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Autore: Blackrose_96    04/01/2013    2 recensioni
Ero stanco di quella notte, ero stanco di quella vita. Ero stufo di quel mondo di pupazzi, di finte maschere fatte di ombretti e fondotinta. Non sapevo cosa volevo, mentre guardavo la luna. Forse cercavo delle inutili, inarrivabili risposte in quel volto candido e paffuto, risposte che avrei potuto trovare solo in me stesso. Ma in fondo risposte a cosa, piccola Sari? Forse alla nostra esistenza suggellata dal tempo, governata immancabilmente dal suo continuo scorrere. Forse. Ma in realtà sapevo di cercare altro. Ma come si possono trovare delle risposte, se non si determinano delle domande? Se non si sa cosa ci rende felici, come potremmo mai esserlo davvero? Io non lo sapevo, non lo sapevo ancora e mi perdevo fra quella miriade di congetture.
Solo, a guardare la luna, con la puzza di alcol e smog nelle narici, mentre le macchine mi sfrecciavano accanto.
Ed ecco che lo sentii, un canto di sirena.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Souls

 
 

A quell’ora le strade turbinavano in un vortice di ineluttabile squallore. Così me le ricorderò sempre: con la puzza di alcol e smog nelle narici. Anche quella sera le vie erano così. Sembrava che tutto fosse normale, monotono, immutato nel suo continuo mutare, mio piccolo angelo. Avanzavo senza meta, l’asfalto ruvido sotto le suole, le mani affondate nelle tasche. Avanzavo così su quelle strade tristi, grigie; ogni tanto i fari di una macchina in corsa le illuminava. Mi sfrecciavano accanto, come schegge incandescenti, pronte a schiantarsi alla prima curva.
Non sapevo come fossi finito lì. Come tutti i giorni avevo cominciato a correre, poi a camminare, infine a pensare, avvolto dal grigiore. Angelo mio, non posso ancora credere che quella sera avrebbe cambiato per sempre ciò che io chiamavo esistenza, quel limbo insensato fra la vita e la morte, quella danza sfrenata sopra mille rasoi. Raggiunsi la fine della via senza neanche accorgermene. Potevo continuare ancora verso la statale, una bocca nera e sdentata che pareva inghiottire ogni cosa. Invece mi fermai lì; lo sguardo basso, la testa persa.
~
La luce soffusa dei lampioni alti, sottili, baluginava incerta, una lucciola spenta in mezzo a un mare di nero.
Forse ti saresti chiesta a che stavo pensando: non lo ricordo nemmeno. Pensieri millenari divorati dal tempo, probabilmente. O forse pensavo semplicemente al nulla, alla sua incredibile somiglianza con quella strada.
A un tratto la mia attenzione fu attratta da due voci singhiozzanti, femminili, sguaiate. Ubriache di sé e del mondo; divise fra il piangere e il ridere. Loro sarebbero andate bene. Perché, sai, le proprie prospettive, dopo secoli, finiscono per atrofizzarsi, rattrappirsi nell’ombra cupa dell’imperfezione. Non avere limiti di tempo, poter raggiungere il massimo senza pressioni. Non ti sembra triste, Sari? Avere tutto il tempo del mondo, l’intero universo nei propri palmi, e lasciare tutto a naufragare derelitto nel mare del l’”ho già fatto”, del “potrò farlo in seguito”.
Mi avvicinai di più a quelle gambe scheletriche, a quelle labbra gonfie di silicone e rossetto, provando una certa repulsione. Ma infondo quello era solo sangue, niente di più; un ammasso di carne inutile che puzzava di nicotina.
-Ehi, guarda un po’ chi c’è! – disse una, dalla voce gracchiante, roca di fumo.
-Eh … che bel ragazzo! Mi piacciono i suoi capelli lunghi …
-Dai, se vuoi ti facciamo un prezzo speciale!
~
La seconda rise, mentre la prima mi prese un ciuffo di capelli fra le dita anoressiche, mostrando un sorriso sdentato, come lo sbocco della statale. Mi ritirai, schifato da loro, dal loro puzzo d’alcol, dal puzzo delle loro anime.
 Scrollai le spalle nel sentire i singhiozzi aritmici dei loro cuori vecchi, vecchi di stracci e di pene, stanchi di continuare a pulsare, stanchi di continuare a sopravvivere a un nuovo giorno. E loro ancora ridevano. Ridevano per non piangere, pensai.
Vittime di un destino crudele, di una vita senza sbocchi e opportunità, vendendosi per un pezzo di pane.
Feci scivolare l’impermeabile a terra con un tonfo sordo. I loro volti si impietrirono trasecolati, terrorizzati. Volti di gesso, occhi di vetro, assemblati come bambole di plastica di un’industria asiatica illegale.
