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Autore: _Kiiko Kyah    04/01/2013    7 recensioni
[Questa fan fiction partecipa al contest “Feelings” indetto da Iris44 e Flock]
- So che è presto, lasciatemi perdere, sono una tipa frettolosa, io. -
Una Atsuya*Afuro un po' OOC, giusto un filino, credo.
Perché questa coppia mi ispira tanta ... non fluffosità, né malinconia ... diciamo un misto.
Atsuya, il gemello "cattivo", e Aphrodi, l'arrogante sensibile. Almeno, così è come li vedo io.
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Afuro Terumi/Byron Love, Hayden Frost/Atsuya Fubuki
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Kya_
Titolo: Petali rosa
Pairing: Atsuya*Afuro
Rating: Verde
Prompt [Il sentimento su cui si basa la fic]: Compassione
Note: Puonciorno (?) miei kari (?)  e penvenuti (?) in questa one-shot.
Sto esplorando le pairing dell’anime, e questo concorso capita a fagiolo per il carissimo Afuro (?) e il meno caro Atsuya (?).
Non aspettatevi opere d’arte, dico sul serio, darò solo sfogo al grande amore che mi suscitano questi due personaggi ... “spinosi” -sì, esatto, sono qui con l’intento di farmi trapassare da parte a parte con il coltello del pane-.
Il mio caro amico Word (?) ha detto che le parole sono 1656.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei ... sei punti interrogativi. Sto sclerando seriamente.
 
 
Petali rosa
 
Gli occhi vermigli di Afuro rotearono senza lasciare nemmeno che il loro proprietario se ne accorgesse.
Il ragazzo sospirò e diresse il suo sguardo verso il cielo, piegando la nuca all’indietro: le nuvole erano rade e rosate, sembravano proprio lo stesso zucchero filato che si vende nei Luna Park.
Si chiese perché a quell’ora, in quella particolare stagione, ogni cosa fosse dannatamente rosa. Si voltò verso il sole, e vide che anch’esso stava prendendo quelle sfumature rossastre, chiare e tendenti al salmone.
Rosa.
Sbuffò irritato mentre abbassava la nuca per fissare il terreno marroncino e ricominciò a camminare, chiedendosi perché si era fermato. No, non lo sapeva, più cercava una risposta e meno riusciva a vederne una sensata.
Continuò a muovere i suoi passi, ma nuovamente, per la seconda volta, sentì l’assurdo impulso di frenare il suo movimento e restare immobile, lì, a non far niente.
Cosa gli stava succedendo?
Cosa stava cercando di dirgli il suo stupido sistema nervoso, manipolato dal suo stupido subconscio?
Gli fu impossibile impedire di guardare ancora verso l’alto, osservare quelle spumeggianti nuvolette che sembravano così allegre, alla faccia sua che quel giorno era tutto fuorché felice; socchiuse gli occhi e rivolse un gelido sguardo assassino ad una delle pecorelle rosa salmone che volavano lassù e lo deridevano.
Ebbe un conato di vomito.
Si stava riducendo a maledire una nuvola, un ammasso incorporeo di stupidissima acqua evaporata. E perché, poi?
Perché era dannatamente, odiosamente, stupendamente rosa.
 
