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Autore: Thumbelina    31/12/2012    9 recensioni
Dedico questa storia a SofiDubhe94, scrittrice favolosa che con una sua storia mozzafiato mi ha fatto scoprire il mondo delle ff su Hunger Games.
Ciò che non voglio assolutamente fare è adattare il capolavoro della Collins ai personaggi della Rowling, questo perchè so che versando la Coca Cola sulla Nutella quel che si ottiene fa davvero schifo. Non posso mischiare due meraviglie simili, non credo davvero di esserne ingrado, non sono così presuntuosa.
Quello che intendo fare, è, con un gioco di What if?, impiantare la genialata degli Hunger Games (ossia gli Hunger Games stessi), nel mondo di Harry Potter. Come? E' a questo che serve il What if!
Nella mia storia Harry è stato sconfitto, Voldemort, una volta insediata la sua dittatura, istituisce gli Hunger Games (il discorso che Presidente Snow fa a Seneca Crane nel film credo gli si adatti perfettamente).
E' Hermione a descriverci la vicenda in prima persona, come omaggio a ciò che la Collins ha fatto con la sua Katniss Everdeen.
Non so che altro dire, spero soltanto che questa storia non piaccia solo a me...
Beh, visto che ormai siete arrivati fin qui tanto vale entrare a dare un'occhiata, non trovate?
Buona lettura. Baci. Giulia.
Genere: Avventura, Guerra, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Corvonero, Hermione, Granger, Serpeverde, Tassorosso
Note: Cross-over, OOC, What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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I Tributi.


Nel momento in cui appare la grossa urna al centro del tavolo insegnanti, mi senti pressoché morire.

È trasparente, contiene dei bussolotti al cui interno dovrebbero esserci dei foglietti con i nostri nomi. Forse dovrebbe ricordarmi il Calice di Fuoco, non lo so, so solo che qui non ci sono né volontari né limiti d’età, e che un ragazzino di dodici anni al momento se la rischia quanto me.

- Si comincia con Corvonero! – annuncia la Umbridge – Prima le signore!

Dopo aver dato un piccolo colpo di bacchetta all’urna, noto che tutti i bussolotti divengono azzurri, assumendo la forma di una piccola sfera.

Mi chiedo se i nomi ci siano tutti davvero, o se l’estrazione sia stata manipolata, ma non faccio neppure in tempo a formulare neppure un'ipotesi, neppure un pensiero completo, che con voce squillante la preside pronuncia il nome del primo tributo.

- Cho Chang!

Cho trema dalla testa ai piedi, riesco a vederlo. Non dovrebbe neppure essere qui.

Quello che fu il mio sesto anno avrebbe dovuto essere l’ultimo per lei, ma dopo l’assassinio di Albus Silente e l’attacco dei Mangiamorte è scappata, prima di diplomarsi, insieme a molti altri.

Si alza a testa alta dal tavolo Corvonero, mentre la sua migliore amica, al suo fianco, si perde in singhiozzi, rifiutandosi di lasciarle la mano.

Cho si scrolla da quella stretta, e con passi che sembrano quasi veloci raggiunge la pedana insegnanti. Sembra così impavida, così fiera, eppure sono più che sicura che basterebbe un soffio per farla cadere, come un castello di carta, che se la Umbridge dicesse, anche solo per scherzo, che c’è stato un errore, che non era suo il nome estratto dall’urna, scoppierebbe a piangere di gioia calandosi a terra.

Mi fa quasi tenerezza, non siamo mai state tanto amiche noi due, eppure vorrei aiutarmi, alzarmi per accompagnarla fino alla pedana, farle sentire che non è da sola, che non è perduta, eppure i miei piedi sono incollati al pavimento, le mie membra alla sedia.

- Su su, carina, veloce! – la esorta la Umbridge – Ecco! – dice nel momento in cui Cho raggiunge il tavolo degli insegnanti – Ecco la nostra prima, valorosa, studentessa che avrà l’onore di entrare nell’arena.

Mentre lei continua a blaterare circa il prestigio e la gloria di questa occasione, noto che professor Vitious ha lasciato la postazione insegnanti per raggiungere la sua studentessa. Le mette le braccia sulle sue braccia, ed avverto il dolore di Cho, chiedendomi quanto grande possa essere per lei lo sforzo per accettare il suo abbraccio o scoppiare in lacrime. Rimane ferma immobile, impassibile, con gli occhi lucidi, ma asciutti. Forse l’ho sempre sottovalutata, quella ragazza.

Forse mi sono distratta un po’ più del dovuto, ho perso un po’ troppo tempo per concentrarmi sulla tremante e fiera figura di Cho Chang, perché nel momento in cui torno al presente, la preside Umbridge sta già annunciando il secondo nome. Che è quello di Luna Lovegood.

No!

Avrei voglia di urlare, di scattare in piedi, ma è Luna ad alzarsi al mio posto, con aria stordita, ma tranquilla, e, ricacciando in dentro le lacrime raggiunge Cho.

- Terza Corvonero, per le ragazze – continua la Umbridge – è Padma Patil!

Quando l’urlo si alza dal mio tavolo, mi accorgo che è stata Calì a gridare. Le è bastato un secondo e nemmeno per mettere a fuoco la situazione, per metabolizzare quel suono, ed ora sta piangendo a squarcia gola, mentre Lavanda, la sua migliore amica, la stringe a sé tentando in qualche modo di calmarla.

