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Autore: Neh DellArti    01/01/2013    0 recensioni
Amarantine, un'antica parola che significa eternità, il fiore immortale, simbolo di qualcosa, che come un bellissimo bocciolo, non appassisce mai. Ma è anche solo una bellissima canzone, una di quelle che ti rimane nel cuore, che ti segna per sempre, che fa di te ciò che sei. Amarantine è la mia storia, il susseguirsi di una quotidianità, ogni giorno diversa, ogni giorno più intensa. La vita, maestra di ogni cosa nuova ed ogni cosa vecchia. In questo scritto pezzi di questa mia vita. Una vita color amaranto.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Quel giorno c'era neve, una candida neve che avvolgeva tutto intorno il paesaggio, avvolgeva qualsiasi cosa col suo abbraccio glaciale, con quel silenzio ovattato, impercettibile, quasi come se il silenzio stesso fosse una cacofonia di sussurri e preghiere. Lei stava seduta su quella panchina, il legno marcio su alcuni bordi, il ferro scuro e arrugginito come sostegno alla struttura, alcune schegge di legno restavano assopite sotto una coltre di neve bianca, all'insaputa di tutti, all'insaputa di lei. I suoi capelli color caramello, con qualche sfumatura ramata, il suo naso a punta, la pelle chiara e soffice, le labbra leggermente rosate, le guance arrossate per il freddo pungente. Gli occhi, grandi e pieni di sentimenti, di quel verde particolare, quel verde indistinto, un colore scuro ma al tempo stesso chiaro, era difficile da decifrare. Le mani congiunte, con le braccia strette sui fianchi, le dita infreddolite si facevano compagnia, abbracciandosi tra loro, incastrandosi alla perfezione, per non irrigidirsi e congelarsi da sole. I piedi incrociati, le gambe che bruciavano, il freddo pizzicava la pelle delicata sotto il sottile strato di cotone dei pantaloni neri, non proprio adatti al rigido inverno tra quelle montagne. Il cielo era carico di neve e ghiaccio, le nubi di quel grigio pastello, come fossero la cenere di un bastoncino d'incenso, i picchi delle montagne erano offuscati dalla tempesta glaciale che si abbatteva silenziosa su di loro, da dove era seduta lei però sembravano solo maestose rocce spolverate di candido e bianco zucchero a velo, non montagne immense, picchi rocciosi e strapiombi vertiginosi ricoperti di metri di neve e ghiaccio mortale, con tempeste e burrasche in continua espansione. Sorrise nel contemplare gli immensi fiocchi di neve che le turbinavo attorno, non sapeva nemmeno lei bene perché ma la neve le procurava una strana sensazione di pace, di serena tranquillità, forse perché nel profondo sentiva che con l'arrivo del rigido inverno, ogni creatura rientrava nella tana, dormiva accoccolata su foglie secche, assieme al resto della sua “famiglia”, ognuno riposava, in silenzio, o rimaneva a contemplare quel candore che seppur freddo e tagliente, era magico e soave al tempo stesso. Tutto questo le procurava una senso di pace interiore, di serena devozione per la natura e i suoi mutamenti stagionali. Mosse i piedi sulla neve fresca, lasciò due strisce indistinte sul terreno, poi scrollò il capo, i capelli morbidi le ondeggiavano silenziosamente sulle spalle, si osservò intorno, ogni cosa era silenziosa, non c'era anima viva, neanche un piccolo scoiattolo o una lepre, nessun essere in carne ed ossa, a parte lei, gironzolava da quelle parti. Fece per alzarsi e avviarsi da qualche parte, quando si accorse che nel turbinio di neve, in lontananza, oltre il sentiero che si perdeva nel fitto della boscaglia, c'era qualcuno. Una sagoma indistinta e ancora tremolante, sfocata, avanzava silenziosa, senza farsi notare, il volto tuffato nel colletto della giacca e nella sciarpa, una cuffia immensa teneva stretti i capelli in un abbraccio caldo e rassicurante, al riparo dal gelo della neve incessante. Non riusciva a capire quanti anni potesse avere, ma di sicuro era un uomo, la cosa non la preoccupò minimamente, era stranamente tranquilla, di solito una presenza sconosciuta, in un luogo desolato, soprattutto se di sesso maschile, la