Serie TV > Dr. House - Medical Division
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Autore: LucreziaPo    06/01/2013    3 recensioni
Questa storia inizia alcuni mesi dopo la fine dell'ottava stagione di House M.D. House e Wilson hanno deciso di lasciarsi tutto alle spalle, finché una cura non convince Wilson a partire...
Finirà per rendersi conto di ciò che ha sempre avuto dinanzi ai suoi occhi e che non ha mai avuto il coraggio di ammettere a sè stesso...
Ovviamente Hilson!
Spero vi piaccia!
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Greg House, James Wilson | Coppie: Greg House/James Wilson
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nel futuro
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Tremava follemente.

Si raggomitolò su un fianco, cercando di smettere di tremare e stringendosi nella coperta.

“H-Hou...”

“Sono qui.”

Wilson sentì il letto cigolare quando House si sedette porgendogli una borsa dell'acqua calda e coprendolo con un altro strato di plaid.

“Pessimo primo giorno.”sentenziò.

Wilson aveva trascorso tutta la giornata a fare da spola tra bagno e camera da letto e nell'ultima mezz'ora era stato scosso da violenti brividi.

Wilson sentì la sua mano sulla spalla, che la stringeva con forza.

House si sentiva uno schifo, come ogni volta che l'amico stava male.

Ma non poteva fare assolutamente nulla.

“N-non...a-anda...”

“Non vado da nessuna parte. Cerca di dormire.”


Si chinò sul water, tossendo e vomitando.

La cura stava facendo sentire i suoi effetti.

Dopo tre settimane di cicli s'era ritrovato a vomitare ed a non essere capace di alzarsi dal letto.

Gli spasmi muscolari s'erano fatti vivi e lui vide le sue mani tremare mentre si chinava di nuovo per vomitare.

Sapeva che House era fuori la porta, impotente.

Vedeva il suo sguardo incupirsi quando Wilson stava male e nonostante le sue battute e prese in giro, si capiva benissimo che si sentiva inutile.

La porta del bagno s'aprì ed House scivolò sul pavimento, spalle al muro, accanto a lui.

“E' parecchio pittoresco qui. Capisco il perché vieni sempre in bagno.”lo prese in giro, osservando le mattonelle azzurre e verdi della toilette.

Gli tese un asciugamano per asciugarsi le labbra.

Il volto di Wilson era pallido, tirato, i capelli arruffati e fradici di sudore, le profonde occhiaie.

Si lasciò cadere tremante accanto ad House.

Non s'era mai sentito così fragile.

“Credo che la serata al Diablo salti, questa sera.”mormorò, gli occhi chiusi.

“Ti ci posso sempre portare in carrozzella.”

“Scordatelo.”

Il Diablo era un locale che avevano scoperto grazie a Mirna, una bella infermiera che Wilson aveva conosciuto in terapia.

Era una sorta di ristorante internazionale, che faceva piatti di tutti i tipi ed House s'era messo in testa che voleva provare il messicano.

Wilson strinse le mani tra loro per bloccarne il tremito, ma non fece effetto.

House gli mostrò una siringa.

“Te l'ha data Johnson o l'hai sgraffignata?”

“Me l'ha data lui, amico di poca fede. Ha detto di somministrartela se il dolore è forte.”

Wilson scosse il capo.

Aveva l'emicrania e gli tremavano le mani, ma non stava male.

Era stato molto peggio di così.

“Sto bene. Non ne ho bisogno ora.”

House fece per fargli ugualmente la siringa.

“House...davvero. Sto bene. Sono stato peggio di così.”

House lo guardò per un lungo attimo e poi posò la siringa.

“Se vuoi andare al Diablo, vai. Io resterò qui a vedere la televisione. Se venissi vomiterei tutto.”

Wilson s'aggrappò barcollando al lavabo, prima che House l'afferrasse e lo sostenesse.

Lo pilotò verso il letto, dove Wilson crollò, esausto.

Sentiva le forze del suo corpo abbandonarlo e sentì a stento cosa stava dicendo House, prima di addormentarsi profondamente.


La cura fece sentire presto i suoi effetti, riducendo Wilson ad uno stato quasi catatonico, rendendolo incapace di alzarsi e reagire.

Quando la debolezza non l'aggrediva, lo faceva qualcos'altro.

Si ritrovò a vomitare così tanto da spingere il dr Johnson ad interrompere le cure, momentaneamente.

