Paring: Sabo/Ace
Conto parole: 930
Rating: arancione
Sommario: di sicuro una piccola occhiata non sarebbe stata un problema…
Essere un membro
rispettato e di alto grado dell’armata rivoluzionaria – guidata
dal padre del loro fratellino, nientemeno – aveva certamente i suoi vantaggi.
Sabo aveva la sua propria nave, piccola a sufficienza per poter navigare da
solo e grande abbastanza per permettersi dei lussi. Ace era un po’ geloso.
Uno di questi lussi era la camera da letto, più grande di qualunque stanza
in cui Ace avesse dormito in tutta la sua cavolo di vita, una che includeva
un materasso incredibilmente soffice – aveva scoperto che trascorreva
la maggior parte delle sue visite a Sabo addormentato lì sopra, e non
era mai stato più felice della sua narcolessia – un bagno collegato,
e la lucida e robusta scrivania in quercia che Sabo usava per… attività
più intellettuali.
Come scrivere.
Era bravo. Ace poteva dirlo solo dalle veloci occhiate che aveva rubato da sopra
le spalle di Sabo, nonostante suo fratello, seccato, si rifiutasse di lasciargli
leggere la maggior parte del suo lavoro. Doveva essere una sorpresa, quello
era all’incirca il motivo.
Ace si sentiva imbrogliato. Chi sapeva quanti anni ci sarebbero voluti?
E nonostante il letto fosse così confortevole da fargli desiderare di
non muoversi mai più, c’erano fogli di pergamena sparsi su tutto
il tavolo e Sabo era altrove, a preparare il pranzo. Di sicuro una piccola occhiata
non sarebbe stata un problema…
Perciò Ace si trascinò via dal suo piccolo angolo di paradiso
e camminò a piedi nudi per la stanza, scoccando occhiate colpevoli alla
porta per tutto il tempo, e rimestò i fogli di carta finché non
si imbatté in qualcosa che non sembrava definitivo o in codice.
Lo colpirono immediatamente. Invece della calligrafia chiara e scorrevole di
Sabo, le parole erano scarabocchiate disordinatamente, con le linee trasandate
e macchie d’inchiostro che coprivano intere frasi. All’iniziò
suppose che appartenessero a qualcuno meno meticoloso di Sabo, ma poi scorse
il suo nome.
Strizzò gli occhi, cercando di capire quell’incomprensibile calligrafia
quasi tirando ad indovinare.
Ace si mosse verso di me, con ombre che si stagliavano contro il suo viso
sudato ed arrossato, aprendo le labbra carnose mentre ansimava come uno stallone.
Le candele tremolanti illuminavano parti del suo petto nudo . Non potei fare
altro che raggiungerlo e toccarlo con agitate dita tremanti, non potei far altro
che disegnare le pianure e le valli dei suoi muscoli definiti e la cima del
suo capezzolo rosa chiaro, il colore dei fiori primaverili.
Quando ne grattai uno con le unghie, Ace inarcò la schiena, gemendo profondamente
e rocamente. Le sue labbra sbatterono contro le mie, spargendo una tempesta
infernale di lussuria giù nel mio addome. Gli stringo le spalle, implorando
silenziosamente per altro.
Con un sorriso furbo, Ace aprì la bocca per un bacio profondo. Le nostre
lingue duellarono, ma presto mi sconfisse e sinuosamente si spinse più
in fondo. Il suo gusto invitante mi offuscava la mente.
“Calmati, amore,” disse, tornando indietro, e allora realizzai quanto
forte stavo tremando. “Abbiamo appena iniziato. Non c’è bisogno
di andare in fretta…”
Le sue mani, innaturalmente calde a causa della maledizione che possedeva, spingevano
i miei pantaloni aperti giù per le cosce…
Il resto proseguiva con nudità gratuite, eufemismi fallici più
di quanti ne potesse mai immaginare, e cose che due uomini potevano fare assieme
di cui non era mai stato a conoscenza. Grugnire. Gemere. Gridare. Contorcersi.
Il tutto scritto dal punto di vista di Sabo.
Ace era ancora lì in piedi, stringendo disperatamente quei fogli ormai
spiegazzati e la faccia che bruciava più delle sue fiamme innaturali,
quando Sabo aprì la porta ed entrò a grandi passi con un vassoio
di panini in equilibrio sulla mano. Non poté guardarlo negli occhi, ancora
fissato su quei fogli di pergamena. Voleva bruciarli e gettare le ceneri in
mare. Voleva nasconderli nella tasca e pretendere che non li avrebbe riletti
più tardi – molto più tardi, da solo – una mano che
teneva la pergamena spiegazzata e l’altra abbassata a fianco dei suoi
pantaloni.
Sfortunatamente, non ne ebbe la possibilità prima che Sabo lo notasse,
con lo sguardo che passava fra quelle che immaginava essere delle guance molto,
molto rosse e le pagine. Fu solo quando gli occhi di Sabo si spalancarono tremando
che Ace guardò veramente il fratello.
“Io – Oh, Dio, mi dispiace così tanto. Ero u-ubriaco, così
tanto che non ci crederesti, e pensavo di distruggerlo – Ace,
per favore perdonami, anche se capirei se non potessi sopportare –“
Sabo si stava perdendo, aveva gettato la sua solita eleganza fuori dalla finestra,
sostituendola con quelle scuse farfugliate, ed Ace improvvisamente seppe che
anche se quel terribile porno era stato il risultato di una sbornia di cui certamente
avrebbe poi chiesto spiegazioni, era qualcosa su cui Sabo stava riflettendo.
Deglutendo tutto il groppo in gola, Ace fece un passo in avanti e mise fine
ai biascicamenti di scuse di Sabo con un bacio. Lo fece leggero, cauto, aspettando
di vedere cosa l’altro avrebbe fatto. Era sconvolto da quanto sperava
che Sabo lo accettasse; non ci aveva mai davvero pensato, ma ora che stava succedendo
non poteva immaginare perché diavolo no.
Sabo emise un suono sorpreso, basso, che sibilò attraverso le sue labbra,
e poi esitante si avvicinò, quasi come se si aspettasse di essere respinto.
Idiota, pensò con affetto.
“Sabo,” disse a voce alta. “Diamo a queste cose una possibilità,
hm?”
Quello valeva il sorriso che Sabo gli regalò mentre prendeva le pagine,
appoggiandole all’angolo del suo fantastico letto – per riferimento
– mentre lo baciava ancora.
Valeva decisamente.