inquietava e la intimoriva non poco, forse la suggestione, sicuramente l'abitudine a pensare quanto potessero essere pericolose certe persone, ma in quel momento si sentiva tranquilla, sapeva che non era cattivo, sapeva che in quel luogo così silenzioso e pieno di pace, nulla poteva accaderle, assolutamente nulla. Così si rimise tranquillamente al suo posto, si sedette comoda, appoggiò la schiena alla panchina e attese. Passarono una manciata di secondi, poi la figura indistinta divenne nitida e chiara, era un giovane ragazzo completamente imbacuccato in quella sua tenuta da montagna, sfilò una mano guantata dalla tasca del giaccone e le fece un cenno di saluto, lei sorrise e ricambiò il gesto. Sempre senza parlare le fece capire che voleva sedersi accanto a lei, le stava chiedendo il permesso. La giovane dai capelli color caramello annui sorridente, gli fece segno di sedersi e si scostò per fargli spazio. Il giovane annuendo si sedette, poi alzò lo sguardo dalla sciarpa, gli occhi erano neri, sottili e profondi, sembravano sorridere. Si schiarì la voce, tirò su col naso e poi si pronunciò – Freddino no? - si intravvide far capolino, un sorriso flebile e sereno da sotto la sciarpa scura. La giovane sorrise a sua volta – Si in effetti è un po' freddo – calò un leggero silenzio, piacevole, non imbarazzante, il giovane annuì quasi impercettibilmente, poi incrociò le mani, chinando la schiena leggermente in avanti, voltò nuovamente il volto verso di lei e questa volta fece sbucare l'intera fisionomia dalla sciarpa scura. Aveva un volto ovale, asciutto e piacevole da osservare, i lineamenti erano delicati, ma comunque molto più decisi di certi volti troppo femminili. Gli occhi erano neri, sottili, leggermente a mandorla e leggermente inclinati verso l'alto, le labbra avevano un disegno quasi perfetto, la bocca mediamente larga, il colore scuro, al centro più carnose rispetto ai lati, erano belle, sapevano di buono. Il naso non ingombrava ne appesantiva il volto, era delle giuste misure e proporzioni, un po' più gonfio in punta, ma per niente sgradevole. Alcuni ciuffi di neri capelli li ricadevano sullo sguardo sorridente, era un bel ragazzo, aveva il volto affabile, sembrava buono, candido, sereno, ma era solo un impressione, lei lo sapeva. Le sorrise, una schiera di denti bianchi e perfetti le si parò dinanzi, lei ricambiò, ma accennandolo appena, socchiudendo leggermente le piccole labbra rosa – Sei di queste parti? - lei scosse il capo senza rispondere – Nemmeno io in effetti – continuò lui di sua spontanea volontà, attese una risposta, ma non ne provenne alcuna dalla ragazza. Rimaneva imperterrita a fissarlo negli occhi scuri, con il suo grande sguardo luminoso e pieno di sentimenti ed emozioni contrastanti e bellissime, aveva un volto leggermente rettangolare, ma era ancora delicato, era ancora femminile, semplice. Lo fissava in silenzio, lo scrutava, forse lo studiava, ma lui non riusciva a decifrarla, non capiva nemmeno il perché ma si sentiva bene in quel silenzio, non era teso o imbarazzante, era confortevole, come se si conoscessero da sempre, come se fossero vecchi e buoni amici o anche amanti che nella notte si scoprono a restare abbracciati, per ore, nel silenzio che accompagna il battito dei loro cuori e il leggero respirare delle due anime assonnate. Abbassò lo sguardo a terra, scuotendo il capo divertito, a lei scappò un goffo sussulto – Che cosa c'è di divertente? - chiese sorridendo, lui si voltò di nuovo, la osservò in silenzio qualche istante poi riprese a parlare – Nulla, è solo che mi sembra strano trovare una giovane ragazza tutta sola in mezzo a una tormenta, in una foresta desolata, ad una lunga distanza da un centro abitato, ecco, tutto qui – aprì le mani in un iconico gesto di ovvietà, mordendosi il labbro inferiore – Perché strano? Mi è forse proibito restare qui su questa panchina? - si accigliò appena, manteneva un tono tranquillo, anche se leggermente alterato da quella sua affermazione – No, non intendevo questo...no assolutamente. No - si portò un ciuffo di capelli sotto la