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Autore: CatcatKhad    04/01/2013    2 recensioni
(Mezzi sono umani, gli altri..) Alice, Emmett e Bella, tre fratelli che vivono con la madre, Esme, a Forks. Ma se la madre, quasi per caso, si fidanzasse e si sposasse con il nuovo dottore dell'ospedale della città? Che cosa succederebbe? Ma soprattutto, le loro vite rimarrano le stesse di prima, o qualcosa di davvero incredibile le stravolgerà completamente?
Amori, litigi, ma anche poteri inestimabili e antichi rancori vi accompagneranno in questa avventura all'insegna dell'amore e del sovrannaturale!
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Royce King, Sorpresa, Un po' tutti | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Carlisle/Esme, Emmett/Rosalie, Jasper/Maria
Note: Movieverse, OOC, What if? | Avvertimenti: Non-con, PWP, Violenza | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Paure Salve a tutti! Come state? Come avete passato il Natale? E Capodanno? Spero bene :) allora, eccoci con un altro capitolo, in cui scopriremo (finalmente ahah) la sorpresa di Jazz per Alice, e vedremo cosa succede nel frattempo agli altri quattro. E chissà che finalmente si chiariranno un po' le cose su ciò che hanno visto (per ora) Alice e Rose? Vi basterà leggere il capitolo per scoprirlo!
P.S. Vi auguro buone feste, anche se in ritardo :(
Buona lettura!





Alice


Jasper era di fronte a me, sorrideva sornione e indossava, per mia grandissima gioia, un paio di pantaloni neri aderentissimi e una camicia dello stesso colore con colletto bianco sollevato e le maniche leggermente tirate su, fino a metà avambraccio.
La sala, attorno a me, era semplicemente strepitosa. Le pareti principali ricoperte da specchi, il pavimento di parquet sotto di noi era appena rigato, ma lo rendeva più vero, consumato probabilmente da centinaia di balli eseguiti in quella stanza, le sbarre di legno attaccate ai due muri rimanenti e il grande stereo, vicino alla porta, che faceva da padrone al tutto.
Il mio sguardo cadde su di me, e ne rimasi sorpresa, il vestito che avevo acquistato qualche ora prima ora era addosso a me, e un gonnellino di strass luccicanti e, soprattutto, rumorose ne attorniava la parte inferiore, rendendolo praticamente incantevole.
- Sei fantastica, Al. - Allungò una mano verso di me, e quando l'afferrai mi avvicinò a sè, sorridendo sbieco.
- Tu lo sei, per aver organizzato tutto questo. Ma come hai fatto, Jazz? - Ridacchiò, trascinandomi verso lo stereo; lasciò per un istante la mia mano, poi chiuse lo sportellino del CD e schiacciò Play.

- Ho i miei segreti, piccola... E per te, questo è niente. - Dalle casse cominciò ad espandersi una canzone, e subito mi partì dal fondo del cuore una voglia matta di muovermi e ballare, a ritmo, fra le sue braccia; detto fatto, avvicinò il busto al mio e, dopo avermi osservata qualche istante beato, cominciò a guidarmi seguendo le note di quella sfrenata melodia. (Stand By Me - Prince Royce)
Era una bachata, e anche una delle mie preferite, ma dove aveva imparato a ballare così bene? Oddio, anche alla festa di fidanzamento di mamma e Carlisle aveva ballato bene, ma sembrava un maestro in quel momento.

Uno, due, tre, quattro; uno, due, tre, quattro, step. Poi il giro, e di nuovo, poi di nuovo base, e via.
La sua mano destra era incollata al fianco e l'altra alla mia libera, mentre la mia mano sinistra era appoggiata delicatamente alla sua spalla.
Il suo sguardo era fisso sul mio, ardente di amore e di dedizione, e di una passione per il ballo innata, da parte mia, che era amplificata grazie al mio essere vampira.
Stavo davvero bene, in quel momento, ero talmente appagata da sentirmi quasi perfetta, ero immersa nel mio mondo, la danza, e con me c'era Jasper, il ragazzo che amavo. Cosa potevo desiderare di più?
Avevamo cominciato a muoverci per la sala a ritmo di bachata, e ogni tanto scoppiavamo a ridere per le nostre espressioni 'troppo' concentrate, fino a che la canzone non finì, e io mi ritrovai a fare un casquet fra le braccia possenti, ma non troppo, di Jasper. Che sorrideva, incantato, e mi studiava così a fondo da farmi imbarazzare appena, e se ancora avessi potuto, sarei diventata color pomodoro maturo. O color sangue caldo.
- Sei quasi più bravo di me, Jazz... - Gli sorrisi, poi mi risollevai in un attimo, pronta nuovamente a cominciare un ballo nuovo.
