mentre lui diceva le sue ultime probabili parole, osservavo ogni suo dettaglio: la fronte imperlata dal sudore, i capelli sudati, la schiena piegata, quasi avesse un accenno di gobba, le mani strette a pugno, e gli occhi socchiusi, stando attento a cosa diceva e all'esclamazione che dava alla parole."
Non capii il motivo del suo discorso.
"Lou, mi dispiace davvero tanto, tu non sei un perdente, sei un vincitore" dissi tra i singhiozzi. Lo sentii annuire sulla mia spalla.
"Perché mi stai dicendo questo?" provai a chiedere.
"Perché quando poco fa ho riletto quelle parole sulla sua lapide, mi è venuta in mente quel giorno. Non sono riuscito a contenere le lacrime. Maschero sempre la mia sensibilità facendo il duro a scuola, ma io non sono un bullo, io non voglio esserlo, Bella. Sei la prima persona con cui ne parlo..."
"Sai una cosa?"
"Cosa?" mi domandò.
"Mi sento onorata, grazie per esserti sfogato con me. Oggi ho capito che sei un ragazzo davvero dolce."
"Ne sono contento." Abbandonò l'abbraccio ed io cercai la sua mano - senza un perché - e la trovai calda e morbida.
"Ha smesso di piovere" constatò. "E hai tutti i capelli zuppi d'acqua" mormorò sorridendo. Sorrisi a mia volta.
"Beh, anche tu" dissi ridendo.
"Che dici, andiamo? Abbiamo bisogno entrambi di una doccia"
"Hai ragione... solo... aspetta un attimo. Okay?"
"Certo, non mi muovo" disse.
Presi il diario, che avevo nella tasca capiente del giaccione. Mi avvicinai alla lapide di Niall.

Sai che non ti dimenticherò mai.

Scrissi frettolosa. Sfogliai l'ultima pagina e...
"Non è possibile" sussurrai sorpresa.

Cara Belinda, ti ricordi l'estate del 2009? Non posso mentire: la più bella della mia vita.

Se stai leggendo e sono morto, ama qualcun altro, so che per te è difficile... ma DEVI farlo.
Non puoi compiangermi a vita. Ti amo.
Se invece sono vivo, amami, perché il sentimento è ricambiato.
TI AMO.
Niall. xx

Fu quando vidi disegnato a mano un piccolo robot che diceva tramite una nuvoletta: "piccolo e tenero robot", che scoppiai in lacrime.







5 mesi dopo.

"E' imbarazzante essere qui, sopra questo palco, e dirvi che sono felice... beh, quello è scontato, certo!"
Un piccolo risolio si fece spazio nella stanza.
"Innanzitutto, ora che mi sono laureata, ho raggiunto il primo e vero traguardo. Il secondo è cercare un lavoro. Louis, mi aiuterai, vero?"
"Contaci!" lo sentii dire dal pubblico. Lo cercai con lo sguardo. Una volta che intrecciammo i nostri occhi, gli sorrisi teneramente.
"Certo, su di te posso sempre contare..." gli risposi di rimando. "Ringrazio i professori che mi hanno sempre aiutata... perciò, oh... aspettate, avevo una lista qui da qualche parte" dissi, cercando nelle tasche dei jeans, imbarazzata.
Vidi Louis far penzolare un foglietto di carta stracciato con un sorrisetto in viso.
Abbassai il capo, pronta ad una delle mie solite figuracce. "Emh... scusate un attimo."
Mi spostai un ciuffo di capelli dal viso e scesi tre piccoli scalini. Louis era in prima fila.
"Dammi qua!" Cercai di acchiappare il biglietto ma Louis scansò le mani. "Prima dammi un bacio" mi disse. Alzai gli occhi al cielo e gli baciai una guancia, trattenendomi per pochi secondi. Mi abbracciò, rimasi di sasso.
Ci staccammo, dispiaciuti. Salii nuovamente sul palco, questa volta con l'elenco dei nomi a cui dedicare un grazie.
"Bene. Un grazie ai professori Kesha, Loira, Lisa, Kenner, Caster, Aaron, Alfred, Alvin, Alanna, Alesha."
"Un grazie a...- feci una pausa -...Niall e.. Zayn. Mi mancate." deglutii.
"Un grazie a Louis e al suo carisma. Si è riscoperto davvero un buon amico" lo vidi farmi un occhiolino ed arrossii, tantendo di non darlo a vedere.
"Un grazie ad Ashley e alla sua pazienza. Ehy Ash, scusami se prima non ti sopportavo neanche" la sentii sghignazzare, intenta a prosciugarsi il suo pacchetto di patatine.
"Un grazie ai miei genitori anche se oggi non sono qui, ma in crociera per i loro 25 anni di matrimonio" sorrisi tra me.
"Un grazie a Glorynda, che mi ha aiutato a finire la tesina per l'esame di fine anno" dagli ultimi posti, mi fece un inchino.
"Un grazie a Roland. Amo le tue battute perverse!" Silenzio tombale. Risero tutti, come non detto.
"Emh, sì... insomma, grazie a tutti per esserci stati. Mi avete aiutata in molti. Ho un debito con tutti, beh, tranne con i professori, dal momento che ho passato gli esami." Un'altra risata.
"Ho concluso." Dissi, una volta essermi dileguata al bar della scuola.

