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Autore: MedusaNoir    11/01/2013    2 recensioni
Questa volta Davide ci mise più tempo a rispondere. – Aurora, - rivelò infine. – Non ci ho provato con lei, non lo avrei mai fatto! Però… qualcun altro invece sì.
- Un cretino in discoteca? – chiese Ettore, maledicendosi per essere rimasto a casa la sera prima. – Se l’è portata a letto?
- Oh no, si è limitato a parlarci, ma andavano così d’accordo…
- Non importa, ci sono molte possibilità che non abbiano più occasioni di rivedersi.
- Invece sì, - esclamò Davide, mordendosi le labbra. – È Marco.

[What if?: E se Ettore si fosse fatto avanti prima?]
Terza classificata a "L'uomo dei sogni" contest di Dark Aeris.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
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X. – EPILOGO

 

Sei così bella, ma vorresti sparire

in mezzo a tutte queste facce,

come se con te svanisse anche il dolore

senza lasciare tracce.

 

Marco non accendeva il cellulare da tre giorni; si era isolato in casa, aveva staccato il cavo del telefono e passava il tempo lavorando al computer o strimpellando con la chitarra. Talvolta lo attraversava il pensiero che qualcuno avrebbe potuto cercarlo per questioni importanti e allungava una mano verso il cellulare, ritrovandosi tuttavia a ritrarla non appena si ricordava di ciò che sarebbe potuto apparire sul display.

Messaggio di Aurora.

Messaggio di Ettore.

Messaggio di Rachele.

Riflettendo in quelle ore di fronte a complicati calcoli matematici che apparivano sullo schermo del computer – e che lui risolveva con minore facilità rispetto al solito –, si rese conto che non avrebbe potuto ricevere un sms da parte di Aurora: perché mai lo avrebbe cercato? Fosse stato in lei sarebbe partito con il primo treno o volo verso la meta più lontana per schiarirsi le idee e capire se desiderava realmente restare nei Moonlight Sonada, alla continua presenza di Marco.

Un sms da Ettore? Se il ragazzo avesse scoperto quello che era successo tre giorni prima nella sala prove, non avrebbe perso tempo a scrivergli: si sarebbe presentato davanti al suo appartamento, avrebbe buttato giù la porta e l’avrebbe inchiodato al muro con le sue enormi braccia.

In realtà Marco sapeva bene che non avrebbe ricevuto messaggi o chiamate da parte di Aurora o Ettore. Temeva Rachele.

Temeva uno dei suoi soliti sms su quanto si annoiasse a lezione, sulla giacca improponibile indossata dal suo professore, sull’ultimo film di fantascienza che aveva visto con le sue amiche senza che loro ci capissero niente.

Temeva di sentire la sua voce allegra che gli chiedeva come stava o se si potevano vedere quella sera.

Dopo quello che era successo con Aurora, Marco non trovava il coraggio di guardare negli occhi Rachele; ufficialmente loro due non erano ancora una coppia – né credeva lo sarebbero diventati, a quel punto – però si frequentavano, andavano al cinema insieme, cenavano fuori, tutti motivi per cui lui non avrebbe dovuto provocare un’altra ragazza. Anche se quella ragazza era Aurora, anche se avrebbe potuto amarla per il resto dei suoi giorni.

Con quell’ultima considerazione si rese conto di quanto stesse diventando melodrammatico; si decise infine ad afferrare il cellulare e ad accenderlo. In quel momento, nel pomeriggio del terzo giorno, qualcuno suonò il campanello dell’appartamento. Per qualche secondo Marco rimase immobile, spaventato dagli innumerevoli volti che gli balenarono nella testa – Aurora, Rachele, Manuel, Ettore, di nuovo Aurora, ancora Rachele, Silvia, Simona, Davide… – finché non ricordò che aveva appena decretato la fine del suo periodo di reclusione.

Aprì la porta, preparandosi al peggio – rappresentato da un uomo di trent’anni dai bicipiti immensi che gli spaccava in testa la sua Fender.

- Ehi, ciao!

Come aveva immaginato, la voce di Rachele gli raggelò il petto, ma c’era qualcosa di più: il tono della ragazza sembrava forzatamente euforico e i suoi occhi azzurri tendevano a spostarsi dal viso di Marco all’interno dell’appartamento, come se stesse cercando di scoprire per quale motivo lui fosse sparito dalla circolazione.

- Ciao, - la salutò Marco con un sorriso tirato. Non riuscì a baciarla sulle labbra, le fece solo segno di accomodarsi. – Entra pure. Come stai?

Rachele si gettò sul divano, evidentemente nella speranza di sembrare a proprio agio, però la schiena esageratamente dritta la tradì.

- Bene! E tu? Che fine avevi fatto?

- Avevo bisogno di tempo per pensare, - rispose Marco con sincerità: non poteva fingere che andasse tutto bene, non era giusto per entrambi.

