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Autore: AceroNipponico    10/01/2013    0 recensioni
Dodicimila anni fa una triade di angeli fecero la guerra fra loro:Gajia e Solarius si allearono affinchè i demoni alati potessero alimentarsi non del brama (anima degli umani) ma bensì della brama del pianeta, ma Lullaby si oppose con le proprie forze formando un esercito contro i due. Gajia cadde in disgrazia dimenticato per millenni a vivere una esistenza che al compimento di ventuno anni, retrocede di memoria e status fisico/anni di un neonato senza aver la possibilità di ricordare quale sia la sua reale identità. Solarius, fu confinato come stella poichè diede la vita per salvare il pianeta il cui nome si ispira a quello del fratello caduto in disgrazia. Lullaby rimasto solo,non si uccise per la solitudine poichè voleva punirsi della perdita dei suoi grandi amori: Gajia e Solarius.Oggi siamo nel duemila e la vita di un ragazzino di diciannove anni sta per cambiare poichè dopo tante rinascite [...]in una notte di luna piena: ricevette un suono lontano il cui messaggio oramai incomprensibile, distorto gli ruppe l'animo.Questa è la storia del risveglio e del canto della ninna nanna di Gajia per Lullaby Moon...
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Angolo dell'autore:
ringrazio  amazzonamachia per avermi recensito in modo così onesto e gentile.
 Effettivamente hai ragione,l'orario non ha aiutato minimamente a  darmi la forza di rileggere per bene.  Son comunque contenta che  l'intreccio della storia abbia suscitato in te interesse e spero  che anche questo  capitolo possa essere di tuo gradimento!
Per chi mi legge la prima volta, benvenuto e auguro a tutti quanti buona lettura!
P.S. : ho preferito taglare a metà questo capitolo dato che è particolarmente denso di informazioni e di colpi di scena.
Detto ciò, spero di farmi perdonare e vi auguro ancora buona lettura!

Lullaby Moon
una ninna nanna speciale


risveglio (capitolo secondo: la speranza è l'ultima a morire) parte prima

Dolce appare la notte quando si è ignari che il giorno dopo tutto ciò che si sapeva su di sè diviene un mero ricordo. 
Viene quasi a mancare la dolce noia del tran tran quotidiano che tutti noi si detesta nell'animo tanto che si è spinti a manifestarlo ai propri cari che abbiamo attorno, ma ironia della sorte quando è tutto troppo normale e ci si lamenta, proprio in quel medesimo istante:  capita che un avvenimento accade repentinamente cambiando le abitudini ritenute, da noi poveri stolti, immutabili. Così eccoci che lo rimpiangiamo quello stile di vita che assunto tutti i giorni pare una noia e che pare mettere a dura prova anche i più longevi nervi.
Ma tutto questo rimane ignaro ad un ragazzo di diciannove appena compiuti il cui compleanno corrispondeva con quello della sorellastra che ottenuto con due anni di ritardo il diploma si accinge, come al solito, a rubare di scena l'attenzione dal fratello sfigato per attirarla direttamente su di sè da brava figlia viziata e piena di falsi complessi di mancanze di affetto. Sentendosi un po' una sorta di H. Potter della situazione, la cui stanza per fortuna non è riposta in un sotto scala ma bensì in una mansarda, che pensa in ogni istante della propria vita di essere destinato ad una: ordinaria ma quanto scialba esistenza, in attesa che la natura si provveda di dargli un che di mascolino quanto aspetto virile e adulto rispetto a quello posseduto. Un ragazzino sedicenne parrebbe meno bimbetto sbarbato del nominato diciannovenne il cui destino è nelle mani di una folle teen-ager isterica il cui unico pensiero è: " voglio fare un piercing all'ombelico e uno alle labbra" oppure “voglio farmi un tatuaggio alla chiappa sinistra col nome del mio ammore”.
Così si prospetta la giornata, l'eterno dimenticato, steso sul letto sa già come si profila: basso tono e spalle curve come antipasto, con la madre che lo stritola nella morsa del senso di colpa di non stare mai dritto ma oramai è un gobbo di Notredam provetto;il patrigno che lo guarda dall’alto in basso scuotendo la testa perché lo confronta con la figlia biologica e infine la domestica che farà di tutto per rubargli un sorriso. Bhe un motivo l’ha trovato per alzarsi dal letto. Eppure che fatica. Si tira fuori mal volentieri dal calore delle coperte di una prima giornata di freddo autunno inoltrato di novembre. Scosta lentamente la tendina del lucernaio. Mancanza di sole, solo nubi e  pare gelida quanto basta da farlo divenire pungente come umore, seppur vi sia il sole pare velato da una patina che potrebbe  venire considerata da tutti: foschia o un velo che copre il sorriso quasi stesse soffrendo alla vista di qualcuno mai più rivisto. Scuote la testa: come al solito deve dar significato alla visione meteorologica, fissandosi su enti celesti quali: sole e luna. O come direbbe l’amatissima sorellastra: sei il solito new age del… puntini puntini. Ripensa al senso del sogno che gli sfugge ma solo un qualcosa con la L appare e la pronuncia:

