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Autore: Emi Nunmul    06/01/2013    1 recensioni
Ed è quando la fenice ed il dragone iniziano a piangere, che il mondo prende a sanguinare.
[KrisYeol] [Accenni BaekYeol]
Genere: Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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NdA: Oh, io che pubblico due capitolo nel giro di un giorno. Quale incredibile novità!
Voglio scusarmi se i capitoli di questa storia risulteranno schifosamente corti, ma è meglio così, almeno per me. Credetemi, non ho idee su come svilupparla, e le cose iniziano a venir fuori man mano che scrivo. Se i capitoli fossero troppo lunghi, rischierei di mischiare le cose e fare un casino. In più, se anche la lunghezza fosse variabile, non sarebbe male. Prima avevo sempre il pallino di dover scrivere dei capitoli abbastanza consistenti, e mi sentivo decisamente “costretta” a dover sempre scrivere tanto. Così è molto più piacevole, ecco. Poi, volevo dirvi che, in caso aveste bisogno di chiarimenti e di far domande, io sono qui e vi risponderò senza problemi. (: Ancora, scusate se ci sono degli errori o ripetizioni. Non ho mai voglia di rileggere. #facciopena Sentitevi liberi di correggermi, se vi va.









2.

 

Hestil, “il Mondo di sopra”, era un posto di una bellezza impossibile da riprodurre nel resto dell’intero universo, specialmente nel Mondo degli uomini.  Se Gweluon era il mondo insopportabilmente caldo, insopportabilmente stretto e, spesso, insopportabilmente triste, afflitto da scontri – seppur involontari – fra i suoi dei, Hestil era piacevole in ogni suo singolo dettaglio.

Gli dei di Hestil, così come quelli di Gweluon, soffrivano comunque la separazione dalla loro metà originale, nonostante la pace che regnava nella loro dimensione. C’era chi, in ogni caso, affrontava la sofferenza con ottimismo.

              «Buongiorno, Xium-»

Un tonfo. Il dio del ghiaccio, da Gweluon, attraverso il suo specchio, riuscì a sentirlo chiaramente. Non aveva ancora visto il volto del guardiano di Hestil mostrarsi nell’argento, il che, come al solito, stava a significare che fosse caduto a terra, cercando di afferrare lo specchio dal comodino accanto al suo letto. Fortuna per loro che erano immortali!

             «Ghiaccio…?» domandò Xiumin trattenendo una risata, seppur debole. Niente risate a Gweluon. Mai.

              «Sì, Xiumin. Grazie.»

A quel punto, il dio di Gweluon riuscì a vedere il volto del guardiano di Hestil mostrarsi nello specchio. SuHo aveva un viso dai tratti e dalle espressioni gentili, a differenza di quello del guardiano di Gweluon. Così, a Xiumin veniva molto più facile prenderlo in giro, con il suo già spiccato comportamento da folletto dispettoso.

              «Che ne dici di fare piovere un po’ sui deserti, oggi?»

Il guardiano di Hestil, osservando l’espressione speranzosa di Xiumin riflessa nello specchio, scosse la testa, come ogni volta che gli faceva una richiesta del genere. Intanto, si teneva un impacco di ghiaccio – apparentemente comparso dal nulla – sulla tempia, esattamente dove aveva battuto.

              «Lo sai che non potrei anche volendo, Xiumin.»

L’altro sbuffò. «Non è giusto darla sempre vinta ad Ekhard,» disse, col tono di voce estremamente basso «Voglio dire, se tutt’e dodici cercassimo di ribellarci, ci sarebbero intere galassie simili ad Hestil. Immagina gli uomini, poi-»

              «Non è possibile. Non riusciamo neanche ad andare del tutto d’accordo fra di noi. Come pretendi di poter conciliare caos ed ordine? Bene e male?» Sospirò. «Ormai ne abbiamo parlato così tante volte che ripeto queste parole come una mantra. Lasciamo perdere questo discorso, Xiumin, e non riprendiamolo più.»