- Ah -. Rachele si scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, provocando una fitta nello stomaco di Marco. – All’inizio credevo che non volessi vedermi, ma poi Manuel mi ha chiamata allarmato perché non riusciva a mettersi in contatto con te ed essendo a Torino non poteva “piombarti in casa”, sue testuali parole. Così sono passata a trovarti -. Si sforzò di ridere. – Ora posso rassicurarlo!

- Rachele, - esordì Marco dopo un respiro profondo, - ho riflettuto molto, come ti ho detto… E credo che sia arrivato il momento di smettere di prenderti in giro.

- Dimmi solo che non l’hai fatto intenzionalmente.

- No, mai! Non c’è stato nemmeno un momento in cui abbia pensato che uscivo con te perché…

- Perché ti ricordo Aurora, - concluse mestamente Rachele. Sollevò un angolo della bocca in una smorfia che avrebbe dovuto essere un sorriso. – Mi ero accorta delle somiglianze tra di noi quando ci hai presentato nella sala prove e mi sono chiesta perché non mi avessi parlato prima di lei; dopotutto avevamo molti gusti in comune, mi sembrava strano che non te ne fossi mai accorto. È stato quando ho incontrato Ettore a Viterbo, vicino casa mia, che ho collegato ogni tassello: quella sera eri andato da Aurora.

- Avresti potuto lasciarmi, - mormorò Marco, intuendo quanto dovesse essere stata dura per la ragazza.

Rachele scosse la testa, rivolgendogli un sorriso triste. – Vorrei poter dire che non l’ho fatto perché aspettavo che tu ti mostrassi un “vero uomo” e mi spiegassi, o forse ti accorgessi di come stavano le cose. Sarebbe una bugia, almeno in parte: non ho affrontato il discorso perché volevo stare con te. Non so, probabilmente speravo che tu l’avresti dimenticata, col tempo -. Sospirò. – Ma non è andata così.

Il primo istinto di Marco fu di stringere Rachele tra le braccia; lo fece subito, senza esitare, sapendo che con tutte le sue esitazioni non aveva fatto altro che ferire se stesso e le persone che gli stavano intorno: doveva dichiararsi immediatamente ad Aurora, doveva dirle che si erano davvero baciati quella notte a casa sua, doveva spiegare a Rachele che aveva ancora un’altra persona nella testa. L’abbracciò e Rachele si lasciò andare per un momento, appoggiando la testa sulla sua spalla.

Quando il cellulare di Marco squillò – aveva finto di non sentire l’arrivo dei messaggi – fu Rachele ad allontanarsi da lui.

- Rispondi, - gli disse, notando il nome sul display. – Tranquillizzalo.

Manuel urlò dall’altra parte della cornetta: - Dove diavolo ti sei cacciato?!

- Sono a casa.

- Beh, potevi informarmi di questa nuova “reclusione”! Aurora è con te?

Marco aggrottò le sopracciglia. – No, perché?

- Non hai letto i miei messaggi? Ettore la sta cercando da due giorni: è sparita anche lei.

 

Ettore mandò giù un altro sorso di birra e si asciugò con il braccio le labbra bagnate; se ne stava in silenzio, come se fosse solo, eppure dall’altro lato del tavolo Davide lo scrutava preoccupato, attento a ogni minimo dettaglio. Solitamente, quando il volto di Ettore si oscurava, il suo migliore amico cercava di fargli tornare il sorriso facendo qualche battuta sul fatto che fosse davvero sexy con quell’espressione e che avrebbe voluto saggiare la sua più che evidente virilità.

Tuttavia sembrava che Davide avesse paura ad aprire bocca davanti a quello sguardo furioso.

Ettore era consapevole del terrore che incuteva nell’amico, ma non aveva alcuna voglia di fingersi tranquillo e ascoltare le cavolate di Davide: la sua ragazza non si faceva viva da ormai due settimane e l’unica notizia che aveva avuto di lei gli era arrivata tramite Silvia, rassicurata dalla madre di Aurora che sua figlia stava bene. Non sapeva dove fosse, né per quanto altro tempo sarebbe stata via e la presenza di Davide lo irritava ancora di più, poiché sospettava che Silvia fosse a conoscenza di particolari su quella fuga e che stesse cercando di tenerli nascosti. Perché allora Davide, che si definiva un “fratello”, non costringeva la sua ragazza a dire la verità?

No, stava sbagliando, non doveva prendersela con lui; in fondo Davide era lì, presente come sempre, ed era certo che facesse pressioni su Silvia che, dal canto suo, non gli sembrava il tipo di persona che si divertiva a far stare sulle spine gli amici.