Cominciai con quella di destra, quella con la voce da corvo e gli occhi spiritati. Le spezzai il collo con un crack secco, inclemente. Il riverbero di quella paura opprimente, di quelle ossa malate, penetrò l’asfalto, esplorò le fogne, risalì le grondaie fino a raggiungere i tetti. Un respiro soffocato, l’ultimo, come il sibilo del gas. Affondai i canini e bevvi.
Tutto, fino all’ultima goccia.
Non mi piaceva quel sangue sporco, dal sapore sgradevole. Sapeva di tutti i rancori che aveva sopportato. Aveva lo stesso gusto del suo spirito suicida, rinsecchito, come erba al sole, dalla solitudine, dalla depressione. Amaro come il veleno che fumava, che beveva.
L’altra mi guardava, allibita, in un’espressione da bambola di pezza. Mi irritavano quegli occhi lucidi di niente, quelle mani strette intorno a una giacca di pelle fucsia, cafona nel suo taglio da cowgirl. Puntai i miei occhi contro quel volto indelicato, quei capelli ridicolmente tinti. Era grottesca, proprio come i burattini che si vedono alle feste dei bambini, dalle facce sproporzionate, dai vestiti ridicoli.
Rimanemmo così per qualche secondo, fermi nei nostri esseri. Mi piaceva vedere la paura, Sari, mi piaceva sentirla schioccare nel palato delle mie vittime, sentirla vibrare dentro le loro gambe.
~
Fu un attimo. Appena il tacco dei suoi stivali schioccò contro il marciapiede. Un secondo, le fui addosso. Le piegai il collo all’indietro, senza provocare nessuna rottura. Volevo sentire i suoi urli raschiarmi i timpani, le sue unghie laccate tentare di scorticarmi il viso, strapparmi i capelli, allontanare la mia bocca dal suo lurido collo. Ti sembrerà strano, piccola Sari, ma quando si vive tanto, quando ci si sente immuni da tutto, si cerca di farlo risuonare nell’aria del mondo; si vuole affermare la propria superiorità fisica e mentale con le grida calde e sanguigne delle proprie prede, acute come cocci di vetro.
Le sue gambe magre scalciavano, prive di forza, imbozzolate nelle calze di nylon nere, strappate all’ altezza del ginocchio. Sforzi inutili di un topo che prova a sfuggire dal becco del falco.
~
Non fu una lunga operazione, men che meno soddisfacente. Ma mi piacevano quelle urla infrangere il silenzio di una strada vuota. La sua pochette a tracolla, di paillettes fucsia, ondeggiava ritmicamente al suo fianco. Avanti e indietro, avanti e indietro, faceva, con la stessa cadenza di un orologio a pendolo. E come un mattone che fuoriusciva dal muro di un vecchio condominio, come una scala antincendio arrugginita che puzzava di urina, loro adesso facevano parte di quel tugurio misero, tanto simile a loro. Abbandonai, incurante, i loro cadaveri in un vicolo, come vecchi mobili infestati dalle tarme. Come sempre presi i loro documenti e me ne liberai: era una precauzione inutile, perché molto spesso le prostitute non hanno il passaporto; ma a me piaceva leggere i nomi su quelle schede rosate, false o vere che fossero, e confrontare il loro vero volto con quello esangue che mi trovavo davanti.
Un gioco raccapricciante da piccolo diavolo, sorridente con quei canini sporgenti. Eppure quando ti ho raccontato tutto questo non hai pianto, non sei scappata, non hai provato terrore o disgusto, piccola Sari. Mi hai guardato sempre con quegli occhi troppo lucidi, indecifrabili, le pupille confuse nelle iridi castane. Non mi hai mai giudicato, hai solo annuito, come facevi quando non sapevi cosa dire. Come hai fatto l’ultima volta che i nostri sguardi si sono sfiorati e le nostre mani si sono allontanate per sempre dal tuo corpo.
~
Mi fermai poco lontano. Ero stanco di quella notte, ero stanco di quella vita. Ero stufo di quel mondo di pupazzi, di finte maschere fatte di ombretti e fondotinta. Non sapevo cosa volevo, mentre guardavo la luna. Forse cercavo delle inutili, inarrivabili risposte in quel volto candido e paffuto, risposte che avrei potuto trovare solo in me stesso. Ma in fondo risposte a cosa, piccola Sari? Forse alla nostra esistenza suggellata dal tempo, governata immancabilmente dal suo continuo scorrere. Forse. Ma in realtà sapevo di cercare altro. Ma come si possono trovare delle risposte, se non si determinano delle domande? Se non si sa cosa ci rende felici, come potremmo mai esserlo davvero? Io non lo sapevo, non lo sapevo ancora e mi perdevo fra quella miriade di congetture.
Solo, a guardare la luna, con la puzza di alcol e smog nelle narici, mentre le macchine mi sfrecciavano accanto.
Ed ecco che lo sentii, un canto di sirena.

   
 
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