Tornò
in
caserma, stanca, infreddolita e triste.
Oltrepassò
le camerate dei suoi uomini senza far rumore, per non farsi sentire. Il
silenzio che regnava sovrano era penetrante e quasi irreale; tutti
composti,
nessuno scherzava, nessuno fiatava, nessuno beveva, giocava a carte o
provocava
col solo scopo di movimentare la serata, tutti in caserma, nonostante
già da
tempo quella sera fosse stata loro concessa per festeggiare
l’arrivo imminente
del Natale, tutti così bravi e zitti.. non sembravano
neanche i suoi soldati..
Passò oltre
ed entrò nel suo ufficio e non si sorprese nel trovarlo
anch’esso immerso in
un’atmosfera che pareva distante. Era rimasto tutto come lei
l’aveva lasciato,
quello stesso pomeriggio; erano passate solo poche ore, poche ore che
dento di
lei sembravano un’eternità, poche ore che pesavano
come un macigno impedendole
quasi di respirare. Era rimasto tutto come quando Alain e
André avevano fatto
il loro ingresso, tutto apparentemente uguale, ma così cupo
e diverso. I fogli
sul tavolo, la punta della piuma ormai secca, il calamaio rovesciato,
qualche
goccia d’inchiostro caduta per terra, la sedia abbandonata,
distante dalla
scrivania, segno evidente che qualcosa era successo, qualcosa di
grande, di
dirompente, di importante.
Era tutto
come prima, ma tutto irrimediabilmente diverso.
Nel suo
ufficio, freddo come prima e disordinato come mai.
Nelle
camerate, affollate come sempre, ma tranquille come mai.
Nel suo
cuore, restio al naufragare nella marea di emozioni, ma inquieto e
gonfio come
mai.
Nella sua
mente, intenta ad analizzare i fatti con lucida freddezza, ma persa
come non
mai nel dolore delle crude verità che le aveva rivelato
Alain.
L’unica cosa
che sembrava non essere mai cambiata era la sua incredibile
cecità nel non
accorgersi di cosa le capitava attorno.
I suoi
soldati. I suoi soldati erano costretti a vendere armi e uniformi
perché il
compendio non bastava a sostentare le loro famiglie. I suoi uomini. I
suoi
uomini erano stremati dai turni, dalle riviste, ma spesso cedevano
parte del
rancio ai fratelli che dovevano crescere o alle madri malate che
dovevano
guarire. Quelli erano i suoi uomini. Faceva fatica ad ammetterlo a se
stessa,
ma si accorse che dentro di se li aveva sempre considerati rozzi,
volgari,
ignoranti e meschini perché profondamente diversi da lei e
dal suo mondo, ma
quelli erano uomini, uomini veri. Provati da una vita di stenti, ma
fortificati
dalla stessa miseria in cui erano cresciuti.
Quelli erano uomini, e se non
fosse stato per Alain non se ne sarebbe mai accorta.
Per la terza
volta nell’arco di così poco tempo si sorprese a
pensare che era vero quello
André prima e Alain poi avevano detto di lei.
Era vero, così dannatamente e
spietatamente vero.
Lei era come tutti gli altri. Lei era come tutti i nobili.
Lei era una nobile in mezzo a tanti altri nobili. Era una dei tanti.
Una di
quei tanti che aveva spesso criticato senza mai accorgersi di essere
come
loro. Lei era e
pensava come i nobili, e se
non fosse stata per l’inconsueta decisione di suo padre di
allevarla come un
maschio, avrebbe vissuto come tutte le nobili dell’epoca:
avrebbe partecipato
ai balli, avrebbe parlato di
moda,vestiti, avrebbe vissuto di frivolezze e pettegolezzi, sarebbe
arrossita di fronte ai
complimenti dei pretendenti, sarebbe stata stretta da tante forti
braccia per
danzare al cospetto della Regina Maria Antonietta, passando di
cavaliere in
cavaliere finché non avesse incontrato mani abbastanza forti
da incatenare le
sue dita a quelle dell’altro con un anello nuziale che
avrebbe fermato per
sempre il vortice della sua vita, costringendola non al nuovo inizio
che deriva
dai matrimoni d’amore, ma alla lenta e triste discesa delle
unioni combinate. E
allora, moglie e madre, avrebbe vissuto con l’ansia di
dimostrare il meritato
valore della sua dote e col timore di non riuscire a fare altrettanto
con la
sua discendenza. Sarebbe diventata cinica e disillusa, avrebbe iniziato
a
considerare il popolo come una massa di inutili stolti che si lagnano
per un
po’ di fame, come un lurido insieme di gentaglia buana solo a
mettere in
discussione l’innegabile supremazia della sua classe e non si
sarebbe mai
accorta di quanta nobiltà ci fosse nei gesti di
solidarietà e fratellanza che
persone povere e affamate non smettono mai si scambiarsi semplicemente
per
aiutarsi, nella consapevolezza che tutti, prima o poi, avrebbero avuta
bisogno
di supporto. Se non fosse stato per suo padre non si sarebbe mai
accorta di
tutto ciò e sarebbe stata una tra le tante di cui sparlare
amabilmente quando non c'era, ma da dimenticare appena la morte
l’avesse accolta tra le sua braccia.