cuffia del medesimo colore scuro – Scusa, non volevo offenderti – sembrava realmente dispiaciuto, lei sorrise scuotendo il capo sommessamente – Figurati, non mi conosci abbastanza bene da offendermi – concluse continuando a sorridere dolcemente. Lui si accigliò curioso – Tu dici? - lei annuì quasi impercettibilmente, gli occhi leggermente socchiusi, come se lo stesse tenendo d'occhio, mantenendolo sotto continua osservazione – Si, io dico. Ma è normale, non ci conosciamo, quindi non sai abbastanza cose di me per potermi ferire o offendere, nemmeno per rendermi felice però, è naturale, sarebbe strano il contrario, non trovi? - lo osservava divertita, lui si guardò per un attimo attorno, come se stesse riflettendo sulla sua affermazione – Si, credo tu abbia ragione. Però devo ammettere che sono convinto di poterti far sentire meglio se mai dovessi sentirti triste, sono bravo nel divertire le persone – e le scambiò un'occhiata allegra. Lei abbassò lo sguardo sulla coltre bianca ai suoi piedi, con la punta dello stivale smosse un po' di neve fresca – Immagino. Ma vedi, divertire è una cosa, far sentire meglio è un'altra. Io posso trovare che una cosa sia divertente, posso ridere, anche di gusto, ma posso comunque non sentirmi meglio, posso restare ferita, addolorata, triste. Seppur quello che mi è stato detto possa essere estremamente divertente – concluse – Oh, capisco...- il giovane sembrava turbato da quella sua affermazione, la trovava “bizzarra” e al tempo stesso veritiera, lo turbò particolarmente. Si strinse le braccia attorno all'addome, poi si voltò verso di lei e mentre le parlava, una nuvoletta di vapore si condensò dinanzi alla sua bocca – Vuoi che ti riaccompagni a casa, o da dovunque tu sia venuta? - lei si destò dal suo silenzio – Non saprei, tu da dove vieni? - lui la guardò, come incuriosito dalla domanda – Dal centro del villaggio più vicino, si chiama Woodest se non sbaglio – sorrise – Oh, si lo conosco, bel posto, piccolo, persone miti, ognuno si fa i fatti propri, non sono gente prepotente o...troppo curiosa, se capisci che intendo – ricambiò con un espressione leggermente divertita, il giovane annuì – Si capisco, è vero hai ragione, brava gente! Tu invece da dove vieni? - lei si perse per un attimo ad osservare un punto indistinto all'orizzonte, oltre la valle imbiancata dalla coltre di neve, oltre la boscaglia scura, oltre persino il profilo delle immense montagne dinanzi a loro, che si stagliavano come guardiani su ogni villaggio ed ogni radura, su ogni abitante di quel luogo maestoso e silenzioso, poi posò lo sguardo a terra, si lasciò sfuggire uno sbuffo di vapore dal naso – Da un luogo non molto lontano da qui – poi fissò il suo sguardo sugli occhi scuri e sottili del giovane – Oh, capisco – cercò di distrarsi da quel contatto, passò a guardare la strada che passava proprio a qualche centimetro dalla panchina in cui erano seduti, poi fissò qualche fiocco turbinare intorno ai rami dei pini innevati, cercò di vedere qualche animale muoversi nella neve, non ne vide, guardò il cielo in cerca del sole, ma non lo trovò. Poi si sfregò le mani infreddolito, si morse leggermente il labbro inferiore e si voltò di nuovo verso di lei, osservò per qualche tacito istante il suo volto candido e poi disse solo – Allora ti accompagno in un luogo non molto lontano da qui – e tacque impassibile. Lei rimase in silenzio, non una parola, non un gesto, un movimento, neanche uno impercettibile con gli occhi grandi e pieni di luce, una luce propria, quasi incandescente, piena di strane e turbinanti emozioni, quasi fossero fatti di neve emotiva, un turbine di fiocchi di sentimenti. Per un attimo parve stesse per sorridere, invece si limitò ad alzarsi, sempre mantenendosi in rigoroso silenzio, tese la mano sinistra, avvolta in un guanto di finta pelle nera, verso di lui, continuando ad osservarlo imperturbabile, con gli occhi scintillanti ma fermi, quasi non provasse alcuna emozione specifica, ma senza destare l'impressione di essere inanimata, anzi, era piena di vita, piena di una stupefacente vitalità. Lui