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Autore: La neve di aprile    17/07/2007    4 recensioni
Ricordo la prima volta che ti vidi, Izzy.
È una scena che si è stampata nella mia memoria, un marchio che non vuole saperne di sbiadire.
Pioveva da giorni, non c’era stato un attimo di tregua. Nemmeno il più piccolo spiraglio di sole.
Il cielo continuava a vomitare pioggia sulla città, che scintillava.
Le luci dei lampioni, le vetrine, i grattaceli: si rifletteva tutto nelle strade coperte di pozzanghere.
E adesso che gli anni sono passati, che le cose sono cambiate, mi rendo conto che forse la mia vita, la tua vita, sarebbe stata diversa se le cose avessero preso una piega diversa.
Forse ci saremmo risparmiati tante cose, forse saremmo stati persone diversi.
Ma non sarebbe stata la stessa cosa.
REVISIONE IN CORSO.
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Hand in glove'
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HAND IN GLOVE
# 6 THE GROUND BENEATH THEIR FEET

~ the moonlight serenade

 



PARLA IZZY:

Che quella notte fossi terrorizzato, non era un mistero.
Se ne accorsero tutti, preso o tardi, e tutti vennero a chiedermi spiegazioni: nessuno, a parte te, ottenne risposta.
Cosa non avrei fatto per te!
Ti amavo al punto da non riuscire più a ricordare come fosse la mia vita prima di incontrarti, ogni cosa perdeva importanza davanti ai tuoi occhi scuri.
Mi spaventavi, si.
Mi spaventavi per il potere che esercitavi su di me, ma invece di allontanarmi questo mi attirava sempre più, ero una falena in balia della tua fiamma.
Fu per questo che scelsi quella sera per chiederti di venire in tourneé con noi.
Di partire, di venire via con me.
Era una mossa rischiosa, tu avevi la tua vita a Los Angeles, una vita che amavi e che non sapevo se saresti stata disposta ad abbandonare così, su due piedi, per chissà quanto.
Ma volevo farlo.
Dovevo farlo, proprio perché ti amavo e l’idea di lasciarti per mesi, forse un anno, mi uccideva lentamente.
E sempre quella sera, avrei voluto dirti che ti amavo.
Non l’avevo mai fatto, in quei mesi, non avevo mai trovato il coraggio.
Non perché non ne fossi sicuro, anzi.
Ero solo spaventato da ciò che quelle tre parole avrebbe potuto scatenare.
Una paura che troppe volte mi ha bloccato, portandomi a prendere strade dalle quali non sono mai tornato indietro, dalle quali non ho mai potuto scostarmi.
E adesso che lo so, tutto ciò che voglio è trovare anche solo un sentiero, una pista che mi riporti a un bivio conosciuto, il bivio che cambiò la mia e la tua vita, stravolgendole e facendole a pezzi, senza pietà.
Vorrei tornare lì e fermare il tornado.
Mi permetteresti di sconvolgere tutto, una volta ancora?
Certe volte, temo proprio che preferiresti morire piuttosto che attraversare ancora l’inferno.

 

 

And in the darkened underpass
I thought "Oh God, my chance has come at last!"
(But then a strange fear gripped me and I
Just couldn't ask)
 

The smiths, There Is A Light And It Never Goes Out.


 

Los Angeles, gennaio 1988

Erano abbracciati, seduti su quei gradini sporchi che nemmeno il vento riusciva a spazzare.
I loro respiri si susseguivano tranquilli, senza accompagnare parole che non avevano bisogno di esser dette.
Solo una sottile spirale, uno spettro di fumo azzurrognolo, si levava debole verso quello spiraglio di cielo aperto che li osservava benevolo. Una sigaretta, per due.

“Ma davvero mi hai preso un regalo?”
Fu Roxanne a rompere quel silenzio, alzando il viso e cercando gli occhi del ragazzo, due laghi neri più neri del fondo del sottopassaggio, bloccato da un cumulo di detriti e chissà cos’altro. Izzy ammiccò.
“Non dovevo?”
“Scemo!” una risata, un colpo sulla spalla “Pensavo però che fossero i ragazzi il regalo.”
“E perché mai?” sorpreso, il chitarrista sgranò appena gli occhi.
Lei corrugò la fronte, in un attimo di disappunto.

“Perché, Izzy, hai passato non so quanto tempo a dirmi che volevi proteggermi dal tuo mondo e blablabla e poi, tutto ad un tratto, la sera del mio compleanno ti presenti qui con il gruppo al completo.” scrollò le spalle, rubando la sigaretta dalle labbra del ragazzo “Ho pensato che fosse quello, il tuo regalo. Un passaporto in grande stile per il mondo di Izzy Stradlin!” annunciò all’eco che inseguì le sue parole con lo stesso tono altisonante, da direttore di circo.
“Quanto sei scema.” la rinbeccò affettuosamente, posandole una mano sulla gola e sollevandole il viso, ritrovandosi a guardare quegli occhi color cioccolata attraverso una cortina confusa di capelli scuri.
La bocca, corrucciata in una smorfia imbronciata. Sorrise.

“Tanto lo so che mi adori anche per questo.” lo rimbeccò lei, sciogliendo il broncio in un mezzo sorriso.
Izzy sentì un fremito: eccola, era l’occasione che aspettava.
No, io non ti adoro soltanto, io ti amo.
Nove parole. Una cosa semplice, niente di esagerato, solo la pura verità.
Si sentì in bilico, come mai in vita sua, sulla responsabilità che andava assumendosi con quel gesto.
Era portare il loro rapporto un gradino ancora più in su, era cementare i suoi sentimenti, era... era un grosso passo.
Che non fece. Si morse la lingua.

“Proprio vero, scemotta mia.” le disse alla fine, ignorando quella punta di fastidio per non aver trovato il coraggio. ù
Pazienza, si disse, la notte è lunga.

“Comunque lo voglio, il tuo regalo. Mi piacciono i regali, è una balla grossa come una casa dire che è il pensiero che conta.” brontolò posando la testa contro il suo petto e allungando le gambe. Le punte delle All Star, bianche, erano due minuscole collinette davanti a un mare di nulla.
“A nessuno importa del pensiero, alla fine, è quello che puoi toccare per mano che si guarda. Che sia un calzino o un diamante, poi, è un’altra storia. Ma il fatto che questo qualcuno, oltre al pensiero ci abbia messo vicino qualcosa di concreto è già segno di affetto. O no?” s’interruppe, picchiettandosi le labbra con il filtro della sigaretta ormai spenta.

Izzy frugò con una mano nella tasca dei pantaloni e ne trasse fuori qualcosa che tintinnò allegramente, qualcosa di freddo che si strinse per un attimo al collo di Roxanne prima di scivolare appena appena più in basso.
Qualcosa che lei prese tra le dita e sollevò nella luce delle stelle: un ciondolo a forma di fiore con i petali screziati di un blu scuro, come la notte quando si avvicina a passi felpati divorando il fuoco del tramonto e spegnendolo in un cobalto intenso, e un cuore azzurro chiaro.