La morte.
Quella che
forse l’avrebbe colta prima di quanto lei avesse mai
immaginato.
Quella che
avrebbe segnato la fine di una vita a suo dire spesa a battersi per la
giustizia e conto i soprusi.
Quella che
ora, con l’incombente avvicinarsi della fine, le aveva
mostrato che quella vita
in realtà si era svolta solo nella sua mente.
Ma non è mai
troppo tardi per cambiare, per migliorare. E lei doveva farlo.
Ora che
aveva capito di aver vissuto nell’illusione di essere
diversa, doveva
semplicemente trasformare il sogno in realtà.
In
quell’anno tutte le sue certezze si erano ad una ad una
sgretolate.
In
quell’anno aveva sofferto e combattuto per i più
svariati motivi, ma ora che
aveva finalmente compreso come era realmente vissuta, doveva cambiare.
Aveva aperto
gli occhi, la fase più difficile e dolorosa era quindi ormai
passata, e ora le
restava solo da agire.
In fondo,
era solo una delle tante sfide che la vita le aveva serbato e, come
tutte,
l’avrebbe intrapresa con forza e con coraggio.
Non si
sarebbe arresa, perché non era da lei, e perché
la posta in gioco era troppo
altra.
Prima di
morire doveva cambiare. Doveva fare qualcosa per aiutare gli
altri.
E doveva
farlo in fretta, perché non sapeva quanto tempo ancora le
restasse.
Aveva
iniziato quel giorno, nel tentativo di salvare Lasalle.
Dopo Natale
avrebbe continuato cercando di aiutare non solo lui, ma tutti i suoi
uomini.
A Natale
avrebbe invece parlato ad André.
André, che
decise di non rivolgere parola ad Alain, chiudendosi nel suo solito in
un
mutismo, affiancando l’irreale silenzio che quella sera aveva
deciso di calare
in caserma e che nessuno, neanche lo sprezzante Alain, nemmeno i
compagni
arrabbiati per il destino funesto che attendeva Lasalle, neppure
l’adirato
André, ebbe il coraggio di spezzare.
Eppure
avrebbe tanto voluto farlo André, forse quella sera lo
desiderava più di tutti
André.
Avrebbe
tanto voluto prendere a pugni Alain per il modo in cui aveva tradito la
sua
amicizia, parlando in quel modo a Oscar, vaneggiando
sull’eventualità di un suo
matrimonio con Diane, trattandola con disprezzo, sfidandola davanti a
tutti,
accusandola di una cosa che lei sicuramente non aveva fatto.
Perché lei non era
così, lui lo sapeva, e gli altri avrebbero dovuto ascoltarlo
invece di farsi
prendere dalla bramosia di vederla sconfitta da quel bestione che loro
si
ostinavano ad appellare “Capo”, senza volersi
infilare in quella loro stupida
testa che il loro capo non era Alain, che loro avevano un capo molto
più valido
di lui, che il loro capo era il Comandante Oscar, che era mille volte
migliore
di quell’energumeno capace solo a farsi bello e spuntare
inutili sentenze in
grado solamente di accendere lo spirito di rivolta nei suoi compagni ma
non
certo di farli ragionare, come invece sarebbe stata capace di fare
Oscar se
solo loro le avessero dato il tempo di spiegarsi, invece di attaccarla
così
impunemente sotto la pioggia. Erano solo dei vigliacchi che cercavano
di avere
la meglio su di lei facendo leva sulla loro forza bruta, ma non certo
sulla
loro intelligenza. Non capivano che avrebbero avuto solo da imparare,
da lei,
se solo avessero messo da parte quegli stupidi preconcetti che
derivavano dal
fatto che era nobile e che era donna. Che imbecilli!!!
