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Autore: PeaceS    02/01/2013    5 recensioni
« Ogni volta che penserai che ti ho abbandonato, ti basterà guardare questo segno per ricordarti che tornerò. Non so’ quando, Draco, e nemmeno se mi vorrai ancora quando lo farò, ma io tornerò sempre da te » gli promise, senza mai distogliere lo sguardo dal suo.
Draco abbozzò un sogghigno placido, quasi dolce e in contrasto con i suoi occhi… tristi.
« Certo che tornerai sempre da me, Mezzosangue. È così che deve andare » mormorò con voce roca, sbilanciandosi appena quando lei gli buttò le braccia al collo, impetuosa.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Draco Malfoy, Il trio protagonista | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Pansy, Luna/Ron
Note: Movieverse, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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"A F. che ha perso una persona a cui teneva tanto.
Sii forte e torna a sorridere, io sarò lì a tenerti ogni volta che sentirai il bisogno di cadere"


 

Capitolo IV -
Bloom 

 

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« Scusa »
« Non mi interessa »
« Ti prego, scusami » Hermione Granger chiuse il libro di Artimanzia - aperto con gran fatica sul tavolo rotondo - con un tonfo sordo, facendosi guardare un pò male da Madama Prince e qualche quindicenne in piena crisi da G.U.F.O; dagli scaffali vicini proveniva un tenue trambusto che la bibliotecaria ignorava pesantemente, massaggiandosi le tempie e cercando di non compiere un omicidio colposo, anche se - in fondo - sapeva che nessuno avrebbe sofferto la morte di quei... due idioti.
« Non farmi essere ripetitiva, Ronald » sibilò Hermione, sbattendo la piuma sul tavolo e legandosi, stizzita, i ricci in una coda alta e disordinata.
Il volto pulito, privo di trucco o imperfezioni cutanee, era tirato e stanco, come al solito, e Ron cominciava a spazientirsi per quella cocciutaggine, come al solito.
« Non essere la solita bacchettona, Hermione » rispose a tono, mentre un Harry Potter più che scarmigliato usciva dagli scaffali - da cui provenivano quei sinistri e sospetti rumori - insieme ad un incazzato Draco Malfoy, che ringhiò alla vista di quella palla al piede di Weasley.
Si erano azzuffati, come al solito.
« Ancora quì a invocare perdono, rosso? Vatti a fare un giro che è meglio! » sbraitò, ignorando quella pazza isterica della bibliotecaria e sedendosi con un tonfo accanto alla Granger.
« Ci scusi, Madama » disse Hermione, sorridendo stancamente alla donna, che liquidò la questione con un'occhiataccia e uno sventolio distratto della mano. Erano pur sempre i salvatori del mondo magico.
« Fatti gli affari tuoi, Malfoy! » la voce disgustata di Ron la diceva tutto su quello che pensava di quell'unione forzata ed Hermione, sotto sotto, giurò di aver sentito un pizzico di gelosia in quel tono arrabbiato; quel testone dai capelli rossi aveva paura che Harry diventasse il migliore amico di Malfoy... coprendo la risatina che le salì alla gola con un colpo di tosse, fissò Harry in modo eloquente.
Harry e Draco insieme, mpff, sarebbe stato più facile vedere Voldemort ballare la salsa mezzo nudo.
« Finitela, ragazzi. Ron, scusa se te lo dico, ma se Hermione in questo momento vuole essere lasciata in pace, torturarla incessantemente non le farà cambiare idea, prova un'altra volta. E tu, Malfoy, tieni a freno quella tua lingua da serpente velenoso! » sibilò Harry, mentre Draco alzava gli occhi al cielo e apriva - più incazzato di prima, se possibile - il libro di Trasfigurazione avanzata.
« Bene! » sbuffò Ron, alzandosi dal tavolo e uscendo dalla biblioteca.
« Grazie, Harry » mormorò Hermione.
« Grazie, Merlino! » sbottò Draco sarcastico, afferrando una pergamena e una piuma, chiedendosi - terrorizzato - da dove dovesse iniziare; odiava Trasfigurazione molto più di quell'inutile materia di Cura delle creature magiche, ed era tutto dire!