Io sono stata in guerra, eppure questa è una delle scene più atroci che io abbia mai visto, con Padma che si muove compostamente verso la postazione insegnanti senza avere neppure l’opportunità di salutare sua sorella, con le lacrime che ha provato a trattenere che ora le rigano il viso. Non so se pianga per se stessa o per Calì, so solo che quelle gocce salate sulla sua pelle hanno tutta l’impressione di bruciare, e che le tira tutte via dal viso passandovi sopra la manica nel momento in cui va a posizionarsi accanto a Luna, e la Umbridge pronuncia il quarto nome.

- Marietta Edgecombe!

Al suono di queste parole, Cho fa quello che avrebbe dovuto fare parecchi minuti fa, ossia scoppia a piangere accettando l’abbraccio del suo insegnante, mentre la sua migliore amica si alza tremante.
Non ce la fa a muoversi, noto l’immenso sforzo che concentra in ogni passo, fino a che uno dei Pacificatori non la raggiunge spingendola lui stesso verso la pedana.

No, non sono un’amica di Marietta, anzi, dopo tutta la faccenda dell’E.S. credo di averla persino odiata, ma come si fa a portare rancore ad una ragazza che cammina a passi tremanti verso morte certa?
Ecco, questa è una novità per me. Non avevo ancora dato per spacciata nessuna delle tre ragazze che è salita prima di lei sulla pedana, ho dato a tutte loro una change di sopravvivenza, ma non a lei, perché sento, guardandola, che Marietta non ce la farà. No, non sarà lei a vincere.

Dopo aver speso un altro quintale di stupide parole per elogiare le 4 vittime/campionesse di Corvonero, la professoressa Umbridge dà un secondo colpo di bacchetta all’urna, e, senza cambiare di colore, i bussolotti al suo interno assumono forma cubica. È il turno dei ragazzi.

Non conosco molti di loro, i ragazzi Corvonero intendo, cioè non siamo proprio amici noi, diciamo più che altro dei conoscenti, ad esempio so che Micheal Corner è stato l’ex di Ginny Weasley al quinto anno, non vorrei sbagliare, e che Marcus Belby ha frequentato, all’inizio del sesto anno, il Lumaclub con me, prima di essere scartato da Lumacorno. Che Terry Steeval, Micheal e Anthony Goldstein hanno partecipato all’E.S., che Roger Davies ha ballato con Fleur al Ballo del Ceppo.

Niente di più, è terribile rendersi conto di non aver avuto tempo di conoscere delle persone che adesso stanno andando a morire, di non essersi mai presa la briga di parlare un po’ di più con loro, e rendersi conto del proprio sbaglio proprio ora che non c’è più tempo per rimediare all’errore commesso.

Quando il primo nome chiamato è quello di Stewart Ackerley, un ragazzo incredibilmente nervoso che risponde a quella convocazione torturandosi le mani l’un l’altra, e sudando a freddo come non ho visto fare a nessuno prima, tutto quello che riesco a chiedermi non è se riuscirà o no a sopravvivere, ma quale sia il suo colore preferito, che forma prenderebbe il suo patronus, cosa voglia fare da grande, a che età abbia dato il suo primo bacio, che voto avesse in Storia della Magia. Sono piccole cose, cose senza importanza, eppure mi sembrano così importanti ora che mi rendo conto che probabilmente non riuscirò a saperle mai.

Se avessi solo un giorno in più, se il mondo si fermasse per sole ventiquattro ore, sono convinta che le passerei con lui. Sì, con lui che non conosco e che non conoscerò mai, con lui e con tutte quelle persone con cui non mi sono mai confrontata, perché preferirei odiarle che guardarle incamminarsi così e chiedermi chi siano.

Forse è solo un ragionamento molto stupido.

- Il secondo nome, per Corvonero, - ci informa la Umbridge aprendo il secondo bussolotto cubico – è Roger Davies!

Lui ha tutto un altro modo di fare. Per carità, si capisce che è spaventato, ma riesce a mascherare perfettamente la sua insicurezza, rivolge quasi un mezzo sorriso ai suoi compagni di casa, come a volerli rassicurare.

Come mai prima di ora mi appare terribilmente bello. Non solo per il fisico palestrato da giocatore di Quidditch, né per quegli occhi d’un azzurro così intenso, ma per quell’aria sicura, perché il primo che non trema, che non da al governo quest’ulteriore soddisfazione, perché è tranquillo mentre si muove verso quella che potrebbe essere la sua morte, calmo come se si trattasse dell’ennesima partita. Sembra quasi Cedric Diggory, in questo momento…

No, non probabilmente non è mai stato così bello.

- Anthony Goldstein! – squittisce la preside Umbridge.

Anthony anche appare abbastanza sicuro di se mentre si alza. Sorride a sua volta, non trema, credo che abbia addirittura detto qualcosa di divertente alla ragazza che gli sedeva accanto, eppure perché non riesce ad apparire come neppure la metà di ciò che è stato Roger?

Forse perché i suoi modi sono costruiti, perché guardandolo non diresti che è calmo, ma che sta facendo di tutto per sembrarlo, perché si sta sforzando di fingersi sicuro di sé, e ad una tale recita forse avrei preferito delle lacrime più sincere.

Con Roger si stringono la mano, appena lo raggiunge sulla pedana, non piangono, non singhiozzano, non tremano, analizzano tutta la faccenda dall’alto. Quasi non fossero loro i tributi, come se non fossero entrambi destinati a morire.

Manca un solo nome, un ultimo nome e l’intera tavolata potrà decretarsi salva, almeno per un anno. Probabilmente le ragazze hanno già tirato un sospiro di sollievo, fra un singhiozzo e l’altro, mentre i maschi aspettano che un ultimo fra loro venga mandato a morire.

- Randolph Burrow! – chiama la professoressa Umbridge.

Ecco, ecco un’altra persona che non conosco.