E infatti, subito dopo partì un cha cha cha, che fece risvegliare nuovamente i nostri animi, e le sue mani, durante il ballo, continuavano a vagare sulla mia schiena, il mio sguardo era fisso su di me, sui miei movimenti e su tutto ciò che muovevo, dalla testa ai piedi. E continuammo così, tutta la sera, a ballare come dei forsennati, a ridere, a scherzare, e ad amarci.





Rosalie


Emmett, ansante, si accasciò sopra di me sorridendo teneramente, le mie dita si intrecciarono fra i suoi ricci, mentre i nostri respiri affannati si scontravano e si tranquillizzavano lentamente, dopo l'ennesima scalata fantastica verso l'apice tanto agognato.
- Sei bellissima, Rose. - In replica, lo baciai teneramente, ormai non ricordavo quasi più cosa volesse dire amare qualcuno, ma mi ci stavo riabituando in fretta.
Dopo la mia visione tremenda, avevamo fatto l'amore ben quattro volte, e quella era la quinta, più romantica e passionale delle altre. Ma entrambi, dopo esserci finalmente rilassati e riaccoccolati uno fra le braccia dell'altra, capimmo che era meglio, per quel giorno, trovare un altro modo per dimostrarci il forte amore reciproco, o saremmo entrati in un circolo vizioso molto difficile da abbandonare, soprattutto da due vampiri giovani e innamorati che per giorni avevano sofferto come cani e che avevano la possibilità di rimanere soli per un bel po' di tempo senza nemmeno dover mangiare, bere, dormire o soltanto respirare.
Così, dopo essere rimasta un altro paio di minuti a farmi coccolare dallo scimmione accanto a me, lo baciai dolcemente e mi misi a sedere, guardandolo soddisfatta. Lui fece un sorrisino malizioso, così mi morsi un labbro e lo baciai di nuovo intensamente, staccandomi poco dopo e lasciandolo mugolante. Si sollevò e mi afferrò per la vita, spostandomi e posandomi un'altra volta su di lui, ma stavolta scossi la testa e risi.
- No Emm, se continuiamo così non la smettiamo più, lo sai! - Si avvicinò al mio viso con le labbra e le posò sulla mia fronte, teneramente, poi si allontanò appena e sorrise.
- Hai ragione, splendore. Però rivestiti, seriamente, o non ti lascio uscire da questo letto molto presto... - Scoppiammo a ridere entrambi, poi ci alzammo quasi contemporaneamente e io mi diressi verso la cabina armadio, aprendola e ritrovandomi completamente incerta su cosa mettermi.
Lui, intanto, era tornato in camera sua a prendere dei vestiti puliti ed era tornato, e mentre era intento ad osservarmi si stava anche rivestendo davanti allo specchio, sorridendo nel vedermi così indecisa. Lo guardai facendogli la linguaccia e presi un paio di jeans, una maglia lunga fino a metà sedere blu notte e un maglioncino a dolcevita bianco panna, infine il solito paio di tacchi, immancabilmente neri lucidi. Sapevo di non essere il massimo, da vedere, ma almeno ero decentemente vestita e lui, anche se la cosa dava molto dispiacere ad entrambi, non avrebbe più potuto saltarmi addosso per quel giorno.
Raccolsi i capelli in una coda di cavallo, poi mi passai l'eyeliner nero nella palpebra inferiore e superiore, un tocco di mascara e tornai da Emmett, che nel frattempo aveva indossato un paio di pantaloni chiarissimi, quasi bianchi, e una canotta nera che metteva in risalto la sua pelle diafana e i suoi muscoli, enormi e perfetti.
Allungò un braccio verso di me, e io mi avvinghiai contro di lui, sorridendogli teneramente, poi ci incamminammo verso le scale, scendendo lentamente e raggiungendo il salotto con calma, senza staccare gli occhi da quelli dell'altro.
Erano incatenati, non riuscivo a distoglierli e nemmeno volevo, finalmente dopo tempo avevo trovato un uomo che sapeva apprezzarmi, e anche se eravamo stati entrambi in uno stato di sofferenza fino a poche ore prima, sapevo che con lui sarebbe stato diverso.
Il mio istinto me lo suggeriva, e anche il suo sguardo, il suo essere attentissimo in ogni mio movimento, e sempre sorridente, e il suo essere protettivo, nel mio momento di crisi.
Volevo tanto capire, però, come mai mi erano riapparse in mente le immagini di quel mostro, quell'animale infame che anni addietro mi aveva fatto cose terribili. Non riuscivo a capacitarmene, anche perchè ero felice in quel momento, stavo parlando con Emmett e l'argomento era piacevole, quasi troppo, eppure non riuscivo a trovare un nesso logico.
Emm probabilmente si accorse che i miei pensieri erano concentrati su altro, perchè mi toccò appena la spalla, facendomi sussultare. Il suo sguardo si assottigliò, quindi spostò una ciocca di capelli ribelle, sfuggita dall'elastico nero che teneva insieme la mia chioma bionda, e mi fece sedere sul divano.