Quella vecchiaccia assegnava compiti lunghi metri e metri e pretendeva anche che li consegnassero il giorno dopo averli assegnati.
Vecchiaccia.
« Perché te la prendi così tanto per un compito, Malfoy? » domandò Hermione, guardandolo di sbieco e afferrando il libro di Trasfigurazione tra le mani; le sue dita lunghe e pallide si muovevano veloci su quelle pagine antiche, sfogliando il testo come se lo conoscesse a memoria.
« Non mi piace Trasfigurazione » borbottò Draco, mentre Harry sospirava afflitto e annuiva alle parole del nemico.
Il sorriso di Hermione travolse entrambi, quasi illuminandoli più del sole che, impaurito da quella luce, si nascondeva tra nuvole grosse e nere.
« La Trasfigurazione è un arte e va maneggiata con cura; è meravigliosa come materia, ve lo assicuro, e si tratta solamente di un pò più di applicazione e tutti i tasselli torneranno al posto giusto » disse e Draco poté notare fin troppo bene i suoi occhi brillare.
Era completamente travolta dalle sue stesse parole, incantata dalla magia di quei libri che riuscivano a trasmetterle più di un essere umano, più di un regalo costoso o un bacio rubato dalla persona amata; animata da quel sentimento spostò gli occhi bruni sui due ragazzi che l'ascoltavano, persa in un odore inesistente, quando, inaspettatamente, Draco spalancò gli occhi fino all'inverosimile: la pupilla inghiottì l'iride, mentre la bocca, ora violacea, si spalancava in una smorfia di pura sofferenza.
« Draco... » bisbigliò Hermione, prima di tapparsi le orecchie quando un urlo disumano uscì dalle labbra sottili del Serpeverde, che sembrò cadere in un vortice di pura agonia.
La sua stessa voce sembrò graffiargli la gola, stringergli la carotide e togliendogli il respiro.
Il capo ciondolò a destra, inerme, e ciuffi biondi ricaddero dinnanzi ai suoi occhi persi; sembrava brancolare nel buio e, impaurito, non sapere uscirne; un alone buio lo stava trascinando verso il basso e niente l'avrebbe accolto, se non l'impatto contro la dura e pietra lastra del dolore.
E avrebbe fatto male.
« Ora state esagerando! » urlò Madama Prince, accorrendo al loro tavolo e bloccandosi, sconvolta, quando vide Draco Malfoy cadere in ginocchio. Stretto al petto, come qualcosa di prezioso, il suo braccio destro.
L'ennesimo urlò squarciò il silenzio e se Madama Prince si era dileguata, pallida in volto, tutti gli altri erano accorsi a vedere cosa stava succedendo: Hermione si era inginocchiata di fronte al ragazzo cereo, tremante, e sconvolta vide sangue rosso gocciolare dalla camicia madida e pura.
Tic tac, produceva quel sinistro ticchettio che, nel silenzio agghiacciante, rimbombava sinistremente; come un orologio scandiva i secondi e le urla di Draco, straziandole il petto per quella scena senza eguali.
Rosso, rosso, rosso.
Hermione a malapena capiva da dove usciva tutto quel sangue, imbrattando il volto pallido di Draco, che, come porcellana, si sporcò, mentre alcune vene bluastre spiccavano sulla guancia, sulla fronte e quelle sul collo diventavano così piene che, per un attimo, temette scoppiassero dallo sforzo.
« Draco... » sussurrò di nuovo, mentre lui alzava gli occhi grigi sul suo viso, senza guardarla veramente, perso, tremante.
« Il marchio, Hermione, il marchio! » disse Harry, afferrando il braccio di Malfoy e strappandogli le maniche della camicia con forza: lo spettacolo che si presentò davanti gli occhi della ragazza fu raccapricciante; Hermione trattenne a stento i conati di vomito alla vista di quel teschio che... si stava sciogliendo su se stesso.
Era come se stesse bruciando e la carne del braccio insieme ad esso, inesorabilmente e dolorosamente. Quel tatuaggio, che sembrava impresso sulla carne con dell'inchiostro nero come l'inferno, stava colando insieme al sangue sul pavimento di pietra grezza; « Merlino... » disse Harry, ingoiando a vuoto, mentre Draco si accasciava su se stesso ancor di più.
