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Autore: Miki_TR    19/07/2007    4 recensioni
Il mondo magico non è affatto immune da scandali e pettegolezzi, anzi. A farne le spese questa volta saranno i malandrini...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro personaggio, James Potter, Nuovo personaggio | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Epilogo

Epilogo

Moony, Wormtail, Padfoot & Prongs

Come i treni a vapore, come i treni a vapore
Di stazione in stazione e di porta in porta
E di pioggia in pioggia e di dolore in dolore
Il dolore passerà...

F. Mannoia “I Treni a Vapore”

 

Primo Settembre 1975

 

Gocce di pioggia della dimensione approssimativa di Boccini D'Oro cadevano sulla stazione di King's Cross fin dalle prime ore di quella mattina, e il binario Nove e Tre Quarti, sebbene fosse immune alla maggior parte delle afflizioni tipiche delle stazioni babbane, non era stato graziato. La pavimentazione di pietra era assolutamente sdrucciolevole e insozzata dalla fanghiglia irrimediabilmente attaccata alle scarpe della folla, che aveva invaso quell'angolo sconosciuto di stazione fin da poco dopo le nove di quella mattina.

La pioggia spesso ha il bizzarro effetto di mettere a tacere la confusione del mondo, di prendere il sopravvento sul chiasso e sui rumori della città e di imporre il suo costante ticchettio al di sopra di tutti i suoni. A questo, però, il binario Nove e Tre Quarti, in quella nuvolosa giornata di settembre, faceva una colorata e pittoresca eccezione.

Mancava ancora più di un quarto d'ora alle dieci, per cui sul marciapiede fradicio e scivoloso era concentrata l'attività della comunità dei maghi e delle streghe, tutta, o quasi, riunita nell'annuale tradizione di salutare i rispettivi pargoli in partenza per il lungo anno scolastico.

A parte i variopinti ombrelli, alcuni dei quali assurdamente rumorosi, le scene che si moltiplicavano davanti al treno erano più o meno le stesse di tutti gli anni, forse appena un po' più caotiche.

C'erano austere famiglie ingioiellate come nemmeno la notte di Natale che squadravano dall'altro in basso i presenti che avevano l'ardire di passare loro troppo vicini e, nemmeno si trovassero di fronte a Snasi particolarmente mal addestrati, controllavano ripetutamente lo stato dei loro gioielli e orologi da taschino. I ragazzi con loro tendevano a sembrare soldatini a disagio nei colletti inamidati o bambole di porcellana vestite per il tè da una bambina viziata. Eventuali schizzi di fanghiglia sulle scarpe non erano tollerati nel microcosmo delle famiglie Purosangue.

C'era qualche Babbano, spaurito e terrorizzato da tutte quelle bacchette che venivano agitate con noncuranza, ed erano famigliole che spiccavano come stonate per la loro banalità apparente, in quell'universo di abiti multicolori e orecchini a forma di rana che gracidavano davvero. Qualche anima pia, per lo più donne, avvicinavano i genitori terrorizzati e il loro eccitatissimi pargoli, cercando di rincuorarli e di dar loro un adeguato benvenuto ai margini di quella comunità magica di cui i loro figli facevano ormai parte.

Per lo più c'erano normali famiglie di maghi, però. Le donne sembravano conoscersi tutte da sempre, anche quelle che non si erano mai viste, e si univano in gruppetti vocianti pronti a sciogliersi e rimescolarsi al balenare di una faccia nuova. Si scambiavano saluti festosi e ricette di torte e pozioni, nonché pettegolezzi accennati, e tutto senza perdere d'occhio nemmeno per un istante la loro prole, per quanto numerosa fosse. Gli uomini si guardavano intorno, come le loro mogli alla ricerca di parenti e conoscenti da salutare, ma lo facevano più discretamente, accennando col capo o battendosi a vicenda pacche sulle spalle, e parlando quasi esclusivamente dello scandalo di pochi giorni prima, quando alcuni giocatori dei Cannoni erano stati scoperti a bere piccole quantità di Felix Felicis in spogliatoio prima di una partita decisiva. Generalmente avevano l'aria di chi è stato incaricato dalla moglie di non perdere d'occhio per più di qualche secondo il bagaglio.