“E’ splendido.” sussurrò, le labbra che via via si incurvavano verso l’alto “Izzy, non ho mai visto niente del genere, è meraviglioso.”
“Vedo però che non si intona con le scarpe.” commentò lui, vagamente imbarazzato. Era sempre così, ogni volta che faceva un regalo: sentirsi dire quanto era apprezzato lo metteva a disagio, invece di compiacerlo.
“E chissenefrega delle scarpe, è stupendo!” lasciò il ciondolo, che ricadde all’altezza dello sterno, e si voltò verso il giovane, prendendogli il volto tra le mani “Grazie” mormorò, stampandogli un bacio sulla bocca “Grazie, grazie, grazie, grazie, grazie...” e via così, ad ogni grazie un bacio, al punto che lui rise.
“Averlo saputo e ti regalavo la gioielleria intera!”
Anche Roxanne rise, lasciandolo andare e tornare a fissare il vuoto che si apriva oltre i suoi piedi, fermi qualche gradino più sotto.
“Sono felice ti piaccia, sai?” riprese il chitarrista, con voce fioca “Anche perché ho passato una cosa come tre ore a torturare una povera commessa che non capiva cosa volevo trovare. Penso le sia venuta una crisi di nervi, qualcosa del genere. Mi odierà a morte, adesso.”
“Non ti ci vedo ad andare in giro per negozi, Izzy” la ragazza arricciò il naso, prendendolo in giro.
“Sinceramente non mi ci vedo neppure io. Ma penso un po’, l’ho fatto. Solo per te.”
“Solo per me?” indagò, solo per il gusto di sentire quelle tre parole di nuovo.
“Solo per te.” l’accontentò il giovane, senza nemmeno pensarci su.
Di nuovo, la certezza che era l’occasione giusta.
Ancora più perfetta, volendo, le parole diminuivano a quattro, perché-io-ti-amo.
Forza coglione, forza, si disse appellandosi a tutto il suo coraggio per pronunciarle, per farle quello che sicuramente sarebbe stato il regalo più grande, la sorpresa più apprezzata.
Sarebbe andato tutto bene, lei sarebbe venuta in tourneé, la vita avrebbe perso la sfumatura amara della lontanza per trasformarsi in una favola a lieto fine. Forza coglione, forza. Inspirò a fondo, le parole ferme sulla punta della lingua, che spingevano contro le labbra per uscire.

E gli venne in mente Axl.
Gli venne in mente la sua perfidia, la sua cattiveria, quelle parole che gli aveva detto senza pensarci troppo su prima che lei lo rapisse via dal tavolo e lo portasse lì: non mi piace quella ragazza.
E sebbene potesse contare sull’appoggio di Slash, di Duff e di Steven, Axl era un muro che non era mai riuscito a scavalcare.
Forse non ci sarebbe mai riuscito. L’ultima cosa che voleva era esporre quella ragazza alla sua furia, ai suoi capricci da front-man viziato e in balia dei suoi eccessi.
Chiaro che neanche lui era un santo, nessuno di loro lo era.
Ma quella paura che il rifiuto dell’amico gli aveva piantato dentro non lo lasciava.
Lo atterriva. Mettersi contro Axl non era mai, MAI una buona idea.

“A che pensi?” chiese lei, sollevandogli una mano e sfiorandone il palmo con la punta delle dita, seguendo le linee che si intrecciavano, misteriose.
Un’altra stilettata dalla mano del destino, la terza occasione.
E per la terza volta, decise di lasciarla correre.
“Penso che forse dovremmo tornare dentro, è la tua festa e te la stai perdendo, stando qui con me.” sentendosi un ipocrita, si alzò in piedi e salì qualche gradino, aspettando che lei lo raggiungesse per affrontare la notte e il locale gremito di gente.
Che lei non avesse replicato, che non avesse detto nulla ma si fosse trincerata in un silenzio ostile, non lo ferì.
Era lui, probabilmente, ad averla ferita. Molto di più.
Ma non disse niente, non era nella condizione per farlo.
Fu quel sorriso che si congelò in una linea stretta, a preoccuparlo e fu solo quando lei, una volta dentro il locale, lasciò andare la sua mano e sparì nella folla dopo avergli sussurrato che avrebbe preferito passare cento serate con lui piuttosto che una sola in mezzo a quella gente, che il dubbio di aver fatto una clamorosa stupidaggine divenne certezza.
La guardò scivolare via, senza fare niente per trattenerla.

 

You give me the anger
You give me the nerve
Carry out the sentence
I get what I deserve.
 

Nine Inch Nails, Sin.

 

“Oh, eccoti qui!” lo accolse Axl con un largo sorriso da mezzo ubriaco, gli occhi verdi e il nasino da elfo che facevano capolino da una linga fila di pinte vuote “E senza quella piattola al seguito!”
“Piantala.” lo freddò cupo, lasciandosi cadere sulla panca e fissando imbronciato il palco dove i Kinslayer continuavano a tener spettacolo.
Il cantante, un ragazzo dai riccioli neri e gli occhi talmente azzurri da sembrare finto, stava improvvisando Don’t let me be misunderstood di Nina Simone, con una voce straordinariamente bassa.
Sotto il palco, scorgeva la coda mezza sciolta di Roxanne e i suoi occhi fissi in quelli del ragazzo sul palco, una risata in bocca: sentì di odiarlo, come mai aveva odiato qualcuno in vita sua.

“Stradlin, va tutto bene?” indagò cautamente Steven, la parlata strascicata di chi ha bevuto qualche bicchiere di troppo ma gli occhi assurdamente lucidi.
Scosse il capo, non aveva voglia di nascondersi dietro una scusa.

“No, non va niente bene perché sono uno stronzo insensibile.” brontolò accendendosi una sigaretta e fissando torvo il palco e la ragazza che vi si era seduta sopra, accavallando le gambe. Per lo meno, il ciondolo che le aveva regalato era ancora al suo collo.
“E come saresti arrivato a questa grande verità?” continuò il batterista aggrottando la fronte.
“La vedi? È lì, sotto il palco, bella che fa male. E io sono riuscito a rovinarle il compleanno.” sentiva che sarebbe potuto scoppiare a piangere se non annegava la frustrazione in qualcosa. Ma di farsi, non se ne parlava.
Tirò un’avida boccata di fumo, sentendosi subito più leggero per l’assenza di ossigeno.
Ne tirò un’altra, per precauzione: molto, molto meglio.

“Mah, io non credo che tu sia stronzo e insensibile al punto da combinare il disastro che vai farneticando. Avrai fatto una stronzata, ecco, ma nulla di irrecuperabile.”
“Oh, è inutile che fai tanto il gentile Steven, sono un sacco di merda e resto tale.” sempre più cupo, il chitarrista sprofondò in una nuvola di fumo.
“C’è una sola cosa da fare, allora.” sospirò Duff, che del discorso tra i due aveva capito poco niente.
E Slash, dietro di lui.