Sembrava un pezzo di carta che si accartoccia, ed Hermione sperava che non fosse così, perché la carta non sarebbe tornata mai allo stato originale. Sarebbe rimasta stropicciata e segnata. Inutile, da buttare.
Draco continuava ad urlare come se lo stessero scorticando vivo, con la testa poggiata sull'avambraccio e il braccio teso dal suo nemico che, in quel momento, fissava senza parole quello scempio disgustoso.
Gemeva incontrollato, rantolando come in fin di vita, mentre rivoli di sangue macchiavano di rosso le sue labbra sottili. Stringeva e apriva gli occhi come se avesse la vista appannata, ma non c'era uno sprazzo di lucidità nel suo sguardo; sembrava un folle, perso nel filo rovente e aggrovigliato dei suoi pensieri senza senso.
« Fermalo, Harry, fermalo! » gemette Hermione, riferendosi al dolore in cui, Draco, sembrava esserne completamente avvolto, simile ad una coperta stretta attorno al collo, in grado di soffocarlo, inghiottirlo, legarlo e chiuderlo in gabbia.
Hermione lo accarezzò delicatamente, sporcandosi le mani senza curarsene; era come se stessero uccidendo un unicorno, così puro nella propria innocenza e incoscienza: era quasi osceno vederlo agonizzare in quel modo, simile ad un bambino troppo piccolo per patire quel dolore, per poterlo sentire fino in fondo, nella carne.
Hermione tremava insieme a lui, incapace di entrare in azione, di proferir parola. Si sentiva inutile, era inutile e questo le causò uno spasmo al cuore, che le arrivò in gola rischiando di soffocarla.
Quando la preside Mcgranitt corse nella loro direzione, del braccio di Draco era rimasto solamente carne putrefatta: sembrava che lo avessero sciolto nell'acido, sfregiandolo senza alcun risentimento.
« Cosa... » sussurrò, mentre il Serpeverde si accasciava, quasi incosciente, tra le braccia di Harry ed Hermione.
« Non lo so » mormorò Harry, prima che l'ennesimo urlo squarciasse il silenzio.
Sul petto di Draco, scoperto dalle mani fredde di Hermione, era comparsa una "S" con una croce rovesciata marchiata a fuoco; incisa come il teschio sciolto sul suo braccio, etichettato come un animale da macello, di nuovo, punito con il sangue, di nuovo.
« I Santi » sussurrò la Mcgranitt, mentre Draco annaspava tra le braccia di Hermione.
« Professoressa, abbiamo un problema » sibilò Harry, ergendosi in tutto il suo metro e settanta e guardando la preside con gli occhi verde smeraldo incendiati da un nuovo sentimento.
« Decideremo insieme, signor Potter, ora dobbiamo trasportare il signor Malfoy in infermeria » rispose a tono la Mcgranitt, mentre Hermione accarezzava le cicatrici del ragazzo dai capelli biondi, che alzò gli occhi spaesati su di lei.
« Fa male » bisbigliò Draco, stordito, guardandola come un bambino che ha perso la mamma in un supermercato e ora la cerca con foga, con paura.
« Andrà tutto bene, bel bambino biondo, ora la mamma è con te » Hermione l'aveva detto a voce così bassa che Draco credette di sognarlo, come una visione; aveva desiderato così tante volte che sua madre pronunciasse quelle parole, quando suo padre lo puniva per aver fatto qualcosa di grave, quando il Lord scaricava la sua rabbia sulla sua carne pallida, sul suo cuore martoriato.
Era come una ninnananna, dolce e tintinnante, che gli permise di chiudere gli occhi e scivolare in quel sogno senza sogni, in quel dolore solo fisico, tra quelle braccia forti e fragili, in quell'amore che non aveva mai sentito sulla propria pelle.
"Dormi bel bambino biondo, ora la mamma curerà le tue ferite e ti proteggerà ovunque tu sia" era la stessa che canticchiava la sua mamma quando dormiva e non riusciva a sentirla, quando il dolore era troppo forte e gli tappava con forza le orecchie.
"Sempre".
« Andrà tutto bene, anche se fa un po' male » sussurrò Hermione, tenendolo tra le sue braccia e cercando di infondergli quel calore che aveva perso, che non sapeva di tenere chiuso dentro e lo cullò con dolcezza, mentre il suo sangue puro le imbrattava le mani e la divisa.