Infine, i ragazzi avevano invaso quel pezzetto di mondo come cavallette schiamazzanti. Sembravano essere centinaia in più degli adulti, ma probabilmente facevano solo più confusione di loro. Un paio di prefetti indossavano già le loro divise, sulle quali spiccavano in bella vista le spille lucidate ad arte, e qualcuno addirittura aveva osato tirar fuori incautamente un libro, e adesso si batteva per tenerlo a distanza dai goccioloni di pioggia o dalle mani degli altri ragazzi. Qualcuno aveva già cominciato a salire e scendere dal treno, nel tentativo di prenotare uno scompartimento migliore depositandovi giacche e ombrelli. Gli scriccioli del primo anno se ne stavano vicini ai genitori almeno quanto gli studenti più grandi cercavano di sottrarsi prima del tempo ai loro sguardi, salvo poi essere richiamati dalle voci delle loro madri nel bel mezzo di una qualche marachella incitata a gran voce dagli amici. Le ragazze erano appena poco più tranquille dei ragazzi, pervase come tutti dall'eccitazione del nuovo anno che stava per iniziare, partecipi di quella corrente di emozioni che nemmeno la pioggia insistente aveva guastato.

Due Malandrini se ne stavano in un angolo riparato dalla pioggia e dagli sguardi, a ridosso di una colonna, e scrutavano la folla in cerca di visi familiari. I loro occhi percorrevano il binario in lungo e in largo, senza tregua, e ogni tanto sembrava che i ragazzi si comunicassero la presenza di qualcuno con una leggera gomitata o un accenno. Non sembrava che avessero l'esigenza di parlare, ed era palese comunque che non avessero trovato ancora la persona o le persone che stavano aspettando. Uno dei due sembrò trattenere per un istante il respiro quando una chioma rossa passò nel suo capo visivo, e l'altro accennò un sorriso storto seguendo la direzione dello sguardo dell'amico. La chioma rossa scomparve nella folla e gli occhi dei due ragazzi ripresero la loro ricerca.

James e Sirius aspettavano qualcuno, quel primo settembre, e contemporaneamente cercavano di non farsi notare. Per essere due che amavano stare al centro della scena, se la stavano cavando discretamente bene con la seconda intenzione, nonostante non fossero ricorsi all'aiuto del mantello dell'invisibilità. Quanto a trovare chi stavano aspettando, quello era più difficile con tutta quella gente e la visibilità ridotta dalla pioggia.

Fino a quel momento non erano stati, se non altro, avvicinati da molta gente. I pochi che avevano provato, in verità, a fare qualcosa di più che accennare un saluto, erano stati gratificati da un'occhiataccia da dietro le lenti di James Potter, che evidentemente lanciava chiaro un messaggio del tipo "stiamo decidendo su chi provare il nostro nuovo scherzo, ti offri volontario?". Nessuno aveva avuto l'ardire di procedere oltre, e nessuno aveva intercettato lo sguardo di Sirius Black. Ogni risatina era stata accuratamente nascosta alla vista della luce negli occhi di James. Tutto, per il momento, filava per il meglio. Mancava solo ai due di trovare tra la gente Remus, e poi, a ridosso della partenza, Peter, che tanto come al solito sarebbe arrivato all'ultimo momento utile, e poi di salire con loro sul treno senza dare troppo nell'occhio.

