Quattrocentouno
Stare senza di te
Ci siamo entrati lentamente nella
pelle e poi
Ci siamo combattuti fino in fondo fino a farci male
Ci siamo presi
Ci
siamo arresi
Stare senza di te, io no
Stare senza di te, non si può
Anche se poi qualche parte del cuore
Ci scoppia di dolore...
Stare senza di te, io mai
Stare senza di te, non potrei
(Stare senza di te, Pooh)
Krasnojarsk, 2 Maggio 1845
Questa notte di vent’anni dopo
C’è una luna da spaccare il tetto
Cappuccetto s’è mangiata il lupo
E il mio cuore è un orologio matto
Cosa fare per meravigliarti
Come entrare sotto la tua pelle
Per non ritrovarmi tra le mani
Solo un po’ di polvere di stelle
Questa notte tu sei qui
Inesplorata e bellissima
Nel tuo mare di tranquillità
Io vedo i segni di tutti i sogni
(La luna ha vent’anni, Pooh)
[...]
T’inseguirò, catturerò quel tuo cuore folle
È una bugia che non sei mia e ridi alle mie spalle
(Isabel, Pooh)
La sua sottoveste bianca
troppo corta e un po’ sgualcita, un misero velo di stoffa stropicciata su quel
corpicino esile ancora un po’ acerbo, da ragazzina.
E lei in fondo una ragazzina
lo era ancora, coi suoi vent’anni compiuti da tre mesi e il suo essersi sempre
comportata da ventenne molto prima.
I morbidi capelli di quel
dorato splendente che le scendevano ondulati lungo i fianchi, così serici tra
le sue dita.
E le palpebre chiuse sopra
gli occhi suoi d’argento, quell’argento che lei forse aveva tirato giù dal
cielo, palpebre candide come la sua pelle, e quel suo viso addormentato che a
lui ricordava ancora la prima notte che aveva passato tredicenne tra le sue
braccia.
Certo era valsa la pena di
vincere, di tornare.
I tre mesi di nave, le
lacrime agli occhi.
La nostalgia in riva
all’Eurota, i ricordi stretti tra i denti.
Le sigarette fumate
pensandola, spente sognandola.
Il sole che sorgeva e lei
ancora lontana, ma per poco, davvero, per poco.
I graffi della gelosia,
sul suo cuore come su quello di lei, che si era sentita maltrattata, detestata,
in quei momenti.
E a volte aveva ragione
lui, altre volte la paura lo accecava e lei tremava, ma non era un’invenzione,
era già successo due volte, e forse un po’ se li meritava, quegli sguardi
tremendi e glaciali.
A lei le unghie nella pelle, a lui le cicatrici
nelle ossa.
Ma non era mai finito niente.
Così ora lui aspettava che
si svegliasse, che muovesse le lenzuola e che lo cercasse, che lo guardasse.
Che sorridesse, che lo
baciasse.
Che lo stringesse, che lo
capisse.
Che rimanesse per sempre con lui.
Lui, coi vestiti calciati
di fretta ai piedi del letto quand'erano entrati e il sole negli occhi, si era
ripreso tutto di lei, tutto quello che aveva lasciato.
E ora amava pensare che
lei fosse un po’ più fragile, un po’ più sua, un po’ più vulnerabile.
Un po’ più come lui, persa
d’amore, ma persa anche dentro.
Persa che senza di lui non
vedeva neanche quel che aveva intorno.
Persa senza speranza, sol
la speranza che lui tornasse e che le chiedesse gli stessi baci, gli stessi
sogni, gli stessi anni.
La fede al dito da accarezzare
e quel 3 Febbraio da ricordare.
Poi lei si svegliava, ed era
sempre lui, a perdere tutto, a morire per lei.
Lui, il soldato, l’eroe, il vincitore.
Ora senza niente, solo con
lei, che le sue armi gli eran cadute e solo l’amore aveva tenuto, stretto nel
cuore, sotto la pelle, scritto nel sangue, imprigionato dentro.
