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Autore: Sophie Isabella Nikolaevna    04/01/2013    1 recensioni
[Fandom: Iliade, Omero]
Atena Glaucopide, la dea dagli occhi azzurri. Il Pelide Achille, eroe fra gli eroi. Un incontro avvenuto per caso e un legame che ben presto, nonostante i divieti e le insidie della guerra, diventerà indispensabile per entrambi, tessendo dietro all'Iliade che tutti conosciamo una rete di segreti. Il cuore solitario di una dea racconterà ciò che per anni ha tenuto segreto: la storia di un amore sofferto, di una guerra in bilico, di un eroe spietato e insieme magnanimo, una seconda Iliade che nessuno ha mai letto.
Genere: Drammatico, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 2


Sarei tornata presto, gli avevo detto.
Tornai. Tornai più volte. Ma mai, in dieci anni, riuscii a rivederlo.
Dieci anni non sono niente per una dea, ma sono tanti per la vita di un uomo.

Le alte mura di Troia sembravano inespugnabili. Gli Achei, con i loro guerrieri valorosi - con Achille - non riuscivano a penetrare nella città. Quasi ogni giorno mi recavo all'accampamento Acheo e cercavo di aiutare i soldati. Mi univo alle loro battaglie, donavo loro forza e velocità. Mai, però, riuscivo a vedere Achille. Lui era lì, con i suoi compagni, ma qualcosa mi impediva di vederlo. Ogni volta che lo vedevo avvicinarsi da lontano, senza neanche distinguerne appieno i tratti del viso, una forza sconosciuta mi accecava e mi portava lontano, lontano, in un mondo nero e soffocante. E quando questa oscurità opprimente si dissolveva riportandomi alla piana di Troia, il guerriero Mirmidone non c'era più, e spesso la battaglia si era già conclusa.
Più volte avevo ritenuto che gli Achei sarebbero penetrati a Troia solo se io avessi aiutato Achille. Più volte mi ero diretta verso la sua tenda, e l'oscurità mi aveva catturata, lasciandomi andare solamente quando il guerriero aveva ormai abbandonato la tenda.
Qualcosa, o qualcuno, non voleva far sì che lo vedessi, e che parlassi con lui.
Chiunque avesse creato quel prodigio non abbassava mai la guardia.

Con lo scorrere del tempo iniziai a credere che si trattasse di un trco di Afrodite. Parteggiava per i Troiani, e mai avrebbe permesso che io avantaggiassi gli Achei. Anche Artemide era dalla parte di Troia, ma non avrebbe mai fatto una cosa simile. Afrodite, però, negava, e continuò a negare per dieci anni. 
Lentamente, la mia determinazione ad aiutare Achille Pelide per avantaggiare gli Achei svanì. Continuavo a scendere alla piana, ma le mie visite mancate alla tenda di Achille diminuirono poco a poco. Evidentemente, era giusto così. Achille era un semidio: non aveva bisogno del mio aiuto. Forse avrei semplicemente dovuto supportare ancora di più gli altri soldati.
Compivo così il mio dovere, e ogni tanto, solo ogni tanto, ripensavo a quell'eroe. Gli anni stavano passando. Il suo volto doveva essere cambiato. Chissà se, quando fossi riuscita a rivederlo, l'avrei riconosciuto.
Ero certa che l'avrei rivisto. Non ci sarebbero stati né "se" né "ma" ad impedirmelo. Ancora non sapevo come e quando sarebbe successo, ma ne avevo il presentimento, la consapevolezza, la certezza.