“Urge il nostro amico Jack!” esclamò pimpante l’altro chitarrista, facendo sobbalzare i riccioli scuri e lasciando intravedere il suo bel sorriso.
E all’uninsono con il bassista e Slash, Axl gridò, sovrastando il caos della sala.

“CHARLIEEEE!”
Roxanne si girò verso il tavolo dove sedevano i Guns n’Roses non appena udì l’urlo, giusto in tempo per vedere la collega che piazzava davanti al suo ragazzo un bicchiere vuoto e una bottiglia piena.
Scosse il capo, con un mezzo sospiro e sorrise alla ragazza che, vicino a lei, le aveva chiesto perché fosse triste la sera del suo compleanno.

“Nulla, un po’ di malinconia,” le rispose.
L’altra scrollò lo spalle e tornò a guardare il gruppo, lasciandola sola con la sigaretta che si era accesa qualche minuto prima.
La voce del cantante, la colse di sorpresa.

“Allora, Roxy, mi spieghi questo muso lungo?” le chiese, sedendosi accanto a lei.
La ragazza indugiò qualche attimo, tanto che lui la schernì.

“Non ti fidi più di me, jolié?” domandò con un sospiro intriso di una tristezza simulata, strappandole un mezzo sorriso.
“Non dire stupidaggini, Christopher.” lo colpì ad una spalla, scherzosamente.
“E allora perché questo muso? Cos’è, sono diventato improvvisamente stonato da far rimpiangere alla mia scopritrice il giorno in cui mi ha portato qui?”
Di nuovo, Roxanne rise.
“No, razza di scemo, no!” allungò un braccio, indicando Izzy e il resto del gruppo a Christopher “Lo vedi quel bel ragazzo seduto lì?” gli chiese.
“Chi, il biondino con la faccia da bambola?” indagò lui, con un guizzò interessato.
“No, non Steven.” scosse il capo, incrociando gli occhi azzurrissimi del batterista “Quello lì vicino.”
“L’altro biondino, con gli occhi furbi?” tentò di nuovo il cantante.
“No, Chris, no. Quello con il cappello, l’aria incazzata e la sigaretta in bocca.” sospirò.
“Ah” il moretto sembrava deluso “Non è che sia proprio un bel ragazzo tesoro, lasciatelo dire..”
“Resta il fatto che è il mio ragazzo.” ignorò volutamente il commento dell’amico, che la fece sorridere.
“E...?”
“E mi fa incazzare, ma proprio tanto, perché è un gran cretino!” sbottò irritata, soffiando fuori una nuvola di fumo che fece tossire il ragazzo, ancora silenzioso.
Non stava a lui parlare.
“Ti pare che preferisco stare qui, in mezzo a frotte di gente che sa a malapena il mio nome, piuttosto che con lui?”

“Mh.” rispose il cantante con un sorriso indulgente “Tu ami stare in mezzo a frotte di gente che non conosci.”
“E allora? Lui è sempre il mio ragazzo, io vorrei solo stare con lui e basta! In barba a quello che mi piace fare o non mi piace fare. È un gran cretino.” chiusa a riccio nella sua posizione, Roxanne non permise al dubbio di scalfire la sua corazza.
“Roxy, dimmi, tu pensi che lui non voglia passare la serata con te?” continuò pacato il ragazzo, sciogliendole la coda che ormai sfatta.
I capelli le ricaddero sulla schiena, arricciandosi morbidamente.

“Ma se mi ha detto che...”
“E tu credi che davvero, solo perché te lo ha detto, lui non voglia passare tutta la serata con te? ” insistette, riavviandole una ciocca con fare affettuoso, perfettamente conscio delle occhiare di fuoco del chitarrista che, seduto al tavolo, lo guardava con intenzioni tutto meno che amichevoli.
“...” Roxanne aprì la bocca per replicare, ma non le uscì niente, se non una nuvola leggera di fumo azzurrognolo.
Vedendola boccheggiare come un pesce, Christopher le accarezzò il capo

“Appunto.” commentò, rimettendosi in piedi e chiamando a raccolta il resto della band che rideva nei pressi del bancone.
Show must go on, guys!” gridò al microfono, mentre il bassista, Alan, strappava qualche accordo allo strumento che portava a tracolla.
La melodia languida di una canzone di cui non ricordava il titolo riempì il locale, quando le si parò davanti Steven, con una mano tesa.

“Balli?” le chiese il batterista, con un sorriso che non le diede tempo di replicare: prima di potersene rendere conto era già in piedi, con una mano sulla spalla del ragazzo e l’altra saldamente prigioniera tra dita calde all’altezza del suo cuore.
“Allora, Roxanne, ti diverti? Hai fatto le cose in grande, quanti anni fai?” domandò allegramente il ragazzo, la lingua sciolte dalle tante birre.
“A quale domanda vuoi che risponda prima?” commentò scettica lei, inarcando le sopracciglia.
“Oh, fai tu!” rise allegramente il giovane.
Aveva una risata contagiosa, tanto che lo scetticismo di Roxanne cedette e lei si ammorbidì in un sorriso.

“Beh, vediamo..” iniziò a dire, lasciandosi portare sulle note della canzone “Mi divertivo di più venti minuti fa, ha organizzato tutto Chris, il cantante e ho appena compiuto ventidue anni. Soddisfatto?”
“Beh, non del tutto.” ammiccò, volutamente vago.
“Però ora tocca a me. Balli con me perché improvvisamente ti è venuta voglia di ballare o perché ti manda un chitarrista a caso?” indagò, gli occhi ridotti a due fessure sottili.
“Ballo con te perché ho un debole per le belle ragazze, mi pare ovvio.” fu la risposta, dal tono sorpreso “Senza contare che quel mollusco del tuo ragazzo mi sta tirando delle occhiatacce che quelle rivolte al tuo amico cantante a confronto erano affettuose.”
“Davvero?” Si alzò in punta di piedi, sbirciando oltre la spalla del batterista: era effettivamente vero.
Non aveva mai visto Izzy così arrabbiato prima d’allora. Era carico di una rabbia fredda, gelida. Omicida. Un brivido la scosse, Steven rise.

“Sapevo di piacere, ma non fino a questo punto!” commentò, fraintendendo volutamente quel tremore.
Roxanne reclinò il capo indietro, in una risata graffiata.
Il ragazzo sembrava avere la straordinaria capacità di farla ridere, di cancellare con una frase i nuvoloni del malumore.
Lo guardò con simpatia, mentre ballavano schiacciati nella ressa su quelle note dolci, miagolate da Christopher al microfono.
Era raro trovare una persona così tremendamente ingenua, semplice, la stessa gioiosa vitalità dei bambini, mai stanchi di correre su e giù in un gioco senza fine.