-Non mi lasciare, mia Lys, che un giorno dovrò andare
io, dovrò tornare là.
Ma se mi perdonerai, mio amore che ora dormi e
sogni che le tue lacrime non brillino per me, che sono tuo, che non ti farò mai
male, puoi starne certa, ci rivedremo-
Con queste parole Natal'ja
si svegliò, e lo vide guardarla con le lacrime agli occhi, forse solo tremanti,
che non sarebbero scese mai.
Cristalli di lacrime in
quegli occhi di spada di figlio della guerra che avrebbe sempre preferito
morire che perdere, ma poi alla morte non ci sapeva pensare, ché se fosse morto
lei sarebbe scomparsa, e dopo, senza di lei, lui non avrebbe avuto più niente.
Con un gomito sul cuscino
e la testa appoggiata su una mano, il lenzuolo stretto tra i denti pel nervosismo
e una ciocca dei suoi capelli biondi prigioniera tra le sue dita.
Un dolce sorriso lievissimo
di Lys, che posandogli una bianchissima piccola mano sul petto segnato dalle
fitte cicatrici lo indusse a sdraiarsi, abbandonando quella posizione
tormentata, e poi posò la testolina bionda nell’incavo del suo collo,
socchiudendo gli occhi e provando a sognare ancora.
Lui sorrise, non fiatò.
Era felice, felice con lei.
Il suo sogno, il suo tesoro.
Era un eroe con una
vittoria di carne, non solo di sangue.
Poca carne, troppe ossa e biondi capelli.
La sua vera vittoria, forse l'unica.
La bambina dei fiammiferi.
L'angelo del ‘34.
Il sole siberiano di
Liverpool.
Non sarebbe stato Feri a portargliela via.
Sarebbe stata la sua morte, solo due anni dopo.
Lui non sapeva quando...
Ma sarebbe successo molto presto.
-Io la odio, Lys- disse d’un tratto Gee, con un'aria e un tono da bambino imbronciato,
ma un gelo tagliente nel cuore.
-Chi odi, amore mio?-
-Lachesi.
Non voglio morire. Non voglio lasciarti-
-E non mi lascerai, vero, мой
Георгий?-
Gee si morse le labbra,
con un nodo in gola.
-Stellina, tu lo sai, che
non avrei voluto mai-
-Non lo farai...-
Tremava, la voce di Natal’ja,
e tremava anche il cuore di Geórgos, in fiamme e frammenti per quel dolore, per
il giorno in cui l'avrebbe lasciata e sarebbe morto nel fuoco del suo ultimo
sguardo.
-Alja...-
Lo sapeva, Alja.
Era stata lei a leggerglielo
sulla mano.
Ma non poteva accettarlo.
Non poteva lasciarlo andare.
-Non puoi!-
Con gli occhi sbarrati e
lucidissimi gli lanciò uno sguardo disperato quanto impotente, e lui si sentì
davvero morire, morire in quel momento, senza bisogno di aspettare altri due
anni.
-Amore mio...-
-Io sono tua moglie! Tu
sei mio marito, mi hai sposata... Abbiamo tre figli... Abbiamo giurato davanti
all'altare...-
-Non ti lascerò in quel
senso. Non potrei mai-
-Non puoi andare via!-
Sconvolta, Lys tirò un
pugno sul petto del ragazzo e poi si nascose tra le sue braccia, scoppiando a
piangere.
-Мой
Георгий, non puoi andare via...-
Piccola come non era mai
stata neanche a nove anni, tra quelle lenzuola bagnate di lacrime, nel letto
della prima notte di nozze dopo sei anni, tra le braccia di quel marito di cui
aveva tanto sognato il ritorno e l’amore, eppure a Gennaio del ‘46 se ne sarebbe
andato ancora, e loro malgrado sarebbe stata l’ultima volta.