E avrebbe
tanto voluto correre da lei, per dirle che non era vero niente. Niente
di
quello che le aveva detto lui e niente di quello che le aveva detto
Alain. Per
dirle che credeva in lei, che sapeva che la sua nobiltà
d’animo non l’avrebbe
mai portata a dare Lasalle in pasto il Tribunale Militare solo
perché aveva
venduto uno stupido fucile. Per rassicurarla e svelarle che si, era
successo
che qualche suo compagno avesse venduto l’uniforme piuttosto
che la spada per
aiutare la sua famiglia, ma la situazione non era così
tragica coma Alain
l’aveva descritta. Avrebbe voluto correre da lei per sapere
come stava, se
aveva bisogno di essere medicata, se il braccio le doleva e per dirle
che
avrebbe voluto aiutarla quel pomeriggio, vedendola così
sola, ad affrontare la
forza di Alain e lo sdegno dei suoi soldati, e se non l’aveva
fatto era solo
perché sapeva che per lei sarebbe
stato un ulteriore affronto, ma se fosse dipeso da lui quello scontro
non
avrebbe avuto luogo. Più di tutto, avrebbe voluto dirle che
lui non si voleva
sposare, che non ci aveva mai neanche pensato, che era stata tutta una
messa in
scena di cattivo gusto, una recita che lui avrebbe impedito se solo
avesse
saputo cosa aveva in mente il suo amico, perché lui la amava
e l’avrebbe sempre
amata, sapeva di non essere ricambiato, ma sarebbe sempre restato al
suo fianco
per proteggerla, difenderla e aiutarla perché gli bastava
questo per essere
felice.
Avrebbe
tanto voluto farlo André, ma non lo fece, paralizzato
dall’irreale silenzio che
quella sera del 22 Dicembre sì impadronì della
caserma e della sua anima.
E così,
restando immobile, si addormentò e lasciò ai
sogni di entrare in lui, di
scaldare il suo animo e indicare al suo cuore la via da seguire.
Le
luci del
giorno sostituirono presto il buio del suo agitato sonno,
così decise di
vestirsi e iniziare a far prendere una piega diversa al corso degli
eventi, ma
quando capì che lui non c’era un indefinito senso
di vuoto si impadronì
prepotentemente di lei, gettandola nell’ansia e nello
sconforto.
Scese nelle
scuderie per controllare che almeno ci fosse il suo cavallo, segno che
non era
andato distante, ma anche quella speranza svanì presto.
Si avvicinò
a César restando per qualche istante indecisa sul da farsi.
L’istinto la
spronava ad andare cercarlo,
ma la
ragione le suggeriva che non aveva la più pallida idea di
dove potesse essere
andato.
Un rumore
attirò la sua attenzione, destandola dai suoi pensieri e
facendola girare di
scatto nella direzione del suono. Lo vide, bello e stanco, tenere per
le
briglie Remis, che come sempre lo seguiva, docile e assonnato, col muso
ciondolante e il passo pesante.
Era tornato.
E nell’istante stesso in cui lo vide, il suo cuore riprese a
battere, un
sorriso sincero distese le sue labbra rosee accendendole le guance e
riempiendole gli occhi di felicità.
Ma
nell’istante stesso i cui lo vide, capì quanta
doveva essere stata la sua pena
nel vederla improvvisamente sparire, nel saperla solo distante,
lontana, ma
senza sapere dove fosse, cosa facesse, se avesse bisogno di lui,
perché se ne
fosse andata.
Nell’istante
stesso in cui lo vide lo capì, perché
provò la stessa cupa sensazione di
inutilità che doveva averlo oppresso nei giorni del suo
viaggio a Tours.