-Lullaby ma che caspita significherà lo so solo io…- direbbe con tono appena sarcastico non sapendo dare nome al sentimento di improvvisa tristezza che si impone gravoso sul petto. Indi per cui preferisce scuotersi buttandosi nell’armadio alla ricerca di mettersi qualcosa addosso.

Scalzo sul pavimento, saltella per non morire di freddo, dato che il contatto con la ceramica fredda sotto alle piante dei piedi gli procura fitte di gelo, e  di vergogna, infilandosi da equilibrista precario un paio di jeans logori e squarciati, letteralmente, in più punti lasciando poca immaginazione a cosa indossi sotto: dei boxer neri con stampati sopra dei cuoricini rossi, molto virili per la cronaca.
Poi è la volta della maglietta a maniche lunghe bianca con un lungo scollo a V sul davanti che rivela la presenza della canotta nera sottostante leggermente sporca di briciole, dato che durante la notte qualcuno ha divorato mezza scatola di biscotti lasciando, a mo di pollicino, una scia di briciole sul letto e sul pavimento come prova schiacciante di ladro di merende della mezzanotte.
Pare non farvi caso, tanto che il ragazzo rimane a fissarsi ora in bagno cercando di esaltare al massimo la propria figura smilza e alta appena un metro e settanta due centimetri, tenendo su le ciocche ribelli “sbiondate” che danno un effetto pugno nell'occhio rispetto alla ricrescita nero pece del reale colore del crine mal trattato da gel e pettine. Capelli dalla consistenza spaghetto che con testardaggine a mulo del proprietario tenta invano di mantenere in piedi.
Una smorfia di disappunto si forma sul bel viso di forma ovale incastonato da due occhi verde speranza in contrasto con una carnagione che fa a gara con Mortisia degli Addams, insieme allo stile mefitico nero da iettatore nel vestire punk/gothic metal che lo rendono ancora più inquietante di quanto non sia.
Una voce dabbasso si fa sentire:
- Axel, insomma ti decidi a scendere per prendere la colazione o devo dire a tua madre di buttarla nella pattumiera? Su chicko di Rosita vieni giù e mangia qualcosa... tanto quando scenderai le scale, udirò il tintinnio delle tue quattro ossicine che suonano a xilofono...- una risata allegra e ancora la voce ora provocatoria e roca della domestica/bambinaia/" madre acquisita e più vera di quella biologica" che fa l'annuncio della colazione.
Silenzioso Axel, vestito di tutto punto, ma scalzo, con gli occhiali da sole inforcati sul naso. Scende le scale molto pomposamente cadendo a piedi all'aria con una semplice sederata da parte della sorellastra che invidiosa dell'affetto che il fratellastro riceve dai domestici, ha sempre da rimarcare la nota inferiorità di rango e statura che è palese da ogni possibile angolo di inquadratura se vi fosse la presenza di una telecamera e una troup televisiva.
Una volta atterrato sullo scalino, con evidente ennesimo ematoma in via di formazione sul fianco, con espressione stoica dipinta sul diafano viso, si dirige stoicamente, stile condannato a morte munito di occhiali da sole che fungono da schermo, verso la cucina dove una famiglia di tre persone e una domestica lo guardano con aria del tutto perplessa. Il loro sguardo evidentemente è fermo sugli occhiali stile moscone del ragazzo, che fa spallucce e come se nulla fosse prende posto a tavola.
A mo di schermo totale evita le occhiate imploranti della madre di comportarsi nel giorno del compleanno, non chè del proprio ma pare che nessuno se ne accorga tranne la domestica,  della sorella in modo meno stravagante con alzate di sopracciglia allarmanti. Dall'altra patrigno e figliastra alleati in un teatrino inesistente di moine familiari da far venire diabete anche ad un ragazzo sano, gettano occhiate di disprezzo verso quell'ammasso di carne informe che ha come nome:
- signorino Axel, non pensa che sia meglio evitare di fare arrabbiare vostra sorella oggi?- Rosita, la saggia domestica, che con un dolce si fa perdonare quanto obbedire da un ragazzo la cui voglia di crescere si è arrestata dai tredici anni in su.
- mmmh- unico monosillabo di grugnito e risposta giunge dal ragazzo mentre con grande soddisfazione della famiglia e generale, viene liberato dallo schermo mostrando una peggiore visione della propria espressione tediata.
Detto ciò la famiglia come al solito si disinteressa della figura del ragazzo, lasciandolo al proprio destino ovvero: immerso nella solitudine, inetto e impacciato lasciandolo per ultimo consumare un pasto più abbonddante del solito in presenza di una rosa rossa colta dal giardino appositamente per lui dalla domestica, unica reale amica nella famiglia, in occasione speciale del compleanno.