Dire che Sirius fremeva non avrebbe reso giustizia al nervosismo del ragazzo, quella mattina. All'incirca ogni trenta secondi spostava con la mano una ciocca di capelli che gli tornava regolarmente a finire davanti agli occhi, oppure apriva la bocca come per parlare, o ancora gettava occhiate nervose all'orologio. Tra l'una e l'altra di queste attività, sbuffava più o meno rumorosamente, come se gli costasse fatica starsene fermo e in attesa in un posto. James, del resto, capiva perfettamente il suo stato d'animo non proprio tranquillo. Già normalmente Padfoot era incontenibile al momento di dover tornare a scuola, proiettato nel suo habitat felice di scherzi e malandrinate. Quell'anno, poi, dopo tutto quello che era successo alla fine dell'estate, James comprendeva ancora meglio cosa poteva significare per il suo migliore amico avere un luogo da poter chiamare casa, un luogo dove amava stare, un posto che gli appartenesse di diritto. Voleva bene a Sirius come ad un fratello, ma entrambi avevano sentito che la sua sistemazione in casa Potter, per quanto piacevole, non era la stessa cosa. Sirius non apparteneva a quella casa, pur amandola, e ora che non aveva più a che fare con i Black, probabilmente apparteneva solo ad Hogwarts.

E poi, ovviamente, c'era a rendere nervosi i movimenti di Sirius, il problema dei suoi genitori, che quel giorno, in quella stazione umida e gremita di gente, avrebbero potuto benissimo fare un tentativo di riprendersi il loro erede, che lo volesse o meno; o, più probabilmente, di nuocergli in qualche modo. Per questo James, sebbene tentasse di essere il più possibile discreto, teneva da quando erano arrivati una mano in tasca, ben stretta attorno alla bacchetta. E per questo Alastor Moody era, come da accordo, appostato da qualche parte lì attorno, e li teneva d'occhio, anche se Sirius questo non lo sapeva.

Infine, a preoccupare Sirius, ma soprattutto James, c'era l'incognita di quello che sarebbe successo non appena la folla dei genitori avesse salutato i giovani maghi, e il treno si fosse messo in moto dando davvero inizio all'anno scolastico. Perché ci sarebbero state senza dubbio chiacchiere e prese in giro da parte di chiunque, o quasi, alla prima occasione utile. E il treno decisamente avrebbe presto allontanato centinaia di adolescenti dalla moderazione dei modi e dal contegno più o meno rispettabile che tenevano davanti ai loro genitori. Una folla di ragazzi, più o meno tutti a conoscenza di un pettegolezzo che riguardava due loro coetanei piuttosto conosciuti nell'ambiente... James cominciava seriamente a temere che la relativa tranquillità della quale avevano potuto godere sul binario si sarebbe rivelata sul treno decisamente effimera, e che avrebbero dovuto difendere il loro scompartimento con le bacchette. 

Insomma, quel primo settembre James non riusciva proprio a prenderlo con tranquillità. Era teso, se non altro molto più di Sirius, che in quel momento se avesse avuto la coda della sua identità canina avrebbe scodinzolato dall'impazienza di rivedere il suo Remus. Aveva i sensi all'erta e cercava disperatamente di ricordare tutto quello che in quegli anni aveva sentito dire dai suoi genitori sulla cautela e sul passare inosservati. Cercava di fare di tutto perché quel giorno, e quelli seguenti, non fossero pesanti come promettevano di essere soprattutto per Sirius. Era a questo che servivano gli amici, quelli veri, no? A preoccuparsi anche quando i diretti interessati sembravano concentrati su tutt'altro.

E, come alle volte curiosamente succede, tutte quelle preoccupazioni si rivelarono superflue.

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La campagna scorreva monotona e pacifica fuori dal finestrino, turbata solo dalle nuvole irrequiete che ancora a sprazzi dominavano il cielo, sebbene ormai da qualche miglio si fossero lasciati alle spalle la pioggia. L'ora di pranzo era passata da un po', ma nell'ultimo scompartimento, quello più defilato, nessuno si era alzato al suono familiare del carrello dei dolci, e i panini che la madre di James aveva preparato per tutti non erano stati toccati.

I malandrini avevano faticato a credere a come erano andate lisce le cose per tutta la mattinata, e immaginando che non potesse durare a lungo la calma, erano stati impegnati per ore a spiegare, raccontare, pianificare futuri accorgimenti, perché non si potesse dire che gente come loro non fosse pronta ad ogni evenienza.