"Puffa!" Qualcuno mi scompigliò i capelli. Louis. Sorrisi.
"Non sono così bassa..." sussurrai. 
"Ti devo parlare" dicemmo all'unisolo.
"Prima tu" dissi.
Annuì. "Mi piaci, Bella, non posso più nascondertelo. Mi sembra evidente..."
Portai le mani sul cuore, timorosa di aver capito male. "A te piace una come me?"
"A me piace la persona fantastica e aperta con tutti, quale tu sei."
"Era la stessa cosa che volevo dirti io" mormorai con un groppo in gola.
"Che sono fantastico e aperto con tutti?" mi rispose piegando la testa di lato. Potevo vedere la serietà e la confusione nei suoi occhi.
"No emh, dicevo... il fatto che ti piaccio... Beh, piaci anche a me Louis, e anche tanto...." Sorrise. Sorrisi.
"Ma chiamami un'altra volta Bella, e ti uccido." Dissi con voce minacciante. Rise, puntando lo sguardo dritto nei miei occhi.
Mi si avvicinò... togliendo ogni distanza che ci separava. Mi prese una guancia e l'accarezzò. Sentivo le sue labbra divenire a mano a mano sempre più calde. Io assaporavo ogni suo tocco. Mi lasciò una scia di baci, infuocandomi la pelle.
Niall aveva ragione. Aveva sempre avuto ragione.


25 anni dopo.

"E' così che ho conosciuto vostro papà" dico, fiera di me. Osservo Louis, al mio fianco, che mi sorride fantasticando i bei tempi.
"Mamma, quindi il diario non è tuo?"
"Mamma, perché hai scoperto solo dopo due anni che lo zio era morto?"
"Mamma, non ho sonno!!"
"Mamma..."
"Ehy, ehy, uno per volta, bambini" mormoro, accomodandomi meglio sul letto. "Zayn, no, il diario me lo ha regalato... un amico molto speciale, ma che ora non c'è più. Sapete, un tempo lo amavo... Lo zio ha deciso prima della sua morte di non inviare nessuna lettera a casa mia, per non farmi soffrire. "
"Ora non lo ami più?" mi chiede Zayn.
"Amo vostro padre ora. Comunque sia, Niall rimarrà per sempre nel mio cuore, non lo dimenticherò mai..." sento il mio cuore aumentare i battiti. E' Niall, che mi sta cercando di parlare. Nell'amore non serve una bocca. Quando si ha la persona davanti gli si osservano gli occhi. Ma quando l'amore è forte anche dopo una perdita, gli occhi sono lo spirito dell'anima.
"Niall?"
"Sì, si chiama come te, Niall" gli dico sorridendo. Rievocare il passato è triste e doloroso.
"Avete ancora paura del buio? Se volete rimaniamo a dormire qui con voi per questa notte" Louis capisce il mio sconforto.
"Sì, sì! Per favore!" Esclama Niall.
Mi metto sotto le coperte insieme a Louis. Zayn e Niall mi si avvicinano e li abbraccio forte contro il mio petto, sussurrando frasi dolci.
L'amore scalda il cuore. Sto scaldando Niall.

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LA MIA PRIMA ONE SHOOOOOT
Ho cercato di farla abbastanza lunga, eheh.
Anyway, devo una scusa enorme quanto una casa alle mie lettrici della mia FF ("If it was destiny, why waste the opportunity?"). Al posto di pubblicare il diciassettesimo capitolo (che tra l'altro devo ancora scrivere) ho fatto la tamarra pubblicando sta One Shot :c SORRY GUYS. Si chiama tentazione! D:
COOOOOMUNQUE, vi piace? Scrivetemi il vostro parere, ne ho bisogno, tsk.
Ci ho messo non so quante settimane per scriverla tutta '.'

GRAZIE A TUTTE QUELLE CHE RECENSERANNO.

Un bacio, xSariArix :)


  
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