Ma non dell'umore adatto una volta rimasto solo e consumato il frugale pasto, si alza dirigendosi come al solito verso l'angolo della casa che più gli è congeniale: la sala da pranzo che nessuno di loro usa se non quest'ultimo come sala prove generali, poichè essendoci la presenza di un pianoforte e dotato di animo sensibile alla musica compone testi musicali sempre privi di parole. Tuttavia da oramai qualche mese, il sonno gli manca come anche l'appetito e il giovane signorino non preferisce nemmeno confidarsi con la propria bambinaia Rosita. Sogni pieni di malinconia che gli opprimono il petto e piangendo come un bambino, senza una spiegazione per altro plausibile, di cui ricorda solamente le brutte sensazioni e nemmeno un minimo pezzettino utile per poter in qualche modo carpire l'essenza e il real significato di tale tormento onirico.
Indi per cui, poggiato sulla tastiera con un gomito e mezzo afflosciato di sghembo, emettendo suoni stridenti, si ritrova a pensare per l'ennesima volta ai risvegli in lacrime o peggio gridando come una donnicciola. Nessuno lo sente, nè lo soccorre ma quel che è peggio è il senso di malumore che gli lascia ogni volta dentro: come se il cervello non volesse minimamente ammettere che qualcosa sta tentando di nascondergli all'Axel razionale.
Sconfitto dal proprio subconscio, decide definitivamente di arrendersi abbandonandosi a fantasticherie a occhi aperti se non fosse per l'entrata in scena nel proprio campo visivo offuscato da visioni epiche di battaglie dimenticate interstellari, il cui nome Lullaby compare spesso nella mente senza sforzo quando dà libero sfogo ai pensieri lasciandoli andare lontano in una memoria arcana quasi millenaria. Ma come detto questo momento idillico è presto detto finisce con l'entrata in scena di:
- Axel , possibile che tu non abbia un minimo di riguardo nei confronti di tua sorella?- una ragazza dai capelli biondi boccoluti lunghi sino a metà schiena, guardava accigliata, per mezzo di due splenidi occhi verde acqua, un ragazzo piegato e semi svenuto sul pianoforte a coda. Il ragazzo in questione si alza e guardandola male farebbe un convenevole saluto: alzando il dito medio.
- mh...Mercoledì, il tuo compleanno sarà da sballo ma ti rendi conto che tu oltre che rompi palle sei anche stro...lascia fare, nessuno si ricorda di me tranne Rosita. Mi sa che mi avete adottato...già!- lagnoso e lamentoso fissa una sorellastra del tutto fuori di sè.
- tu maledetto, quante volte ti ho ribadito che O D I O essere chiamata a quel modo! Mi chiamo V E N E R E e non venerdì o mercoledì degli Addams. E non dire che mio padre è Zio Fester o ti tiro un calcio negli stinchi!- corrucciando le abbonddanti e generose labbra, stroppicciandosi il vestitino a balze elegante grigio perla in perfetto sposalizio con le scarpe decoltè tacco dieci grigio perla anch'esse. Fissa male così il caro fratellastro il cui sguardo è perso nel vuoto.
-Parlare con te ha la stessa passione che per un termosifone...massimo ti scalda per contatto ma rimane fermo attaccato al muro- con rabbia fa l'uscita di scena teatralmente la bionda figura di lei angelicata, ma dall'ira stampata negli occhi.
Una volta rimasto del tutto solo, riprende vita e come se non fosse mai accaduto nulla con mano floscia recupera dei fogli che con la turbolenta sorellastra uscita dalla stanza ha fatto volare per terra. Come colpito da una scossa elettrica. 
I polpastrelli formicolanti gli prudono e mentalmente instabile con una frenesia nelle dita: afferra una matita e poggiandosi sul piano ligneo liscio del pianoforte traccia linee parallele per segnare il pentagramma e infine dei pallini: ora neri ora bianchi, degli sgorbi che segnalano le pause le chiavi per le due mani che devono battere sulla tastiera del pianoforte. Come posseduto, nel mentre scrive quasi non si rendesse conto che la matita è senza punta, i fogli son scritti fitti fitti: nella mente un nome, una voce che sino ad allora è rimasta muta tuona con dolcezza nelle proprie sinapsi deboli e labili. Un nome gli giunge alle labbra e appare ancora come Lullaby.
Ancora e ancora una volta, mentre lo pronuncia facendo il labiale delle parole ma senza emettere alcun suono le dita afferrano un altro foglio e a fianco alla parte di musica solo strumentale ci aggiunge la parte di canto. Una cosa che mai e poi mai gli è mai riuscita comporre e concepire. Ora come posseduto da una presenza maligna venuta dal nulla, delle parole gli scorrono lungo la bocca muta ma mobile a livello delle labbra quasi esangui. Febbrile quanto assente, solo le dita e le braccia paiono prese da raptus tali da  lasciarlo, a fine "possessione" dell'estro musicale, a terra e privo di sensi.