Erano passati dieci anni, dieci anni in cui non avevo più incontrato il suo sguardo dello stesso colore del mio.
La guerra di Troia era giunta ad un punto di estrema tensione. L'esercito degli Achei era agitato da rancori in procinto di esplodere. Agamennone spadroneggiava dall'alto della sua prepotenza, tanto da giungere ad un atto di piena tracotanza e irrispettosità. Fece sua prigioniera di guerra la figlia di Crise, anziano sacerdote di Apollo. Il vecchio pregò affinché, dall'alto dell'Olimpo, dessimo ad Agamennone una degna punizione.
"Certo che li punirò", diceva Apollo, furente, scuotendo i ricci biondi come il suo Sole.
"Sì, fratello, è la cosa più giusta da fare", lo sostenne Artemide, e Afrodite annuiva prontamente.
"E come li punirai?", chiesi io, preoccupata.
"Mi dispiace per quell'esercito, Atena. So quanto ci sei affezionata", mi rispose lui con l'espressione torva. "Ho intenzione di lanciare frecce avvelenate sul loro accampamento, e far sì che la peste dilaghi. E' quello che si meritano".
"Io li proteggerò", mormorai, sconvolta dalla notizia, con un'amara consapevolezza: li avrei potuti proteggere tutti, tranne uno.
"Sarà inutile".
Anche se sapevo che Achille era invulnerabile, e che quindi non sarebbe certo bastata una semplice peste ad abbatterlo, non ero tranquilla. Non lo vedevo, non potevo proteggerlo. Avrebbe potuto succedergli qualsiasi cosa, e io non l'avrei saputo.
Nelle giornate successive feci di tutto. Andai all'accampamento acheo. Diedi ambrosia ai soldati malati, e forza nel combattimento a quelli vivi. Ma quando due dei combattono, è quasi impossibile che uno dei due riesca ad avere la meglio sull'altro. Apollo continuava a scagliare le sue frecce, e nonostante i miei aiuti gli uomini ne erano continuamente colpiti. Fu così che un'idea improvvisa si fece strada nella mia mente. Avrei rubato l'arco e le frecce di Apollo.
Aspettai la notte. Negli ultimi tempi, Apollo di notte se andava sempre. Probabilmente si recava da qualche donna mortale. Sapevo dove nascondeva le frecce avvelenate: in mezzo alle foglie di un'acanto di fianco ad una grande roccia a forma di stella. Così, decisa ad aiutare gli Achei anche a costo di mettermi definitivamente contro Apollo con un gesto scorretto come un furto, mi diressi verso la roccia attraverso quel territorio nebbioso e arido che è la cima dell'Olimpo.
Ero a metà strada quando sentii delle voci. Voci di divinità. Un maschio e una femmina. Discutevano, e anche piuttosto animatamente. Non mi ci volle molto per capire che si trattava di Zeus e Hera.
Non ero figlia di Hera, ma era come se lo fossi. Oltre che una sorta di madre, era sempre stata per me anche un'amica e una sorella. Nemmeno nel momento della contesa della mela d'oro eravamo state veramente rivali.
"Non è giusto che tu lo faccia, Zeus. Non lo reputo per niente giusto", stava dicendo.
"Donna, non dirmi che cosa è giusto che io faccia. Questo sono io a deciderlo". Simili discussioni fra Zeus ed Hera avevano luogo assai spesso.
"Certo, ma io lei la conosco, e posso assicurarti che se in un qualche modo dovesse scoprire che sei tu a farle questo, non ti rivolgerebbe più la parola".
"Atena è mia figlia, e stabilisco io come comportarmi con lei". Incuriosita, mi fermai ad ascoltare. "Se io ritengo che vedere quell'uomo
per lei sarebbe pericoloso, allora è giusto che non lo veda".
"Ma in questo modo, Zeus, gli Achei non potranno mai vincere. Non senza una collaborazione fra la Dea della Guerra e Achille, sovrano dei Mirmidoni".
"Ma quale collaborazione? Questo porterebbe solo alla rovina di mia figlia".
"Ne sei proprio sicuro? Io ho il sentore che presto il Pelide Achille avrà bisogno di lei".
Non volli sentire altro. Le parole del loro dialogo mi rimbombavano nella testa mentre fuggivo via, dimentica dell'arco di Apollo. Era Zeus. Era mio padre ad impedirmi di vedere Achille. Era un trucco di mio padre!
Non so per quanto corsi. Quando fui esausta mi fermai e mi lasciai andare appongiandomi ad una roccia, e il ricordo di quello che avevo appena sentito mi travolse come un'onda distruttrice.
Per dieci anni mio padre mi aveva impedito di vedere Achille. Per dieci anni non avevo potuto aiutare gli Achei, non avevo potuto partecipare alla guerra in modo decisivo. Non avevo potuto dare una svolta agli eventi sebbene avessi tentato disperatamente di farlo. Tutto perché vedere il re dei Mirmidoni sarebbe stato la mia rovina. Per quale motivo mio padre non mi aveva avvisata di questo? Perché aveva preferito agire mantenendomi all'oscuro di tutto?
Le ore passavano, e il cielo si modulava in nuvole striate di rosso e improvvisi bagliori. Fissavo quei colori cangianti, confusa. Erano le dita rosate dell'Aurora? Oppure erano i fuochi oscuri di Ares, la guerra più nera?
Un pensiero mi tormentava come un insetto fastidioso. Cercavo di scacciarlo, ma come una mosca, era sempre abbastanza veloce da fuggire e tornare a pungermi.
Per dieci anni non avevo potuto aiutare gli Achei. Ma soprattutto, non avevo potuto rivedere quello sguardo di zaffiro, cangiante come il cielo.

