Angolo dell'autore:
ringrazio amazzonamachia per avermi recensito in modo così onesto e
gentile.
Effettivamente hai ragione,l'orario non ha aiutato minimamente a
darmi la forza di rileggere per bene. Son comunque contenta che
l'intreccio della storia abbia suscitato in te interesse e spero
che anche questo capitolo possa essere di tuo gradimento!
Per chi mi legge la prima volta, benvenuto e auguro a tutti quanti buona
lettura!
P.S. : ho preferito taglare a metà questo capitolo dato che è particolarmente
denso di informazioni e di colpi di scena.
Detto ciò, spero di farmi perdonare e vi auguro ancora buona lettura!
Lullaby Moon
una ninna
nanna speciale
risveglio
(capitolo secondo: la speranza è l'ultima a morire) parte prima
Dolce appare la notte quando si è
ignari che il giorno dopo tutto ciò che si sapeva su di sè diviene un mero
ricordo.
Viene quasi a mancare la dolce noia del tran tran quotidiano che tutti noi si
detesta nell'animo tanto che si è spinti a manifestarlo ai propri cari che
abbiamo attorno, ma ironia della sorte quando è tutto troppo normale e ci si
lamenta, proprio in quel medesimo istante:
capita che un avvenimento accade repentinamente cambiando le abitudini
ritenute, da noi poveri stolti, immutabili. Così eccoci che lo rimpiangiamo
quello stile di vita che assunto tutti i giorni pare una noia e che pare mettere
a dura prova anche i più longevi nervi.
Ma tutto questo rimane ignaro ad un ragazzo di diciannove appena compiuti il
cui compleanno corrispondeva con quello della sorellastra che ottenuto con due
anni di ritardo il diploma si accinge, come al solito, a rubare di scena
l'attenzione dal fratello sfigato per attirarla direttamente su di sè da brava
figlia viziata e piena di falsi complessi di mancanze di affetto. Sentendosi un
po' una sorta di H. Potter della situazione, la cui stanza per fortuna non è
riposta in un sotto scala ma bensì in una mansarda, che pensa in ogni istante
della propria vita di essere destinato ad una: ordinaria ma quanto scialba
esistenza, in attesa che la natura si provveda di dargli un che di mascolino
quanto aspetto virile e adulto rispetto a quello posseduto. Un ragazzino
sedicenne parrebbe meno bimbetto sbarbato del nominato diciannovenne il cui
destino è nelle mani di una folle teen-ager isterica il cui unico pensiero è:
" voglio fare un piercing all'ombelico e uno alle labbra" oppure “voglio
farmi un tatuaggio alla chiappa sinistra col nome del mio ammore”.
Così si prospetta la giornata, l'eterno dimenticato, steso sul letto sa già
come si profila: basso tono e spalle curve come antipasto, con la madre che lo
stritola nella morsa del senso di colpa di non stare mai dritto ma oramai è un
gobbo di Notredam provetto;il patrigno che lo guarda dall’alto in basso
scuotendo la testa perché lo confronta con la figlia biologica e infine la
domestica che farà di tutto per rubargli un sorriso. Bhe un motivo l’ha trovato
per alzarsi dal letto. Eppure che fatica. Si tira fuori mal volentieri dal
calore delle coperte di una prima giornata di freddo autunno inoltrato di
novembre. Scosta lentamente la tendina del lucernaio. Mancanza di sole, solo
nubi e pare gelida quanto basta da farlo
divenire pungente come umore, seppur vi sia il sole pare velato da una patina
che potrebbe venire considerata da tutti:
foschia o un velo che copre il sorriso quasi stesse soffrendo alla vista di
qualcuno mai più rivisto. Scuote la testa: come al solito deve dar significato
alla visione meteorologica, fissandosi su enti celesti quali: sole e luna. O
come direbbe l’amatissima sorellastra: sei il solito new age del… puntini
puntini. Ripensa al senso del sogno che gli sfugge ma solo un qualcosa con la L
appare e la pronuncia:
-Lullaby ma
che caspita significherà lo so solo io…- direbbe con tono appena sarcastico non
sapendo dare nome al sentimento di improvvisa tristezza che si impone gravoso
sul petto. Indi per cui preferisce scuotersi buttandosi nell’armadio alla
ricerca di mettersi qualcosa addosso.