“Se non fosse che sfortunatamente sono persa per Izzy, ti sposerei Steven.” disse ad un tratto, alzando lo sguardo sul suo viso.
“Mi spiace bambola, ma il mio cuore è un trofeo difficile da conquistare.” si pavoneggiò lui, stringendole poco più forte la mano a mo’ di ringraziamente “E lo stai facendo impazzire fin troppo, quel povero diavolo, non potrei mai tirargli un colpo tanto basso.”
Gli occhi di Roxanne brillarono nella penombra dei riflettori che vagavano pigri sulla folla.
“Io non sto facendo proprio nulla, mi godo la mia festa come mi ha detto di fare lui.” obbiettò tranquilla, gettando un’occhiata a Izzy, che fissava la schiena di Steven come se potesse trapassarla con una lama.
Distolse lo sguardo, vedendo gli occhi del ragazzo salire per cercare i suoi; tornò a quelli azzurrissimi di Steven.
“Se poi per questo si offende, non vedo cosa ci posso fare.”

“Beh, potresti quantomeno evitare di flirtare con il cantante sotto il suo naso.”
La ragazza si bloccò, guardandolo incredulo.
“Izzy pensa che ci sto provando con Chris?” domandò, gli occhi talmente sgranati da apparire innaturalmente grandi.
“Beh, a vedervi l’impressione era quella..”
Scoppiò a ridere.
Una risata convulsa, che la piegò in due e le riempì gli occhi di lacrime, una risata di fitte dolorose agli addominali: neanche volendo, sarebbe riuscita a dominarla.
Faticando per respirare, si agitò una mano davanti al viso, boccheggiando per portare qualche filo di ossigeno ai polmoni.

“Provarci con Chris...ahahahahahahah!” continuò a ridere, sotto lo sguardo stupito di Steven che non sapeva più che pesci pigliare.
“Cazzo, appena glielo dico muore.. ahahahahahahah!”

“Ma cosa c’è di così divertente?” sbottò alla fine il batterista, più disperato che esasperato.
“C’è, Steven... oh mamma! C’è che Chris è gay. Ecco cosa c’è!” e giù di nuovo a ridere, presto seguita anche dal batterista, che si girò verso Izzy con gli occhi pieni di lacrime.
“Che idiota.” biascicò tra una risata e l’altra, appoggiandosi alla ragazza per non cadere.
Sorreggendosi come due feriti di guerra tornarono al tavolo, scoppiando a ridere ad ogni occhiata che si lanciavano: tra tutti, solo Slash non gli guardò come se fossero completamente impazziti. Izzy scoccò un’occhiata offesa a entrambi, ma sorrise a Roxanne, speranzoso.
La ragazza lo guardò in silenzio, combattuta dal desiderio di andargli vicino e passare oltre l’intoppo di poco prima o andarsene: scelse il compromesso.
Abbozzò un sorriso mesto e andò a sedersi tra Slash e Duff, dritta di fronte a Axl che la guardò con aria di sfida.
Lo ignorò, mentre il batterista dava una manata a Izzy, facendolo quasi tossire.

“Amico mio, che eri un idiota collaudato l’avevamo capito tutti,” iniziò a dire bonariamente, scatenando un eccesso di risatine in Axl e Duff, “ma che lo eri al punto da credere che la tua ragazza ci stava provando con quel cantante, è una cosa nuova. E vuoi sapere perché?”
“Sentiamo, perché?” si intromise il bassista, prendendo la parola al posto di Izzy che aveva preferito nascondersi dietro una cortina di fumo e silenzio.
Aveva il vago sospetto che era sul punto di fare figura del paranoico stupido.

“Perché il ragazzo sul palco ha un debole piuttosto per i capelloni, che non per le capellone.. non so se mi spiego!”
Roxanne crollò sul tavolo, di nuovo piegata in due dalle risate, presto imitata dal resto del gruppo.
Anche il chitarrista, suo malgrado, fu costretto ad abbozzare un sorriso imbarazzato.

“E poi.” continuò lei “Se proprio vuoi preoccuparti di qualcuno non occorre andare tanto lontano.” tranquillamente, si accese una sigaretta e soffiò fuori il fumo in una lenta serpentina azzurrognola.
Se voleva esser sicura di aver calamitato l’attenzione di Izzy, ci era riuscita perfettamente.
La ragazza sogghignò, stringendo le dita attorno al polso sinistro di Slash e sollevandogli la mano.

“Perché vedi, Izzy.” riprese, facendogli trattenere il respiro “Queste mani mi fanno morire, sentirmele addosso sarebbe da brivido. Penso che morirei seduta stante!” sorrise, ambigua, fin troppo consapevole del lampo di autentico panico che gli aveva attraversato gli occhi quando aveva portato quella mano fino al suo collo, dove prima lui aveva posato le labbra in un lento bacio che era sceso poi più in basso.
“Oppure c’è Duff. Mi fa andare fuori di testa il suo atteggiamento scazzato, e il suo modo di suonare... ” socchiuse gli occhi, sorniona, lasciando andare il polso di Slash e passando una mano tra i capelli del bassista fino a sollevargli il mento e avvicinandosi pericolosamente al suo collo con la faccia, la bocca socchiusa in un mezzo sospiro.
Si mordicchiò le labbra, prima di tornare fulminea su un Izzy sull’orlo delle lacrime, come se non avesse fatto nulla e ignorando volutamente l’espressione quasi delusa del bassista, che sembrava sul punto di protestare vivamente per il mancato contatto.
“Non parliamo poi di Steven, è amore già dichiarato: il suo modo da fare, mescolato alla sua faccia, sono una combinazione ir-re-si-sti-bi-le.” sorrise al batterista, che ricambiò il gesto con la sua solita, intramontabile vivacità.
Come se non avesse colto il senso del discorso della ragazza.
“Con Axl invece vai tranquillo, è troppo basso per i miei gusti. Ma devo ammettere che i suoi occhi sono notevoli. La sua voce, poi.. quello che so è quando canta i brividi che mi corrono lungo la schiena non sono tanto innocenti.” di nuovo, ignorò la smorfia del cantante e tornò sul chitarrista, allungando le braccia sul tavolo e posando le mani su quella di Izzy, abbandonata tra pinte vuote.
“E si, sei un idiota integrale, ha ragione Steven, sei pure un po’ un disadattato del cazzo come dice Slash e sei pure un merdosissimo tossico alcolizzato come dico io perché si, lo so che non hai mai smesso e non smetterai perché non ci riesci, ma la verità è che a me piaci così, ho scelto te e sceglierei te mille altre volte quindi mettiti l’anima in pace e stai tranquillo, santo cielo! D’accordo?”

Il primo a scuotersi fu Duff, che fischiò e si mise a battere le mani entusiasta per la performance della giovane, presto imitato da Steven che la guardava con gli occhi sgranati. Slash sorrise e, dopo aver ricevuto un significativo calcio nelle gambe, lo imitò pure Axl.
Roxanne arrossì appena e si alzò.