Il tempo scorreva indistinto. Ormai il Sole splendeva alto, infuocato e silenzioso, senza neanche una nuvola a recargli disturbo. Intorno a me, il nulla. Solo un nudo pavimento roccioso sferzato dal vento. Non sapevo in quale parte dell'Olimpo mi trovavo. Il silenzio era opprimente. Totale.
Improvvisamente udii dei passi in lontananza.
Non erano passi comuni. Erano veloci e leggeri, aggraziati. Una corsa quasi danzata. Non mi sorpresi quando vidi comparire Hermes all'orizzonte, la sua sagoma sottile in controluce. Le ali dei suoi calzari lo facevano volare alto e veloce.
"Mia signora Atena, vieni, presto! All'accampamento acheo!", mi urlò da lontano, e la sua voce mi arrivò rapida, nitida e distinta. "Il destino della guerra è in grave pericolo!".
Quelle parole mi smossero. Immediatamente mi alzai e cominciai a correre veloce, come solo una divinità può fare. Hermes prese la mia mano e volai insieme ai suoi calzari alati.
"L'Atride Agamennone è entrato in competizione con il Pelide Achille", mi spiegò con la sua voce squillante. "Il capo degli Achei ha deciso di rendere la propria schiava a Crise. Vuole, però, che Achille gli ceda la propria schiava, per compensare la perdita. Fa' presto, mia signora. In pochi secondi potrebbe accadere qualcosa di irreparabile".
Capii, capii all'istante. Il Pelide Achille, sovrano dei Mirmidoni, guerriero valoroso. La perdita di una schiava, un affronto. Ringraziai Hermes e spiccai il volo verso la piana di Troia.
Achille avrebbe potuto uccidere Agamennone. Se l'avesse fatto, gli Achei si sarebbero trovati senza un capo. La maggior parte di loro sarebbe tornata alle proprie navi e avrebbe salpato verso la patria, i restanti avrebbero senza ombra di dubbio perso contro l'intero esercito troiano.
Non doveva succedere. Non doveva succedere.
"Atena! Figlia!". La voce di mio padre rimbombò ovunque, cupa e potente come un tuono. Non lo ascoltai. Era una questione di vita o di morte.
Sentii le più piccole briciole di tempo scorrere mentre l'accampamento acheo si faceva sempre più vicono. Ogni singolo granello che smuoveva le sabbie del tempo aveva un suono atroce, infernale, insopportabile. Mi sembrò di udire un altro suono, dalla tenda di Agamennone. Una mano che afferra l'elsa di un'arma. Achille. No!
Gridai, mi buttai a capofitto dentro la tenda e bloccai la mano del Fato.



Secondo capitoloo! Sono felice di aver aggiornato, anche se secondo me nessuno degnerà mai questa storia, l'Iliade non è un fandom molto quotato... uhe uhe. Ma io scrivo lo stesso! *agguerrita*
Lo so, ci sono delle imprecisioni. Come nello scorso capitolo, come ci saranno nei prossimi. Alcune sono licenze, altre sono semplici sviste (non ho mai letto l'Iliade tutta intera, ma penso che quasi nessuno di voi l'abbia fatto...?).
Alla prossima, spero che i tempi di aggiornamente sianio più brevi ma purtroppo non garantisco nulla! L'unica cosa certa è che il prossimo capitolo ARRIVERA'.
Ciao ciao, fatemi sapere cosa ne pensate.
Isabella


   
 
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