È un ragazzino non troppo alto, con i capelli lunghi, castani ed unticci, quello che si alza dalle fila Corvonero, il loro ultimo tributo. Non ha il portamento né la fierezza dei due che l’hanno preceduto, trema, e quando arriva in pedana sono già molte le lacrime che gli rigano il volto.

La preside ora fa fare un inchino agli otto campioni, si complimenta ancora con loro, sorride, ma quando ci chiede un applauso restiamo tutti fermi, immobili. No, non faremo anche questo, non possono costringerci, ci rifiutiamo. Possono costringerci ad assistere a questo sterminio, ma non ad appoggiarlo, e solo un paio di mani di alzano dal tavolo Serpeverde, mentre noi tutti rimaniamo fermi, immobili, contrari.

I miei occhi slittano un momento a incontrare quelli di Draco Malfoy. La capisco adesso la sua espressione, lo capisco adesso il suono delle sue parole, lo capisco adesso il senso del suo “mi dispiace”. Aveva ragione, probabilmente avrei dovuto considerare l’idea di mozzarmi via un braccio, non so davvero che farei se uno fra i nomi chiamati per Grifondoro fosse il mio.

La Umbridge muove ancora la bacchetta sull’urna, e i bussolotti ritornano ad essere di forma sferica, colorandosi di un’intensa tonalità di giallo. A quanto pare, toccherà alle Tassorosso.

Un’ondata di paura si impossessa in un’istante di tutto il loro tavolo. Dopo quello che è successo ai Corvonero, è chiaro come ora  la minaccia appaia più reale, così che le ragazze tremano ancor prima di venir chiamate.

La Umbridge sembra completamente impermeabile a tutto quell’orrore. Non so come faccia a non toccarla il fatto che sta mandando 23 persone innocenti a morire, mi chiedo se sia davvero convinta che gli Hunger Games siano una cosa positiva, se crede davvero a tutte quelle chiacchiere su ricchezza e gloria, o se sia solo profumatamente pagata per portare avanti questa farsa.

Intanto, anche la prima delle ragazze Tassorosso è già stata chiamata.

È Hannah Abbott, una ragazza del mio anno, faceva parte dell’Esercito di Silente, era nella mia classe di Erbologia, è la migliore amica di Ernie Macmillan, andava d’accordo con Cedric Diggory, ha preso A ai Gufo per Incantesimi…

Come se questa fosse l’ultima volta che vedo quella ragazza, cosa molto probabile comunque, cerco di fissare alla mente tutte le cose che so su di lei.
Mi pare che avesse un gufo…

La prima cosa che fa Hanna è stringere forte la mano al suo amico Ernie, come per darsi forza, poi la lascia di scatto e si dirige sicura verso la postazione su cui la professoressa Sprite è già pronta ad attenderla.

Come Cho prima di lei, anche Hannah rinuncia all’abbraccio. Guarda fieramente dinnanzi a sé, aspettando che i suoi compagni la raggiungano. I suoi occhi non si staccano un’istante da quelli di Ernie, è come se la sua vista fosse l’unica cosa che la mantiene in piedi, che trattiene le sue lacrime.

Spero solo che lui non venga chiamato con lei…

- Susan Bones! – chiama la Umbridge, mentre la rossa si alza dal tavolo, e raggiunge tremante la postazione, andandosi a sistemare piagnucolante fra le braccia della professoressa Sprite, che l’accoglie volentieri.

È di tutta altra tempra, rispetto a sua zia: Amelia non si sarebbe mai lasciata sfuggire una lacrima.

Poi è il turno di Eloise Midgen, immagino che la Umbridge abbia cominciato ad andare più veloce perché i nostri pianti la disturbano un po’. Ridicolo.

Eloise non è il massimo della popolarità. È il tipico esempio di ragazza che viene di solito presa in giro da tutti. Mi chiedo chi avrebbe il coraggio di deriderla adesso, mentre cammina impaurita verso la morte. Penso che ucciderei chiunque provasse a dire una parola, ma persino i Serpeverde stanno in silenzio, mentre guardiamo uno zimbello di tutti incamminarsi verso la fine dei suoi giorni.

- Eleanor Branstone! – tuona la preside.

E l’ultima delle Tassorosso, una ragazza bionda con il viso pallido ed una bassa coda di cavallo si alza dal tavolo, e va a sistemarsi accanto alle altre, non prima di aver pianto un po’.

Mi chiedo cosa provino, cosa provino a sentire il suono sei propri nomi, a subire lo sguardo impietosito dei loro compagni, a dover camminare tremante sotto gli occhi di tutti, a dover abbracciare la consapevolezza di un’eventuale morte. No, non riesco a farmene un’idea.

Dopo l’ennesimo colpo di bacchetta, i bussolotti tornano ad essere dei cubi. Sfere per le ragazze, cubi per i ragazzi, colorati in base alla loro casata, ormai il meccanismo è chiaro.

- Owen Caldwell! – chiama la preside Umbridge.

Ecco l’ennesimo ragazzo che non conosco.

Stavolta la cosa passa a livello estremi, cioè, non so neppure di che anno sia, e non avrei neppure saputo di che casata fosse se solo non fosse stato chiamato fra i Tassorosso.

È paffuto, leggermente, e ha la pelle bruna, sto cercando di ricordare qualcosa di lui, se l’ho mai visto in giro per i corridoi, o qualcosa di simile, ma nulla, nulla davvero, mentre sento Ginny dire al mio fianco:

- Sì, lui, era nella mia classe di Pozioni!

Mentre Owen si alza tremante e raggiunge la postazione, la Umbridge immerge nuovamente la mano destra nell’urna di vetro, e ne estrae l’ennesimo nome.