- Rose, sei sicura di stare bene? Sono io che ti faccio questo effetto, o hai qualcosa che ti turba? - Si inginocchiò davanti a me, appoggiò le mani sulle mie ginocchia e mi regalò un sorriso mozzafiato, che mi stordì per qualche secondo.
Portai il mio indice sulle sue fossette, marcate ma terribilmente dolci, e vi stampai poi un lieve bacio, guardandolo negli occhi e cercando di nascondere la mia inquietudine.
- Sto bene, tesoro. Non c'è niente che mi turba, forse è la tua vicinanza a darmi tutte queste emozioni, sono così forti che non riesco nemmeno a contenerle! - Gli buttai le braccia al collo, per nascondergli il mio sguardo appena preoccupato, e lui mi afferrò delicatamente per la vita e mi sollevò, accarezzandomi poi il sedere in modo tale da ricevere un'occhiataccia da me, infine scoppiò a ridere.
- Non ci posso fare niente, se hai un culetto fantastico non è mica colpa mia! - Lo guardai sconvolta e scoppiai a ridere, poi gli diedi un colpetto dietro alla testa, facendolo ridere più forte di quanto non stesse facendo un attimo prima.
- Allora io non faccio commenti, o andrei a finire molto male! - Mi fissò con sguardo allusivo, e il mio cadde per un istante sulla patta che, sebbene avessimo continuato a lungo, non esitava a rimanere in bella vista, offrendomi uno spettacolo assolutamente gradito.
Lui capì subito a cosa stavo pensando, infatti scoppiò a ridere e portò una mano davanti al cavallo dei pantaloni come per nasconderlo dalla mia visuale, causandomi una espressione imbronciata un attimo dopo, che fece aumentare le sue risate.
- Tu ridi, Emm, invece noi ci disperiamo. - Scesi e, appena appoggiai i piedi a terra, lo spinsi contro l'angolo del muro che dava alla cucina, infilai le mani fra i suoi capelli e lo baciai quasi aggressiva, mordendogli un labbro senza fargli male. Lui mi ricambiò, portando le mani sui miei fianchi e stringendoli appena, sentivo che si stava trattenendo, ma essendo ancora un neonato mi avrebbe fatto male, altrimenti. Fortunatamente lo capiva da solo, ma la cosa che mi sorprendeva era vedere come sia lui che tutti gli altri della sua famiglia riuscivano a resistere alla sete di sangue come se fosse una cosa normalissima, o da vampiri già cresciuti.
Io, i primi quindici anni dopo la mia trasformazione, avevo fatto molta fatica a contenermi, e anzi troppe volte avevo ucciso contro la mia volontà, e anche Jasper aveva dei problemi, che andavano avanti ancora in quel momento, anche se erano più contenuti e meno drammaticamente persistenti.
E in quel momento, sentii i suoi denti affondare nelle mie labbra, probabilmente in un gesto involontario, e la cosa mi fece strizzare gli occhi dal dolore, e mi staccai immediatamente da lui, massaggiandomi con le dita il labbro dolente. Lui spalancò gli occhi e allungò le mani verso di me, per capire se stessi bene o no.
- Scusami tesoro, davvero... Ti fa tanto male? - Sorrisi appena, tranquillizzandolo, infondo non era colpa sua e anzi, mi stavo quasi preoccupando del fatto che lui non avesse ancora fatto nulla per dimostrarmi che era un neonato, e non un vampiro millenario. Oltre agli occhi, dorati ma con ancora delle striature rosse che lo rendevano talmente affascinante da farmi perdere la testa ogni volta.
Eppure, in quel momento erano così neri che mi innestarono un moto di inquietudine, e subito aggrottai le sopracciglia, mentre il lieve taglio si rimarginava alla velocità della luce.
- Amore, ma tu... Emm, perchè non me lo hai detto? - Abbassò lo sguardo, fino ad arrivare ai suoi piedi, e non replicò. Così, gli sollevai il viso e mi misi sulle punte per poterlo guardare dritto nelle pupille, dilatate.
- Ne vuoi un po'? - Le sue iridi si accesero, e il suo corpo s'irrigidì appena, mentre io mi avviai velocemente verso il frigo, presi quattro o cinque sacche e gliele portai, osservando come le svuotava senza freni. Ne tenevo sempre una scorta, per le emergenze, e ovviamente era animale.
I suoi denti, ora perfettamente in mostra, erano affilati e sporchi di rosso, e la sua espressione beata, quella che avevo visto anche prima quando eravamo l'uno fra le braccia dell'altro, mi fece riscaldare dentro, sebbene fra le mani avesse ciò che ci rendeva dei mostri, degli assassini.
Mi avvicinai nuovamente a lui, gli posai una mano sulla guancia e lui, quasi con irruenza, mi baciò passionalmente e mi sporcò le labbra di sangue, che provvidi subito a ripulire aiutata anche da lui, stringendomi fra le sue braccia.