E
nell’istante stesso in cui lo vide, il sangue
iniziò a ribollirle nelle vene e
l’istinto le gridò forte di comportarsi come lui
stesso aveva fatto quando a
tornare era stata lei, la sua indole focosa le urlò di
chiedergli dove fosse
stato, senza dire niente a nessuno, perché fosse uscito
così presto, come un ladro,
che cosa avesse di così urgente da fare, perché
stesse tornando in silenzio,
quasi non volesse farsi scoprire.
L’istinto
glielo urlò forte, ma la mente riuscì ad avere il
controllo sulle sue emozioni.
Respirò
forte, riempiendo i polmoni della tipica aria fresca e frizzante che
solo le
prime ore del mattino regalano, respirò profondamente, e si
calmò.
“ André,
buongiorno! Sei mattiniero oggi!” disse per prendere tempo
“Oh, Oscar,
ehm, ciao! Ecco io, si, si beh in fondo, a volte anch’io mi
sveglio presto,
già, ma, ma anche tu lo sei, insomma, anche tu ti sei
svegliata presto oggi!!”
farfugliò confusamente André, sorpreso dal
vederla lì, imbarazzato dagli
avvenimenti della giornata precedente.
Decise che
non aveva senso tirarla per le lunghe, inspirò nuovamente
quell’aria fresca,
questa volta per prendere coraggio, e si mosse per andargli in contro.
Faccia a
faccia, questa volta fu lei a ristabilire l’antico contatto
tra i loro occhi,
per chiedergli l’unica cosa che realmente le interessava
sapere in quel momento:
“André, è quasi Natale, io stasera
torno a casa. Perché non vieni con me?”
“Oscar, veramente
io..”
Una mano
solitaria si mosse senza che la mente la potesse controllare, si mosse
spontanea
verso quella dell’amico, per afferrarla; e appena si
instaurò quel lieve e
inaspettato contatto, anche l’altra le venne naturalmente in
aiuto, per
trattenere quella dell’altro e vincere l’istintiva
resistenza dell’altro.
Con la mano
nelle mani, il volto le si riempì di dolcezza egli occhi di
speranza, mentre
insisteva nel tentativo di convincerlo a seguirla.
“Vieni con
me André. È da un po’ ormai che non
torniamo a casa. Nanny sarebbe felice di
vederci, io, io non l’ho nemmeno salutata prima di andarmene
e tu anche non la
vedi da un po’. Le faremmo un bel regalo di Natale se
tornassimo insieme, un
giorno prima del previsto. E poi tu dovresti riposarti, il dottore si
è
raccomandato di non sforzare la vista, e da quando sei tornato non ti
sei
fermato un attimo. E poi, André, io, ecco io..io vorrei
parlarti André..”
E così, con
la mano stretta nelle mani morbide e leggermente tramanti di lei,
André cedette
e acconsentì felice.
“Soldati,
riposo, tranquilli, anzi, scusate se irrompo così nelle
vostre camerate. Volevo
comunicarvi che la rivista prevista per oggi pomeriggio è
annullata. Tornate a
casa, dalle vostre famiglie. Come regalo di Natale concedo a tutti una
licenza
di quindici giorni. Festeggiate coi vostri cari e riposatevi, ci
vediamo il 7 Gennaio!”
“Comandante,
vi ringrazio a nome di tutti e mi scuso per come mi sono permesso di
comportarmi ieri, ero accecato dalla rabbia e non sono riuscito a
controllarmi.”
“Non importa
Alain. Lo so, eri arrabbiato e ne avevi tutto il diritto. Scusami,
anzi,
scusatemi tutti se in questi ultimi giorni sono stata troppo severa con
voi. Siete
dei bravi soldati e degli uomini valorosi e io ho molto da imparare da
voi. Lo
dico onestamente e con franchezza, non per comprarvi con le mie parole
e farvi
dimenticare, concedendovi un periodo di riposo, ciò che
è successo al nostro
compagno Lasalle, bensì perché lo penso
veramente. Siete il miglior gruppo di
soldati che un Comandante possa desiderare. Vi prometto che
farò di tutto per
aiutare Lasalle e per favore, la prossima volta, invece di vendere le
vostre
armi, la vostra uniforme o di rinunciare a parte del rancio, venite da
me per
aiutare le vostre famiglie. Io ci sono, sono il vostro Comandante e un
Comandante non serve solo a dare ordini, ma anche ad aiutare i suoi
soldati. Per
questo mese rinuncio al mio compenso e lo do a voi. Dividetevelo
equamente o fate
quello che ritenete meglio. Ma dal nostro rientro a Gennaio le cose
cambieranno, per tutti. È un ordine e una promessa. Buon
Natale.”