« Hermione, cara, lascia che ... » iniziò la Mcgranitt, ma Hermione scosse il capo proprio mentre Nott e Zabini entravano trafelati nella biblioteca, sgranando gli occhi dinnanzi al corpo dell'amico tra le sue braccia, davanti a quei capelli biondi sporchi di rosso, quegli occhi grigi chiusi e quelle mani strette tra le sue.
Agitò la bacchetta con la mano libera, alzando il corpo di Draco gradualmente, sospeso a mezz'aria come se stesse fluttuando, ma non lasciò mai la presa su di lui; se ne stava prendendo cura come quando era stato ferito nel bagno del terzo piano, come avrebbe fatto - molto probabilmente - con qualsiasi altro essere umano, ma con più dolcezza, più enfasi, come ci si prende cura di un bambino bisognoso.
Camminava dietro di lui silenziosamente, spaventando alcuni studenti che si ritrovarono - sfortunatamente - sul suo passaggio; la voce che avesse ammazzato Draco Malfoy perché l'aveva lasciata fece il giro di Hogwarts, ma questa volta nemmeno un fiato uscì dalle sue labbra. Hermione si limitò ad accompagnare il Serpeverde in infermeria, rimanendo immobile al fianco del lettino dalle lenzuola bianche, che si macchiarono presto con il suo sangue.
Era dappertutto, in un modo quasi inquietante: sulle lenzuola, su quei capelli biondi, sulle sue mani, sulla sua divisa, sulla sua anima; la guerra era nuovamente iniziata e stava già distruggendo il suo mondo, sgretolandolo in mille pezzi.
Aveva da poco affrontato tutte quelle morti, ricostruendosi una vita che a malapena si teneva in equilibrio e ora tutto stava succedendo da capo.
Era così stanca.
« Malfoy è in buone mani, Hermione, andiamo... » sussurrò Harry, prendendola per un braccio e trascinandola - con delicatezza - inerme per i corridoi; non tornarono nella Sala comune dei Grifondoro, fingere che non fosse successo niente era troppo anche per loro.
Assistere a tutto quello e rimanere immobili, impossibilitati, sentirsi impotenti era la cosa peggiore che potesse esistere al mondo. Vedere quel ragazzo steso lì, su quel pavimento di pietra grezza, e non poter fermare quelle urla disumane, era stata un'esperienza che Hermione non avrebbe mai più voluto ripetere; i suoi libri non erano serviti, quella volta, e nemmeno la sua mente perennemente lucida e pronta.
Quegli occhi grigi la imploravano di fermare il dolore e lei rimaneva immobile, quasi senza nemmeno respirare, con il cuore in gola - stabile, chiuso in una gabbia, stretto in una morsa - e le mani tremanti e pallide che non riuscivano a trovare il manico della bacchetta.
L'aveva cullato, l'aveva stretto, perché era... solo.
Lo vedeva nei suoi occhi, lo sentiva nelle sue urla e per un attimo, per un solo millesimo di secondo, senza nemmeno saperlo, Draco gli aveva mostrato le sue paure; quelle che l'avevano spinta ad accarezzarlo come una madre, quelle che l'avevano portata a sussurrargli quella ninnananna, che era solita cantarle la sua mamma quando proprio non riusciva a dormire.
"Andrà tutto bene, mia piccola principessa, ora la mamma è con te" sussurrava, stringendosela al petto dolcemente.
"Dormi, mia piccola principessa, ora la mamma curerà le tue ferite e ti proteggerà ovunque tu sia" mormorava, danzando leggiadra per la stanza rosa che le aveva costruito con tanta dedizione appena aveva saputo che nella sua pancia c'era una bambina.
Draco aveva paura di restare solo, senza nessuno che lo accudisse o aiutasse; Draco aveva paura che nessuno lo accarezzasse quando era ferito e non aveva nemmeno la forza d'alzarsi.
Aveva paura di morire da solo e lo aveva visto quando si era avvicinata, sporcandosi con il suo sangue.