- Grazie piccola. - Gli sorrisi e mi ripresi le sacche, lanciandole dentro al cestino della pattumiera con una precisione che mi apparteneva da sempre, poi lo presi per mano e gliela strinsi dolcemente, ricambiata subito.
- Che ti va di fare ora? Dobbiamo concludere la nostra prima giornata insieme nel migliore dei modi! - Lo guardai e lui mi accarezzò i capelli dolcemente, con un sorriso stampato in faccia.
- Quello che vuoi tu, principessa, a me va bene tutto. - Avvolse un braccio attorno alle mie spalle e mi stampò un bacio sulla fronte.
- Possiamo fare una passeggiata insieme, qui attorno c'è una spiaggia bellissima e mi piacerebbe moltissimo andarci con te. - Scoppiò a ridere ed annuì, prendendo le chiavi di casa, una giacca inutile e sollevandomi, facendo ridere anche me.
- Emm ma che fai? - Mi aggrappai al suo collo e vi affondai il viso, lui chiuse la porta dietro di noi e si incamminò verso il sentiero che gli indicai.
- Voglio portartici così, permettimelo Rose. - La sua voce dolce raggiunse le mie orecchie, e se fossi stata umana sarei arrossita all'impazzata, era veramente tenero.
- Ma non ti peso, Emm? - La sua ennesima fragorosa risata si espanse in tutto il circondario, fra gli alberi maestosi e la notte ormai alta nel cielo.
- Tu? Pesarmi? Sei così leggera che ho paura di spezzarti solo sfiorandoti appena, tesoro! - Mi lasciai andare, quindi, fra le sue braccia, guardando davanti a me per indicargli la strada e, di sfuggita, osservavo il suo viso, rilassato e sereno, che mi trasmetteva una gioia interiore tale da farmi gongolare ad ogni suo passo.
- Però dobbiamo farla pagare a quegli infami che consideriamo famiglia, Emm... Non credi anche tu? - Lui sorrise divertito e mi strinse dolcemente, poi scosse la testa.
- Se non ci avessero lasciati soli, probabilmente saremmo ancora ad insultarci e a soffrire, e io non saprei che tu, la donna a cui penso da tempo ormai, provi qualcosa per me. - Mi sporsi e lo baciai dolcemente sulle labbra, approfondendo il bacio e costringendolo a fermarsi per un istante.
- Sì, hai ragione anche tu... Però voglio farli restare col fiato sospeso almeno per un po'. - Appena pronunciai quelle parole, il telefono nella tasca posteriore dei miei pantaloni vibrò, facendomi spalancare gli occhi, quindi lo afferrai, e risposi alla chiamata di Edward.
- Ciao Ed... Com'è andata dici? Beh, fatti solo dire che appena ti prendo ti faccio passare la voglia di farmi un altro scherzo del genere, e come a te lo farò anche a tutti gli altri! Come hai potuto lasciarmi da sola in casa con quell'idiota? - Feci l'occhiolino a Emmett, che subito comprese e rimase in silenzio ad ascoltarmi.
- Per il mio bene? Avresti dovuto tenerlo lontano da me almeno un miglio, se avessi voluto il meglio per me! Lo sai, non lo sopporto e lui non può vedermi, davvero credevate tutti quanti che fra noi due ci fosse qualcosa? No ma dico, ti pare possibile? - Mentre dicevo quello, stringevo sempre più la presa su Emmett, che mi sorrideva, apprezzando probabilmente il mio modo impeccabile di recitare, e continuai.
- No Edward, sai perfettamente che ciò che penso non conta! Se io pensassi continuamente a te tutto il giorno, cosa significherebbe? Che ti amo? No, direi proprio di no, testa di legno! Sì, va bene, pur di allontanarmi da questo energumeno mononeurone vi raggiungo anche a casa dei lupi... - Chiusi la chiamata, e subito guardai il ragazzo meraviglioso che mi teneva fra le braccia dispiaciuta.
- Scusa se ho detto così, non sarei risultata credibile altrimenti. - Scosse la testa ridacchiando, appoggiandomi contro un albero e baciandomi nuovamente, io feci scontrare i nostri bacini, potendo sentire perfettamente il mio effetto su di lui, e ci staccammo pochi minuti dopo, presi da un moto d'esultanza improvviso.
- Quindi dobbiamo andare da Jacob? - Le sue labbra, sul mio collo, solleticarono la mia pelle gelida, e la mia schiena fu percorsa da un brivido.
- Ebbene sì, mi chiedo come facciano a puzzare così tanto... - La mia smorfia di disgusto lo divertì, e un mio colpetto contro il petto ancora di più.
- Dobbiamo dividerci prima di arrivare lì allora, o ci beccheranno in flagrante. - Mi afferrò per mano e ricominciammo a camminare, lo guardai ed annuii.