SuHo, quindi, decise di alzarsi dal suo letto. Lì ad Hestil avevano giacigli e dimore accoglienti, seppur in luoghi decisamente inusuali. Il dio dell’acqua viveva in una struttura fluttuante che spiccava al disopra di nient’altro che l’immenso lago attorno al quale si sviluppava il resto di quel mondo. La sua dimora non era grandissima. Vi era solo la sua stanza, un bagno ed una piccola cucina, tutto arredato in maniera abbastanza sobria, in perfetto stile umano. Quelli eccentrici, del resto, erano tutti a Gweluon.

Mentre si stava dirigendo verso la porta, dovette fermarsi, sentendo Xiumin parlare nuovamente.

              «Mi manchi, SuHo.»

Abbassò la testa, sospirando. Alzando un po’ la voce, in modo da farsi sentire, si apprestò a rispondere.

«Anche tu, Xiumin. Buonanotte.»

 

Andò quindi a salutare le creature che popolavano il lago Ion.

Il lago Ion non aveva una fine, vale a dire che non possedeva un fondale. La sua grandezza era tale che neanche il guardiano di Hestil sapesse per quanto s’estendeva né conoscesse l’ammontare di esseri che vi vivevano. Il lago Ion fu creato successivamente all’albero della vita Gaerdaer in modo da continuare a nutrirlo, eternamente, attraverso le sue acque. Non è propriamente corretto definirle “acque”. Non ci si bagnava nel momento dell’immersione e, a voler raccogliere un po’ di quel liquido azzurro brillante, questo non si sarebbe mai e poi mai trattenuto fra le mani. Era così impossibile asportarlo da Hestil. Tuttavia, nonostante a livello fisico non avesse alcun effetto particolare su chi si immergeva, rimanendo solo con i piedi a mollo per cinque minuti, si poteva sentire un benessere generale diffondersi per tutto il corpo.

Nuotando velocemente verso la superficie, SuHo sbucò dal lago con la velocità simile a quella di un missile, diffondendo zampilli lucenti ovunque. Ed intanto che, con calma, si apprestava ad atterrare sulla sponda, lanciò una fugace occhiata al cielo limpido. Vide la scia che il guardiano di Gweluon stava lasciando intanto che volava chissà dove per poter incontrare la madre. Una volta con i piedi saldi a terra, si voltò a guardare la torre della fenice. Il fuoco che ardeva incessantemente sulla cima aumentò d’intensità luminosa. Si ritrovò a sospirare, prima di iniziare il suo giro di ricognizione.

 

Il guardiano di Gweluon, ascendendo dal fuoco che ardeva sulla torre della fenice, senza potervi – a malincuore – sostare, andò ad incontrare nuovamente la Madre per la quinta volta nel giro di un mese. Generalmente, agli dei, capitava di incontrare i due supremi una volta ogni venti anni. Potete ben capire, quindi, come essere chiamato al suo cospetto per così tante volte di seguito fosse un evento incredibile quanto preoccupante.

Nella dimensione immateriale della Madre, nessun guardiano né tantomeno gli dei minori, potevano utilizzare i loro poteri. Il dragone, così, si ritrovava a dover salire innumerevoli gradini ogni volta, in modo da poter arrivare di fronte a quella donna vestita di bianco. A dire il vero, lì ogni singola cosa era bianca. Non v’era alcuna variazione cromatica minima. Al guardiano di Gweluon, non faceva paura mai nulla, sul serio. Non si vergognava, addirittura, della cicatrice che gli era stata inflitta da Ekhard quando aveva osato provocarlo. Eppure, Ekhard, colui che era il male, colui che era un dio supremo, non lo spaventava. Anzi, si ritrovava a pensare a lui con sufficienza, venendogli spontaneo da parlarne e da trattarlo in maniera beffarda. La Madre, invece, portatrice dell’essenza del bene, di tutto ciò che doveva essere buono, paradossalmente, gli incuteva timore. Il candore esasperante di quel posto nel quale non vi era nient’altro se non una ripida scalinata che portava ad una specie di podio neanche troppo grande, senza nemmeno un “trono”, non faceva altro che aumentare l’ansia che prendeva il sopravvento su di lui.

