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Autore: CleaCassandra    18/07/2007    3 recensioni
Frances, una vita fuori dall'ordinario, e una persona speciale, reincontrata dopo anni.
Diciamo pure che non sono brava a fare riassunti, spero solo vi piaccia.
attention please: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere delle persone di cui parlo (ma magari li conoscessi di persona ;O;), nè offenderle in alcun modo...beh, insomma, era una precisazione necessaria u_ù
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Frank Iero, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 3 – Just The Way I’m Feeling

Ieri non s’è presentato, e francamente non me ne sono dispiaciuta più del dovuto.
“Avrà avuto da fare” ho pensato, e così ho passato il tempo facendo tatuaggi orribili a persone orribili, tornando con la mente a quelle sue braccia così affascinanti.
Ce ne sono tanti a coprirsi di tatuaggi, ma un buon 80% di questi non ha assolutamente stile, oppure si fa disegnare addosso cose scontate e senza un concetto intrinseco.
Lui, invece, dona un significato profondo a tutto quello che fa. Me lo stava raccontando anche l’altro giorno.
Ogni immagine riconduce a qualcosa che lo riguarda. Che parla di lui.
In pratica è il manifesto di se stesso e della sua vita, e sembra andarne più che orgoglioso.
A volte mi viene da pensare, quando arrivano qui persone che vogliono tatuarsi qualcosa, se c’è una ragione al perché lo fanno.
Al perché scelgano un disegno e non un altro.
Se è un qualcosa di puramente ornamentale o c’è qualcosa dietro.
Devo essere sincera, non provo molta simpatia per coloro che vengono nel mio negozio solo perché fa figo avere il tatuaggio. Ormai non è più da alternativi, non ti distingui dalla massa se ti fai disegnare qualcosa addosso. Farsi bucare la pelle dagli aghi fa un male cane, più in certe zone che in altre. Ma provoca comunque dolore. Non deve essere una curiosità farsi fare un tatuaggio. Deve esserci una ragione, un motivo, e che non sia soltanto un fattore estetico.
Ogni tanto ringrazio un’ipotetica divinità per l’esistenza di individui come lui.
Danno un senso al mio lavoro.
Oggi, invece…saranno state, toh, le cinque del pomeriggio? Poco più tardi, forse.
Oh, non importa.
Vado ad aprire, e me lo ritrovo davanti, che aspetta in tutta tranquillità e anzi, sta fumando una sigaretta per ingannare il tempo.
“Già qui?”
“Eh, sì. Dopo ho da fare una cosa urgente…”
“Per che ore?”
“Mah, diciamo su per giù l’ora di cena…”
“Va bene, vedrò di farcela. Dai, entra!” lo esorto.
Ci sistemiamo dove eravamo l’altro giorno, e ricomincio.
Nel frattempo arriva anche Alice.
La ragazza con cui ho aperto il negozio.
Mi saluta, e se ne sta un pezzo a squadrarmi mentre lavoro sul braccio di Frank.
Alzo lo sguardo, e la vedo che mi guarda sbigottita.
“È lui?” chiede, muovendo solo le labbra, senza emettere alcun suono.
Beh, in effetti le avevo detto che era venuto qua l’altro giorno, quasi come fosse una curiosità da riportare, per dovere di cronaca.
Era totalmente incredula. E mi sono divertita troppo a osservare con minuziosa ironia le espressioni che si riproducevano una dopo l’altra sul suo viso.
Annuisco. Si illumina, ma di più non può fare. Al massimo le presentazioni le farò dopo.
Ebbene sì.
È una fan sfegatata dei My Chemical Romance.
Qua dentro mette sempre i loro dischi. Ma oggi decide di variare, per non imbarazzare questo cliente così speciale.
“Uh, i Misfits!” esclama lui, alzando la testa.
“Già” rispondo, senza alzare gli occhi dal tatuaggio, che adesso ha una forma e aspetta solo di essere colorato del tutto, “li adoro”
“Anche io” si limita a dire.