Scalzo sul
pavimento, saltella per non morire di freddo, dato che il contatto con la
ceramica fredda sotto alle piante dei piedi gli procura fitte di gelo, e
di vergogna, infilandosi da equilibrista precario un paio di jeans logori e
squarciati, letteralmente, in più punti lasciando poca immaginazione a cosa
indossi sotto: dei boxer neri con stampati sopra dei cuoricini rossi, molto
virili per la cronaca.
Poi è la volta della maglietta a maniche lunghe bianca con un lungo scollo a V
sul davanti che rivela la presenza della canotta nera sottostante leggermente
sporca di briciole, dato che durante la notte qualcuno ha divorato mezza
scatola di biscotti lasciando, a mo di pollicino, una scia di briciole sul
letto e sul pavimento come prova schiacciante di ladro di merende della mezzanotte.
Pare non farvi caso, tanto che il ragazzo rimane a fissarsi ora in bagno
cercando di esaltare al massimo la propria figura smilza e alta appena un metro
e settanta due centimetri, tenendo su le ciocche ribelli “sbiondate” che danno
un effetto pugno nell'occhio rispetto alla ricrescita nero pece del reale
colore del crine mal trattato da gel e pettine. Capelli dalla consistenza
spaghetto che con testardaggine a mulo del proprietario tenta invano di
mantenere in piedi.
Una smorfia di disappunto si forma sul bel viso di forma ovale incastonato da
due occhi verde speranza in contrasto con una carnagione che fa a gara con
Mortisia degli Addams, insieme allo stile mefitico nero da iettatore nel
vestire punk/gothic metal che lo rendono ancora più inquietante di quanto non
sia.
Una voce dabbasso si fa sentire:
- Axel, insomma ti decidi a scendere per prendere la colazione o devo dire a
tua madre di buttarla nella pattumiera? Su chicko di Rosita vieni giù e mangia
qualcosa... tanto quando scenderai le scale, udirò il tintinnio delle tue
quattro ossicine che suonano a xilofono...- una risata allegra e ancora la voce
ora provocatoria e roca della domestica/bambinaia/" madre acquisita e più
vera di quella biologica" che fa l'annuncio della colazione.
Silenzioso Axel, vestito di tutto punto, ma scalzo, con gli occhiali da sole
inforcati sul naso. Scende le scale molto pomposamente cadendo a piedi all'aria
con una semplice sederata da parte della sorellastra che invidiosa dell'affetto
che il fratellastro riceve dai domestici, ha sempre da rimarcare la nota
inferiorità di rango e statura che è palese da ogni possibile angolo di
inquadratura se vi fosse la presenza di una telecamera e una troup televisiva.
Una volta atterrato sullo scalino, con evidente ennesimo ematoma in via di
formazione sul fianco, con espressione stoica dipinta sul diafano viso, si dirige stoicamente, stile condannato a morte munito di occhiali da sole che fungono da schermo,
verso la cucina dove una famiglia di tre persone e una domestica lo guardano
con aria del tutto perplessa. Il loro sguardo evidentemente è fermo sugli
occhiali stile moscone del ragazzo, che fa spallucce e come se nulla fosse
prende posto a tavola.