Uscì lasciando
lo sgomento dipinto sulle facce di tutti.
Uscì
lasciandoli increduli, perplessi, felici e silenziosi. Ma questa volta
il
silenzio fece presto a svanire per lascare posto a grida di festa, urla
di
felicità, concitati schiamazzi. Decisero di andare a
brindare per festeggiare
il Natale, le feste, il loro Comandante. André, con un
sorriso trionfante e lo
sguardo fiero per quanto aveva appena dimostrato loro la sua Oscar,
denigrò l’invito
di unirsi nei festeggiamenti.
“Come vuoi
tu André. Buon Natale!!” disse a gran voce Alain,
il quale poi si avvicinò all’orecchio
dell’amico e, facendo in modo che lo sentisse solo lui,
aggiunse “ avevi ragione
tu, lei non è come l’ho descritta ieri.
È nobile d’animo, più che di rango e
l’ha
appena dimostrato. Continuo a pensare che il tuo sia un amore
impossibile, che
lei sia una donna da ammirare e non da amare, ma al cuor non si
comanda, giusto
soldato Grandier?? Vai da lei e passa un buon Natale amico, te lo
auguro di
cuore!!”
“Grazie soldato
Alain, e buon Natale anche a te, amico mio!!”
“Se
ne sono
andati tutti Oscar. Sono andati a brindare al Natale e a te. Sei stata
molto
generosa, come sempre del resto!”
“Grazie
André, ma non vorrei che pensassero che mi sia comportata
così solo per dare
loro un contentino nel tentativo di fargli dimenticare quello che
è successo, perché
non è mia intenzione. Il mio discorso era serio!”
“Stai
tranquilla Oscar, ti ho sentita. Il tuo discorso conteneva in se
l’impegno
reale di portare a termine ciò che oggi hai promesso, e
nessuno di loro ha
letto la tua generosità come un bieco tentativo oscurare
ciò che è
successo.”
“Ne sono
sollevata! Ma tu perché non sei andato a festeggiare con
loro? La licenza vale
anche per te!!” lo canzonò divertita
“Pensavo che
saremmo potuti tornare a casa ancora prima Oscar e non volevo che
andandomene
con gli altri tu pensassi che io non mantenessi fede alla mia promessa
di
andare a casa con te, come ma hai chiesto poco fa! Ma se hai da fare
dillo
tranquillamente, infondo possiamo sempre partire nel
pomeriggio” sorrise dolce
“No no
André, va bene! Andiamo!! Sella i cavalli, io ti raggiungo
tra un istante,
giusto il tempo di sistemare due fogli e di prendere una
cosa…”
“Certo
Oscar, vado!” rispose felice senza dare troppo peso alle
ultime parole della
sua amata Oscar.
Il viaggiò
fu più breve di quanto immaginassero, non perché
non si ricordassero la via di
casa, ma perché l’ansia, la gioia, la
felicità di tornare finalmente a casa
ebbe lo strano effetto di far volare il tempo, e in men che non si
dica, si
trovarono di fronte a Palazzo Jarjayes.
“Nanny!!!! Che
bello rivederti!! Come stai?” disse felice la sua bambina
appena la scorse, mentre
con l’aria imbronciata andava verso di loro in gran carriera.
“Oscar,
André, ma, quando la smetterete di comparire e scomparire
all’improvviso come
vi pare e piace?!” fu l’iniziale e perentoria
risposta della governate,
arrabbiata con loro per come si erano comportati, andandosene senza
salutarla e
ricomparendo senza avvertire. Ma le bastò un secondo, giusto
il tempo di realizzare
che i suoi bambini erano di nuovo a casa, insieme, per tramutare il
duro
risentimento in calde e festose lacrime di gioia.
“Ahah, André,
non cambierà proprio mai la nostra Nanny eh??”
“Già Oscar,
non cambierà mai!!”, ammisero divertiti e sereni
nelle scuderie, dove riposero
i cavalli, prima di fare il loro spensierato ingresso in casa.