- Malcolm Preece!

Ecco, si può dire che Malcolm lo conosco. E’ amico di Seamus, sono entrambi di origini Irlandesi, e li ho sentiti commentare più volte insieme le partite della squadra di Quidditch irlandese. Ok, non credo che questo corrisponda al più esatto significato della parola conoscere, ma almeno ho una vaga idea di chi sia. È già qualcosa.

- Zacharias Smith! – tuona la preside Umbridge.

Zach ha la mia età, è stato prefetto insieme a me, e membro dell’Ordine. Non siamo mai andati del tutto d’accordo noi due, eppure rientra nell’enorme lista delle persone che non avrei mai voluto vedere raggiungere quella pedana. Penso che quella lista comprenda più o meno qualsiasi studente.

Quando Zach si alza vedo risorgere la tempra di Roger Davies, di Anthony Goldstein, finge sicurezza, tranquillità, raggiunge tranquillamente il palco, ma posso vedere come stia contando i propri passi.

Hannah, dall’alto, gli rivolge un mezzo sorriso, come a voler dire “va tutto bene, ormai ci siamo dentro”, e lui si sistema vicino a lei, dopo averla accarezzata sulla schiena come a volerla sostenere a sua volta.

Poi succede una cosa che non sarebbe mai dovuta accadere. Qualcosa che rompe quel fragile equilibrio che si era andato a creare, qualcosa che affossa la diga delle lacrime, che rompe il muro dei singhiozzi, e quel qualcosa è l’ultimo bussolotto estratto, che porta il nome di Ernie Macmillan.

Hannah Abbott, la stessa Hannah che non aveva pianto alla propria convocazione, la stessa Hanna che aveva sostenuto Zach, la stessa Hannah che aveva rifiutato le braccia della professoressa Pomona Sprite, ora si scioglie in lacrime e in singhiozzi, sorretta da Zacharias, mentre Ernie accelera il passo, e sale in fretta dalla pedana per andare ad abbracciarla.

Le prende il viso fra le mani, la accarezza, le asciuga le lacrime, sta dicendo qualcosa, qualcosa che non riesco a sentire, ma suona terribilmente come un “va tutto bene, va tutto bene”, ma nulla riesce a calmarla. Scuote la testa, singhiozza, e mentre la Umbridge ritrasforma i cubi in sfere dorate, la Sprite la ospita fra le sue grandi braccia, mentre Ernie e Zach continuano a tentare, invano, di calmarla.

Ciò che è successo è atroce, essere costretta ad essere uccidere il proprio migliore amico è atroce, non riesco neppure a pensare a che cosa avrei fatto se qualcuno mi avesse chiesto di uccidere Harry, se volevo aver salva la vita.

Ma c’è qualcosa di ancora più atroce a cui devo prepararmi al momento, e quel qualcosa è il primo bussolotto sferico dorato, quello che la Umbridge ha già fra le mani, quello al cui interno potrebbe essere il mio nome.

Trattengo il respiro.

I secondi sembrano diventare minuti, ho quasi il tempo di contare cinque respiri, mi chiedo se la preside abbia deciso di aumentare un po’ la suspance o se sia la mia agitazione a rallentare il tutto.

È come una sorta di macabra roulette russa, solo che non ci sono colpi a salve, ogni tocco al grilletto è un colpo all’anima, ogni nome corrisponde a un condannato a morte. Diciamo pure che il sottofondo delle urla strazianti di Hannah non aiuta.

- Katie Bell!

Non sono io, non sono io. Mancando solo tre proiettili. Quante siamo noi Grifondoro? Quante sono le probabilità che il mio nome venga estratto dall’urna?

Più o meno quante ce n’erano che venisse estratta Katie, mi rispondo.

Eccola là. È molto più piccola quando non è in sella a una scopa. Raggiunge a piccoli passi la sua postazione insegnanti, dove la professoressa McGranit è già in piedi ad attenderla.

Le circonda le spalle con le braccia, e la stringe un momento, ed aspetta così che il secondo nome venga estratto.

- Calì Patil! – tuona la professoressa Umbridge. – Lei è la seconda Patil che viene chiamata o sbaglio?

E come potrebbe sbagliare? L’urlo di dolore cacciato da sua sorella nel momento della sua convocazione non è stata forse una risposta più che sufficiente? Padma non aveva pianto al momento della sua convocazione, ma la vedo in lacrime adesso, ed è davvero una cosa tremenda. Vorrei solo che a Calì fosse concesso di correre fra le braccia di sua sorella, anche se provengono da due casate diverse, di consolarsi a vicenda, ed invece Vitious tiene stretta a sé la sua studentessa, mentre Calì viene spedita fra le braccia della McGranit, e questo perché Lord Voldemort si è alzato in piedi, e li sta guardando male.

Mi chiedo cosa possa esserci di più disumano di questo, di due sorelle costrette ad uccidersi l’un l’altra, mi chiedo, seppure a vincere fosse una delle due, come farebbe a sopravvivere ad una tale perdita.
Non lo dico per esperienza personale, non ho fratelli o sorelle io, ma essendo cresciuta con la famiglia Weasley ho ben chiaro cosa sia un legame fraterno. Ripenso a Percy, e a Bill, e a Ron e a Ginny, ma soprattutto al povero George, il giorno della morte di Fred. Il solo ricordo è in grado ancora di darmi i brividi. Del resto, anche le Patil erano due gemelle. Perché ho usato l’espressione “erano”…?