-Lo sai, lo sai, mia Lys,
ch’io non ti dimenticherò mai...-
Io te l’avevo detto, Lys.
Lui è come lo zar.
Nel suo Paese è come un Re, ha vinto così tante battaglie,
ha ucciso troppi uomini e spezzato troppi cuori.
Tu di colpe non ne hai, oltre ad aver sorriso a me,
oltre ad aver baciato me, quel giorno, davanti a quella cioccolata...
Ma lui se ne andrà.
-Non è vero... Non aveva
ragione Feri... Ti prego, no...-
Così tanto male Gee non si
era sentito mai, così tanto in colpa, così tanto cattivo, così tanto distrutto,
spezzato a metà.
Lui non voleva, non voleva lasciarla...
Non voleva farla piangere e non voleva farle male.
-Si può essere innamorati per sempre, Gee? Amare ed essere amati fino alla fine della vita?
Tu mi avevi giurato di sì...
Che noi potevamo- sussurrò debolmente
Alja, un soffio tremante di lacrime che le ferivano gli occhi sulla pelle di
Gee.
-Noi lo siamo e lo saremo,
fino a quel giorno. Mi uccideranno, ma io... Io ti ritroverò...
E ti riprenderò. Per sempre, mia Lys-
Quelle parole la rassicurarono
un poco, e riuscirono a strapparle un sorriso.
-Sei proprio fantastico,
tu... Anche se nessuno, nessuno al mondo
mi ha mai fatto piangere così-
Gee le fece l’occhiolino.
-Sono tuo marito, no?-
-Scemo...-
-Sì, sono il tuo marito
scemo. E tu sei la mia piccola Alja che finalmente mi ha dimostrato quanto
realmente mi ama...
Ricambiata fino allo
sfinimento, allo stremo, alla follia-
Le cercò una mano, la
sinistra, gliela strinse e portandosela alla bocca ne baciò le dita e poi la
fede nuziale che le aveva infilato all’anulare sei anni prima.
-Ti ho detto per sempre e per sempre sarà-
Baciò ogni lacrima sulle
sue guance, portò via ogni traccia di quel pianto di cui lui era stato l’unico
responsabile.
Poi le sue mani scivolarono
dolcemente sull’orlo del tessuto leggerissimo e sottilissimo della sottoveste
di Lys, quasi con noncuranza.
Un sorriso sfrigolò sulle
labbra della giovinetta, tenue quanto dolce, illuminandole gli occhi dell’argento
più scintillante e dell'azzurro più limpido.
Lui però continuò ad accarezzarla
con lo sguardo più che con le mani, a guardare il suo viso e non il suo corpo,
perché quella pallida, disperata Natal’ja tremante di singhiozzi tra le sue
braccia, più ancora della splendida, stoica ed invincibile ragazzina tredicenne
che aveva sposato, gli sarebbe rimasta nel cuore.
Penetrata nel sangue e rimasta nel cuore.
E rimase così, a sfiorare
con la punta delle dita l’orlo della sottoveste che le si fermava poco più di
una spanna sopra la metà coscia, rimase a guardarla mordendosi le labbra e
trattenendo a stento le lacrime, perché era tanto bella, lei, ma anche tanto
innamorata, innamorata di lui, nonostante tutti i suoi errori, i suoi strazianti
tradimenti che gli avevano strappato via brandelli del cuore, e per un amore
così Gee avrebbe fatto quello che non aveva fatto Achille, avrebbe preferito la
famiglia alla gloria, l’amore alla guerra.
-Tanto non lo farai mai. Non ci riuscirai. Io ti pregherò, ma tu
te ne andrai.
Lo sai, amore mio, come
sei fatto, per cosa sei nato. Sparta è
sempre stata più forte di me-
Quanto avrebbe voluto contraddirla, Gee!
Gridarle che non era vero,
che non era così, che lui avrebbe mandato al diavolo Sparta, le battaglie, i
duelli, la guerra e la gloria militare, che sarebbe rimasto con lei...