- Io entro dalla porta per prima, tu fatti un giro nei dintorni e mi raccomando, bevi ancora qualcosa, mi sembri ancora abbastanza assetato... - Giocherellai con una ciocca di capelli nella coda con le dita libere, mentre sul suo viso un sorriso raggiante fece capolino.
- Amore, non preoccuparti troppo, cercherò di prendere qualcosa... Ma dovrò farlo prima di superare il confine, che è esattamente lì. - Indicammo a tempo la linea immaginaria che segnava il territorio dei Cullen, ovvero il nostro, e quello dei Quileute.
- Poi fingerai di entrare quasi per sbaglio, come se stessi cercando un posto in cui non mi avresti trovata di sicuro... - I rami degli alberi mi sfioravano le braccia e le solleticavano, ma non vi diedi peso.
- E ti troverò lì, a fissarmi incredula per qualche secondo, per lasciarli in attesa e in ansia... - Si bloccò di colpo, fiutando l'aria attorno a noi, e con lo sguardo improvvisamente nero si avventò su un cervo incauto che, a dispetto di tutti, si aggirava nei dintorni brucando le foglioline da terra.
E pochi istanti dopo, la carcassa dell'animale prosciugata ricadde rovinosamente a terra, con un tonfo sordo, dalle mani di Emmett. In pochi passi fui di fronte a lui, aveva le labbra sporche e ansimava, mentre lo sguardo acceso era immerso nel mio, calmo e sereno.
Le sue dita tremavano appena, e io le presi fra le mie aggrottando le sopracciglia e avvicinandolo a me.
- Che cosa succede, Emm? - Lui strinse la presa sulle mie dita e sospirò a lungo, come sconsolato.
- Ho sbagliato tutto, sono un idiota. Avevi ragione prima, avrei dovuto riflettere prima di... - Che cosa stava farneticando? Era per caso impazzito? Gli sorrisi e ripresi a camminare, superando il cervo morto, tenendolo per mano e cercando di infondergli allegria.
- Prima di lasciarti andare al tuo istinto di sopravvivenza? Tu da umano prima di addentare ogni boccone a tavola stavi lì a riflettere se era giusto o no, o mangiavi senza problemi? Non hai sbagliato assolutamente niente Emm, anzi sei stato davvero bravissimo in questi giorni a resistere al sangue umano, magari eri incentrato sulla nostra situazione, questo non lo so, ma io e Jasper per i primi anni abbiamo vissuto lontani dalla società, per evitare stragi di innocenti, anche se a volte ci capitava di uccidere qualcuno. - Avevamo attraversato da qualche metro la linea di confine, e da lì ci sarebbe stato impossibile cacciare altro, quindi continuammo in silenzio a camminare e a guardarci teneramente, mano nella mano.
Arrivati vicino alla casa dei lupi, ci dividemmo dopo aver chiarito un paio di punti del nostro piano, e mi avviai da sola verso la porta d'ingresso, dopo che lui si fu allontanato di qualche metro da me.
Bussai pesantemente, fingendo l'espressione arrabbiata migliore che potessi fare, e attesi che qualcuno venisse ad aprire.
Quando mi ritrovai davanti Paul, appena sorpreso di vedermi, riuscii a scansarlo ed entrai, a passo svelto e deciso.
Edward era seduto in salotto, la sua faccia disgustata e la sua avversione a stare lì erano tali da farmi venire una voglia matta di ridere, ma non lo feci, e anzi mi finsi davvero incavolata.
- Come hai potuto farlo Edward? Pensavo di potermi fidare di te! Accidenti, ci conosciamo da non so quanti anni, abbiamo vissuto assieme come fratello e sorella, e ancora non capisci quando è il momento di scherzare o quando è quello di aiutarmi? - Il suo sguardo si spense, mentre Bella si sedette in braccio a lui e si rannicchiò contro il suo petto.
- Rose, noi pensavamo che voi due aveste bisogno di rimanere soli per parlare, in realtà. - Sbuffai, ero veramente sorpresa della mia capacità di mentire!, e mi sedetti a gambe accavallate accanto a Seth, che stava guardando la scena quasi divertito.
Non replicai, pensavo che avesse capito, e infatti sviò il discorso su argomenti futili che non mi interessavano affatto.
- Rose, potresti venire con me un attimo, per favore? - Bella si alzò e si diresse verso il corridoio, da dove proveniva un odore diverso da quello dei lupi.
La seguii, e quando arrivammo nella camera da letto dei padroni di casa, trovai una donna, sulla sedia accanto all'armadio, con una stecca bianca in mano, e la fissava con un sorrisino stampato in volto, sfregiato da una lunga cicatrice.
- Allora, è come penso io? - Bella le si avvicinò e lei, dopo un attimo di esitazione, le gettò le braccia al collo e la strinse forte, facendo ridere entrambe. Io rimasi in disparte, osservandole sorridendo.