“Ora, io vado a godermi la mia festa come mi hai detto di fare prima, tu fai quello che vuoi, okay?” soffiò un bacio al chitarrista e si fece inghiottire dalla folla, chiedendosi come mai tutto d’un tratto se ne fosse uscita con quell’assurdo discorso davanti a quelli che considerava alla stregua di dei scesi in terra per deliziare il mondo con la loro musica.
Scrollò le spalle, sentendosi il viso scottare per l’imbarazzo e si voltò di scatto, sentendosi afferrare per una spalla.
Si girò con un sorriso e la bocca socchiusa per dire qualcosa, quando riconobbe chi l’aveva fermata: la voglia di sorridere morì esattamente come era nata e la bocca si strinse con forza, facendo sbiancare le labbra.

 

 

I hear footsteps dosing in
Recognizing them from my early days
The times are different
The image remains the same
 

Stratovarius, The Kiss of Judas.

 

Lo riconobbe subito, non era cambiato di una virgola.
L’ultima volta che lo aveva visto, era stato mesi prima.
Come dimenticare, del resto, il loro ultimo incontro?
Ricordava l’aria ancora fresca di metà settembre, carica del penetrante profumo di pioggia e erba bagnata, ricordava come la felpa le pesasse addosso, zuppa d’acqua quanto i suoi capelli, ricordava l’urgenza che l’aveva spinta a distruggere quei cinque mesi faticosamente costruiti con pazienza e compromessi per un salto nel vuoto che avrebbe potuto rivelarsi un clamoroso errore.
Ricordava il modo in cui aveva parlato, distratta, quasi con indifferenza mentre troncava una storia che le era costata tanto, ricordava il suo viso, nascosto da una maschera di dolore e confusione, incomprensione.
Come avrebbe potuto capire, del resto, quando nemmeno lei capiva.
Poi, non lo aveva più rivisto, fino a quella sera.

Stessi occhi grigi, stessi capelli neri, stessa espressione malinconica.
Le sorrideva, come si sorride ad una persona che si rivede con piacere dopo una lunga separazione, con quella muta speranza di riallacciare i rapporti nello stesso punto in cui si erano interrotti.

“Tom.” mormorò alla fine la ragazza, costringendosi a parlare.
Tutto d’un tratto si sentiva la gola secca e le gambe molli, come fosse ammalata.
Il sorriso del ragazzo si allargò ancora di più, mentre si chinava per darle due baci sulla guancia.
La sensazione di precipitare si accentuò e dovette chiudere gli occhi per un attimo.

“Ciao Roxanne, sei splendida.” le disse piano.
Non mentiva, i suoi occhi erano troppo sinceri per coprire una bugia detta tanto per sembrare cortesi.
“Buon compleanno.”

“Grazie, Tom.” si ritrovò a sorridere a sua volta “Come stai?” aggiunse dopo qualche attimo, tanto per rompere l’imbarazzante silenzio calato tra loro. Il moretto sospirò.
“Domanda difficile.” le rispose “Diciamo però che non mi lamento, anche se ho avuto momenti migliori. Tu, invece? Scommetto che scoppi dalla felicità, sei radiosa come un fiore.”
“Vero.” annuì cauta, domandandosi quanto potesse raccontargli.
Un sottile senso di colpa le chiuse la gola e iniziò a sentirsi un verme per come si era comportata con lui.
Che fosse per via di tutta quella gentilezza, dopo i ridicoli sospetti di Izzy?

“Del resto,” proseguì lui, riavviandole una ciocca di capelli, “questa è la tua serata, sarebbe un crimine se la trascorressi con il broncio Roxy”
Roxanne sorrise, a disagio.
Si, era la gentilezza a spiazzarla. Tom se ne accorse.

“Roxanne, se ti metto in difficoltà me ne vado, non farti problemi..” dispiaciuto, abbassò appena gli occhi.
Lo trattenne, d’impulso.

“No, dai.” gli disse abbozzando un sorriso che pregò sembrasse convincente “Rimani, mi fa piacere!”
Fu come regalare un giocattolo ad un bambino, il viso del ragazzo si illuminò di colpo e, contemporaneamente, lo stomaco di lei si chiuse.
Si chiese perché diavolo si sentisse soffocare in questo modo.

“Meno male!” rise lui, sollevato “Sai, non sapevo nemmeno se passare o meno, ma poi mi son detto che non potevo non farti gli auguri. E così, eccomi qui!”
“Eccoti qu.i” ripeté lei, di nuovo a disagio.
Scacciò quel vago presentimento di essere caduta dritta nella sua trappola, dandosi della paranoica.
“Sei solo?” domandò, accettando con un sorriso la sigaretta che lui le offriva.
Non le passò neanche per l’anticamera del cervello che lui non aveva mai fumato in vita sua e che i pacchetti che si portava dietro erano quelli che comprava per lei, quando stavano assieme.

“Si, in ogni senso.” allargò le braccia, lasciandole ricadere lungo i fianchi con un mesto sorriso “Che vuoi farci, Roxy, non riesco a cancellarti dai miei pensieri.”
“Ma sono passati mesi!” protestò lei, cercando di sdrammatizzare.
Il discorso stava assumendo sfumature sempre più imbarazzanti.
“Non credevo di essere così irresistibile.”

“Beh, dovresti iniziare a crederlo. Ogni volta che esco con una ragazza il paragone con te è invitabile.”
La sensazione di essere in trappola la tese come una corda di violino.
“Tu, invece?”
Si sarebbe rivelata la domanda più difficile della sua vita, se in quel momento non avesse visto Izzy arrancare verso il bancone con le mani pieni di pinte vuote, tenute assieme praticamente per miracolo.
Lo vide scambiare qualche parola con Alec, il suo capo, e vide questi annuire, voltandosi verso la macchina dell’espresso, il gioiellino del locale.
Fatta arrivare direttamente dall’Italia durante la seconda guerra mondiale dal padre del proprietario.
Si rilassò, accarezzando la sagoma sottile e allungata del ragazzo, sfiorandone il volto pallido e incorniciato da quei capelli quasi troppo lunghi, neri neri neri, appena appena mossi, cercandone gli occhi, di quel colore stranissimo che poteva essere tanto nero quanto verde scuro.
Lo vide sorridere, accendersi una sigaretta con quella sua indole svogliata, che la faceva morire.
Tornò su Tom, di nuovo mossa da quell’urgenza di andarsene da lui e tornare all’aria fresca di solitudine e nicotina di Izzy. Esattamente come quel pomeriggio di settembre.

“Io no. Sono qui con i miei amici.” e indicò i Kinslayer sul palco, intenti ad accordare i loro strumenti e ridacchiare tra loro nel locale che andava via via svuotandosi. Non aveva la più pallida idea di che ora fosse, ma doveva essere decisamente tardi. O molto presto, a seconda dei punti di vista.
“E con il mio ragazzo e i suoi amici.” e indicò con un gesto vago il tavolo dove era tornato Izzy, con un vassoio carico di tazzine di caffé fumanti.