Più lontano da noi, fra le fila Serpeverde, noto qualcosa che mi colpisce profondamente: Daphne Greengrass, con un’espressione totalmente sconvolta sul viso, stringe forte  la mano di sua sorella minore Asteria, e non c’è perfidia sul suo volto in questo momento, né derisione, solo una sorte di strano senso di coinvolgimento, di compassione, almeno a quanto sembra.

Forse, forse sta pensando al fatto che sarebbe potuto capitare a loro, in altre circostanze, se solo non fossero state Serpeverde, o se solo Serpeverde fosse stata ammessa ai giochi. Forse si sta chiedendo che cosa farebbe lei se solo dovesse trovarsi in un’arena con la sua amata sorella, se sceglierebbe di morire al suo posto o di sopravviverle, forse…

- Hermione Granger!

Tutto accade in un momento, basta il suono di quelle due parole a riportarmi istantaneamente alla realtà.

Ora so cosa si prova. Ora so come ci si sente ad essere chiamati.

Il proprio nome non viene recepito all’istante, non è quel suono a darci la certezza della nostra convocazione, della nostra condanna a morte.

A fornirci questa certezza sono gli sguardi di tutti i nostri compagni, che in quel momento si volgono verso di noi guardandoci come se fossimo già cadaveri.

È questo che ci porta ad alzarci. Ci si sente degli estranei, dei diversi, in mezzo a tutti quegli sguardi. Si capisce che quello non è più il nostro posto, e che l’unico luogo in cui possiamo sentirci accettati, non miserevoli, non degni di compassione, quello è proprio il luogo verso cui ci stanno chiamando, in compagnia di altri sventurati come noi.

È questo che sento quando mi alzo in piedi, dopo aver intercettato lo sguardo dagli occhi sbarrati di Ron, e quello di Ginny.

È difficile metabolizzare, accettare a pieno la propria condizione di condannata a morte, l’unica cosa che penso è che debba esserci un errore, e non nell’estrazione del mio nome, ma nell’istituzione di quello strano gioco che sta per uccidermi.

È come trovarsi in un sogno, in un incubo, questo perché non metto ben a fuoco le immagini intorno a me, e nemmeno i miei pensieri. È come se le mie gambe si muovessero da sole, come se non avessi il controllo delle mie azioni, come se tutto fosse già scritto, già programmato, come se i miei piedi seguissero un copione prestabilito, senza chiedere il mio permesso. Come in un sogno.

Tutto ciò che riesco a pensare, è che vorrei tanto svegliarmi.

Trattengo le lacrime strette alla rete delle ciglia, le costringo a non lasciare i miei occhi neppure per un momento, perché se c’è una cosa che posso ancora fare questa è mantenere integra la mia dignità, non dare a Lord Voldemort persino la soddisfazione di vedermi piangere.

E’ splendente, il suo volto, un sorriso atroce gli occupa l’intera faccia, così contento di vedere che sto per raggiungerlo. Che sto per morire.

Chissà cosa ne pensano gli altri. Dopo Albus Silente, Harry Potter, dopo Severus Piton, ecco un altro simbolo della resistenza che muove passi verso la propria tomba.

Vorrei voltarmi verso di loro, scorgere un volto, decifrare l’espressione incisa sulle loro facce, ma non ci riesco. Non voglio vedere pena degli occhi di nessuno, né pietà, né compassione, e né tristezza sincera, perché in entrambi i casi mi verrebbe da piangere, o da gridare.

Sento un brusio provenire dal tavolo dei Serpeverde. Forse sono contenti, una rompipalle come me che va dritta contro il suo atroce destino, devono trovarlo così divertente!

Eppure, non so per quale insana ragione, non riesco neppure un momento a sentirmi arrabbiata con loro. Non è colpa loro, se sono qui, dopo tutto. Per quanto possano ridere o piangere per me, nessuna delle loro lacrime né dei loro sorrisi potrà ormai cambiare qualcosa, nulla può cambiare la situazione.

Sto arrivando alla postazione.

Chissà quanto ci ho messo…

Se sono andata piano, o velocemente, chissà quanto tempo ho impiegato a raggiungere i gradini, la nozione di tempo mi si è ormai completamente cancellata dal cervello.

Solo quando le mani della McGranit toccano le mie braccia capisco che sono finalmente arrivata, e dopo aver lanciato a Lord Voldemort uno sguardo d’odio, prendo posto vicino a Calì.

Forse c’è una scappatoia. Forse, forse Ron può fare un casino, può distrarre tutti, da Voldemort alla preside Umbridge, può distrarli per abbastanza tempo affinché io possa tagliarmi un braccio e scappare via. Non sarei mica egoista, porterei tutti gli altri con me, dopo essersi tagliati il braccio anche loro però, sennò ci beccano, e poi…

E poi forse devo solo accettare la possibilità della mia morte, o comunque rinunciare una volta per tutte alla vita, perché pure se uscissi da quell’arena, di sicuro non sarebbe più vita la mia.

Vedo solo nebbia davanti a me, immagini sfocate, e sono ancora troppo confusa per formulare un pensiero compiuto, e non faccio neppure in tempo a sperare che la prossima non sia Ginny, che il nome di Natalie McDonald viene estratto dall’urna, ed una ragazzina si alza dal nostro tavolo.

Quanti anni avrà lei, quella bambina? Dodici al massimo, e neppure li dimostra.

La vedo incamminarsi tremante verso di noi, con le sue scarpette laccate di rosso. Ha i capelli lunghi, di un biondo sporco, due brillanti occhi castani, ed un tenero nasino all’insù, alla francese.

Mi chiedo perché nessuno faccia nulla per fermarla, per impedirle di raggiungerci, mi chiedo perché nessuno si offra al suo posto, pur di salvarla.