Dopodichè…cala il silenzio tra noi.
Come fossimo due perfetti estranei, come fossimo solo la tatuatrice e il suo cliente.
Questo un po’ mi rende triste. A dire il vero non sono poi così giù di morale, perché ho sempre pensato che, se due persone sono veramente legate da qualsivoglia circostanza, il loro rapporto non sfuma nell’aria, non esplode come una bolla di sapone.
Mi sto godendo questo silenzio. Sembra cullarmi, addolcirmi, come quel pomeriggio di tre anni fa.
Rende migliore anche la mia perizia. Il lavoro procede bene, e ne sono assolutamente orgogliosa.
Però lo vedo inquieto.
Io mi faccio cullare dal silenzio, e lui invece sembra esserne agitato, inquietato.
Si volta di continuo a fissare fuori dal negozio, quasi stesse aspettando qualcuno.
“Tutto bene?” azzardo a chiedere.
“Uh? Ah, sì, tutto a posto…senti, ma…che ore sono?”
“Le sette, perché?”
“A che punto è?” chiede, un po’ nervoso.
“Quasi finito, manca un pezzo piccolissimo, in dieci minuti ce la faccio…puoi aspettare?”
“Sì, ma non di più…scusa, sai, ma è importante!”
“Certo, non ti preoccupare!” e mi rimetto al lavoro senza sosta.
Cazzo, è veramente irrequieto, oggi.
Beh, può capitare, ma rimango comunque allibita. È che…proprio non mi sembra il tipo che si scompone per così poco.
Finisco anche un paio di minuti prima. Nonostante la fretta impressami, è venuto proprio un bel tatuaggio.
Lui si guarda il braccio, ancora arrossato, e leggo la soddisfazione nei suoi occhi.
Grande, Frankie.
Sei stata brava anche stavolta.
È un istante scorgerlo che mi prende per il braccio e mi trascina con lui, mentre grida ad Alice: “Pensaci tu qui! Te la riporto subito!”
È un istante. Non mi rendo nemmeno conto che succede. Sento solo la sua mano che afferra il mio polso, sento solo le mie gambe muoversi verso la direzione in cui mi sta portando, sento solo che c’è qualcosa che non quadra.
E poi, che stupido. Non mi ha fatto nemmeno togliere i guanti.
“Ma dove mi stai portando?”
“Tranquilla, fidati!”
“E il tuo impegno importante?”
“È questo!”
Devo essere sincera? Non ci sto proprio capendo niente.
Non so nemmeno che strade stiamo percorrendo. Non ho il tempo di rendermene conto.
Alzo gli occhi al cielo.
Sta iniziando a farsi rosato. Presto tonalità di fuoco ci avvolgeranno completamente e il sole ci incendierà gli occhi.
Improvvisamente capisco tutto. Capisco la sua agitazione, la sua fretta, il suo guardare continuamente fuori, mentre iniettavo inchiostro nella sua pelle.
E non posso fare a meno di ridere divertita.
Perché mi ha portato nel posto più bello di San Francisco.
Il Golden Gate Park.
Ci addentriamo nel parco, mano nella mano, fino ad arrivare alla parte che prediligo.
Il giardino giapponese.
Ma come fa a sapere…
“Ho notato quegli ideogrammi sulla tua spalla e ho pensato che ti potevano piacere queste cose così, orientali…” mi risponde, come se leggesse la mia domanda nel silenzio che ci avvolge, nonostante a quest’ora il parco sia ancora piuttosto frequentato.
Ma degli altri non mi curo.
Siamo io e lui. Circondati dalla vegetazione e osservati da una enorme statua di Buddha, che ci sorride, benevolo e perso nelle sue meditazioni ascetiche.
“Sì. Adoro questo parco” sussurro.
Ci fermiamo davanti a un prato, quasi sgombro da arbusti, e ci appoggiamo su uno steccato, estasiati dalla luce che trafigge le foglie degli alberi intorno a noi.
Può sembrare strano, ma è la prima volta che guardo il sole tramontare da qui.