A mo di schermo totale evita le occhiate imploranti della madre di comportarsi
nel giorno del compleanno, non chè del proprio ma pare che nessuno se ne
accorga tranne la domestica, della sorella in modo meno stravagante con
alzate di sopracciglia allarmanti. Dall'altra patrigno e figliastra alleati in
un teatrino inesistente di moine familiari da far venire diabete anche ad un
ragazzo sano, gettano occhiate di disprezzo verso quell'ammasso di carne
informe che ha come nome:
- signorino Axel, non pensa che sia meglio evitare di fare arrabbiare vostra
sorella oggi?- Rosita, la saggia domestica, che con un dolce si fa perdonare quanto
obbedire da un ragazzo la cui voglia di crescere si è arrestata dai tredici
anni in su.
- mmmh- unico monosillabo di grugnito e risposta giunge dal ragazzo mentre con
grande soddisfazione della famiglia e generale, viene liberato dallo schermo
mostrando una peggiore visione della propria espressione tediata.
Detto ciò la famiglia come al solito si disinteressa della figura del ragazzo,
lasciandolo al proprio destino ovvero: immerso nella solitudine, inetto e
impacciato lasciandolo per ultimo consumare un pasto più abbonddante del solito
in presenza di una rosa rossa colta dal giardino appositamente per lui dalla
domestica, unica reale amica nella famiglia, in occasione speciale del
compleanno.
Ma non dell'umore adatto una volta rimasto solo e consumato il frugale pasto, si
alza dirigendosi come al solito verso l'angolo della casa che più gli è
congeniale: la sala da pranzo che nessuno di loro usa se non quest'ultimo come
sala prove generali, poichè essendoci la presenza di un pianoforte e dotato di
animo sensibile alla musica compone testi musicali sempre privi di parole.
Tuttavia da oramai qualche mese, il sonno gli manca come anche l'appetito e il
giovane signorino non preferisce nemmeno confidarsi con la propria bambinaia
Rosita. Sogni pieni di malinconia che gli opprimono il petto e piangendo come
un bambino, senza una spiegazione per altro plausibile, di cui ricorda
solamente le brutte sensazioni e nemmeno un minimo pezzettino utile per poter
in qualche modo carpire l'essenza e il real significato di tale tormento
onirico.
Indi per cui, poggiato sulla tastiera con un gomito e mezzo afflosciato di
sghembo, emettendo suoni stridenti, si ritrova a pensare per l'ennesima volta
ai risvegli in lacrime o peggio gridando come una donnicciola. Nessuno lo sente,
nè lo soccorre ma quel che è peggio è il senso di malumore che gli lascia ogni
volta dentro: come se il cervello non volesse minimamente ammettere che
qualcosa sta tentando di nascondergli all'Axel razionale.
Sconfitto dal proprio subconscio, decide definitivamente di arrendersi
abbandonandosi a fantasticherie a occhi aperti se non fosse per l'entrata in
scena nel proprio campo visivo offuscato da visioni epiche di battaglie
dimenticate interstellari, il cui nome Lullaby compare spesso nella mente senza
sforzo quando dà libero sfogo ai pensieri lasciandoli andare lontano in una
memoria arcana quasi millenaria. Ma come detto questo momento idillico è presto
detto finisce con l'entrata in scena di:
- Axel , possibile che tu non abbia un minimo di riguardo nei confronti di tua
sorella?- una ragazza dai capelli biondi boccoluti lunghi sino a metà schiena,
guardava accigliata, per mezzo di due splenidi occhi verde acqua, un ragazzo
piegato e semi svenuto sul pianoforte a coda. Il ragazzo in questione si alza e
guardandola male farebbe un convenevole saluto: alzando il dito medio.
- mh...Mercoledì, il tuo compleanno sarà da sballo ma ti rendi conto che tu
oltre che rompi palle sei anche stro...lascia fare, nessuno si ricorda di me
tranne Rosita. Mi sa che mi avete adottato...già!- lagnoso e lamentoso fissa
una sorellastra del tutto fuori di sè.