Il dolore lo coglieva in qualsiasi momento. Sentiva una morsa al petto che gli impediva di respirare, spingendolo ad urlare, le fitte di dolore al resto del corpo, come se mille lame lo stessero aggredendo.

L'umore divenne altalenante, spingendolo più volte al litigio con House.

Iniziò ad averne abbastanza del suo carattere, del suo modo di fare strafottente e delle sue battute.

House aveva tentato di stargli vicino, ma si sentiva impotente e fu spesso vittima delle sfuriate di Wilson che arrivò addirittura a mollargli un pugno.


L'oncologo ricordava bene quel litigio, anche se non da cosa era partito.

Tutto era nato da una stupida osservazione sulla cura e poi avevano finito per urlarsi contro cose orribili.

Wilson non voleva essere un peso per House e ricordava di avergli urlato che non voleva averlo attorno, che non era giusto che a soffrire fosse lui, perché non aveva fatto nulla di male, mentre lui, House, aveva sempre goduto dell'infelicità altrui e stava benissimo, invece, e che non desiderava passare i suoi ultimi giorni o mesi con un misantropo fastidioso.

Ed House se n'era realmente andato.

Era tornato tre ore più tardi, trovando l'amico seduto sulla sedia fuori il balcone, le lacrime che gli rigavano le guance e le mani che gli tremavano.

“Mi dispiace. Non volevo dire quelle cose. Tu non meriti di soffrire.”aveva sussurrato l'oncologo, la voce rotta dal pianto.

House era rimasto in silenzio per un lungo momento, guardando le sue spalle tremare, scosse dai singhiozzi.

Poi aveva detto:

“Avevi ragione.”

House s'era seduto accanto a lui, senza guardarlo.

Non l'avrebbe ammesso mai, ma le parole di Wilson l'avevano davvero ferito.

Wilson non meritava quello che stava subendo, non lui.

“Non ho mai voluto che tu soffrissi, House. Mi dispiace.”

“Sei malato ed in preda agli ormoni. E stai piangendo come una ragazzina. Sei giustificato.”

Wilson scacciò rabbiosamente le lacrime con il dorso della mano.

Non voleva farsi vedere debole.

“Se il cancro dovesse...dovesse peggiorare...se dovessi stare davvero male...aiutami a farla finita.”

House sussultò, guardandolo.

Era la prima volta che Wilson ne parlava apertamente.

L'oncologo volse il viso verso di lui.

Gli occhi marroni erano colmi di lacrime.

“Ti prego, House. Non so a chi chiedere. Mi fido di te.”

House sentì la gola arida.

Sentì le parole fuoriuscirgli di bocca senza neanche capire cosa stesse dicendo.

“Lo farò se tu farai lo stesso con me.”

Wilson sgranò gli occhi ed una lacrima scivolò giù sulla sua guancia.

“Cosa...”

Poi capì.

“No. Non lo farò. Non puoi chiedermi di farlo. Non posso...”

“Uccidermi? Hai chiesto a me di fare lo stesso.”

“E' diverso. Io morirò comunque.”

“Tutti muoiono, Wilson. Prima o dopo non farà alcuna differenza.”

House s'appoggiò allo schienale della sedia osservando il giardino in silenzio.

Sentiva il suo cuore a mille.

Non poteva pensare alla morte di Wilson. Non ci riusciva.

Soprattutto perché sapeva che non sarebbe stato capace di andare avanti se lui non ci fosse stato.

Anche quando avevano litigato per mesi, rifiutandosi di rivolgersi la parola, anche quando era andato al Mayfield od il carcere, c'era sempre stata la consapevolezza che Wilson ci sarebbe stato al suo ritorno, con i loro scherzi, le loro pizze preparate al momento, le loro risate, i loro battibecchi...

Pensare ad una vita senza di lui era impossibile.

Non esisteva.

“House, non chiedermelo. Non ti farò del male. Mai. Scordatelo.”

“Neanche io.”

“Hai una vita intera davanti a te, House. Puoi vivere per altri 20 o 30 anni.”

“Potresti farlo anche tu.”

Wilson abbassò lo sguardo, abbozzando una risata.

“Sai che per me è più difficile. Sai che...”

“So che hai il cancro, ma so anche che stai lottando e che non sei il tipo d'arrenderti. Non adesso.”

“Ma se dovessi stare davvero...”

“Lo farò. Se tu lo farai con me.”aveva mormorato prima d'alzarsi.


La moto rombava mentre House faceva un giro di prova nel cortile della clinica.

“E' favolosa.”dovette ammettere Wilson.