C'era stato parecchio da raccontare, in realtà. Prima di tutto, ci saranno stati in tutto una decina di studenti che prima di salire sul treno non sapevano nulla di quanto era successo sul finire di quell'estate pazzesca, dello scandalo e di tutto il resto. Peter, sorprendentemente, era tra questi. Non aveva visto la rivista (che dopo la prima pubblicazione era diventato "le riviste", visto che tutti i giornali tranne la Gazzetta, Il Cavillo e qualche altro, avevano riproposto per un paio di settimane le immagini in tutte le salse.) perché sua madre odiava profondamente qualunque tipo di frivolezza, pettegolezzo o futilità; e, visto che passava le vacanze nella vecchia villa di famiglia sperduta nella campagna gallese, non aveva incontrato nessuno che lo aggiornasse sulla novità che era stata sulla bocca di tutti. Per di più, la corrispondenza con Peter durante l'estate era molto accorta da parte dei Malandrini. Non che sua madre gli spiasse la posta, certo. Ma Judith Minus non sembrava poter concepire che il suo bambino avesse qualcosa che non voleva dirle, né che avessero qualche segreto i suoi adorabili amici, e quindi non vedeva nulla di male nel leggere le lettere di suo figlio o nel guardare tra le sue cose.

-... e così, Peter,- stava dicendo Remus, -mia madre ha deciso che in tutta coscienza non poteva lasciarmi andare dai Potter.-

Peter si era bevuto avidamente ogni parola che era uscita dalle bocche dei suoi amici per tutto il viaggio. Gli pesava sempre passare le sue estati completamente tagliato fuori dagli altri, circondato solo dai sui noiosissimi genitori e parenti vari, in una casa delle vacanze dove l'attività più divertente per lui era prendere lezioni di equitazione sotto lo sguardo severo di sua nonna, o al massimo, sorbirsi qualche tè pomeridiano in compagnia di qualche deliziosa fanciulla per bene che casualmente una delle sue zie trovava adattissima per suo fratello.

La famiglia di Peter era una combinazione letale. Suo padre era stato un mago molto stimato nella comunità inglese, esponente di spicco del ministero, considerato da tutti un grande politico. Era morto per un banale incidente di Quidditch quando Peter aveva appena due anni, lasciando lui e suo fratello di poco più grande in balia della famiglia di sua madre che non solo era babbana, ma era anche di estrazione nobiliare. Il che aveva comportato per il povero Peter un'infanzia da piccolo signore, a cui era seguita un'adolescenza ben diversa, in un ambiente dove non solo non era la luce negli occhi di nessuno, ma era considerato alla stregua di un perdente per la sua condizione di Mezzosangue.

Solo con i Malandrini e con pochi altri amici si sentiva considerato, e restare inevitabilmente lontano da loro per tutta l'estate o quasi lo aveva sempre demoralizzato parecchio. Fino all'anno prima però, almeno, Sirius era stato più o meno nella sua stessa condizione, ma da quel momento anche quello era cambiato, e Peter era ancora più escluso.

Comunque, scoprì che gli andava benissimo così quando, terminato l'orario del pranzo, aumentò il viavai di ragazzi nel corridoio, e parecchi studenti entrarono casualmente nel loro scompartimento, con scuse più o meno passabili, sbirciando e ridacchiando in un modo che, forse, voleva essere discreto, ma risultava il più delle volte esageratamente spudorato. Remus e Sirius erano loro malgrado bersagli di queste attenzioni, e sì, decisamente, Peter preferiva le sue noiose estati campagnole a quella celebrità sgradevole.