- Sono di cinque settimane, sai? - Si alzò e corse fuori dalla stanza, verso il salotto. Il mio viso si adombrò per un istante, e non sfuggì allo sguardo attento di Bella.
- Ehi, qualcosa non va? - Si avvicinò a me e appoggiò una mano sulla mia spalla, mentre io alzai il viso verso di lei e feci un sorriso tirato.
- No, no. Tutto a posto, tranquilla. - Le feci cenno di raggiungere gli altri, e rimasi ancora qualche minuto in quella stanza, che rendeva il tutto ancora più opprimente.
Mi coprii il viso con le mani, dopo aver chiuso la porta dietro di me, e un singhiozzo uscì dalla mia bocca, facendomi tremare appena. No, non avrei più pianto.




Bella


Il nostro piano era andato in fumo, accidenti! Rosalie ed Emmett non avevano chiarito, anzi forse le cose erano ancora peggiorate da prima. E allora, cosa avremmo dovuto escogitare? Quando Edward chiuse la chiamata, mi guardò sconsolato, e io lo presi fra le braccia stringendolo dolcemente contro il mio petto.
- Non preoccuparti Ed, riuscirò a far capire ai due testoni che devono smetterla di fare così, sono abbastanza tosta anche io sai? E conosco mio fratello, so perfettamente cos'ha in mente. Quasi sempre, d'accordo. - La sua occhiataccia mi fece scoppiare a ridere, e Jacob mi guardò stranito, seguito a ruota da tutti gli altri.
Non feci in tempo a replicare, che qualcuno bussò alla porta, e la biondona, parecchio incavolata, raggiunse Edward, accanto a me, e cominciò ad inveirgli contro.
Allora mi alzai e mi sedetti in braccio a lui e mi rannicchiai, cercando di fargli capire che non era colpa nostra, e che in realtà lo avevamo fatto per loro, e basta.
Dopo qualche minuto, però, mi ricordai di Emily. Accidenti, mi stava aspettando in camera sua! Quindi mi alzai per l'ennesima volta, poi mi diressi verso il corridoio.
- Rose, potresti venire con me un attimo, per favore? - Camminai lentamente verso la camera da letto dei padroni di casa, dove sapevo di trovare Emily.
Rose mi stava seguendo, la percepivo dietro di me, e quando finalmente entrai nella stanza, vidi Emily con il test in mano, e un sorrisino che mi fece intuire subito.
- Allora, è come penso io? - Mi avvicinai a lei, e un attimo dopo le sue braccia furono attorno al mio collo, sentendola stringerle. Scoppiammo a ridere entrambe, io per la sua reazione, lei per la gioia, probabilmente.
- Sono di cinque settimane, sai? - Non riuscii a replicare, perchè lei già era fuori dalla stanza, e si stava dirigendo verso il salotto, dagli altri.
Appena mi girai verso la porta, notai che Rosalie, in disparte, aveva un'espressione adombrata sul volto, come se quello che era appena successo l'avesse intristita improvvisamente.
- Ehi, qualcosa non va? - Accennai, posandole delicatamente una mano sulla spalla. A volte quella ragazza mi dava delle preoccupazioni, un attimo prima era allegra e spensierata, un attimo dopo era furiosa e vendicatrice, quello dopo ancora era triste e sconsolata. Certo, era molto strana, ma le volevo bene anche per quello, infondo.
Mi sorrise appena, e capii subito che mi avrebbe mentito.
- No, no. Tutto a posto, tranquilla. - Mi fece cenno di raggiungere gli altri, e sebbene non avessi avuto la minima voglia di lasciarla sola in quella stanza, feci finta di nulla e tornai in soggiorno, dove tutti erano stretti attorno ad Emily, compresi i bambini, che aveva appena annunciato la notizia. Tutti, tranne Edward e Sam, che ancora doveva rincasare.
- Ehi, Ed. - Lo raggiunsi immediatamente, accoccolandomi fra le sue braccia.
- Hai sentito? Emily aspetta un bambino, non sei contento per lei? - Lui alzò le spalle, sorridendomi dolcemente.
- Sinceramente? Sì, ma non più di tanto. Insomma, che cos'è lei per me? - Rimasi a pensarci un attimo, ed effettivamente era così; suvvia, io ero felice per lei perchè da come me ne aveva sempre parlato Jake, sia a me che ad Alice in realtà, mi sembrava una ragazza gentile e disponibile con tutti, e poi una gravidanza era sempre cosa positiva, in ogni caso.
Quando tutti noi, nella stanza, sentimmo una chiave nella serratura, e un attimo dopo vedemmo arrivare Sam tutto trafelato e, a giudicare dai gesti innaturali e nervosi, ansioso di sapere, capimmo che era quasi giunto il momento di tornare a casa. Almeno, per noi vampiri era così; infondo non avevamo risolto praticamente nulla, sempre che quello che ci aveva detto Rosalie era verità.