Era appoggiato al muretto ed osservava l'amico correre avanti ed indietro con la moto affittata.

“Andiamo. Monta su.”

Wilson gli lanciò un'occhiata sarcastica.

“Ho il camice, House. Non posso mica andarmene in giro così.”

Wilson indicò la tenuta ospedaliera, di pantaloni e maglietta candidamente bianchi.

“Paura di mostrare le gambe?”lo prese in giro, ghignando.

“Non vengo. Ho il ciclo tra...”

“Due ore. Andiamo, abbiamo il tempo di farci un giro sulla costa.”

“House, non...”

Wilson non fece in tempo a finire la frase che House sgommò proprio dinanzi a lui e l'afferrò per un braccio.

“Sali.”intimò.

Wilson sospirò, salendo dietro di lui e non fece neanche in tempo a reggersi che House aveva accelerato, lasciandosi la clinica alle spalle.

Da quando erano arrivati era stato difficile visitare Kingston, poiché Wilson s'era ritrovato subito a dover seguire le cure ed a subirne gli effetti.

Era una città commerciale, piena di vita, che s'affacciava sulla costa.

Passarono strade popolatissime, negozi di ogni tipo, vagando senza meta.

Wilson aveva insistito per andare a visitare il parco nazionale, dove, si diceva c'erano moltissime specie di uccelli, colibrì, pappagalli, e per andare a Montego Bay, un parco marino, incontrando le reticenze di House che non aveva la minima intenzione di andare nei parchi pieni di zanzare ed insetti o di immergersi da nessuna parte.

Wilson era convinto che fosse a causa della ferita alla gamba, il perché non volesse esplorare la molteplice fauna acquatica della Giamaica.

Ma le sue cure stavano tenendo entrambi ancorati alla clinica e quel giorno era il primo dopo un mese in cui uscivano.

“Dobbiamo festeggiare!”esclamò House per contrastare il rumore del motore e Wilson rise, mentre si stringeva alla sua vita per non cadere.

Aveva ragione.

Quel giorno il dr Johnson l'aveva sottoposto ad un'esame completo e la TAC aveva evidenziato che il tumore era diminuito, anche se non tantissimo.

“E' un buon inizio.”aveva commentato il medico, prima di congratularsi con lui.

“Qui. Fermiamoci qui.”fece Wilson, indicando un mercato lì vicino.

“Sei qui per fare shopping?”rise House, scendendo dalla moto.

Lo seguì zoppicando per il mercato.

Era ricco di colori, di voci straniere.

Kingston era colma di persone dalla nazionalità più diversa.

Era quasi un sollievo immergersi in quel caos e non pensare a nulla.

Era uno dei pochissimi giorni in cui non si sentiva uno schifo e voleva approfittarne.

Moltissimi avevano lunghe trecce colorate, cappelli variopinti e vestiti originali.

Perfino Wilson con il suo camice d'ospedale passava inosservato.

House lo vide guardarsi intorno, fermarsi alle bancarelle, mentre s'addentravano di più, verso la spiaggia.

Sorrideva.

Era la prima volta dopo tempo che quel sorriso era sincero e non velato di sofferenza o preoccupazione.

La TAC aveva mostrato che il cancro era in fase di guarigione.

Certo, non potevano già cantar vittoria, soprattutto perché il percorso era ancora lungo e la cura aveva ridotto Wilson ad uno straccio.

Ma vederlo in piedi sorridere senza motivo era una bella sensazione.

“Prendere, prendere! È ottimo, signore!”

Un venditore afferrò Wilson per un braccio trascinandolo verso una bancarella in cui vendeva della strana pasta a forma conica.

“Che roba è?”chiese House.

“Mia specialità. Assaggia, assaggia, signore!”

Il venditore, un uomo di colore sulla quarantina con trecce rasta, gli spinse tra le mani il vassoio.

“House, chissà cosa c'è...”iniziò Wilson, ma House era già impegnato a mangiarne uno.

Il gusto gli esplose in bocca, un gusto che sapeva di alcool e frutta di vario genere e diversi tipi di alcool tra cui, riconobbe, rum, whisky e gin.

“Questo mi piace.”

House ne prese un sacchetto da dividere con Wilson.

Mangiarono i dolcetti seduti su una panchina, guardando il via vai delle persone.

Wilson posò i gomiti sulle ginocchia, fissandosi le scarpe.

“Dicevi sul serio?”

House aggrottò le sopracciglia.