Solo dopo realizzo che è troppo facile parlare da qui, che è troppo facile parlare per me, che ormai sono già condannata a morte, chissà cosa avrei fatto io al loro posto, io, se solo non fossi stata chiamata, chissà se mi sarei offerta volontaria per salvare lei. Chissà.

L’unica cosa che so con certezza è quello che scelgo di fare adesso, ossia abbandonare la mia comoda postazione fra le braccia della McGranit, scendere con un salto i gradini, sbrigarmi a raggiungere quella bambina impaurita che si muove piangendo verso di me.

Con la coda dell’occhio mi par quasi di aver visto Lord Voldemort scattare in piedi nel momento in cui mi sono allontanata dal gruppo, ma la McGranit deve averlo fermato, perché lui non ha fatto un bel niente per fermare me.

Raggiungo Natalie quando entrambe siamo ormai a metà sala, e l’accolgo fra le mie braccia. Le prendo la mano - è impressionante quanto sia piccola la sua mano nella mia, che pure non è poi così grande – mentre con l’altro braccio le cingo la vita, e così ci avviamo insieme verso il nostro posto di condannate, con la McGranit che quasi si commuove a vederci arrivare.

Superati gli scalini, do a Natalie una piccola spinta che la porta ad accelerare, ed a tuffarsi fra le braccia della nostra professoressa, che la stringe in un abbraccio materno.

È solo allora che riprendo il mio posto, è solo allora che Voldemort riprende il suo, tranquillo, finalmente, ora che sono tornata fra le fauci della morte.

Ed ecco, con un semplice tocco di bacchetta i bussolotti ora tornano ad essere di forma cubica, perché ora tocca ai nostri ragazzi.

Beh, se dopo la mia estrazione ero ancora troppo scossa per sperare che il nome seguente non fosse quello di Ginny, ora niente e nessuno può impedirmi di pregare che il prossimo non sia Ron.

No, ti prego, non lui. Non anche lui.

Non ce la farei davvero, a sapere di dover uccidere il mio ragazzo per salvarmi.

Ron è il mio migliore amico probabilmente da sempre, lui ed Harry sono sempre stati l’unica ancora su cui ho sempre potuto contare qui ad Hogwarts, e, dopo la morte di Harry… beh, lui è stato l’ultima delle certezze su cui ancora potevo contare.

Non so cosa farei se dovessi sopravvivergli, non so quale sarebbe il mio ultimo pensiero se fosse lui ad uccidermi. Mi chiedo se questi siano anche i suoi pensieri. Ormai ci apparteniamo a vicenda, ci meritiamo a vicenda, abbiamo lottato per stare insieme, contro gli altri, ma soprattutto contro noi stessi, il nostro è uno di quel legami che dovrebbe essere illegale spezzare.

Ecco, se devo partecipare ad un massacro, voglio almeno che l’uomo della mia vita non sia lì a schivare i miei colpi.

Ti prego, fa che non sia lui…

- Neville Paciock!

Conosco Neville fin dal primo anno. Si può dire che siamo amici fin dal primo anno. Fin dalla storia di Oscar. Gli ho sempre voluto bene, fin da quando riesco a ricordare, e negli ultimi anni ho addirittura imparato ad ammirarlo, ma allora perché, quando il suo nome viene estratto, non posso fare a meno di tirare un sospiro di sollievo?

So che è terribile, ma almeno lui non è Ron…

Vedo Neville alzarsi da quel tavolo senza provare dolore, né disperazione.

Sono convinta che, fra di noi, lui sia quello che è più cambiato nel corso degli anni. Non è più il timido, paffuto, debole ragazzino del primo anno, quello che si stupiva di essere stato smistato in Grifondoro, è un combattente ormai, un piccolo soldato, e non vedo paura sul suo volto nel momento che si muove a raggiungermi, solo tanta, tanta tristezza.

Ci guardiamo, nel momento in cui sale sulla postazione, ci guardiamo come due condannati a morte sull’orlo del cappio. Non c’è disperazione nei nostri occhi, né nei miei, né nei suoi, solo un senso di estrema vicinanza l’un con l’altra, niente di più.

Non lo vedo come un mio avversario, come un mio aguzzino, non riesco, così come non riesco a vedere in questo modo nessuno degli altri. Li vedo solo come compagni. Compagni condannati.

- Seamus Finnigan!

Beh, non è una gran giornata questa per l’Irlanda, suppongo.

Voglio bene Seamus, era uno dei compagni di stanza di Ron, lo conosco fin dall’inizio, come Neville, fa così male vederlo, ora che sta per raggiungermi.

Leggo l’espressione di tristezza negli occhi di Neville. Erano compagni di stanza loro due, compagni nell’E.S., hanno portato avanti insieme la resistenza qui ad Hogwarts l’anno scorso, ed ora, per la prima volta, dovranno prendere le armi l’uno contro l’altro. Beh, almeno loro non sono due gemelle…

No, non ci riesco proprio a togliermi la storia delle Patil dalla testa.

- Ritchie Coote! – chiama la preside Umbridge.

Quando Ritchie si alza riconosco in lui uno dei due battitori della nostra squadra. È abbastanza piccolo di statura, per ricoprire quel ruolo, ma ricordo che era tremendamente veloce, ed ha due brillanti occhi azzurri. È il primo, fra i ragazzi Grifondoro, a piangere.

Che anno farà? Il quarto? Il quinto? Quattrodici, quindici anni sono troppo pochi per morire. A dirla tutta, lo sarebbero anche i miei diciotto…

- E l’ultimo nome… - declama la preside Umbridge brandendo fra le mani l’ennesimo bussolotto.

Non Ron, non Ron, non Ron, non Ron.