- Allora, che succede? - Sam, dal canto suo, quasi non fece caso a noi due, ancora seduti sul suo divano, e raggiunse immediatamente la moglie.
- Sam, sei pronto? Bene. Ecco, vedi... Sono incinta, tesoro. - Il lungo bacio che si scambiarono fu così tenero che per poco i miei occhi non divennero lucidi, facendomi quindi stringere ancora di più ad Edward, che imitò alla perfezione l'alfa dei licantropi, sorprendendomi.
La porta era aperta, e da lontano riuscii a scorgere Emmett, mio fratello, arrivare con le mani in tasca, lo sguardo perso nel vuoto e la bocca contorta in una smorfia, che pareva rabbia, come dolore.
Attendemmo, dunque, che anche lui ci raggiungesse, e appena si richiuse la porta dietro, lo guardai in attesa che parlasse.
- Bella, lei è qui? - Non fece caso a Jacob, che gli si era avvicinato scrupoloso, o a tutti gli altri che lo squadravano disgustati, nè fece caso ad Edward che cercava assiduamente di leggere i suoi pensieri, non molto positivi se si osservava attentamente l'espressione di quest'ultimo.
- Sì, Emmett, ma vuole rimanere sola. Non so cosa le sia preso. Lasciala in pace, è meglio così. - Edward mi diede man forte annuendo convinto, e lui, con un'espressione confusa, si sedette accanto a noi, in attesa.
- Sei sicura, Bella? - Continuava a rivolgere lo sguardo verso il corridoio, sentiva che lei era di là, ne ero più che certa, ma non gli risposi, semplicemente posai una mano sul suo braccio e lo costrinsi a guardare me, sorridendogli dolcemente.
- Possibile, dovete sempre finire così voi due? - Gli sussurrai, facendo ben attenzione a non farmi sentire dai lupi.
- Bella, non cominciare. Non so cosa ti abbia detto lei, ma non iniziare con le tue solite lavate di testa, non ne ho la minima voglia. - Feci per replicare, ma il suono del telefono rimbombò nella stanza, fattasi improvvisamente silenziosa. Strano, eppure fino a un attimo prima erano tutti in subbuglio per la notizia di Emily e l'arrivo di mio fratello...
Rispose Jacob, ormai era di casa lì, e un attimo dopo, incerto sul da farsi, mi guardò e allungò una mano verso di me.
- Bella, è per te. - Aggrottai la fronte, com'era possibile? Di solito chi mi voleva, mi cercava sul cellulare, o a casa mia. Non riuscivo a darmi una spiegazione, ma dopo che Jake scrollò la cornetta davanti alla mia faccia per la terza volta, la afferrai e la portai all'orecchio.
E in un momento, mi ritrovai come catapultata in un altro posto, come in un sogno. O in un incubo.
Tutto d'un tratto, ero finita nella vecchia casa in cui vivevamo tempi addietro, prima di conoscere la famiglia Cullen e di diventare immortali, vampiri. 
Ma c'era qualcosa di diverso, come se il tempo si fosse fermato e avesse voluto farmi rivivere un momento passato, con la mia famiglia.
Ero sola in casa, Alice ed Emmett erano in palestra mentre la mamma era uscita una mezz'ora per andare a fare la spesa e incontrarsi con Louisa, una sua conoscente con cui aveva sempre qualcosa da dire, e mi aveva raccomandata, prima di andare, di non aprire la porta a nessuno, e di rispondere al telefono dicendo che lei era sotto alla doccia, e che al momento non era disponibile. Mi ricordavo tutto, era la prima volta che rimanevo in casa da sola, e volevo assolutamente far capire ai miei genitori che di me si potevano fidare, perchè ero una bambina brava, diligente e soprattutto coscienziosa.
Ma ad un tratto, poco dopo aver posato i libri di scuola sul tavolo della cucina per farli poi controllare alla mamma al suo ritorno e dopo aver acceso la televisione, intenta a guardare i cartoni animati, sentii suonare il telefono. Andai a rispondere, ricordandomi prima della risposta che dovevo dare.
- Pronto, casa Swan? - Il nostro cognome era quello, nostro padre era il capofamiglia e quindi tutti noi, escludendo i due della mamma, avevamo quel nominativo, all'anagrafe.
- Pronto, chi parla? - La mia vocina, delicata e da bambina ancora in piena infanzia, risuonò appena agitata, era la prima telefonata da 'grande', dovevo fare bella figura!
- Sono la signorina Gileson, la chiamo dall'ospedale. Signora, suo marito ha avuto un incidente, ed è ricoverato qui, non sappiamo se riuscirà a cavarsela o meno. - Il mio cuoricino, in quel momento, subì un lieve tonfo, eppure io non riuscii a capire, esattamente, quelle parole. Era uno scherzo? La mia prima telefonata, e qualcuno già pensava di potermi dire cose cattive per farmi sbagliare?