“Ma sono i...” iniziò Tom, bloccandosi e guardandola male “Senti, se devi inventare una scusa per liberarti di me, tanto vale che tu me lo dica subito.” protestò imbronciandosi. Lei ridacchiò.
“Nessuna scusa, Tom. Si, sono i Guns n’ Roses. E il mio ragazzo è il loro chitarrista, Izzy. E sei libero di credermi o meno, ma è la verità.” si strinse nelle spalle, portando una mano a giocherellare con il ciondolo a forma di fiore, stringendolo tra le dita con delicatezza.
“E lui ti ama come ti ho amato e ti amo io?” domandò cupo il ragazzo, avvicinandosi pericolosamente.
Lei arretrò, mantenendo una parvenza di normalità, quando in realtà aveva voglia solo di andarsene e cancellarlo definitivamente dalla sua vita.
Adesso le era tutto chiaro: si era presentato lì con la speranza di tornare assieme a lei, augurandosi che il motivo che l’aveva spinta a lasciarlo tempo prima si fosse rivelato deludente, che le cose fossero andare male.

“Questo non so dirtelo, Tom.” replicò con un sorriso di circostanza.
Tutto d’un tratto, il senso di colpa era sparito, risucchiato dal fastidio che sentiva crescere in Tom.
Era come stare vicino a una fiamma e ascoltarne il crepitare che, da sommesso, diventa insopportabile quando attacca un ceppo secco.

“Non te lo ha mai detto, immagino.” il commento fu sprezzante, e lo sguardo di Roxanne si indurì, carico di disgusto per quel ragazzo che avrebbe, un tempo, voluto amare.
“No, non me lo ha detto. Ma non importa. Lo vedo illuminarsi quando sono felice, lo vedo spegnersi quando sono triste, lo vedo impegnarsi. E se mi ama di più o di meno rispetto a quanto mi ami tu non ti deve interessare. Io ho scelto lui, non te. Ed è tempo che giri pagina, perché io lo ho fatto tanto tempo fa. Buona serata.”
Lo congedò gelida, voltandosi per andarsene, quando la sua mano la bloccò di nuovo.
La reazione fu fulminea: si girò di scatto e lo colpì con la mano aperta, uno schiaffo che lui non poté evitare perché troppo inaspettato e che risuonò secco nel locale, dove calò il silenzio.
Roxanne vide che Christopher si avvicinava guardingo, pronto ad intervenire, e lo bloccò con un cenno del capo.

“Lasciami, Tom.” ordinò gelida, avvertendo i passi di Izzy alle sue spalle.
Continuò a fissare il suo ex, senza più provare alcun rimorso, alcun senso di colpa.
Di colpo aveva la certezza di aver fatto la cosa giusta in quel pomeriggio di settembre, che aveva solo anticipato l’inevitabile e ne era uscita indenne.
Era pericoloso, Tom, morbosamente pericoloso.
Mentre lui le lasciava il braccio, si chiese come mai non l’avesse mai notato prima quell’aspetto del suo carattere.

“Roxanne...” la implorò lui, di nuovo docile e triste. Trattenne una smorfia.
“Problemi?” la chiese Izzy, torreggiando su di lei alle sue spalle.
“No, Izzy.” rispose con un mezzo sorriso, saturo di ironia “Stavo ringraziando Tom per esser passato al volo a farmi gli auguri. Se ne stava giusto andando, vero Tom?”
Il ragazzo fissò con astio Izzy, che non fece una piega, passando un braccio oltre la vita di Roxanne, tirandola a sé.
“Si, me ne stavo andando,” capitolò alla fine, aprendo la bocca in un sorriso tanto triste quanto falso, “stavo solo dicendo a Roxy che se vuole, sa dove trovarmi.”
Nessuno dei due rispose e Tom, dopo qualche attimò, li salutò con un cenno del capo e se ne andò, silenzioso come era arrivato. Izzy posò la guancia contro quella di Roxanne.
“Tutto bene?” le sussurrò dolcemente, cogliendo l’espressione sollevata del cantante sul palco, cui sorrise.
“Si, tutto bene.” rispose dopo qualche attimo la ragazza, sentendosi libera di un peso che fino ad allora aveva ignorato di portare “Era solo l’eco di un tempo lontano.”

 

You've came here just to start a fight
You had to piss on our parade
You had to shred our big day
You had to ruin it for all concerned
 

Radiohead, A Punchup at a Wedding.

 

La notte sbiadiva sopra Roxanne, mentre fumava una sigaretta all’aria aperta, seduta sui primi gradini del sottopassaggio.
Canticchiando, sollevò lo sguardo al cielo, con un mezzo sorriso disegnato sul volto arrossato.
Aveva ballato per ore, quando il locale si era svuotato, alla fine dello show dei Kinslayer: dopo due ore e mezza di musica live, dopo aver spolverato un repertorio ormai dimenticato di cover e vecchi successi, la voce di Christopher si era esaurita e avevano chiuso lì.
La folla aveva protestato, ma non c’era stato nulla da fare.
A poco a poco, il pubblico aveva rinunciato ad altri bis e, dopo aver pagato le loro consumazioni, tutti se ne erano tornati a casa con un gran schiamazzo.
E il locale era rimasto vuoto, fatta eccezione per le due band, le due cameriere e il proprietario.
Solo allora, la vera festa era iniziata: a suon di vecchi successi raccolti in un malandato ju-box nell’angolo avevano ballato fino a quando le gambe non aveva ceduto per la stanchezza e poi oltre.
Si era arresa quando, ballando con Duff, non era riuscita a fare una piroetta; solo allora si era scusata ed era scappata fuori, all’aria fresca, per fumare una sigaretta sotto le stelle.
Sola con i suoi pensieri, si era rannicchiata in cima a quelle scale sporche, i capelli abbandonati in balia della leggera brezza notturna.

Allungò le gambe verso il pozzo nero che le si apriva davanti, improvvisando una vecchia canzone dei Rolling Stones che aveva sempre adorato e si abbandonò alla musica, ringraziando il suo buon senso per non aver messo i tacchi.
I piedi le facevano già abbastanza male così.

“Non sei tanto stonata, sai?”
La voce di Axl la sorprese, ma non al punto da farla sobbalzare.
Si strinse nelle spalle, mentre il cantante le si sedeva accanto e si faceva accendere una sigaretta.

“Malboro.” commentò assaporando il fumo amarognolo che gli riempiva i polmoni e la bocca.
“Non riesco a fumare altro.” si giustificò lei, senza dare troppa importanza al commento.
“A me piacciono anche le Lucky Strike,” riprese lui, “ma fumo solo Camel”
“A Izzy non piacciono.”
Roxanne lo guardò di sbieco, senza riuscire a capire dove voleva andare a parare il cantante: che non gli era simpatica, l’avevano capito anche i muri del locale.
Quindi, dove voleva arrivare parlando di sigarette?