Come poteva un ragazzo di diciassette anni aver paura di tutto ciò? Lei, durante la guerra, aveva avuto paura di morire... ma mai sola, mai abbandonata, e tutto quello la rincuorava; sapeva che avrebbe trovato delle braccia a sorreggerla e dei sorrisi a tenerla viva dentro, sempre, e solo in quel momento si rese conto che, Draco Malfoy, non avrebbe tenuto nessuno al suo fianco. Nessuno sarebbe stato disposto a reggere un Mangiamorte pentito, né i suoi compagni di sempre - in attesa di vederlo debole per azzannarlo - né i buoni, che probabilmente - addolorati dalle perdite - avrebbero dato il colpo di grazia.
Era solo e aveva paura.
« Lo so', signor Potter! » Hermione nemmeno si era resa conto di essere appena entrata in presidenza né tantomeno di ritrovarsi gli occhi di tutti i presidi passati puntati su di sé e sul sangue che la imbrattava.
La Mcgranitt non aveva nemmeno lasciato entrare Harry che aveva proferito quella frase, chiudendo con stizza una lettera e consegnandola a Fanny, che con uno stridiio volò fuori dalla finestra aperta; aveva scritto ai signori Malfoy? Aveva detto loro che il loro adorato pargolo era ferito? Avrebbero rischiato tutto piombandosi ad Hogwarts?
Hermione sospirò, socchiudendo - stanca - gli occhi ambrati.
Si abbracciò stretta, mentre Harry la faceva sedere al suo fianco, cercando di infonderle calore strofinandole le braccia; eppure, Hermione, era sicura che il calore fosse sparito nell'esatto momento che aveva visto Malfoy crollare su quel gelido pavimento di pietra.
Non avrebbe augurato quello nemmeno al suo peggior nemico. Figurarsi a lui, che in quegli ultimi tempi sembrava così indifeso. « Non conosco questa magia di cui si stanno servendo e non riesco nemmeno a concepire come facciano a compiere questo scempio all'interno di Hogwarts, protetta con ogni forma di sicurezza possibile » disse la Mcgranitt, mentre un mormorio si alzava tra i quadri.
« E se volete prendere parte a tutto questo, allenarsi privatamente è la miglior cosa che potete fare » mormorò poi la preside, massaggiandosi le tempie con fare stanco.
Hermione strinse i denti, aprendo di scatto gli occhi e fissando il volto rugoso e ansioso dell'anziava.
Era stanca.
Voleva che tutto quello finisse.
Era arrabbiata.
Voleva mettere un punto dove quei Santi avevano messo una virgola.
Era angosciata.
Era preoccupata per Malfoy e non sapeva nemmeno perché lo era così tanto, ma vederlo crollare come un castello di sabbia - calpestato da un bambino capriccioso - davanti ai suoi occhi, era stata la peggior cosa che avesse mai visto.
« Mi sta dicendo che dovremo ricostruire l'ES? » domandò Harry, interessato.
« No, signor Potter, questa guerra non interessa tutti, non è di tutti, ma di chi, come il signor Malfoy, ha avuto la sfortuna di trovarsi dalla parte sbagliata » rispose la preside con tono triste.
Era quello il problema: nessuno avrebbe difeso figli di Mangiamorte... Serpeverde era sola quella volta, in balia del dolore che avevano causato, tra le grinfie della stupidità che le aveva dato la fama di "cattivo" della situazione.
Nessuno si sarebbe preso la briga di morire per loro, solo perché il potere aveva fatto scintillare i loro occhi e aveva corrotto i loro cuori; erano soli, alla mercé dello strazio, del sangue con cui si erano sporcati - irrimediabilmente - le mani.
« Sono soli » sussurrò Hermione, cogliendo - disgustata - l'assenso della Mcgranitt.
« Io ho combattuto la guerra perché volevo che il mondo fosse migliore, perché non volevo che ci fossero distinzioni di sangue e famiglie Babbane mutilate per un ideale inaccettabile... ora non è lo stesso? Credete davvero che uccidere tutti i Purosangue sulla faccia della terra riporterà in vita i deceduti della guerra? Credete davvero che uccidendo bambini, donne e uomini potrà lenire il vostro dolore?