- La mamma è sotto la doccia al momento, non può rispondere. - Dall'altro capo del telefono, riuscii ad udire un forte sospiro, e mi bloccai. E se la donna avesse continuato a fare domande, cosa avrei dovuto risponderle?
- Piccola, ascoltami. Devi dire alla tua mamma che il tuo papà, Charlie, si è fatto male e ora è qui, all'ospedale, dove i medici gli stanno dando le cure necessarie, ma lei deve raggiungerlo, non può rimanere da solo. Hai capito, tesoro? - Per fortuna, in quel momento, la porta d'ingresso si aprì, e quando vidi spuntare la mamma carica di borse della spesa dissi, alla voce metallica del telefono, di attendere un attimo; raggiunsi mia madre, prendendo la borsa più leggera e posandola sul tavolo, poi la informai della telefonata in corso, e lei si fiondò a rispondere.
Qualche minuto dopo, eppure, era in lacrime, attaccata al filo del telefono che attorcigliò intorno al suo indice destro, singhiozzando appena. Non capivo, perchè non la smettevano con quelle sciocchezze? Il mio papà era al lavoro, come avrebbe potuto farsi male? Non era al parco, nemmeno in strada o a giocare con la palla insieme agli altri, non era in bicicletta, come avrebbe potuto ferirsi? Eppure, pochi attimi dopo la mamma mi afferrò malamente per mano, trascinandomi fuori verso la macchina, e dopo aver messo in moto partì a razzo, mettendomi paura e facendomi scoppiare a piangere. - Mamma, mammina, perchè corri? Cosa succede, dove stiamo andando mammina? - La mia vocina, rotta ormai dalle lacrime, non la toccò minimamente, il suo sguardo sconvolto era fisso sulla strada, che sembrava non finire più. La palestra, in cui Alice frequentava un corso di danza ed Emmett uno di ginnastica, era sempre più vicina, e quando finalmente compresi che saremmo andati a recuperarli, le lacrime scomparvero e spuntò un sorriso, sulle mie labbra. La mamma scese di corsa dalla macchina, portando via le chiavi e chiudendomi dentro, e quando tornò per mano con Alice ed Emmett, li caricò nei sedili posteriori senza fiatare, con gesti nevrotici e ansiosi, le mani tremanti e gli occhi sbarrati.
Partimmo un'altra volta, con tappa l'ospedale principale della città. Percorremmo tutti i reparti, correvamo senza che né io, né i miei fratelli potessimo comprenderne il perchè, e quando finalmente raggiungemmo una sala bianca, con una luce tremolante che la illuminava malamente, la mamma ci lasciò fra le mani di un paio di infermiere che, spuntate da una porta con l'apertura automatica, ci trattennero per un paio di ore, facendoci giocare e distrarre da ciò che avremmo scoperto solo il giorno dopo, noi.
- Papà è in cielo, ora, bambini miei, ma non preoccupatevi, lui rimarrà nei nostri cuori, vi proteggerà dall'alto e resterà accanto a noi per sempre, come un angelo custode. - Allora non comprendevo il perchè lui se ne fosse andato, né perchè non volesse tornare da noi, che impazienti lo attendevamo per giocare nella cameretta come tutte le sere, prima di cena, e sempre più delusi non lo vedevamo arrivare, carico di quella gioia che illuminava la famiglia felice che eravamo, e che non saremmo stati mai più.
Mi ripresi, da quel momento di confusione mentale, e quando mi ritrovai a casa Uley, circondata da sguardi preoccupati e dalle mani di Edward, appoggiate appena sulle mie spalle, per poco non scoppiai a piangere.
Al telefono, un lungo BIP mi annunciava che la linea, caduta, staccata o mai arrivata non era più collegata a quel telefono, e quando appoggiai la cornetta al suo posto chiusi gli occhi un'altra volta, trattenendo le lacrime che non sarebbero comunque potute scendere, e mi allontanai da tutti, venendo però fermata da Emmett, preoccupato come non mai.
- Bells, che succede? - Il suo sguardo, apprensivo, scavò un solco invisibile nel mio, nel tentativo di estorcere informazioni, ma scossi la testa e mi allontanai, abbassando gli occhi.
- Niente, niente. - Corsi verso la camera in cui Rose, da minuti ormai, era chiusa e, ansimando vistosamente una volta arrivataci, appoggiai la porta allo stipite, non chiudendola del tutto.
Rosalie, fissandomi stranita, mi si avvicinò e, senza dire nulla, mi abbracciò forte, affondando la testa nel mio collo e permettendomi di fare lo stesso con lei. Le avrei raccontato tutto?







Angolino autrice: bene, carissimi lettori! Finalmente sono riuscita a concludere questo capitolo, e ancora mi scusa per l'enorme ritardo. Spero che vi sia piaciuto, se è così lasciate una recensione per dirmi cosa ne pensate, altrimenti lasciate perdere ^^ A presto, un bacione, Alba97.





 


   
 
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