- tu maledetto, quante volte ti ho ribadito che O D I O essere chiamata a quel
modo! Mi chiamo V E N E R E e non venerdì o mercoledì degli Addams. E non dire
che mio padre è Zio Fester o ti tiro un calcio negli stinchi!- corrucciando le
abbonddanti e generose labbra, stroppicciandosi il vestitino a balze elegante
grigio perla in perfetto sposalizio con le scarpe decoltè tacco dieci grigio
perla anch'esse. Fissa male così il caro fratellastro il cui sguardo è perso
nel vuoto.
-Parlare con te ha la stessa passione che per un termosifone...massimo ti
scalda per contatto ma rimane fermo attaccato al muro- con rabbia fa l'uscita
di scena teatralmente la bionda figura di lei angelicata, ma dall'ira stampata
negli occhi.
Una volta rimasto del tutto solo, riprende vita e come se non fosse mai
accaduto nulla con mano floscia recupera dei fogli che con la turbolenta
sorellastra uscita dalla stanza ha fatto volare per terra. Come colpito da una
scossa elettrica.
I polpastrelli formicolanti gli prudono e mentalmente instabile con una
frenesia nelle dita: afferra una matita e poggiandosi sul piano ligneo liscio
del pianoforte traccia linee parallele per segnare il pentagramma e infine dei
pallini: ora neri ora bianchi, degli sgorbi che segnalano le pause le chiavi
per le due mani che devono battere sulla tastiera del pianoforte. Come
posseduto, nel mentre scrive quasi non si rendesse conto che la matita è senza
punta, i fogli son scritti fitti fitti: nella mente un nome, una voce che sino
ad allora è rimasta muta tuona con dolcezza nelle proprie sinapsi deboli e
labili. Un nome gli giunge alle labbra e appare ancora come Lullaby.
Ancora e ancora una volta, mentre lo pronuncia facendo il labiale delle parole ma senza emettere
alcun suono le dita afferrano un altro foglio e a fianco alla parte di musica
solo strumentale ci aggiunge la parte di canto. Una cosa che mai e poi mai gli
è mai riuscita comporre e concepire. Ora come posseduto da una presenza maligna
venuta dal nulla, delle parole gli scorrono lungo la bocca muta ma mobile a
livello delle labbra quasi esangui. Febbrile quanto assente, solo le dita e le
braccia paiono prese da raptus tali da lasciarlo, a fine
"possessione" dell'estro musicale, a terra e privo di sensi.
Una voce
lontana e lamentosa, una luce fioca in mezzo ad un buio assordante. Il pensiero
va al nulla, come se fosse consapevole che non è in una fase della propria vita
semplice: che l'adolescenza è qualcosa di strano...inspiegabilmente però quella
voce si fa più forte e anche più manchevole di forza, seppur più vicina pare
così triste e scoraggiata. La luce inspiegabilmente diviene ancora più fioca.
Il buio e il silenzio più assordanti. Poi un passo, due passi e appena riesce a
pensare:
" aspetta...non lasciarmi qua da solo..." un pensiero assurdo forse è
svenuto, ma quella voce incomprensibile torna a farsi più viva e quasi allegra
come se qualcuno stesse piangendo, ma non comprende nemmeno un monosillabo.
"perchè...piangi? Dimmi chi sei?" continua a pensare e la voce pare
farsi più indispettita e la luce terribilmente più fioca e diffidente. Vede le
mani,le proprie che si dirigono verso quella piccola luce e con un gesto
stranamente di slancio affettivo va a custodirla verso il cuore:"com'è
caldo! Com'è bella e tenue...Lullaby" un nome pronunciato più come cosa
inconscia che per diretta volontà conoscitiva. Quella luce fioca diviene così
sempre più grande sino a inghiottirlo, la voce dice: GAJIA, GAJIA...ancor non
capisce cosa sia. Ma la luce gli pare una cara vecchia amica, così bianca e
tenue come anche la voce "Lullaby...Lullaby..." continua a ripetere
nella testa quella parola, priva di significato alcuno sino a che diviene
tutt'uno con il candore della luce che lo sovrasta e lo inghiotte sino a
sparire anche alla propria flebile coscienza di diciannovenne.