Quel giorno, Afuro aveva subito capito che non sarebbe stata una bella giornata. Per questo, non aveva fatto grandi progetti. Aveva semplicemente indossata un t-shirt acquamarina e dei pantaloni grigi ed era uscito di casa molto di malavoglia.
Però aveva promesso a Shirou di tenere occupato Atsuya, quel giorno, e Afuro Terumi non rinnegava mai una promessa – quantomeno non quelle fatte al più dolce dei gemelli Fubuki, questo veramente mai.
Ovviamente aveva dovuto omettere quell’informazione quando aveva chiesto al rosa di uscire insieme, e ovviamente l’albino gli aveva chiesto di non nominarlo un secondo prima che Atsuya aprisse la porta di casa, il che gli aveva fatto fare la figura del fesso, perché lì per lì non aveva idea di cosa inventarsi.
E quel buzzurro di Fubuki aveva accettato. Perché non gli aveva sbattuto la porta in faccia? Beh, facile: perché aveva provato una stupidissima compassione per il biondo.
O almeno, così aveva detto.
In realtà, Atsuya si era dimostrato un losco approfittatore; si era fatto portare ovunque! Prima al cinema, a vedere un orribile film d’azione durante il quale il povero stomaco dell’”accompagnatore” era stato messo a dura prova più e più volte, dopodiché ad un astruso parco dei divertimenti dove il povero Afuro aveva quasi perso un dito e metà della sua splendida chioma dorata nell’autoscontro, perché ovviamente il gemello cattivo di Shirou l’aveva preso pericolosamente di mira.
E poi, la ciliegina sulla torta, Terumi era stato letteralmente trascinato in una stupida giostra a tema acquatico, senza nemmeno avere la possibilità di cambiarsi e mettersi come minimo un costume da bagno come tutti gli altri. Risultato? Un ragazzo bagnato fradicio da capo a piedi e un demone dagli occhi blu e i capelli color salmone che se la rideva come se stesse guardando un film comico.
E dopotutto, la scena era davvero comica ... per tutti, tranne che per la vittima.
Altro che compassione!
Era stato in quel momento, in quel preciso istante nel quale aveva visto Atsuya ridere, ringraziare sarcasticamente ed andarsene lasciandolo lì, con corpo e abiti bagnati, portafogli vuoto e mente piena di moniti assassini, che il giovane dagli occhi liquidi e purpurei aveva capito.
Aveva compreso finalmente il problema: Atsuya era un ragazzo privo di compassione.
Possedeva sì come tutti un cuore, tutti i suoi sentimenti erano perfettamente funzionanti: l’ilarità, la simpatia -quando gli serviva-, l’affetto, la rabbia, la sua prorompente meschinità, eccetera. Insomma, erano tutti lì.
Ciò nonostante, mancava uno dei più importanti.
Come poteva, quel pazzo di un teppista, sperare di ricevere affetto se non aveva nemmeno il buon cuore di preoccuparsi minimamente degli altri?
Ma in fondo, era questo che faceva di Atsuya il gemello malvagio, come non solo Afuro lo chiamava. L’insensibilità alla sofferenza altrui.
 