- Sai che hanno aperto un negozio di fritti a Ostiense? – esclamò improvvisamente Davide. – Potremmo prendere un cartoccio di calamari o verdure e cenare a…

- No, - lo interruppe Ettore, - non ne ho voglia -. Bevve l’ultimo sorso di birra, poi lanciò la lattina vuota contro la parete della sua cucina. – Maledizione!

Sbatté il pugno sul tavolo, facendolo tremare, e si alzò dalla sedia per placare l’ira: Aurora non immaginava nemmeno cosa stesse provando in quel momento, cosa avesse provato per settimane senza ricevere suo notizie o almeno una lettera in cui gli spiegava perché fosse sparita. Ettore non sapeva niente, niente, e questo lo faceva andare in bestia. Inizialmente aveva pensato che Marco c’entrasse qualcosa, ma dopo averlo incontrato con gli altri amici e avere visto la sua preoccupazione si era impedito all’ultimo momento di spaccargli il naso con un pugno.

- Ettore?

Il tono con cui parlò Davide, che osservava il cielo scuro fuori dall’appartamento, lo riportò immediatamente al presente; si affrettò a raggiungerlo e scrutò fuori dalla finestra anche lui.

Aurora.

La ragazza era in piedi di fronte al suo cancello, come se stesse soppesando la possibilità di citofonargli o meno. Senza darle il tempo di pensarci ulteriormente, Ettore si lanciò fuori di casa, felice della prospettiva che, in qualunque modo fossero andate le cose, ci sarebbe stato Davide ad aspettarlo.

Come poteva ancora chiedersi se suonargli fosse la cosa giusta? Non le era bastato scomparire per due settimane, lui non aveva sopportato abbastanza? Le avrebbe urlato addosso, le avrebbe ringhiato contro fino a spaventarla, rinfacciandole di essere sparita senza lasciare alcun biglietto; l’avrebbe anche presa a schiaffi se vedendolo avesse sorriso e, sì, lo avrebbe fatto anche se avesse pianto. Voleva gridare, mostrarle quanto avesse sofferto privo di qualunque sua notizia.

Uscì dal portone con quelle intenzioni, poi la vide accanto al cancello. Aurora si accorse della sua presenza, il dito ancora premuto sul citofono; il suo volto era colmo di tristezza.

Ettore non le avrebbe fatto nulla, l’avrebbe solo stretta a sé, ma quel semplice sguardo gli fece capire che Aurora non avrebbe restituito il suo abbraccio.

 

Aurora tirò su con il naso, ma non poteva fare altro che singhiozzare in silenzio: altri due piani e poi finalmente avrebbe potuto gettarsi nel proprio appartamento, dove nessuno l’avrebbe vista piangere né udita singhiozzare. Aveva scelto quel giorno per tornare perché sapeva che i suoi genitori sarebbero partiti per il fine settimana e lei avrebbe potuto lasciarsi andare senza dover spiegare i motivi della sua tristezza; era stata dura convincerli a lasciare la città nonostante il suo rientro, però alla fine sua madre si era convinta. Aurora poteva restare sola.

- Ho pensato molto in questo periodo... e in qualche modo sono riuscita a fare chiarezza suoi miei sentimenti.

Strinse le palpebre per ricacciare indietro le lacrime salite al ricordo del discorso fatto solo due ore prima a Ettore; si chiedeva ancora come fosse riuscita a guidare fino a casa. Era assurdo, inspiegabile che lei avesse lasciato il ragazzo che aveva desiderato per più di un anno e mezzo, prima ancora di entrare nei Moonlight Sonada; era assurdo perché Ettore era il ragazzo dei suoi sogni, il tipo di uomo che nei film la faceva sempre emozionare, quello per cui fin da bambina sospirava prima di andare a dormire.

- Non tornerai sui tuoi passi, vero?

No, non sarebbe tornata indietro: non aveva ancora capito cosa provasse per Marco, “l’eterno amico” delle protagoniste dei libri, il ragazzo che arrivava sempre secondo e osservava la sua amata raggiungere all’altare l’uomo dei sogni. Forse, però, era giunto il momento di smettere di paragonare la propria vita alla finzione, forse Aurora doveva finalmente aprire gli occhi; tuttavia, per quanto le fosse risultato chiaro, in quelle due settimane di lontananza, che non poteva amare Ettore se la sua mente era colma di dubbi, non riusciva ancora a definire i suoi sentimenti per Marco. Ma non doveva fare per forza una scelta tra i due, no? Poteva anche solo capire che non era pronta per una storia importante con Ettore, che aveva sei anni più di lei, un lavoro e una casa propria, e che Marco era solo un amico di cui, inspiegabilmente, era gelosa.

- È stato bello rivederti.

Represse un singhiozzo e si portò una mano davanti alla bocca. Ormai era arrivata, doveva solo raggiungere la porta in fondo al corridoio e…

Marco.