Sirius fremeva di rabbia, teso sul sedile, e Peter sapeva che ad ogni ingresso di qualcuno i suoi pensieri volavano alla bacchetta e alla formula dello Schiantesimo che, su suggerimento di Moody, aveva provato e perfezionato per settimane, in caso di bisogno. Ma di fianco a Sirius, che era sempre più rosso e furioso man mano che il pomeriggio scorreva, c'era Remus, ostentatamente tranquillo, che gli serrava il polso sinistro in una morsa ferrea ogni volta che sembrava che Padfoot dovesse perdere finalmente la calma. Tuttavia, ed era chiaro, anche Remus sopportava sempre più a fatica, e Peter lo capiva perfettamente: era come se tutti loro fossero gli animali dello zoo babbano che aveva visitato con i cugini quell'estate, e Sirius e Remus, in particolare, le due scimmie addestrate che attiravano maggiormente le attenzioni del pubblico.

Però Remus rimaneva apparentemente serafico, tratteneva Sirius, e rispondeva cortesemente a tutte le sciocche domande, scuse e pretesti che gli studenti tiravano fuori appena varcata la soglia dello scompartimento.

-Sì, Bates, ho visto il tuo topo. Sta nella tasca della tua divisa.-

-No, non abbiamo Cioccorane avanzate.-

-Hanno vinto le Arpie, 210 a 70.-

-Decisamente questo non è il bagno delle ragazze.-

Sorrideva persino, il che era notevole, anche se il sorriso diventava sempre più una smorfia col passare del tempo. James si agitava quasi quanto Sirius, lanciava occhiate nervose a Remus, come se invidiasse la sua calma almeno quando lo stesso Peter. Cercò anche di scherzare, ad un certo punto. Disse a Remus e a Sirius che almeno potevano rendersi utili a qualcuno e far comparire Lily Evans nella prossima incursione. Peter rise alla battuta -fantastico, Prongs sapeva sdrammatizzare qualsiasi cosa- ma Remus sorrise ancor più forzatamente e Sirius si limitò a indirizzare un grugnito e un gestaccio all'amico.

Poi, un istante dopo, il caos.

La porta si aprì con il suo peculiare click ormai sgradevolmente familiare. Nessuno vide chi si affacciava dal corridoio.

Remus saltò in piedi.

-Adesso basta!- gridò. -Siete venuti a vedere lo spettacolo?-

Sirius, altrettanto furioso e improvvisamente privo di freni, scattò in piedi, la bacchetta già spianata, e la puntò in direzione della porta, pronto a Schiantare chiunque si affacciasse come giurava che avrebbe fatto da ore.

Solo che fu bloccato quando Remus lo acchiappò di malagrazia per il colletto della camicia, e al grido di -Eccolo!- gli piantò sulla bocca un bacio spettacolare.

Per un istante Sirius cercò quasi di divincolarsi, colto alla sprovvista, ma poi stette al gioco.

In quel momento si udì il rumore di una macchina fotografica che scattava, e un flash spropositato illuminò i volti perplessi sulla porta di Lily Evans, Caradoc Dearborn, prefetto di Tassorosso del settimo anno, e Frank Paciock, Caposcuola.

Quindi dalla rete per i bagagli di fronte a Peter, in un tripudio di valigie rovesciate che sparsero il loro contenuto di libri e abiti per tutto lo scompartimento, saltò giù una ragazzina minuscola, che nessuno aveva visto prima (e a chi sarebbe venuto in mente di controllare?), in divisa da Serpeverde, con in mano una grossa macchina fotografica nera che agitava trionfante sopra la testa.

-Beccati!- esclamò la ragazzina, prima di voltarsi e schizzare via per i corridoi come una piccola furia, tanto che Peter, sorpreso, non riuscì neanche a pensare di bloccarla quando gli passò di fianco nello stretto spazio dello scompartimento.

Remus, sgomento, aveva mollato Sirius, che pareva discretamente rosso in faccia. James si era alzato, ma per qualche istante nessuno si mosse, tutti i presenti impietriti al pari dallo scatto della bambina e dall'esplosione di Remus.

La Evans per prima riacquistò abbastanza calma per parlare.

-Noi... Remus, eravamo venuti ad aggiornarti su quello che è stato detto alla riunione dei prefetti.- disse, esitando.

-Oh, ehm... Evans...- boccheggiò James, privo per una volta della sua solita parlantina davanti all'evidenza sconcertante della presenza di Lily Evans nel suo scompartimento.

