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Autore: Burton    01/01/2013    1 recensioni
-Mi scusi dove si trova la stanza 54?-
Alzò gli occhi dalla rivista, sembrava irritata. Alzò anche il collo, storse la bocca e cominciò a digitare qualcosa su quel computer da quattro soldi. Allora non era un maiale. Peccato.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                   Stanza 54

Ho bisogno di una cicca.
-Sicuramente il gruppo ti piacerà. Ci saranno tanti ragazzi che, come te, hanno dei problemi. Quindi non sei sola Jen. Non sei sola-
La mamma avrà preso le cicche? Me ne serva una. Spero non quelle con la menta forte perché se no le sputerei dal finestrino e mamma odia quando faccio così.
-Ti prego comportati bene, perché è una cosa importante. Insomma, ti possono aiutare e in più farai nuove amicizie, non è fantastico?-
Mi piegai e presi la borsa di mamma sotto il sedile e comincia a frugare. Sigarette, portafoglio, assorbenti, chiavi..oh eccole. Aveva le Brooklyn. Perfetto.
Presi una strisciolina, la scartai, misi in bocca la cicca e cominciai a masticare. Mi girai verso mamma che mi stava guardando incredula e non prestava minimamente attenzione alla strada.
-Che cosa c'è?-
-Mi stavi ascoltando?-
-Certo-
-Cos'ho detto?-
-Che dovevi prendere la ceretta-
-Jennifer! Per favore non protesti fare uno sforzo? E' importante...- e ora iniziava la lunga ramanzina. Per prima cosa parlava di quanto lei sia frustata dal mio comportamento, poi del lavoro, poi di papà, poi della morte dello zio avvenuta poco tempo fa e fra qualche secondo comincerà a piangere.
Si mise a singhiozzare ma cercò di trattenersi, afferrava saldamente il voltante, ma vedevo le sue dita smaltate di rosso scivolare lentamente. Si asciugò le mani nei suoi costosissimi pantaloni a cui era molto affezionata e cominciò a piangere silenziosamente.
Mi girai e pensai per tutto il viaggio quando mi sarei fatta la ceretta.
Mamma si fermò davanti a un grosso edificio con i mattoni rossi e con tante finestre nere. Se mi impegnavo, riuscivo a formare tante piccole facce.
-Io non posso entrare-
Non vuoi.
-Però se vuoi ti accompagno fino alla porta-
No, non vuoi.
-Non ti preoccupare mamma- la rassicurai scendendo dall'auto tranquillamente.
Mamma abbassò il finestrino -Comportati bene!-
Mi girai e cercai di farle un sorriso decente.
Feci i gradini che mi separavano dalla porta con passo lento anche se ero in ritardo di qualche minuto. Aprii la porta e di fronte a me c'era un bancone e dietro una signora con gli occhiali impegnata a leggere qualcosa, mi avvicinai.
-Scusi?-
Si leccò il dito e girò pagina.
Mi schiarii la voce –Scusi?-
Ridacchiò e scosse la testa
Senti grassona di merda, ti è così tanto difficile alzare gli occhi e guardarmi? Visto che sembri più un maiale che un essere umano e credo che non riusciresti alzare il collo. Cristo ma mi senti? Oppure hai del grasso che ti impedisce di sentire?
-Mi scusi dove si trova la stanza 54?-
Alzò gli occhi dalla rivista, sembrava irritata. Alzò anche il collo, storse la bocca e cominciò a digitare qualcosa su quel computer da quattro soldi. Allora non era un maiale. Peccato.
-Tu devi essere Jennifer. Vedo solo il nome. E il cognome?-
Bond. Jennifer Bond.
-Grant. Jennifer Grant-
-Devi prendere l'ascensore e salire fino al 3° piano. Ti troverai in un corridoio unico e ci saranno tante porte. La 54 è l'ultima a sinistra. Non ti potrai sbagliare- e fece un sorriso falsissimo. Le feci il medio e me ne andai.
Presi l'ascensore, schiacciai il pulsante con sopra un 3 e salii. Si aprirono le porte, uscii, le porte si chiusero e rimasi sola. Era tutto bianco: le porte, le sedie ai lati, le pareti. Che schifo.