la fissava, quasi incantato da quel suo volto di porcellana così fine ma marcato, ben delineato, come se fosse segnato da una storia particolare, ma non tanto stravagante o eccentrica, solo particolare, poteva sempre essere particolarmente normale. Fu così che lei avvicinò ulteriormente la mano, poi con voce soffice quanto poteva esserlo un cuscino di piume o della panna montata fresca, disse solo – Vogliamo andare? - il giovane si alzò, le strinse la mano delicatamente, senza sorridere, ne parlare, la guardò negli occhi e si incamminarono continuando a tenere i loro sguardi ben saldi l'uno sull'altro. Percorsero molti metri continuando a camminare senza guardare avanti, eppure non sbagliavano direzione, anzi, erano perfettamente al centro del percorso, puntavano dritto verso un orizzonte abbastanza offuscato, incerto, ma senza timore continuavano, come se sapessero esattamente dove erano diretti, seppur non controllassero mai, neanche per un secondo. Il loro cammino durò un tempo indefinito, non si capiva bene se avessero camminato per giorni, ore o solo pochi minuti. Ma arrivarono a destinazione, una piccola casa in legno, con una finestra su di un salotto, un caminetto acceso, che spandeva una dolce e flebile luce soffusa su tutto il tappetto rosso, disteso dinanzi ad esso. Le pareti composte tra tasselli in legno chiaro di noce, erano decorate con qualche quadro, paesaggi dipinti, foto di volti di bimbi sorridenti ed angelici. Sul caminetto c'erano una stella di natale, di un bel rosso vivo, una cornice vuota, di un color bronzo intenso e un vassoio di cristallo, di media misura, contenete solo qualche ciliegia rossa e matura, era in effetti bizzarro vedere quelle ciliegie in un ambiente tanto ostile alla loro crescita. Lei si voltò verso di lui, rimasero dinanzi alla casa, qualche passo li separava dalla porta principale, si osservavano rapiti, i capelli di lei, color caramello, svolazzavano leggeri al vento freddo, alcuni ciuffi di quelli neri carbone del giovane, danzavano sulla sua fronte liscia e priva di segni. Lei sorrise, di un sorriso sincero e piacevole, i denti lisci e bianchi, le labbra rosa e piccole, minute, ma dall'aspetto morbido e liscio. Lui ricambiò, con una dentatura se possibile quasi più bella e perfetta, i due ridacchiarono sommessamente, poi avvicinarono i volti e delicatamente si scambiarono un bacio, fugace ma intenso, delicato e romantico ma pieno di ardente passione e voglia di scoprire. Poi rimasero qualche altro breve istante ad osservarsi negli occhi. In seguito la giovane si voltò e si fece strada nella coltre bianca, verso la porta della casa di legno, lui attese qualche altro istante in silenzio osservandola poi, quasi urlando, disse – Ian! Mi chiamo Ian! - poi quasi si pentii di averlo fatto, lei si fermò di colpo, silenziosamente e ad una lentezza che gli parve infinita, si voltò, il volto era una maschera inespressiva – Molto piacere Ian – e ricominciò a camminare verso la porta. Lui rimase impietrito, confuso, momentaneamente perso in quell'istante, cercando di cogliere ancora qualche rimanenza del candido suono della sua voce – Tu? Tu come ti chiami? - aveva un tono supplichevole, quasi come se saperlo avesse potuto salvarlo da una lenta e terribile agonia, lei si fermò, mentre stava girando la maniglia della porta, poi si voltò lentamente e con la stessa espressione disse – Il mio nome è Amarantine, Ian. - chinò il capo in segno di congedo e chiuse la porta quasi impercettibilmente. Ian rimase in silenzio ad osservare quella dimora in legno, avvolta dalla candida neve e attese di vederla passare dinanzi alla finestra. La vide, si tolse il cappotto nero, lo appoggiò sulla poltrona poco distante dal caminetto, si sedette su di essa, prese un libro, lo aprì più o meno a metà. Se lo adagiò sulle gambe, poi sorrise e qualche istante dopo, una bambina dagli stessi capelli color caramello, le corse incontro, le si sedette in braccio e iniziò ad osservarla con interesse e curiosità mentre lei iniziò a leggere.

   
 
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