“Quando dicevo che la tipa del negozio di magliette me la sarei portata a letto? O che avevo trovato la ragazza giusta per te, proprio nel...”

“Quando hai detto che saresti morto se fossi morto io.”

House lo guardò e lo sguardo fu più che eloquente.

Wilson posò le mani sul volto.

“House...”

“Non ne voglio parlare.”

“Se hai intenzione di farti del male...”

Wilson lo guardò, intensamente, ma House ignorò risolutamente il suo sguardo.

Non poteva mica dire sul serio?


“Credo che qui gli spacciatori si facciano pagare molto meno rispetto all'America.”

House entrò nell'appartamento, sventolando un sacchetto.

Wilson era semi-disteso sul divano e giocava con il suo game-boy.

“Spacciatori? Ma dove diavolo sei stato?”

House estrasse una confezione di Vicodin dalla busta e si lasciò cadere accanto a Wilson che ritrasse le gambe appena in tempo.

“Hai comprato il Vicodin da uno spacciatore?”

House gli lanciò uno sguardo, divertito.

“Mi conosci da 13 anni e ti stupisci ancora?”

“Da' qua.”

Wilson osservò le confezioni di pillole azzurre.

“Ne hai prese per l'intero ospedale?”

“Servono a me.”

House fece per riprendersi la busta, ma Wilson la spostò al di fuori della sua presa.

“Che cos'è? Chissà cosa ci hanno messo dentro, House. Se è contraffatto o...”

“E' Vicodin. E qualcos'altro, tipo marijuana. L'ho assaggiato.”

Wilson gli lanciò un'occhiata di rimprovero, mentre House mandava giù due pillole e chiudeva gli occhi.

“Fa molto male?”

House non rispose, aspettando che l'ondata di dolore passasse.

Nel mese precedente era riuscito a sopravvivere con i tubetti di Vicodin che aveva, ma il dolore spesso era diventato così insopportabile da indurlo a bere per stordirsi.

Wilson non lo sapeva, od almeno così pensava, perché oltre agli sguardi preoccupati che di tanto in tanto gli lanciava, da tipico Wilson, non aveva detto nulla.

“Puoi usare i miei antidolorifici, House. Non c'è bisogno che tu vada da uno spacciatore e che ti cacci nei guai.”

“Non mi caccio nei guai. E c'è un motivo se si chiamano tuoi antidolorifici. Sei malato.”

“Oh, lo so bene. Ma non voglio vedere te soffrire od assumere chissà quali schifezze! L'ultima volta che hai provato una cura alternativa hai rischiato di morire, ricordi? Non voglio che si ripeta una cosa del genere e...”

“Sarei in un ospedale in ogni caso.”

House fece per mandare giù un'altra pillola, ma Wilson afferrò la confezione e la lanciò lontano, facendola aprire e lasciando che tutto il contenuto si riversasse sul tappeto.

Cadde il silenzio.

“Sei un vero idiota.”disse House a denti stretti.

Wilson aveva un'espressione irata sul viso.

“Smettila di farti del male, House.”

House fece per alzarsi ed afferrare le pillole, ma l'oncologo l'afferrò per il braccio, frenandolo.

“Smettila! Non puoi continuare così! Io non ci sarò per sempre a proteggerti, House!”

House si liberò violentemente dalla sua stretta, alzandosi irritato.

Wilson ebbe il tempo di vedere la gamba tremare ed un'espressione sofferente sul volto dell'amico, prima che quest'ultimo gli sferrasse un pugno sul volto.

L'oncologo gemette di dolore, portandosi le mani al viso.

Sentì la porta sbattere violentemente alle spalle di House.


House avrebbe voluto spaccare tutto, distruggere tutto ciò che incontrava per la sua strada.

Accelerò sulla moto, lasciando che il vento portasse via la sua rabbia ed il suo dolore.

La gamba lo faceva impazzire, ma sapeva benissimo che non era solo provocata dal dolore fisico.

Odiava quella situazione, odiava come Wilson stringeva forte le labbra per impedirsi di urlare, odiava vederlo raggomitolato in posizione fetale o chiuso nel bagno a vomitare.

Odiava che il suo migliore amico avesse il cancro, che rischiasse di morire, cura sperimentale o non cura sperimentale.

Ed odiava che, invece di preoccuparsi di sé stesso, Wilson lo guardava con apprensione e temeva cosa ne sarebbe stato di lui alla sua morte, invece di lottare per rimanere in vita.

Sentì il telefono vibrare e l'ignorò a lungo, prima di rendersi conto che potevano essere notizie serie.