- L’ultimo dei fortunati che avranno l’onore di partecipare a questa competizione d’estremo prestigio…

Non Ron, non Ron, non Ron, non Ron, non Ron.

- L’ultimo degli eletti, dei coraggiosi ventiquattro che avranno l’opportunità di sfidarsi nell’arena…

Non Ron, non Ron, non Ron, non Ron, non Ron, non Ron.

- E’…
Non Ron, non Ron, non Ron, non Ron, non Ron, non Ron, non Ron.

- Ronald Weasley!

NO!

Il tutto il mio mondo va in frantumi in quel momento. Noto che tutti i tributi, che tutti gli studenti non si volgono a guardare lui, ma me. Io che sono pietrificata, io che non ho neppure la forza di urlare, mentre le lacrime cominciano a rigarmi il viso come mai prima d’ora.

Mi rifiuto totalmente di uccidere Ron. Mi rifiuto totalmente di sopravvivere alla sua morte. E questo significa suicidio.

Devo aver smesso di respirare. Mi gira la testa. Non sento alcun rumore intorno a me, eccetto per il battito irregolare del mio cuore, che sembra quasi sul punto di squarciarmi le membra, da sortire fuori dal mio fragile corpo.

Meglio che lo faccia. Che mi uccida adesso. Meglio qui che in arena.

- Mi offro volontario!

Sono solo tre parole, ma tali da riaccendere in me la speranza. Individuo subito l’autore di quell’insana frase, seduto a mollemente a cavalcioni di una panca.

Non vedo dolore sul suo viso, né paura, ma neppure gioia, o coraggio. Sembra quasi strafottente.

- Ho detto, - ripete alzandosi in piedi – che mi offro volontario.

Se la sua pelle non fosse già opalescente, probabilmente Lord Voldemort al momento sbiancherebbe. Quella della Umbridge ha già perso colore, e si è voltata verso il suo signore, in crisi, con gli occhi fuori dalle orbite. Ma il suo signore non è più sconvolto di lei. La sua proposta d’altronde era una che una sorta di provocazione, di insulto, di presa in giro, non si sarebbero mai aspettati che qualcuno si proponesse davvero.

Temo che questo mandi a monte i suoi piani.

- Volontario? – gli domanda alzandosi in piedi, sembra sul punto di esplodere.

- Sì, sì esatto! – esclama lui.

- No! – l’interrompe Ron alzandosi in piedi a sua volta – Non te lo permetto.

- Zitto tu! – gli dice il ragazzo, dandogli uno spintone da farlo ricadere a sedere. – Devo ripeterlo un’altra volta, Vostra Altezza, che mi offro volontario?

Non so come descriverlo questo momento, sto solo sperando che il volontario venga accettato, perché chiunque, chiunque in quell’arena è preferibile a Ron.

Eppure, stento ancora a comprendere la situazione.

Voldemort è adirato, sconvolto, ci aveva accusato di essere codardi, ed eccolo invece, in piedi, spavaldo, eccolo il suo volontario, lì in piedi, tranquillo, sorridente, sprezzante dinnanzi al pericolo, la falla nel suo grande piano.

- Ne-ne sei sicuro? – balbetta l’Oscuro Signore – Sai, credo dovresti pensarci accuratamente, insomma, tu…

- Tutta quella ricchezza, - afferma il ragazzo avvicinandosi – tutta quella fama, solo uno stupido se li lascerebbe scappare! Ero troppo giovane quando c’è stato il Torneo Tre Maghi, ecco la mia seconda occasione! E devo dire inoltre che questo sistema degli Hunger Games è molto più congeniale di quello per il Torneo, insomma, senza limiti d’età, con una ragazzina di dodici anni mandata a scontrarsi contro un diciottenne, molto, molto più equo.

Avanza ancora, lentamente, sorridente. Sta facendo il suo spettacolo.

- E poi niente volontari, chiunque può essere estratto, che quelle fama gli interessi oppure no! E pensare che Silente ci aveva fatto tutta quella filippica sul pensarci bene prima di mettere i nomi nel Calice, tutte fandonie! Molto meglio così, grandi e piccoli, maschi e femmine, tutti, nessuno escluso, tutti possono partecipare! Tutti devono partecipare. No, Signore, - conclude accennando un piccolo inchino – non rinuncerei mai a un’occasione del genere.

- Io... – balbetta la preside Umbridge – io non credo proprio sia possibile…

- E perché no? – domanda – L’avete chiesto voi un volontario, non erano balle, giusto? Non volevate soltanto deriderci, giusto? Lo avete cercato, lo avete chiamato, eccolo il vostro volontario, sono io, sono qui, sono sempre uno studente di Hogwarts e voglio partecipare, a meno che…

È appena arrivato dinnanzi ai gradini, e qui si ferma, guardando il Primo Ministro con aria di sfida.

- A meno che il mio intervento non mandi in fumo qualche vostro piano…

Il silenzio cala in solo momento.

Tutto il brusio che quella mattata aveva provocato, tutte le voci si fermano in un solo istante, perché non si può che rimanere spiazzati dinnanzi a un’affermazione del genere.

Sta denunciando l’Autorità, sta denunciando il governo, per ferirlo usa il cappello da clown che quelli gli avevano posto sulla testa, ma colpisce duramente.

No, quello non è un volontario, quello è un suicida.

- Che strano, avevo pensato, – continua il ragazzo – che strano che sia Hermione Granger che Luna Lovegood, che Neville Paciock fossero stati chiamati. E poi anche Ronald Weasley, beh… Una strana, stranissima coincidenza, non lo pensiamo forse tutti??? Un caso fortuito, per carità, chi dice niente? Il Vostro illuminato governo non si abbasserebbe mai a fare una cosa simile, giusto? Eppure… Eppure verrebbe quasi voglia di leggerli quei bigliettini, non sono stati buttati, giusto? Si potrebbe chiederne la rilettura, o no?