Io ho combattuto la guerra perché volevo sorridere e affrontare un nuovo giorno senza avere la preoccupazione che il mio migliore amico, il mio fidanzato e i miei futuri figli, morissero ammazzati da un branco di psicopatici addolorati!
Sempre questione d'amore, eh, professor Silente? » sibilò Hermione, guardando l'uomo dagli occhi azzurri, che ricambiò il suo sguardo con dolcezza.
« E solo l'amore può fermarlo, mia cara » sussurrò, sorridendole dolcemente e proponendole un altro dei suoi indovinelli; solo l'amore e il potere dell'amicizia avevano ucciso Lord Voldemort, solo grazie all'aiuto dell'Ordine della Fenice - quella grande famiglia dimezzata, amorevole, sempre in guerra - erano riusciti a scamparla e sopravvivere.
« E' solo questione di guardare il mondo con un'altra ed ennesima prospettiva, signorina Granger » continuò il preside, mentre lei, in cuor suo, sospirava afflitta: la guerra non era finita, anzi, era appena iniziata.

E quell'amore che Silente tanto decantava, per la prima volta nella storia di Hogwarts, si respirava a pieni polmoni nei sotterranei dei Serpeverde; la voce che Draco Malfoy fosse stato ferito gravemente aveva fatto il giro dei dormitori e, quello verde-argento, era rimasto sinceramente allibito.
Quello che aveva raccontato Theodore Nott, prima di afferrare il pigiama dell'amico Malfoy, era agghiacciante e quasi oltre natura: chi poteva avere il potere di fare così male e a così debita distanza? Serpeggiava lo sconcerto, la paura e l'ansia di poter essere i prossimi, di essere carne da macello e avere una condanna troppo pesante sulle loro teste; Blythe sostava silenzioso, come tutti gli altri, nella Sala Comune.
Gli occhi neri, persi in un limbo freddo e cupo, fissavano il vuoto, mentre le spalle incurvate tremavano appena.
« Ci uccideranno tutti! » Pansy Parkinson si lasciò andare dinnanzi al camino dalle fiamme verdi, sprofondando nella poltrona argento con espressione corrucciata.
Un mormorio concitato si espanse tra i ragazzi del settimo e "ottavo anno", quasi tutti presenti a quella riunione che nessuno aveva richiamato, ma che sembrava essersi formata da sola.
« Siamo fottuti » mormorò Daphne Greengrass, dando man forte all'amica, stringendo tra le dita l'imbottitura della poltrona dov'era sprofondata quest'ultima. Sentiva odore di guai nell'aria, sentore di morte e presagi, odio e infelicità.
« Quanti di voi hanno il marchio? » domandò Theodore, cupo, alzando gli occhi su di loro e fissandoli ad uno ad uno, truce. Centinaia d'occhi si scontrarono, ansiosi e impauriti, consapevoli di essere marchiati per la vita, di essersela giocata per uno stupido ideale.
Serpeverde tremò all'unisono, silenziosa.
« Che domande idiote, Theodore! Sai bene che tutti in questa stanza hanno il braccio e la vita segnata! » sibilò Tracey Davies, stringendosi il ponte del naso tra l'indice e il pollice; Astoria, alle sue spalle, annuì.
Blythe strinse gli occhi con forza, trattenendosi dallo sputare addosso a tutti quegli stronzi ipocriti; tremavano, ora, che il pericolo incombeva sulle loro teste come una spada di Democle.
Avevano paura, ora, che non c'era nessuno a parargli il culo.
« Continuate a pensare a voi stessi, mentre il nostro Capocasa è in infermeria con il braccio squarciato e una "S" marchiata a fuoco sul petto! Merlino, non cambierete mai, mai, e a volte mi viene solo la nausea a pensare di essere stato smistato in questa Casa! » sputò velenoso, zittendo tutti con il veleno che imperniava le sue parole.
« Codardi » finì, alzandosi e lasciandoli lì, allibiti, e uscendo dalla Sala Comune con passo malfermo, instabile.
Codardi infami, ecco cos'erano quella branca di serpi senza cuore; Draco era quasi morto e loro pensavano a come salvarsi la pelle.
Draco.
Blythe barcollò appena, respirando a fondo: la paura di perdere Draco, l'unica persona che gli era rimasta al mondo, lo terrorizzava; lui si era preso cura della sua anima quando si era completamente fatta a pezzi, macchiata di sangue, macchiata del peccato più infimo del mondo.