Il vento primaverile fece tremare l’ancora non del tutto asciutto Afuro, che si era arreso alla volontà delle sue gambe di restare fermo e si era seduto su una panchina.
Guardò tristemente il terreno. Già, proprio lui, Afuro Terumi, quello che non si interessava mai di nessuno, era terribilmente triste; perché lui, lui sì che possedeva la compassione, e si rendeva conto che era terribile come il suo per così dire amico non conosceva neanche la grandezza dei benefici che questo sentimento era in grado di comportare.
Persino la sua arroganza veniva sopita dalla pietà, e per questo si chiedeva come fosse possibile vivere senza.
Forse, la mediocrità di Fubuki era superiore ai difetti del biondo. Forse, appunto.
Un petalo, anzi più petali, trasportati dal vento, gli passarono davanti al viso dai lineamenti perfetti. Dal profumo si poteva dire fiori di ciliegio. Ed erano rosa. Uno di essi si posò delicatamente sul naso del biondo, facendolo starnutire delicatamente.
– Toh guarda, una principessa allergica ai fiori. – lo schernì una voce.
All’udire quella frase sorniona, Afuro sobbalzò, e aveva tutta l’intenzione di alzarsi e fuggire via di lì, senonché le mani del proprietario della voce coprirono i suoi occhi sanguigni attirandolo verso lo schienale di legno della panchina, eliminando inoltre la sua visuale.
Il biondo gemette seccato e afferrò saldamente le dita congelate del ragazzo che aveva dietro di sé.
– No, salmone, non sono allergico ai fiori, sono solo contrario al colore rosa! – esclamò contrariato.
Tutta la mestizia era sparita lasciando il posto alla rabbia per il deplorevole trattamento al quale era stato sottoposto.
Le mani si sollevarono dal suo volto, e con un balzo Atsuya superò la panchina e si sedette alla sinistra del suo amico, che in tutta risposta si spostò leggermente più a destra con lo scopo di allontanarsi il più possibile da lui, senza nemmeno rivolgergli uno sguardo.
– Che hai adesso, Raperonzolo?
Afuro strinse i pugni e socchiuse gli occhi, furente. Ma non doveva mostrarsi arrabbiato, o avrebbe fatto una figura orribile; d’altra parte, una persona come quel salmone -fritto lesso e affumicato- di Atsuya non poteva di certo comprendere la sua rabbia. Come fare a spiegare che era proprio quello il vero problema?
– Raperon—
– Non chiamarmi a quel modo. Io sono un maschio, cavolo! – sbottò irritato, interrompendolo. Scattò in piedi e si volto con lo sguardo che fremeva in direzione dell’ormai attonito Fubuki che lo fissava a sua volta con le labbra dischiuse dalla sorpresa.
Nonostante ciò, il rosa perse subito l’espressione seria e sogghignò sinceramente divertito, il che fece andare ancora più in bestia il ragazzo dalla chioma lunga e pettinata.
Perché, perché era capitato proprio a lui un pazzo del genere?
– Non ti eri mai arrabbiato per questo ... – commentò senza smettere di ridacchiare come uno scienziato pazzo in un film horror – Certo che mi fai un po’ pena.
Probabilmente il salmone non se ne rendeva conto, ma così contribuiva solo alla crescita dell’ira e all’imminente esplosione del lato iroso di Afuro.
Che razza di bugiardo. Non era forse consapevole anche lui di come la compassione non fosse un sentimento conosciuto?
Terumi sgranò gli occhi in preda ad una crisi di nervi, complice lo shock che si era diffuso con una rapidità impressionante dentro di lui.
No.
Non poteva esserne consapevole.
Era fin troppo evidente come la pietà non facesse parte del suo essere, non che lui non volesse: lui probabilmente non aveva idea di cosa gli altri erano in grado di vedere dentro di lui.
No, non era Atsuya a provare pena per il biondo; semmai era l’esatto contrario.
Un’immensa sensazione di compassione per quel bambinone vittima della meschinità nacque nel suo stomaco, e lentamente e drasticamente si espanse per tutto il corpo, fino a farlo tremare.
O erano i brividi provocati dal vento a fargli quasi battere i denti?
O forse, i petali gli avevano davvero irritato il sistema nervoso provocandogli una strana reazione allergica?
Magari era colpa di tutti e tre i possibili motivi, il tremito.
Bah, non che fosse veramente importante, dopotutto.
– Aphrodi, tutto bene? – domandò il rosa inclinando la testa da un lato.
– Te l’ho detto ... che sono contrario ... al colore rosa. – replicò a scatti l’altro, scrutando il terreno e riappoggiandosi alla panchina, con il petto rivolto verso lo schienale.
Tossì debolmente, e piegò le gambe per poter poggiare la fronte sul legno; sicuramente era antigenico, ma non gli interessava minimamente, alla fin fine.
– Sì, fai proprio pietà. – constatò quell’altro.
– Bugiardo! – gridò, stavolta ammutolendolo davvero. Pregò il suo buonsenso di limitarsi a lasciare libera solo quella parola e invece il suo carattere ebbe la meglio. – Se tu fossi in grado di provare pietà, mi avresti trattato meglio, oggi e sempre! E non solo me! Smettila di dire che ti faccio pena, perché ... perché tanto non ti credo.
Atsuya rimase in silenzio.
Ridusse gli occhi a due fessure, due minuscole fessure malinconiche, e lo squadrò mestamente.
 

Aveva ragione, certo, questo non lo potevo negare.
Effettivamente, non avevo mai realmente capito il significato delle parole pietà, compassione, pena.
Ma mi accontentavo di farle mie senza conoscerle bene, perché mi sentivo forte.
E lui probabilmente non fu il primo ad accorgersene.
Tuttavia, fu il primo a dirmelo, a parlarmene, a provare lui stesso una tale compassione nei miei riguardi per non poter più tacere questa mia terribile mancanza.
Forse è per questo che lo feci.
Sì, sarà stato per questo che quel giorno il mio corpo si mosse da solo, avanzando e lasciando posare le mie labbra sulle sue.
E, mentre il vento ci ricopriva di petali di fior di pesco, sentivo che il ragazzo davanti a me aveva lo stesso profumo.
Lui, che diceva di essere contrario al rosa ... beh, lui profumava come dei petali rosa.

-Fubuki Atsuya

  
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