È uno spettacolo straordinario, profondamente suggestivo e capace di catalizzare dentro di sé tutto l’ampio spettro di emozioni che un essere umano è in grado di provare, e anche qualcuna in più.
Fa quasi salire le lacrime agli occhi, tanta è la sua bellezza.
Ho la pelle d’oca.
Ma non è solo per quella visione eccezionale.
Sento le sue dita scorrere sulla mia spalla, tratteggiare la calligrafia di quegli ideogrammi.
Un gesto che non mi aspetto nemmeno da persone che fanno parte della mia vita da ben più tempo di lui.
Eppure, nella sua semplicità, riesce a comunicarmi molto di più di un abbraccio.
È come un bimbo, interessato e ansioso di scoprire il mondo che lo circonda.
Mondo che, in questo momento, è tutto concentrato in quei pochi centimetri di pelle che coprono il mio braccio.
“Cosa significano?”
“Sono i quattro elementi” rispondo semplicemente.
Sembra affascinato. Li sfiora più e più volte, col tocco vellutato e curioso dei suoi polpastrelli.
Ho sempre apprezzato la fugacità del tramonto. Questo suo durare così poco, nell’arco di una giornata. È una sorta di valore aggiunto.
Ma mai come in questo momento ho desiderato che il sole restasse lì, in bilico nel cielo, per sempre.
Ritorna prepotente nel mio cervello il ricordo di quella giornata in New Jersey, e la tristezza che si era impadronita dei nostri due cuori.
Adesso non c’è più spazio per lei. Adesso c’è solo la felicità per esserci ritrovati, per caso.
Non c’è calcolo in tutto quello che è successo. Ci eravamo anche reciprocamente scordati delle nostre esistenze.
“Dopo averti rivisto…beh, ho pensato immediatamente che avrei voluto osservare di nuovo il tramonto con te” sussurra, imbarazzato, grattandosi un orecchio.
Sì, se ne ricorda. Basta solo questa lieve consapevolezza ad allargare sul mio volto un sorriso assolutamente sincero.
“Anche io, in effetti…” riesco solo a dire, testa bassa e occhi piantati al suolo, a contemplare con insistenza le mie Etnies. Se non mi avesse comunicato il suo proposito con così tanta naturalezza, io col cavolo che gliel’avrei confessato.
Niente da fare, ho sempre troppa paura di finire per espormi troppo.
Ma quella complicità che avevamo instaurato senza nemmeno conoscerci era tutta speciale, e sentivo che prima o poi sarebbe riemersa, nel momento più inaspettato. E così, eccoci qui.
Mi sta guardando. Ha distolto gli occhi dal sole e li ha rivolti a me, che ovviamente sono troppo concentrata sulle mie scarpe per accorgermene.
“Posso vedere meglio le mani di questa ragazza che mi ha fatto il tatuaggio più bello che ho addosso?” chiede, solenne, mentre le racchiude nelle sue.
Divento più rossa della palla di fuoco che si sta abbassando all’orizzonte.
E maledico di essere così rincoglionita.
Mica me li sono tolti, i guanti.
Sono sempre qui, ad avvolgere le mie mani, come quando ho punzecchiato la sua pelle con ago e inchiostro.
Me li toglie, prima che possa pensarci da sola.
Con delicatezza.
“Bel colore” dice.
Sono fucsia.
Noi tatuatori siamo un po’ particolari. Alice, ad esempio, li usa viola.
Li appoggia sullo steccato, quasi fossero una preziosa reliquia.
E mi squadra attentamente le mani, le unghie smaltate di nero, gli anelli che porto.
“Che mani piccole e carine!” esclama con gioia infantile.
È sorprendente. La sua carica positiva ha la capacità di contagiare anche la più cupa delle persone. La più tormentata.
Ringrazio, lusingata e impacciata allo stesso tempo.
“E questo?” mi fa poi, incuriosito.
Mi sono tatuata, sull’anulare sinistro, una iniziale a caratteri gotici.