“A Izzy non piacciono tante cose” annuì lui “Le Camel, gli hamburger scotti, i miei troppi tatuaggi, andare a puttane... Certe volte i suoi gusti sono discutibili, se devo essere sincero.”
Il cantante soffiò fuori il fumo, guardandola fissa negli occhi.
“Parliamoci chiaro, tu non mi piaci. Mi pare sia piuttosto evidente, a questo punto.” la vide trattenere un mezzo sorriso, la sigaretta abbandonata tra le labbra “Ma piaci a Izzy, e anche questo è evidente.” lo disse come se fosse una disgrazia, scuotendo il capo, cosa che la fece irritare.
Chi era quel ragazzino viziato per dire una cosa del genere?
Lo lasciò proseguire, tuttavia, curiosa di sentire il finale di quel discorso astruso.
“E io voglio solo il meglio per lui, capisci? È il migliore amico che abbia mai avuto, lo ho visto crescere in pratica e...”

“E non vuoi che la prima stronza incontrata per strada lo illuda, lo usi e poi lo molli come se niente fosse?” concluse lei, impassibile.
La rabbia che le ribolliva dentro era sapientemente nascosta, solo un lieve vibrare delle parole la lasciava intuire.

“Esatto.” Axl annuì, di nuovo, passandosi una mano tra i capelli lunghi “Quindi, tesoro, dimmi un po’: fai sul serio o te la stai spassando con la star di turno?”
“Ti giuro che se non fosse che non sono violenta ti avrei già picchiato” sibilò la ragazza, senza più trattenere la rabbia. Non le importava più.
“E soprattutto non voglio creare guai a Izzy perché gli stronzi come te li conosco, ci ho passato la mia vita: siete tutti uguali, tutti convinti di avere il mondo ai vostri piedi, tutti presi dal vostro ruolo di padrieterni, dimentichi di essere poco più di niente.” spense la sigaretta sul gradino, con un gesto secco.
Probabilmente, il segno della bruciatura sarebbe rimasto per parecchi giorni
“Quindi ti dirò che si, faccio sul serio, e non sono una puttana che pensa solo a spennare il suo pollo. Ma giuro, giuro su tutto quello che ho di più caro che se ti sento dirmi una cosa del genere un’altra volta ti prendo a schiaffi fino a farti girare la testa sul collo, sono stata chiara? Posso capire di starti in culo, non saresti il primo a cui non sto simpatica, ma c’è un limite oltre il quale non puoi azzardarti a spingerti. Non mi conosci, non sai un cazzo di me. E passi. Ma venire a darmi della puttana, dopo cinque fottuti mesi che sto con quello che definisci il tuo migliore amico, è troppo anche per te, Axel. Intesi?”
“Grazie per la sigaretta.” sorrise sarcastico, imperscrutabile, allontanadosi.
I suoi passi sfumarono lentamente, fino a quando il silenzio della notte non l’abbracciò nuovamente.
Con un movimento furtivo, si asciugò quell’unica lacrima che non era riuscita a trattenere e urlò una bestemmia al cielo, affondando poi il viso tra le braccia, la fronte contro le ginocchia.
Cosa avesse fatto per sentirsi dire una cosa del genere, non lo sapeva.
Pur sapendo che nemmeno una delle accuse che si era sentita fare era vera, non riusciva a reprimere la delusione.
E la tristezza: sin da quando aveva iniziato a seguire i Guns n’ Roses, Axl era stato per lei una sorta di idolo, molto più degli altri.
Era quello che aveva sperato di conoscere, quello su cui aveva fantasticato per intere notti immaginando lunghe chiacchierato notturne, risate e cazzate.
E invece no. Invece lui non era altro che uno stronzo egoista, l’esatto opposto di quello che aveva immaginato.
Tuttavia, non sapeva se era per questo che piangeva o per il timore che le cose, da quel momento in poi, si sarebbero complicate non poco.

Quando Izzy la raggiunse, mezz’ora dopo, preoccupato per la sua scomparsa, era ancora lì, con il volto rigato dalle lacrime più amare che avesse mai pianto in vita sua.
Si sentiva come se tutte le stelle del cielo stessero spegnendosi per non accendersi mai più.

 

 

But I fear
I have nothing to give
I have so much to lose here
In this lonely place
Tangled up in your embrace
 

Sara McLachlan, Fear

 

“Roxy, eccoti qui!” esclamò il chitarrista, scorgendo una minuscola sagoma scura rannicchiata sui primi gradini del sottopassaggio.
La luce della luna le scivolava sui capelli, colorandoli d’argento, e sulla schiena, disegnando l’ombra delle scapole e delle vertebre che sporgevano appena.
Sorrise, anche quando lei non si voltò e rimase immobile, il viso nascosto tra le braccia, e le si sedette accanto, ignorando quella sigaretta schiacciata con forza sul cemento, esattamente dove Axl si era seduto.

“Ehi, che ci fai qui fuori?” le disse piano, scostandole i capelli per cercare di sbirciarle il viso.
Lei si scostò, trattenendo un singhiozzo “Scappi di nuovo, Roxanne?” la prese in giro.
La ragazza, questa volta, non seppe trattenere il singulto che risuonò quasi tetro nella notte limpida.
Izzy s’irrigidì.

“Perché piangi, piccola?” le chiese tirandola a se, racchiudendola nel suo abbraccio.
Era gelida, nonostante il caldo della notte.
“Cosa è successo? Paura di invecchiare?” continuò a parlarle dolcemente, accarezzandole i capelli e la schiena per cercare di calmarla.

“... sono- sono u-un disastro” mormorò alla fine la ragazza con la voce rotta, sollevando il volto dove le lacrime avevano sciolto il trucco che le cerchiava gli occhi, disegnando lunghe righe nere sulle sue guance.
Il chitarrista le cancellò con i pollici, sorridendole.

“Che dici! Tu non sei un disastro. Al massimo sei un impiastro, ma un impiastro adorabile.” le baciò la fronte, sentendosi il cuore lacerato da quel pianto di cui ignorava la causa. Roxanne scosse il capo.
“No. So-sono un disastro, ho-ho rovinato t-tutto e...” un singhiozzò mozzò la frase a metà.
“E...?” la spronò a continuare gentilmente.
“E o-ora ha un buon... buon motivo-o per o-odiarmi” nascose il viso contro il petto del ragazzo, inspirando a fondo il suo profumo intenso, mescolato all’odore amaro del tabacco. Ci mise poco a capire a chi si stesse riferendo.
“Axl.” commentò atono, fissando un punto indefinito davanti a se “Cosa ti ha detto?”
“Non.. no-n voglio ripeterlo” le lacrime si era fermate, solo la voce incerta rimaneva a testimoniare lo sfogo.
“Dimmelo, per favore. O dovrò chiederlo a lui” tornò a guardarla: aveva gli occhi sgranati, enormi. Si pentì immediatamente del tono che aveva usato e cercò di rimediare “E allora lui mi propinerà una balla per incasinare tutto.”
“Mi ha dato della puttana.” cedette alla fine, abbassando lo sguardo.
Si impose di tenere la voce ferma.
“Indirettamente, ovvio. Mi ha chiesto se non ti stessi solo prendendo per il culo, usandoti, per poi lasciarti con il cuore a pezzi.” le parole sfumarono in un brusco silenzio. Rialzò gli occhi su di lui che, per quanto si mostrasse impassibile, era furente.

