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Autore: _myhappyending    07/01/2013    5 recensioni
Passano 5 anni dalla morte di Artù e uno strano uomo si presenta a Camelot lasciando una strana profezia a Merlino. «Di mito è il suo nome, oro colato i suoi capelli, le onde del mare negli occhi.
Nobile cuore del più valoroso cavaliere le è stato dato, animo coraggioso e puro.
Trovala, Emrys, e ti porterà al tuo completo destino.
Ma attento, la sua persona è la tua gioia e la tua pena. Solo lei, però, può portarti al tuo re, solo lei è la chiave perché il solo e futuro re rinasca. Ascolta le mie parole, Emrys.»
E Merlino lo fa, cerca ovunque quella donna finchè invece non è proprio lei ad andare dal mago, e con lei una dolce sorpresa.
Genere: Malinconico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Gwen, Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Sono veramente contenta delle recensioni positive della storia, nonostante almeno agli inizi i capitoli saranno un po' così, corti e sintetici. Tutti aspettano la parte in cui Merlino e Artù si rincontrano, ci sarà tempo per far venir fuori storia e carattere di Medea e a cosa serve la sua comparsa!
Un bacio **

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Chapter 2.
This is how you remind me.

 
Viaggiavano l’uno affianco all’altra, col cavallo che portava i sacchi con un po’ di fatica. «Non ricordate proprio nulla?»
«No, niente» rispose il giovane.
«Nemmeno il vostro nome?»
«Nemmeno»
Medea sospirò, osservando il modo impacciato con cui il ragazzo camminava con l’armatura. «Non riconosci nemmeno lo stemma sul mantello?»
«No» rispose, guardando il drago dorato sullo sfondo rosso. «Posso toglierlo? È ingombrante»
«Non dovete chiedermi il permesso» Medea sorrise, scuotendo la testa. Si voltò verso il cavallo e prese un sacco vuoto, porgendolo al giovane.
Lui cominciò prima a togliere il mantello, ma non sapeva proprio come fare. Ci riuscì dopo molteplici tentativi, poi tolse l’armatura dalle spalle e mise tutto nel sacco.
Rimase con la retina addosso, e si accorse anche lui dello strappo insanguinato su di essa. «Sono ferito?»
«A quanto pare lo eravate, ma deve esser guarita. Chissà da quanto tempo siete lì, svenuto»
«Vi ringrazio, allora»
Medea alzò un sopracciglio, era la prima volta che qualcuno le dava del ‘voi’. «Certo. Va bene, siamo quasi arrivati alle porte di Camelot»
«Camelot?» domandò il biondo, sentendo un brivido lungo la schiena.
«Mio padre abita lì» rispose lei. «Non lo vedo da tanto, ci vado solo perché mia madre è morta»
Il giovane ragazzo la guardò un attimo, non sapendo bene cosa fare. Era molto confuso, lo si leggeva in faccia, specialmente perché Medea non lo guardava mai in viso e lui non sapeva cosa dire, si sentiva un po’ un peso in realtà. «Perché mi porti con te?»
Medea ci pensò un attimo su, e per un attimo i suoi occhi incontrarono quelli del biondo. Azzurro cielo contro azzurro mare. Nonostante Medea non si fidasse per niente dei cavalieri –men che meno di quello di fronte a lei – non poteva non ammettere che in quegli occhi non vedeva proprio nulla di cattivo, se non un ragazzo spaesato, solo e triste. Chissà come ci si doveva sentire a guardarsi allo specchio senza sapere chi è la persona di fronte a te. «Vuoi che ti lasci qui?»
«No, no!» il biondo subito deglutì al pensiero di rimanere lì, da solo, al buio.
«Bene, allora possiamo riposarci qui per la notte. Domani ripartiremo»
«Qui?» Chiese lui, osservandosi intorno. Erano, forse, nel bel mezzo di un bosco, al buio. Era pieno di alberi, non c’era un posto al riparo e faceva anche freddo.
«Si, signorina, qui» lo schernì Medea, scuotendo la testa. Tirò fuori dai sacchi due coperte pesanti, una la sistemò per terra e l’altra la lanciò al ragazzo. «Sdraiati e copriti» ordinò, e poi si sedette su un masso poco distante, affondando la punta della spada nella terra bagnata.
Il ragazzo la guardò confuso. «E tu non dormi?»
«Rimango a fare la guardia» Rispose, guardando di fronte a lei. «So brandire la spada meglio di quanto tu possa lontanamente ricordare di poter fare»
 