-Chi era quella?- chiese Peter, prima di poterselo impedire.

-Rita Skeeter, secondo anno.- rispose pronto Caradoc. -E' nel Club di scacchi. E' una grana.- aggiunse.

-Be'- disse James, che aveva recuperato un minimo di autocontrollo (Sirius sembrava ancora incapace di distinguere il finestrino dalla bacchetta) -dobbiamo riprenderla fintanto che siamo sul treno, dove non può nascondersi. Ci date una mano?- disse poi, rivolto ai tre ragazzi sulla porta.

-Sicuro.- rispose Caradoc, e Lily Evans annuì.

-Be', dovremmo aggiornare Remus...- iniziò Paciock, ma Caradoc gli diede una leggera gomitata, e il Caposcuola tacque.

-Bene. Io e Peter andiamo in fondo al treno e partiamo di lì, e voi ci venite incontro da questa parte. Controllate bene.-

-Ma...- iniziò Remus, che pareva essere ritornato in sé quel tanto da capire la situazione.

-Voi due restate qui.- lo interrupe James, con uno dei suoi cipigli da generale in capo, rivolto a lui e a Sirius. -Attirate troppo l'attenzione.-

E con un occhiolino a Sirius, ancora leggermente imbambolato in mezzo allo scompartimento buttato all'aria, uscì dalla porta trascinandosi dietro Peter, che non ebbe il tempo nemmeno di immaginare come far capire a Padfoot e Moony che li stavano, sottilmente, lasciando soli.

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Remus sbuffò lasciandosi ricadere sul sedile. -Sottili. Sottili e discreti, direi. Che dici, Padfoot, volevano lasciarci soli?- chiese ironicamente.

Sirius latrò una risata, mentre raccoglieva da terra la sua copia di "Mille Erbe e Funghi Magici". L'aveva dovuta ricomprare dopo la fuga, ma adesso, grazie al volo imprevisto dal baule, aveva lo stesso aspetto rovinato e spiegazzato della vecchia.

-Senti chi parla.- rispose. -Basterà non attirare l'attenzione per un paio di settimane e se ne scorderanno. Chi l'ha detto? Oh, sì. Tu. Mi sfugge come baciarmi davanti a un branco di prefetti rientri nella definizione di "non attirare l'attenzione".-

-Sì, senza dubbio, Oh Sommo Genio, schiantarli avrebbe dato meno problemi.- ritorse Remus, ridendo. Poi lo prese per un polso e lo trascinò sui sedili, impedendogli di continuare a riordinare il pavimento.

Sirius ridacchiò ancora, nascondendo il volto contro la spalla di Remus, e finalmente, dopo mesi e dopo tutto il caos che era successo, si abbracciarono come si deve, ed era anche ora.

Rimasero fermi così qualche minuto, ancora scossi da qualche risata silenziosa per l'assurdità di quella situazione in cui si erano andati a cacciare per colpa di una notte brava, e per il sollievo di essere finalmente insieme dopo quella lunga estate. Poi, naturalmente, Remus alzò piano con una mano il viso di Sirius dalla sua spalla, e lo baciò sulla bocca, in maniera se non altro meno eclatante di prima, ma senza dubbio altrettanto gradita. E per i successivi venti minuti apprezzarono sinceramente entrambi il fatto di essere soli nello scompartimento caotico.

-Sai,- disse Remus dopo un po', -in fondo sono quasi contento che questa storia sia venuta fuori. Ti rendi conto che non dovremo più nasconderci? Ero un po' stufo di tutti questi segreti.-

Sirius ridacchiò. -Potremmo fare un sacco di cose carine per distruggere la nostra reputazione, tipo camminare mano nella mano per i corridoi e abbracciarci in pubblico.-

Remus quasi rabbrividì a quell'immagine sdolcinata, ma poi stette al gioco.

-Oh, e perché non un bel bacio in Sala Grande, già che ci siamo?- scherzò, ma Sirius saltò su improvvisamente, illuminandosi come se avesse avuto un'idea geniale, e questa volta Remus rabbrividì davvero.