“Ora lo faccio nero.” sibilò infatti dopo qualche attimo, tornando a guardarla. Lei scosse il capo, mesta.
“No, Izzy, no ti prego.”
“Perché no?” le chiese lui “Non deve neanche azzardarsi a dire una cosa del genere. Lui, poi... coglione, questo è troppo.” Fece per alzarsi, ma lei lo trattenne, circondandogli la vita con le braccia.
“No, no.” ripeté.
“Perché no, Roxanne?”
Lei inspirò a fondo, lottando contro l’impulso di lasciarlo andare a fare una cazzata per paura di perderlo.
“Perché,” disse alla fine,  "gli amori vanno e vengono... no, stammi a sentire.” lo bloccò, vedendolo pronto a ribattere “Gli amici rimangono. Io non voglio che per colpa mia tu perda il tuo migliore amico! Il cielo non voglia, ma se un giorno noi due ci dovremmo... ci... ci lasceremo, te ne pentiresti. Ed è inutile che adesso mi dici il contrario, Izzy, sarebbe una balla bella e buona. Quindi ti prego, ti scongiuro, non lo fare! Lascia correre, gli insulti gli tollero a lungo andare, ti prego.. ti prego, ti prego..”
Rimase immobile.
Era la prima volta che si sentiva fare un discorso del genere, la prima volta che vedeva la vittima difendere il torturatore.
Si sarebbe lasciata insultare, avrebbe lasciato che il cantante le rendesse la vita un inferno e l’avrebbe fatto solo perché sapeva quanto quell’amicizia era importante per lui. Dovevo molto ad Axl.
Più di quanto la ragazza avesse potuto immaginare, e lei forse lo aveva intuito, sfiorando la superficie di un baratro senza fine. Trattenne il respiro.
Era il sacrificio più amaro, quello che non si sarebbe mai azzardato di chiedere, quello che poteva solo sognare per poi svegliarsi inorridire.
Sacrificare se stessi, la propria dignità, la propria tranquillità, per qualcun altro.
Fu un attimo: il cuore gli si gonfiò d’amore in petto, al punto che temette scoppiasse per il troppo sentimento, mentre dalla bocca gli uscivano quelle parole che per tutta la sera aveva avuto paura di dire.

“Ti amo, Roxanne May.”
Un sussurro, la pesante certezza che era davvero come diceva, che l’amava e che l’avrebbe amato fin tanto che l’aria avrebbe riempito i suoi polmoni, fino a quando avrebbe avuto la forza per poterlo fare.
Ne fu spiazzato, tanto quanto lei che sollevò una mano fino ad incrociare il suo polso, tirando verso il basso.
Docile, Izzy si sedette sul gradino.
“Io ti amo” ripeté con più decisione fissando il nulla “Io, oh, se ti amo! Roxanne io...” si voltò a guardarla, il volto serio nella morbida oscurità della notte, gli occhi lucidi e ormai privi di trucco, la bocca increspata dalla sorpresa.
La sorpresa di chi ha quasi smesso di credere e osa a malapena sperare e, improvvisamente, vede le sue preghiere esaudite.

“Roxanne, ti amo.” le disse per l’ennesima volta, chiudendo gli occhi quasi per confermare che si, era realtà, non si stava immaginando tutto, che quando li avrebbe riaperti lei sarebbe stata ancora lì, solo per lui. “E voglio, voglio che tu venga con me quando partirò per la nuova tourneé.”

 

PARLA IZZY:

Capita, alle volte, che i miei pensieri volino a sfiorare ricordi lontani.
Che la mente vaghi, alla ricerca di nemmeno io so cosa.
Ed è in quei momenti che il tuo ricordo si fa talmente vivido da risultare doloroso, quasi insopportabile.
È come avvertire la presenza di qualcuno senza però riuscire a scorgerlo nella folla: frustrante.
Regolarmente, vedo te sotto la luce della luna di quella notte, sai?
Dio, non ti vidi mai bella come in quel momento.
Brillavi, letteralmente,nonostante gli occhi lucidi di lacrime e il naso arrossato.
Eri tutto quello che avevo sempre sognato.
E il pensiero che ti lasciai andare quando iniziai a scappare dal mondo che crollava attorno a me non mi da tregua, nemmeno quando vado a cacciare tutte quelle piccole cose che mi regalasti nel corso degli anni, per lenire il mio dolore.
Sorrisi, risate, emozioni, fotografie.
Dimmi, Roxanne, all’Underpass c’è ancora la foto che scattammo quella sera?
È ancora incorniciata sopra il bancone, assieme a quella di tutte le band che hanno calcato quel piccolo palco nel corso degli anni?
Riesco ancora a ricordare il momento: saranno state le sei del mattino, o giù di lì, e tu eri sul palco assieme a Steven.
Stavate improvvisando Mercedes-Benz, della Joplin, ma non ne usciva fuori nulla perché ridevate troppo tanto facevate schifo: lui troppo ubriaco di sonno e dio solo sa che altro per capire quello che tu gli dicevi circa il rithm, una scena che non avrei mai creduto potesse più ripetersi nel corso degli anni e che invece ha cambiato le nostre vite, e tu, con la tua voce troppo bassa per prendere quelle note roche.
Slash fumava e fumava e fumava assieme a me e a Axl, parlando di una tale Perla che aveva conosciuto tempo fa.
Fu lì che arrivò Alec, il tuo capo, con una vecchia Leica e ci disse di salire tutti sul palco.

Ci stringemmo tutti attorno a voi due, che avevate le lacrime agli occhi tanto ridevate, e vi reggevate a malapena in piedi.
Ricordo che eri calda quando ti strinsi a me, come se fossi rimasta per delle ore sotto il sole, e che ti alzasti in punta di piedi per baciarmi una guancia.
E in quel momento, il click della foto scattata.
“Un’altra, un’altra!” gridasti entusiasta, passando un braccio oltre la vita di Steven e sorridendo all’obbiettivo.
Il risultato fu una foto in bianco e nero di noi cinque, con un piccolo folletto completamente pazzo e incredibilmente divertito nel mezzo.
È una delle foto più belle che abbiamo mai scattato, per quanto mi riguarda.
Ma sono dell’idea che la penso così solo perché, in quella foto, sono veramente felice.
Come mai lo ero stato in vita mia.
E questo perché, neanche un’ora prima, mi avevi detto di si.

   
 
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