Era notte fonda quando i due ragazzi giunsero a Camelot. Non avevano dormito per più di tre ore, faceva troppo freddo per rimanere fermi nella stessa posizione.
Per le strade non vi era anima viva e si udivano solo i passi ritmati delle sentinelle in lontananza.
Medea seguì le indicazioni inviatele dal padre nella lettera. Doveva arrivare alla taverna, svoltare a sinistra e proseguire per tre case. La quarta casa era la sua.
Superò la taverna piena di uomini che ridevano e bevevano a quell’ora della notte, girò a sinistra e  oltrepassò  le tre case. «Deve essere quella» la indicò.
Il biondo annuì e cominciò a camminare verso quella direzione. Era una casa modesta, piccola, proprio tipica di un fabbro.
Medea bussò alla porta e subito dallo spiraglio trasparì un raggio di luce, probabilmente della candela che si avvicinava insieme al padre per aprire.
Quando la porta si aprì, apparì un uomo alto, muscoloso e moro. Il biondo guardò Medea, chiedendosi come fosse possibile anche lontanamente che quei due fossero parenti.
«Padre» il tono di Medea era freddo, era molto rancorosa nei suoi confronti.
«Ciao, figliola» aprì di più la porta e lasciò entrare la figlia, senza quasi notare il giovane dietro di loro che li seguiva. «E’ stato un viaggio faticoso?» l’imbarazzo nel tono di voce di uomo era palese, in fondo aveva abbandonato lei e la madre molto tempo prima.
«Se avessi avuto un cavallo normale sarebbe stato meno… avventuroso, ecco» Medea si prese del tempo per guardarsi attorno. La casa era semplice, distinta da colori chiari, un paio di porte che nascondevano altre stanze, un tavolo vecchio al centro e alcune piccole finestre.
«Mi dispiace, ho avuto molto da fare, non potevo proprio chiedere un giorno per venire a prenderti. Ma ho preparato la tua stanza, è dietro quella porta. Se sei stan…» un tonfo sordo interruppe la chiacchierata.
Al biondo dietro di loro, ancora in silenzio fino a quel momento, erano caduti i sacchi che, molto gentilmente, si era offerto di portare per Medea mentre, durante il viaggio, Lyon aveva esalato l’ultimo respiro. «Oh, ehm… Scusate»
Roland sgranò gli occhi e la sua bocca formò una O perfetta. Boccheggiò come un pesce, rivolto alla figlia, e fece dei passi indietro fino a che non arrivò a scontrarsi col tavolo. Lo stupore sul suo viso era palese, tanto da far spaventare un po’ Medea. «C… Come è… Come è mai possibile…»
«Cosa?» Medea fece un passo verso il ragazzo, come per cercare di capire lo stupore del padre.
«Com… No. Devo… Devo avere le allucinazioni, per forza»
«Padre?»
«Medea, è solo che il tuo amico è molto simile a… Al re Artù»
Medea alzò un sopracciglio, scuotendo la testa e alzando gli occhi al cielo. Quel ragazzo, re Artù? Il favoloso re Artù di cui aveva sentito parlare con gloria e onore e che, tra l’altro, era morto?
Se avesse potuto avrebbe volentieri cancellato quel legame di parentela. «Padre, seriamente, sono stanca. Credo che andrò a dormire» tirò fuori il mantello dal sacco del giovane e glielo porse. «Dormi per terra. Copriti con questo, adesso ti prendo un’altra coperta»
«Med… Medea?»
«Sì, padre?» aveva di nuovo quell’espressione sbalordita, impressionata, come se avesse visto un fantasma.
«Quello è lo stemma dei cavalieri di Camelot. Quello è Artù. Quello è il re».
   
 
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