- Non è possibile! – esclama stizzita la Umbridge – Non erano questi gli accordi!

- Gli accordi comprendevano un volontario! – risponde a tono il ragazzo – Eccolo! Ce l’avete! E se gli accordi saltano dalla vostra parte, io li faccio saltare anche da questa. E poi che motivo ci sarebbe per non accettare un volontario, se non c’è nulla, sotto, da nascondere.

La faccia di Lord Voldemort al momento è qualcosa di indescrivibile. È livido, arrabbiato, un semplice studente l’ha appena umiliato, e rischia di far saltare in un momento tutto ciò fino a cui ha fin ora lavorato. Credo che, in questo momento, lo odi ancor di più di quanto odi me.

Prende un bel respiro, cerca di tranquillizzarsi, prima di tornare a sedere, rispondendo, con aria calma.

- Nessunissimo problema, come già detto, ad accettare volontari. Se questo è quello che vuole, lei sarà il nostro ultimo tributo, signor George Weasley.

 

Con un sorriso soddisfatto stampato sul volto, dopo aver fatto un secondo piccolo inchino, George passa i gradini in un balzo, e viene a prendere posto vicino a me.

- Perché l’hai fatto? – gli sussurro non appena mi si avvicina.

- La ricchezza, - mi risponde – la gloria, l’ho già detto.

- Perché l’hai fatto? – domando di nuovo – La verità, stavolta, per favore.

- Ho già visto morire uno dei miei fratelli, Hermione, non lascerò che succeda di nuovo.

Le Patil. Le Greengrass. Le loro immagini mi ritornano veloci alla mente.

- Credi di vincere? – gli domando per cambiare discorso.

- Credo di non avere alcuna possibilità. – risponde.

Taccio. Sento il sangue gelarsi nelle mie vene. Non riesco più a parlare.

- Sai, ho un piano. – continua lui.

- Davvero? – domando io – E quale sarebbe?

- Quando affonderò, Hermione, ed io affonderò, - risponde lui con aria tranquilla – intendo trascinare tutto questo schifoso gioco all’inferno con me.

La bambina che è stata chiamata dopo di me, che sta ancora stretta fra le braccia della McGranit, alza in quel momento spaventata gli occhi su di lui, mentre io li abbasso sui suoi, sorridendo appena, come a tranquillizzarla.

Tranquillizzarla è stupido. È ipocrita poi da parte mia, io che ho tremato al suono di quelle parole. Forse, forse la verità è che sono solo terrorizzata dal fatto che lui ha già un’idea, un piano, mentre io non ho ancora la più pallida idea di cosa dovrei fare.

Quando il sipario dell’attenzione si chiude sui nostri volti di pietra, mi volto a guardare i miei compagni. È una cosa, noto, che stiamo facendo pressoché tutti.

Mi chiedo perché lo stiano facendo, mi chiedo se sentano quello che sento io, in questo momento, se tutti i nostri animi siano volti in questo momento verso un’unica, medesima direzione.

Eccoli qui, tutti qui, al mio fianco, eccoli qui i ventitré ragazzi che dovrò uccidere se voglio rimanere in vita.

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*Angolo autrice*
Ciao bella gente! Allora, in primo luogo mi sento in dovere di ringraziarvi per tutti questi commenti, insomma, credevo che questa storia non se la sarebbe cagata nessuno, che sarei dovuta andare ad elemosinare recensioni in qua ed in là, ed invece eccoti ben 7 recensioni in un solo giorno, non posso dirvi quanto mi abbiate resa felice! Mi avete dato la spinta necessaria per rimettermi subito a scrivere, e così eccovi il vostro nuovo capitolo, sperando che questo non vi abbia deluso.
E poi quei complimenti sullo stile! Allora, dovete sapere che ho appena cambiato computer, ed ho perso il mio vecchio programma HTML, così questo è il primo capitolo che trascrivo utilizzando l'editor di Efp, non sapevo davvero dove mettermi le mani! Meno male che l'esperimento è riuscito bene!
Vorrei farvi qualche domandina a riguardo...
Chi vi aspettavate come tributo? Insomma, v'aspettavate qualcuno fra quelli che ho scelto di far gareggiare o no? Se sì, quali? Se no, a chi altri avevate pensato? E poi il volontario... ho voluto mantenere un po' di suspance, vi eravate accorti che fosse George Weasley??
Fatemi sapere che son curiosa!
Infine, vorrei sottolineare un momento una componente dello scorso capitolo che avete notato in tanti, ossia i Serpeverde. Allora, mi avete tutti detto di quanto io li abbia resi troppo cattivi, devo dire che neppure io li vedo così, ma mi sono rifatta alla Rowling, quando nel settimo libro, nell'ora della battaglia finale, ha scelto di non far schierare nessuna delle serpi dalla parte dei buoni. Comunque, non so se si è notato, ho scelto di renderli un po' più umani con questo capitolo.
Ok, fine della storia, non abituatevi a questi aggiornarmenti lampo, perchè non prometto nulla! 
Ditemi che ne pensate, per favore, non abbandonatemi!
Sperando di ritrovarvi tutti nel prossimo capitolo. Baci. Giulia.
P.S. Avrei preparato delle immaginette come copertina dei vari capitoli, ma non riesco ad inserirle, se a qualcuno di voi andasse di insegnarmi credo che potrebbero essere un'aggiunta carina ;-)
Ancora baci. Giulia.
   
 
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