Una voce lontana e lamentosa, una luce fioca in mezzo ad un buio assordante. Il pensiero va al nulla, come se fosse consapevole che non è in una fase della propria vita semplice: che l'adolescenza è qualcosa di strano...inspiegabilmente però quella voce si fa più forte e anche più manchevole di forza, seppur più vicina pare così triste e scoraggiata. La luce inspiegabilmente diviene ancora più fioca. Il buio e il silenzio più assordanti. Poi un passo, due passi e appena riesce a pensare:
" aspetta...non lasciarmi qua da solo..." un pensiero assurdo forse è svenuto, ma quella voce incomprensibile torna a farsi più viva e quasi allegra come se qualcuno stesse piangendo, ma non comprende nemmeno un monosillabo. "perchè...piangi? Dimmi chi sei?" continua a pensare e la voce pare farsi più indispettita e la luce terribilmente più fioca e diffidente. Vede le mani,le proprie che si dirigono verso quella piccola luce e con un gesto stranamente di slancio affettivo va a custodirla verso il cuore:"com'è caldo! Com'è bella e tenue...Lullaby" un nome pronunciato più come cosa inconscia che per diretta volontà conoscitiva. Quella luce fioca diviene così sempre più grande sino a inghiottirlo, la voce dice: GAJIA, GAJIA...ancor non capisce cosa sia. Ma la luce gli pare una cara vecchia amica, così bianca e tenue come anche la voce "Lullaby...Lullaby..." continua a ripetere nella testa quella parola, priva di significato alcuno sino a che diviene tutt'uno con il candore della luce che lo sovrasta e lo inghiotte sino a sparire anche alla propria flebile coscienza di diciannovenne.


 

 

  
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