Quando aveva ucciso suo fratello.
Blythe si bloccò, ingoiando a vuoto.
Quando suo padre aveva visto il corpo straziato del figlio, riverso sul pavimento del salotto della loro casa nello Yorkshire, era impazzito dal dolore; aveva afferrato Blythe per la gola, pronto a spezzargli il collo e ucciderlo, come lui aveva fatto con il suo primogenito, con l'orgoglio della sua Casata, con l'unico figlio che avesse mai amato veramente.
Aveva ucciso il grande Jason King, Mangiamorte di ottimo livello, ragazzo promettente, adorato e venerato da tutto e tutti, invidato, temuto; Jason, con l'Avada Kedavra facile, con l'amore di quel padre insensibile, che nella sua misera esistenza da sottomesso aveva visto in lui una luce ambigua, forte, su cui aveva ripiegato tutte le sue forze.
Non esisteva nessun Blythe, era solo un inutile ripiego, un errore sbucato dal nulla.
Non esisteva nessun Blythe, fin quando non aveva baciato suo fratello sulla bocca e gli aveva spezzato il collo, proprio come aveva cercato di fare suo padre prima che venisse fermato.
Era stata sua madre a cancellargli la memoria, a fargli credere che Jason fosse morto in missione per Voldemort, per mano di un gruppo d'Auror; ma il Signore Oscuro sapeva che non era così, eccome se lo sapeva.
Appena aveva saputo della morte di Jason l'aveva richiamato a Malfoy Manor, impassibile e terrificante come solo lui sapeva essere; sul viso di suo padre vigeva un'espressione di sorpresa, non riusciva nemmeno a sospettare perché il suo ultimo e scialbo figlio fosse stato richiamato dall'Oscuro: che motivo poteva avere Lord Voldemort? Blythe non contava niente, a malapena esisteva, non era capace di nulla se non di leggere i suoi preziosi libri, quelli che gli propinava sua madre ogni giorno.
L'aveva guardato a fondo, esaminandolo con i suoi occhi rossi, accarezzandogli l'anima con quelle iridi serpentesche, con quel sogghigno appena accennato sulle labbra sottilissime, l'espressione di chi ha trovato un tesoro prezioso.
"Sei mio" aveva sibilato, prima che un cruciatus rischiasse di spezzargli le ossa.
Aveva solo tredici anni quando era crollato sul pavimento di marmo bianco del salone immenso di Malfoy Manor, con il sangue alla bocca e il fiatone - come se avesse corso miglia, come se si fosse schiantato da metri di distanza. -
Solo tredici anni quando il secondo cruciatus gli aveva stracciato la carne, sbattendolo in modo rude a destra e manca.
Tre, quattro, cinque, sei, sette... urla, rantoli, gemiti spenti, sussurri inestinguibili e l'espressione impassibile di suo padre; la voglia di afferrare la bacchetta e uccidere anche lui, quel volto che gli aveva rovinato la vita, l'esistenza e l'anima.
Il suo sangue che colava a spruzzi sul bianco candore del marmo, la risata di Bellatrix che risuonava come una nenia fastidiosamente viva, pulsante - come il suo cuore, che pompava veleno terribilmente tossico. -
Era quello il suo scopo e Blythe non l'aveva capito fin quando non aveva sentito fiamme dolorosamente calde avvolgergli il braccio destro: dalla bacchetta dell'oscuro era uscito un fascio di luce nera che aveva l'aveva avvolto dal polso all'avambraccio; l'odio cresceva insieme al dolore, insieme allo strazio del proprio corpo martoriato.
Quando aveva riaperto gli occhi, sul suo braccio, il marchio nero faceva bella mostra di sé, quasi deridendolo per la sua debolezza; aveva preso il posto di suo fratello e l'aveva fatto uccidendolo.
Lord Voldemort aveva visto del marcio e l'aveva alimentato, quasi uccidendolo.
Si era puntato la bacchetta alla tempia.
Non aveva mai usato un Avada Kedavra, probabilmente non era nemmeno capace di produrne uno, ma Blythe non sarebbe mai stato suo.