Si dice che dall’anulare sinistro passi un vaso sanguigno che porta direttamente al cuore, ed è per questo che le fedi e gli anelli di fidanzamento si mettono a questo dito.
Io non ho anelli qui, ma solo questa iniziale.
È la mia fede personale.
Quando me la disegnai ero ancora una mente debole. Ma adesso la porto con orgoglio, perché rappresenta il mio errore più grande.
E la forza che ho tirato fuori per uscirne.
“Un mio ex” mi limito a dire.
“Ah” risponde, mentre giocherella con uno dei guanti e se lo infila.
Ci penso ancora. E ogni volta fa un po’ meno male. Ma non è che comunque mi lasci del tutto illesa.
Un velo di malinconia scende sui miei occhi.
Meno male che c’è lui. Che mi risolleva con gesti apparentemente banali, dettati dall’impulso del momento, ma così genuini da farti capire che la vita non è solo tristezza e dolore.
“Ehi, ma è proprio piccola la tua mano!” mi fa, guardandosela e gesticolando allegro, come un bambino.
C’è una spontaneità nelle sue azioni che mi risolleva da tutti i brutti pensieri che ogni tanto mi frullano in testa. Non riesco a stare seria mentre lo guardo divertirsi così tanto, con così poco.
È una persona estremamente positiva.
Mi piace molto.
È un contrasto abbastanza stridente volare con lo sguardo dalla sua mano al suo viso, che si è fatto improvvisamente serio.
“Quello con cui avevi litigato quel giorno?”
Come se si fosse risvegliato dopo essere stato ipnotizzato.
“Sì” rispondo, senza pensarci nemmeno un attimo. Ma non parliamo di me, almeno per il momento.
“E tu, invece….hai risolto?”
È il suo cellulare a fugare ogni dubbio.
“Ehi amore! Certo, tutto bene qua…non so quando tornerò a casa, prometto che appena posso faccio una scappata e vengo da te!...Certo che sì…ti amo anche io” e riaggancia.
Conversazione breve, stringata, ma intensa. Ammetto di essermi, per un attimo, sentita di troppo.
Ripone il telefonino nella tasca dei pantaloni e si volta di nuovo verso di me, sorridente.
Il sole ormai è sceso da un pezzo e sta iniziando a fare freddo.
Almeno per me che sono in canottiera.
Mi vede rabbrividire, e capisce tutto. Si toglie la felpa e me l’appoggia sulle spalle.
Non ci riesco a fare la ritrosa, a dire che non importa, che ci sono abituata al freddo di San Francisco, che cala su di te quando meno te l’aspetti. La sua gentilezza mi ubriaca. Non ce la faccio a dire di no.
Durante il tragitto dal parco al negozio mi racconta di Jamia, la sua ragazza, della litigata atroce che avevano fatto quel giorno di tre anni fa, di come adesso le cose sembrino andare per il verso giusto, anche con la band.
Però io ti osservo, mentre mi dici tutte queste cose.
E i tuoi occhi non mi sembrano così felici di quello che ti succede.
Fuggono da un pensiero scomodo, un tarlo che ti corrode. E non puoi fare altro che lasciarti divorare lentamente, perché pensi che così andrà tutto bene e non farai del male a nessuno.
Ma ne stai facendo a te stesso.
Sembri un leone in gabbia.
Vorrei dirtelo, che stai sbagliando.
Che dovresti essere te stesso, sempre e comunque, ma in fondo chi sono io per darti dritte sulla tua vita?
Siamo arrivati al negozio. Vedo, dalla vetrina, Alice all’opera.
Dici che ripartirai domani, e già mi manchi.
“Tornerò a trovarti, adesso che so dove sei” mi sussurri nell’orecchio, sfiorandomi poi la guancia con le labbra.
Ho un brivido che preme per uscire, ma lo trattengo con vigore dentro di me.
Ti saluto con freddezza.
Perché non ti devo mancare. Non posso.
Sono solo una ragazza di San Francisco che fa tatuaggi e ama i tramonti.
  
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