-Grande! Magari la mattina a colazione!-

-Sirius- tentò di bloccarlo Remus, -scherzavo.-

Ma Sirius proseguì imperterrito. -Potremmo aspettare che ci siano tutti, il primo giorno di lezione!-

Remus sudava freddo. Padfoot sembrava assurdamente convinto di quello che stava dicendo.

-Magari attirare l'attenzione in qualche modo, per essere sicuri che tutti...-

-Sirius!- lo bloccò Remus, ormai terrorizzato. -Non puoi pensarci davvero!-

Il sorriso di Sirius, quando era così malandrino, doveva essere illegale, Remus ne era quasi certo.

-Certo che sì!-

-Ma come può venirti in mente una cosa del genere?-

-Oh, Remus... pensa solo alla faccia della McGrannit!-

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Altrove.

-Avanti.- disse la voce gelida al di là della porta.

Bellatrix raccolse tutta la sua decisione ed entrò, sgombrando nel contempo la mente da ogni pensiero incriminante e dai turbamenti e le preoccupazioni che si portava dietro da giorni, perché quella non era una stanza dove si potesse entrare con dubbi o esitazioni, se si voleva avere la certezza di uscirne indenni. Un vero peccato che suo cugino questo non lo avesse mai imparato.

Talitha sedeva fredda e composta dietro la scrivania, un sorriso di ghiaccio a decorarle il viso, e gli occhi duri. Per un secondo, infinitesimale, Bella non riuscì a soffocare il moto di puro odio che la invase, per quella donna, le sue lezioni dure e il suo continuo, assurdo, bisogno di controllo su ogni cosa, su ogni aspetto della vita e della famiglia su cui le sue vecchie mani riuscivano a posarsi. Ma come sempre si riprese in fretta, affollando la mente della gratitudine che provava per la zia, che l'aveva resa quella che era.

-Cara Zia, mi hai fatta chiamare?- chiese, cortese e rispettosa, lasciando che trapelasse dalla voce un filo d'ansia più che dovuta, necessaria a rivelare quel tanto di ambizione che la donna apprezzava. Rimase in piedi composta, ferma e dritta, esattamente come si conveniva. Perfetta.

-Sposerai Rodolphus Lestrange.- esordì Thalita, senza preamboli. -Stasera farò firmare a tua madre il permesso, la notte di Natale ci sarà la festa di fidanzamento ufficiale. Gli accordi con la famiglia Lestrange sono stati già presi. Ti sposerai tra poco più di due anni, dopo tua sorella Narcissa, come è decoroso che sia. Confido che questa decisione ti faccia piacere.-

Nessuna parola poteva esprimere l'esplosione di soddisfatto trionfo che invase Bellatrix, in quell'istante in cui le parole della zia le confermarono che aveva avuto successo. Ce l'aveva fatta. Avrebbe scritto a Rodolphus quella sera stessa, per dirglielo, per rassicurarlo che il loro piano aveva funzionato. Lasciò consapevolmente che un vago rossore le affluisse alle guance, una reazione comprensibilissima; dopotutto, non capita tutti i giorni ad una fanciulla di sentirsi dire che può sposare l'uomo che ama.

-Mi fa piacere.- confermò, ritenendo inutile mentire su una cosa così palese. -Cosa ti ha fatto cambiare idea, Zia? Mi eri parsa contraria l'ultima volta che ne abbiamo parlato.- L'ultima volta che mi hai detto che era impossibile, Vecchia Megera, pensò, ma non lo disse, e nascose il pensiero stesso dietro la felicità che provava.

-Ora che tuo cugino non è più l'erede della nostra Nobile Casata, non è più necessario che sia tu ad occuparti della famiglia al posto suo. Sono fiduciosa che Regulus farà un buon lavoro, e benché mi auguri che mio figlio possa sempre avvalersi del tuo consiglio, se ne avesse bisogno, adesso possiamo permetterci di lasciare i tuoi talenti ai Lestrange. E a questo proposito, adesso vai pure, nipote. Vai a scrivere la bella notizia al tuo innamorato. Vedo che ne hai voglia.- concluse la zia, senza alcuna tenerezza nella voce, a dispetto delle parole.