Solo che Lys, a differenza
di tutte le altre mogli degli eroi dell'Iliade, aveva capito.
Aveva capito gl’ideali, aveva capito l’eroismo.
Aveva capito il senso della vittoria, aveva capito
come si sentiva lui ad ogni trionfo.
Aveva capito che l'amore non bastava, quando Sparta
pretendeva i suoi guerrieri.
Aveva capito che non sarebbe stata lei ma Sparta,
con la sua sanguinaria dolcezza, a curare le ferite mortali di suo marito, a
difendere il suo cadavere dai nemici, e sarebbe stata ancora Sparta, l’anima di
Sparta, la prima della processione del suo funerale.
Sarebbe stata l’infinita gloria militare che lui
avrebbe avuto a conservare gelosamente la sua bellezza anche nella tomba.
E questo era molto peggio di doversi confrontare
con un’amante, con un’altra donna.
Ma lei aveva capito.
Aveva capito che in fondo era giusto così, perché
lui era così, e che comunque Gee l’aveva amata quanto aveva potuto e anche più
di quanto avrebbe potuto, con tutte le sue forze d’intrepido soldato, e tutto
il coraggio che lui metteva in guerra l’aveva messo anche in quel loro amore.
Ripensò, poi, Lys, a
quando leggevano insieme l’Iliade, nei primi anni del loro fidanzamento, quando
l’emozione superava l’intelligenza, senz’ombra di dubbio.
Quando arrivavano al brano
dell'ultimo incontro tra Ettore e Andromaca lei si scocciava, perché voleva
leggere delle battaglie, dei duelli, delle vittorie degli eroi.
Gee, invece, che si rivedeva
fin troppo in Ettore, nei suoi sentimenti, ogni volta sentiva una lama di
ghiaccio calargli sul cuore, lo sentiva infrangersi, il suo cuore, al pensiero
di quando sarebbe toccato a loro, di
quando sarebbe toccato a lui.
L’ultimo incontro di Natal'ja e Geórgos...
E non l’avrebbe scritto
Omero, non l'avrebbero letto i posteri, non ci avrebbero pianto altri
fidanzati.
Sarebbe rimasto tra di loro, dentro di loro, il
loro addio, e li avrebbe logorati entrambi, fino alla fine.
Non era certo il Principe
di Troia, lui.
Non era nemmeno un
Principe.
Però l’amava troppo, lei.
Ora Natal’ja capiva anche
questo.
Capiva a cosa aveva
pensato il suo Gee in quei momenti, il
dolore implacabile di quei momenti.
-Sai, credevo che noi fossimo
diversi... Che io fossi diversa da
Andromaca e che tu fossi diverso da Ettore. Avrei voluto che noi fossimo
diversi.
Io, in realtà, adoravo
quel brano, anche se ti chiedevo sempre di voltare pagina, di andare avanti, di
continuare con la guerra. Solo che... Non riuscivo proprio a capirla,
Andromaca.
Non riuscivo a capire la
sua tristezza, la sua disperazione.
Suo marito era un eroe, e
anche se poi avrebbe perso contro Achille e avrebbe perso anche la guerra -o
meglio, i Troiani avrebbero perso senza di lui-, il suo Ettore sarebbe morto da
eroe.
La giudicavo troppo sentimentale
e troppo romantica, altrimenti avrebbe capito.
Avrebbe capito che lui aveva ragione.
Era ovvio che i suoi
doveri militari fossero molto più importanti della sua famiglia.
Questo non voleva certo
dire che non le voleva bene, a lei e ad Astianatte.
Avrebbe dovuto essere
contenta, invece.
Possibile che non avesse ancora capito cosa voleva
dire essere la moglie di un soldato, di un eroe?
Dentro di me sentivo di
essere completamente diversa da Andromaca.
Non avrei fatto storie, ma
sarei venuta sempre con te.