La giornata
proseguì serena e movimentata. Mille cose da fare, il
palazzo ancora da
addobbare a festa, i piatti ancora da definire, l’argenteria
da lustrare, la
tavola da imbandire, la torta per il compleanno di Oscar da preparare,
i regali
per i nipoti del Generale da fasciare.
Una giornata
allegra e movimentata, in cui tutti ebbero qualcosa da fare, impedendo
così ai due
amici di parlare.
Ma nessuno
si perse d’animo e per la prima volta, Oscar decise di
godersi il clima di
festa che si respirava nell’aria aiutando, per la prima volta
in vita sua, Nanny e André.
E fu così
che, vincendo le iniziali ritrosie della Governante e il timore della
servitù,
ripulì le posate d’argento insieme alla nuova
cameriera, guadagnandosi la sua
simpatia.
Poi spalleggiò André nell’ingrato
compito che gli era stato affidato
di adornare la sala da pranzo e fu così che, con tante
risate e un po’ di
fatica, le arcate del salone il tavolo dove avrebbero pranzato il 25
furono riccamente
abbelliti con magnifiche e innovative ghirlande natalizie!
“Chi l’avrebbe
mai detto che il Comandante Oscar avesse così tanto senso
artistico!!” la
canzonò André
“Eh André,
dopo tutto, sono pur sempre una donna!!” rispose spontanea,
spiazzando entrambi
e facendo un bellissimo regalo a Françoise.
Non contenta,
collaborò coi piccolini, ovvero i figli minori delle
domestiche, nell’importane
compito di fare il Presepe, incombenza data per tradizione ai
più piccoli del
palazzo, per farli entrare nel vero spirito natalizio. Non si
lasciò
scoraggiare dai loro iniziali occhioni intimoriti e
organizzò una vera squadra,
in cui ognuno aveva un compito preciso e tutti avevano
l’obbligo di divertirsi.
Rispose pazientemente alle loro domande, sorretta dalla loro fervida
fantasia, inventò
storie su ognuno dei personaggi, dando loro nomi e origine antiche, che
sapevano un magico passato; li corresse gentilmente quando, ancora
incerti nell’uso
della lingua, sbagliavano qualche parola. Non si spazientì
neppure quando a uno
dei bambini più piccoli cadde, rompendosi in mille pezzi,
una delle sue
statuette preferite, ma anzi gli sorrise amorevolmente e, per
convincerlo de
fatto che la padrona, come la vedevano loro, non era arrabbiata, lo
prese in
braccio e, seguita a ruota da tutti gli altri, andò in
cucina dove, sotto gli
occhi straniti di Nanny, quelli incerti delle madri e quelli addolciti
di André,
iniziò a dispensare alla ciurma abbondanti pezzi del suo
tanto prezioso
cioccolato, che solitamente veniva gelosamente conservato e tenuto solo
per lei.
Quando solo
Gesù Bambino mancava all’appello, li
radunò intorno a se per raccontare loro la
storia di quel poverello, nato in una grotta, al freddo e al gelo,
nella
miseria e negli stenti. Un bambino come ce n’erano tanti
all’epoca, ma che non
si perse d’animo e affrontò le
avversità della vita con coraggio. Un bambino che
avrebbe potuto morire di fame ai primi mesi della sua vita, ma che
trovò la
forza di resistere e di salvare l’umanità dal
male. Un bambino la cui esistenza
avrebbe potuto perdersi nell’oblio del tempo, assieme a
quella di tanti altri,
ma che aveva invece avuto la forza
e il
coraggio di cambiare il corso della storia, facendo parlare di se per
sempre.
“Cari bambini,
dipende tutto da voi. Non contano le origini, ma ciò che
farete da grandi, i
principi di solidarietà e uguaglianza che potreste decidere
di abbracciare. Prendete
spunto da Gesù Bambino e vedrete che tutto sarà
possibile.”
Furono queste
le dolci parole che segnarono la fine del suo bel racconto.
Racconto
che, in disparte, senza che nessuno si accorgesse della sua presenza,
sentì
anche André, che si commosse nel vedere la sua Oscar
così dolce, così improvvisamente
diversa, così amorevolmente materna.
“Saresti
stata una madre perfetta, Amore mio” sussurrò
piano prima di scomparire nell’ombra
di una stanza non illuminata, per tornare alle sue mansioni.