Frenò bruscamente al lato della strada e guardò lo schermo del cellulare.

Wilson.

Le pillole sono trattate con una sostanza tossica, con qualche tipo di pesticida. L'ho fatta analizzare. Torna immediatamente.”


“Ma cosa ti è saltato in mente? Vuoi farmi denunciare?”sibilò House, vedendo Wilson all'ingresso del parcheggio.

Un livido violaceo si stava allargando sotto l'occhio destro.

House sentì una fitta di senso di colpa al petto.

“Idiota! Betty, del reparto analisi, l'ha analizzato. Ho detto che ti hanno truffato e che ti hanno detto che erano tranquillanti naturali. House, potrebbero provocarti delle embolie, razza di idiota!”

Le successive due ore furono piene di ansia e di controlli.

L'amica di Wilson, Betty, insistette per visitare House, spingendolo a fare un'angiografia per controllare possibili embolie.

Voleva protestare, dire che stava bene, ma visto lo sguardo di Wilson, House decise che era meglio cedere.

“Ok, dall'analisi non esce nulla, ma è meglio tenerlo sotto osservazione.”

Betty era una dottoressa carina dai capelli rossi, palesemente cotta di Wilson.

In quel preciso istante lo guardava, arrossendo furiosamente.

“Deve essere ricoverato?”

“Non è necessario. Dobbiamo solo fare attenzione a qualsiasi tipo di dolore particolare. Signor Collins, se inizia a soffrire di dolore al petto, od affanno o...”

“Sì, lo so. Verrò qui.”

House afferrò la giacca e fece per uscire.

“Il suo amico mi ha parlato del suo problema alla gamba. Posso prescriverle qualcosa.”

Si bloccò, la mano sulla maniglia.

Wilson non stava mai zitto.

“Non credo che ibuprofene o roba simile possa fare qualcosa.”

“Posso darle ciò che il dr Johnson sta dando al signor Wilson, anche se dosi più leggere. So benissimo che il suo amico le cederebbe volentieri i propri antidolorifici.

Sì, signor Wilson, non faccia quell'espressione. Lo so.”

“Pensi a guarire lui.”disse House, scontroso, prima di andarsene.


“Io non riesco a capirti!”

“Eccoci.”sbuffò House, quando Wilson entrò nel loro appartamento come una furia.

“Stai male, fai un'idiozia che ti potrebbe anche uccidere e quando quella dottoressa ti offre un antidolorifico tu rifiuti! Ma sei pazzo?”

“Credevo che l'avessimo già appurato.”

“House!”

“So badare a me stesso. Ci sono riuscito per anni. Anche senza il tuo aiuto.”

“Lo spero. Lo spero davvero.”

L'espressione sul volto di Wilson era così ferita che House fece per aprir bocca, ma l'amico scosse il capo, andandosene.


House passò i successivi cinque giorni in attesa in un qualsiasi segno che indicasse un'embolia, che poteva colpirgli il cuore, i polmoni od il cervello.

Sussultava ad ogni minimo dolore, sorvegliato a vista da Wilson, ma i giorni passarono e loro tirarono un sospiro di sollievo.

“Mi devi 300 dollari. Immagino che tu abbia buttato quelle pillole.”esordì House, entrando nella sala in cui l'amico stava seguendo la cura.

“Tutto giù nel water. E scordati i soldi.”

Wilson tossì, raggomitolandosi su un fianco della poltrona.

Aveva le labbra secche e si sentiva febbricitante.

La mano di House era fresca sulla sua fronte.

“Infermiera! Ho bisogno di una coperta qui! Ha la febbre alta!”

Wilson si sentì avvolgere dalla coperta, ma continuò a tremare.

“Wilson...ehi...cosa diamine hai? Apri gli occhi. Cosa senti?”

Si sentiva troppo debole per sollevare le palpebre e troppo stanco per parlare.

Voleva solo dormire, voleva che il dolore passasse.

Tossì violentemente.

Sentì House accanto a lui dire qualcosa, ma non lo capì.

Sprofondò nell'oblio.

Quando si svegliò era avvolto nelle coperte fino al mento.

La testa gli doleva moltissimo ed il corpo...era come se l'avessero ripetutamente investito.

“Ben svegliato.”

Wilson si voltò verso la voce che parlava.

Era una voce che pensava di non sentire mai più.

I capelli biondi le scendevano attorno al viso, sulle spalle e lei gli sorrideva, seduta sul bordo del letto.

Amber.

  
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