Mi sarebbe bastato sapere
che tu avevi vinto e che mi amavi da morire, anche se alla fine eri morto in
guerra, non per il mio amore.
Non avrei mai preteso di essere più importante di
una vittoria in guerra.
Mi sarebbe bastato che tu
avessi pensato un po’ a me, anche quando più dei miei occhi bramavi la gloria
militare.
Ero cresciuta tra i
soldati, io, e sapevo come andavano queste cose. Come dovevano andare.
In verità, avevo solo
paura. Paura di finire davvero come lei.
Di arrivare a quel giorno
e impazzire di dolore. Di capire, capire
tutto, ma non riuscire a lasciarti andare. Avevo paura di sentirmi come
lei, sola e impotente, senza di te. Avevo
il terrore di sentirmi così. Avevo sempre creduto di essere diversa. Più forte, più coraggiosa.
Più pratica, più
comprensiva. Più simile a te che alle
altre donne.
Di ragionare come te, come un uomo, un soldato e un
eroe e non come una moglie.
E invece adesso...
Guardami, venderei l’anima. Venderei l’anima
perché tu restassi ancora con me. Per sempre con me. Non ero diversa da
lei. Ero solo più stupida, più illusa.
Più fragile, anche. Ed è per questo che sono perfino più distrutta, adesso.
Perché capisco e approvo
tutto, ma senza di te non ce la faccio. Non
ce la farò-
-Tu non assomigli a nessuna delle mogli degli altri
eroi.
Così come io avrò molti più
rimpianti e sentimentalismi di tutti gli altri eroi.
Forse io non lo sono
neanche, un eroe. Forse sono davvero
troppo diversi da me, da noi, gli eroi. E allora forse sulla mia lapide non
scriveranno ch’ero un eroe... Scriveranno
solo ch'ero tuo marito. E basterà, per farmi passare alla storia. Basterà-
E più dell’anima, anche se
più dell’anima non sapeva cosa c’era, cos’aveva, avrebbe dato Lys per sentire
ancora le dita di Gee intrecciarsi ai suoi capelli come in quel momento, tra
due anni.
Di quell’amore le sarebbero
rimasti i lividi, dal fondo degli occhi le avrebbero strappato il sole, perché
senza di lui in Siberia il sole non ci poteva arrivare.
George la guardò a lungo
negli occhi, e infine le baciò delicatamente la fronte.
-Fidati di me, mia piccola
stella. Fidati di me-
E poi mi lasci andare via, quando è
ora
Perché ognuno ha la sua vita
E la mia non è con te
Ma in fondo tu che colpa hai del mio
cuore?
Delle ore che mi manchi, dei problemi che mi dai?
Prima dell'alba c’è ancora un’ora
Stringimi forte e sogna ancora
Di noi
(L’altra donna, Pooh)
Note
Stare senza di
te, Pooh.
Questo
capitolo è sulla minaccia incombente del 1846, l’anno in cui Alja e Gee si
diranno addio, e lui lascerà la sua famiglia per quella nuova guerra che lo
porterà in Arabia, fino al tranello degli Ottomani e al tradimento di Rajit.
Loro lo sanno,
in un certo senso.
E non
vorrebbero, Lachesi lo sa, quanto non vorrebbero.
Questa è la
loro presa di coscienza, la disperazione di Lys, che per la prima volta si
dimostra veramente fragile e infinitamente impotente, all’idea di rimanere
senza di lui.
Lui è
terribilmente combattuto, ma alla fine andrà a combattere.
Contro i
Turchi e contro la sua nostalgia di Lys.
L’ineluttabilità
delle Parcas non la possono
sciogliere nemmeno loro, che di forza e di coraggio ne hanno sempre avuti fin
troppo, e come andrà a finire lo sappiamo già...
Però non si
sono lasciati davvero, per loro non è finita davvero.
Come cantava
Marcella Bella in Io Domani, “La mia storia, amore, è stata troppo bella
per finir così” ;)
A presto!
Marty