«Non dovresti venire qui sfruttando il volo, Kris. Non sarà l’ultima volta che ti chiamerò e potresti iniziare sul serio a stancarti.»

Se non altro, per lo meno, quella donna teneva fede all’ideale di bontà, guardando coloro con cui parlava con un’espressione ed un sorriso magnanimo.

              «Dovrei mandare Kai a prenderti, la prossima volta.»

Il guardiano di Gweluon scosse la testa, subito contrariato. «No, è troppo pericoloso che venga da noi.»

Entrambi tacquero. La madre, ora, lo stava guardando con un sorriso per qualche motivo divertito. Più che guardarlo, lo osservava. Prese a girargli intorno, il vestito bianco che, toccando a terra, seguiva i suoi movimenti. Portò una mano sotto il mento, segno che aveva preso a pensare.

La Madre era l’entità che racchiude in sé il significato ultimo di tutte le cose, colei dalla quale, chissà quando e chissà dove, tutto ebbe inizio. Semplicemente, la Madre era eterna, senza un passato, un presente o un futuro. Si presentava come una giovane donna durante i suoi vent’anni. Non vi dirò che era di indubbia bellezza perché lei, invece, oltre che ad essere l’eternità, ad essere l’origine di tutto, era la perfezione.

Ancora, al guardiano di Gweluon tutti questi dettagli non incutevano timore. Erano solo tante cose che, messe insieme, lo portavano a stare al di sotto di lei solo di un gradino. Fra l’altro, al suo cospetto non si inchinava mai. Era quel sorriso bonario, invece, che lo faceva rimanere in tensione come una corda di violino.

La Madre girò attorno a lui almeno due volte. Poi gli si fermò davanti, a braccia incrociate.

              «Se dici che è pericoloso, allora hai intuito cosa sta succedendo, giusto?»

Kris premette due dita contro una tempia, chiudendo gli occhi e sospirando, al limite della sopportazione.

              «Non potrebbe gentilmente dirmi cosa diamine sta succedendo? Sa com’è, ho il fuoco della distruzione da alimentare e tutte queste cosucce che potrebbero mandare in tilt l’universo. Ora,» pausò per un istante, cercando di incanalare altro ossigeno per poter parlare, intanto che l’altra prendeva di nuovo a girare attorno a lui, ridacchiando «Abbiamo capito che Ekhard ha in testa qualcosa perché, oh, ce lo sentiamo dentro quindi devo continuare a venire qui allarmando tutti quanti. Ieri mi ha detto di tenerlo a bada, gridandomi contro, ma non ci sto capendo nu-»

              «Oppure è che vuoi non aver capito, Kris?»

Ora gli si era fermata accanto, mettendogli una mano sulla spalla. Lo guardava sorridendo.

Il guardiano di Gweluon spostò lo sguardo di lato, corrucciato. La Madre, come sempre, aveva ragione.

              «Cosa dobbiamo aspettare?»

              «Che la sabbia smetta di scorrere.»

 

***

              «Stai facendo scorrere la luce, oppure stai qui a far nulla?»

SuHo venne abbagliato da un fascio di luce improvviso. Portando due dita a stropicciarsi gli occhi, prese a lamentarsi, come suo solito, senza ottenere alcun risultato.

              «Sto facendo scorrere la luce, sì, basta che stai zitto, SuHo, cavolo! Non ti si può sentire!»

Il dio della luce si girò su un fianco, rotolando sull’erba, dando così le spalle al guardiano.

              «Grazie per l’attenzione.» disse. Avrebbe voluto avere un’aria infastidita, dura, ma finiva sempre col risultare dispiaciuto e ferito, nonostante cercasse di non darlo a vedere il più possibile.

              «Comunque, hai visto Kai?»

L’altro fece spallucce.

              «BaekHyun…»

              «Non sono affari miei.»

SuHo sospirò, abbassando la testa. Poi riprese. «Se non te ne fossi reso conto, qui sta succedendo qualcosa, e dovreste cercare di mettere la testa a posto e aiutar-»

              «E’ a Gweluon.» lo interruppe il dio della luce, facendolo raggelare all’istante.

   
 
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