Camminai lentamente, mettevo con attenzione un piede davanti all'altro e stavo cominciando a sudare.
Tutte le porte erano numerate e più mi avvicinavo al 54 e più cominciavo a masticare velocemente.
Arrivai davanti alla porta, e ora che cosa dovevo fare? Bussare? Aprire? Darle un calcio, tirare fuori la pistola e gridare “Mani in alto!”?
Bussai e aprii la porta.
C'erano dodici ragazzi seduti sulle sedie in un cerchio perfetto e tutti mi stavano guardando. C'era chi mi fissava curioso, chi spazientito e chi non alzava nemmeno lo sguardo. Quelli mi stavano simpatici.
La stanza era illuminata dal caldo sole di maggio e i raggi colpivano la grossa ciotola di vetro che dava una strana sfumatura al liquido rossastro che c'era dentro. Attorno ad esso c'erano tanti bicchieri di plastica tutti siglati con dei nomi.
-Ciao- alzai la mano e feci un mezzo sorriso.
-Jennifer?- disse un ragazzo con gli occhiali.
-Esatto- e ficcai entrambi le mani in tasca.
-Avvicinati-
Sembrava una minaccia.
Feci qualche passo e non mi ero accorta in un primo momento che proprio di fronte a lui c’era una sedia vuota. Mi avvicinai e mi sedetti. Tutti continuavano a fissarmi e la cosa stava cominciando a darmi fastidio.
-Allora vogliamo iniziare?- chiese il ragazzo con gli occhiali e tutti distolsero lo sguardo da me. Finalmente.
Mi ricordai che avevo la cicca in bocca così, molto furtivamente, l'appiccicai sotto la sedia e accavallai le gambe con nonchalance.
-Io- una ragazza dai lunghi capelli biondi tirò su la mano tremando e si alzò.
-Mi chiamo Anna- e aspettai il solito coro che ti salutava ma nulla, tutti continuavano ad ascoltarti, assetati di sapere la tua storia. La cosa mi dava la nausea.
-Mi chiamo Anna e sono autolesionista. Da circa 1 mese mi strappo i capelli quasi quotidianamente-
-Ma hai i capelli lunghi- affermò un capitan ovvio e solo dopo, quando la guardai per bene, vidi che c'era qualcosa che non andava. Una parte dei suoi capelli erano attaccati alla nuca e una parte...no. La ragazza staccò dalla testa una specie di parrucca e tutti trattennero il respiro: aveva una metà lunghi capelli biondi e l'altra era completamente pelata.
Con ciò si sedette e si mise a piangere. Un ragazzo acconto a lei le massaggiò una spalla e nessuno proferì parola.
Si alzò un ragazzo con i capelli rossi e aveva tantissime lentiggini sparse per il corpo -Sono Bryan e ho avuto una relazione sessuale con un alieno proveniente da Plutone. E sono un bugiardo patologico- e così ci fu una processione di ragazzi e ragazze che si alzavano, dichiaravano il proprio nome e il proprio problema.
C'era chi era bulimico, chi depresso, chi aveva perso un familiare da poco, chi si tagliava, chi aveva smesso completamente di mangiare. Queste storie avrebbero dovuto toccarmi, ma non lo fecero. Non provavo nessuna emozione per loro. Forse ero insensibile. Come...no.
Gli ultimi rimasti eravamo io e il ragazzo con gli occhiali. Tutti fissavano me, di nuovo, perciò mi alzai.
-Mi chiamo Jennifer e ho perso un persona da poco-
-Chi era? Sempre se vuoi dirlo-
Ragazzo con gli occhiali, chi ti ha chiesto qualcosa? Potrai avere il fascino da sexy intellettuale ma questo non ti conferisce nessun potere che ti permetta di farti i cazzi degli altri. I tuoi capelli scuri non mi toccano. E nemmeno il tuo sorriso. O le tue ciglia lunghe. Niente.
-Me stessa. Ho cercato di uccidermi 3 mesi fa-
Mi sedetti ed accavallai di nuovo le gambe.










Vi è piaciuto? E' una specie di esperimento che ho fatto e spero che sia comprensibile :)
  
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