Stava litigando con suo fratello, come sempre, e lui lo stava insultando, come sempre.
Gli stava rinfacciando quella vita di fallimenti in faccia, sbattendogli le sue grande gesta proprio lì, in quella stanza che da piccoli avevano condiviso, in quella stanza dove si erano promessi di stare sempre insieme, di affrontare le avversità per mano, come fratelli, come eterni complici.
"Non concluderai mai niente"
"Andiamo, Bly, sei la seconda ruota di scorta!"
"Finiscila di starmi attaccato al culo, sei ridicolo"
Aveva visto le sue mani agire da sole e ingaggiare una lotta con lui; Jason si era difeso, gli aveva persino puntato la bacchetta alla gola: era pronto ad ucciderlo tanto quanto lui. Le sue labbra piene stavano per pronunciare quella formula, quella finale, quella che l'avrebbe finalmente liberato di lui, sua eterna palla al piede.
"Fanculo, Jay" aveva urlato, afferrando la sua testa tra le mani.
L'aveva baciato sulle labbra, aveva chiuso gli occhi per un millesimo di secondo, gli aveva trasmesso il veleno che gli scorreva dentro, l'odio che pompava insieme al suo sangue e come Giuda, poi, aveva girato con forza le braccia.
Quel crack che era rimbombato tra le mura non l'avrebbe dimenticato nemmeno con un oblivius. Forte, malefico, come il tonfo del corpo di suo fratello, crollato sul pavimento senza vita.
L'aveva trascinato ai piani inferiori, ignorando gli strani scricchiolii che produceva la sua testa ogni volta che tozzava su uno scalino.
L'aveva depositato lì, nel salone, mentre una pozza di sangue si allargava sotto di lui, che con gli occhi spalancati fissava inespressivo il soffitto, posto in una posizione quasi innaturale, con il capo riverso e le braccia messe in un'angolazione strana. Blythe cadde in ginocchio, mentre la gola si chiudeva in una morsa, strozzandolo, soffocandolo, opprimendolo; sarebbe morto e lo sapeva, lo sentiva nell'aria che respirava e infettava, nelle vene - dove il sangue sembrava scorrere il contrario. -
Stava morendo.
« Dimmi, come ci si sente? » Blythe tremò quando quella voce gli perforò i timpani, strisciando nel suo stomaco come un serpente e bloccandogli qualsiasi facoltà, persino quella di proferir fiato.
« Dimmi, cosa si prova? » continuò quella voce, mentre il braccio andava letteralmente a fuoco, come se lo avesse messo a mollo nella benzina e una miccia avesse appiccicato il fuoco.
Draco.
Lui gli aveva dato dell'idiota quando aveva cercato di uccidersi; lo aveva pregato di smetterla e quando proprio non aveva voluto sapere di abbassare la bacchetta lo aveva disarmato, scompigliandogli i capelli e abbracciandolo.
Draco.
Lui che lo aveva difeso da tutto e tutti, come un fratello maggiore, come un ancora di salvezza, come la luce che porta via l'oscurità.
Draco.
Il marchio, per la seconda volta in una giornata - a due persone indissolubilmente vicine - si sciolse su se stesso, ma questa volta nessuno sentì le urla di Blythe.
Nessuno si straziò con i suoi gemiti, i suoi rantoli e nessuno vide quell'ombra sparire nei corridoi adiacenti a quelli dei sotterranei. Blythe cadde a suolo con un tonfo, proprio come suo fratello un anno prima, ucciso per mano sua. Il sangue, ora, oltre a macchiare le sue mani e la sua anima, imbrattava anche il suo corpo inanimato.

***


Quella notte, mentre Hermione Granger sgattaiolava via dai dormitori femminili e si dirigeva silenziosamente in infermieria, il corpo di Blythe King - miracolosamente vivo - veniva trovato da un Blaise Zabini completamente sconvolto, una croce d'argento rovesciata veniva disegnata a fuoco sul portone di Hogwarts.
I Santi erano più agguerriti che mai e avevano sferrato il primo attacco, questa volta la giustizia si sarebbe fatta sa sé e niente sarebbe sfuggito o sopravvissuto alla sua furia.
Perché il dolore, molte volte, è più potente di una rabbia cieca e inestinguibile.
   
 
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