Bellatrix, congedata, uscì e si richiuse la pesante porta alle spalle. Per uni istante si godette di poter respirare liberamente, appoggiando la schiena all'uscio e lasciando andare la tensione dalle spalle rigide.

Tutto, tutto aveva funzionato, oltre le sue più rosee previsioni. Stregare Zenith perché le facesse leggere le lettere di Sirius, scoprire il suo punto debole, lavorarsi per bene il paparazzo, screditandolo e poi fornendogli la notizia su un piatto d'argento. Persino il fatto sorprendente che Sirius fosse riuscito a fuggire di casa, e che Silente avesse avuto successo nel toglierne la custodia alla famiglia, invece che intralciarla aveva accelerato l'allontanamento decisivo di suo cugino dalla linea ereditaria, per cui aveva pensato di dover aspettare che lui compisse diciassette anni.

Aveva giocato sua zia al suo stesso gioco, aveva vinto, e avrebbe sposato Rodolphus. A pensarci, Sirius era stato così perfettamente collaborativo da meritarsi un ringraziamento. Un giorno, forse. Per ora, doveva scrivere al suo fidanzato.

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-Che c'è?- chiese Remus a Sirius, nello scompartimento ancora così casualmente vuoto.

Lui scosse le spalle. -Non lo so, un brivido, come se qualcuno stesse pensando a me.- rispose, esitando.

Remus aggrottò le sopracciglia. Con quello che era successo, probabilmente poteva essere chiunque, ma in qualche modo, temeva e sospettava che questa sensazione di Sirius venisse da quella sua famiglia, con la quale aveva sperato che nessuno di loro avesse più a che fare.

-Una brutta sensazione?- gli chiese, vagamente all'erta, nonostante in fondo fossero ancora seduti abbracciati, in una situazione del tutto piacevole.

Sirius scosse la testa. -No, per nulla. Come se qualcuno fosse soddisfatto di me.- rispose Sirius.

Remus si tranquillizzò.

-Probabilmente allora sono io.- scherzò, sorridendo, e Sirius rise e si lasciò baciare di nuovo; fino al rientro di Peter e James non pensarono più a sensazioni diverse da quelle di essere insieme, finalmente; e anche dopo, e nei giorni che seguirono, dimenticarono quel breve istante.

E per la verità, con davanti un anno intero, un anno da Malandrini, un anno insieme, ebbero tutt'altro a cui pensare.

 

FINE

 


 

Ecco, tutto qua. Sembra impossibile adesso averci messo tanto per una storiellina così... Ma sono veramente brava a incasinarmi.
Spero che comunque sia stata una lettura divertente, ma se così non fosse, per favore, fatemelo sapere! Ci tengo davvero moltissimo a sapere se qualcosa non va o non torna.

Grazie a tutti per l'attenzione.

Mixky: Ciao! Grazie, davvero, per la pazienza che hai avuto, spero che almeno questo capitolo abbia avuto tempi ragionevoli. Sono contenta che ti piaccia Alastor in versione giovane, e credimi, condivido in pieno la tua adorazione per Sirius... Cerco di essere oggettiva, ma lo amo e non ci posso fare nulla... Mi fa davvero piacere che ti piaccia come lo descrivo! Ti ringrazio tanto per la recensione, e spero che sia valsa la pena di seguire questa storia nonostante i tempi. Un bacione grande.

Tao: Ma grazie! i complimenti fanno sempre molto piacere, soprattutto se ti sono piaciuti i dialoghi che sono la mia croce per la maggior parte. Tre pagine di descrizione mi vengono come bere un bicchier d'acqua, ma quattro righe di dialogo mi cavano il sangue... XD Spero che anche l'ultimo capitolo di questa storia sia all'altezza. Grazie mille e un bacione!

 

A presto (spero...)

Miki

 

  
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