Forse, senza rendersene conto, desiderava così tanto vederlo che lo riconobbe ancora prima che alzasse la testa. Era seduto a sinistra della porta, gli avambracci poggiati sulle ginocchia e lo sguardo rivolto a terra; la testa scattò verso l’alto quando udì i passi di Aurora raggiungere il terzo piano.

- Aurora… - esordì, portando una mano sul pavimento per darsi la spinta necessaria ad alzarsi.

- Come sei entrato? – le chiese lei, sentendo ancora un tuffo al cuore al suono della sua voce.

- Il mio palazzo non è l’unico dove i condomini lasciano sempre il portone aperto, - si sforzò di sorridere Marco.

Quel sorriso, quel sorriso.

- Da quanto tempo sei qui? Sapevi quando sarei tornata?

- Potrei dirti che avevo deciso di accamparmi fuori dal tuo appartamento, nutrito dai vicini con biscotti e crocchette per gatti, finché non ti saresti fatta vedere, ma temo che più che romantico passerei per patetico. La verità è che mi ha avvertito Silvia, mi ha detto che il tuo volo era atterrato alle due. Perché sei arrivata solo adesso? Sono passate diverse ore.

- Dovevo parlare con Ettore -. Aurora si morse le labbra, trattenendo le lacrime: era arrivato il momento di chiarire la faccenda una volta per tutte, aveva già rimandato abbastanza e le sue esitazioni non avevano nuociuto solo a lei. – Ci siamo lasciati.

- Oh, che caso: due single nello stesso corridoio! – tentò di scherzare Marco.

- Tu…?

- Non importa cosa provi per me: non posso stare con Rachele se solo sfiorando una chitarra riesco a sentire la tua voce.

Era difficile, era maledettamente difficile dirgli che non lo ricambiava se Marco continuava a parlarle in quel modo.

- Devo parlare anche con te -. Trasse un respiro profondo; avvertiva le lacrime salire, ma non aveva la forza per fermarle. – Io… io non so come dirtelo -. Perché era stato più facile spiegarlo a Ettore?

Marco si avvicinò. – Parla, fallo. Di’ tutto quello che hai da dire; manda pure in frantumi le mie illusioni, non ho paura. Tanto non saprei come fare a cancellare la tua immagine dal mio cuore.

Quelle parole colpirono Aurora come un calcio nello stomaco. Era troppo: superò Marco e scappò in casa, sbattendo la porta dietro di sé. O almeno così credeva.

Marco fermò la porta con un piede e la spinse per aprirla completamente. Senza dire una parola afferrò il volto di Aurora e la baciò, spingendola contro il mobile all’ingresso.

Allora lei non ebbe più bisogno di pensare.

Lasciò che le mani di Marco le sfilassero il giacchetto mentre la lingua cercava la sua, la trovava e la cercava ancora: sembrava che Marco stentasse a convincersi che tutto ciò stesse accadendo realmente, che dopo mesi finalmente poteva baciare le labbra di Aurora e lei lo ricambiasse. Si aggrappò al mobile per non cadere, premette il corpo contro quello della ragazza e infine la spinse contro il muro.

Rimasero un attimo in silenzio per riprendere fiato, poi Marco le sorrise.

 

- Com’era la storia? “Chi non è disposto a sembrare stupido non merita di essere innamorato”?

Marco sorrise a Silvia mentre le passava la porzione di patatine fritte. Intorno a loro la musica delle giostre si mescolava alle grida eccitate dei bambini; era una sera di febbraio e l’aria era ancora pungente, ma la pioggia aveva deciso di lasciare in pace Roma per qualche ora.

- Che dici, me lo sono meritato?

Silvia intinse una patatina nel ketchup e finse di riflettere. – Uhm… Cinque mesi di attesa, un viaggio per Capodanno sprecato, una notte quasi “al freddo e al gelo” in un parcheggio di Viterbo, tre settimane di illusione con un’altra ragazza… Ma devo dire che forse lei ti batte: un biglietto di sola andata per Vienna.

- Ahia, hai ragione, - esclamò Marco, addentando il suo panino. – Mi sarei aspettato una follia del genere solo da Manuel.

- Prima o poi lo farà. Sono certa che un giorno non arriverà alle prove e chiamandolo scoprirete che è in America!

- A Brooklyn.

- Perché proprio a Brooklyn?

Marco si strinse nelle spalle. – Boh, mi dà l’idea che sia il luogo ideale per incontrare la ragazza dei suoi sogni.

- Alta? Mora?

- Bionda. E con una voce angelica.

Silvia rise. – Conosci proprio i suoi gusti!

- A dire la verità, non gli piace quel genere di ragazza; però, a quanto pare, non si può mai dire -. Marco spostò istintivamente lo sguardo su Aurora, che sedeva divertita sul cavallo di una giostra accanto a un euforico Manuel: non si chiese nemmeno come avessero convinto i proprietari a farli salire, ormai aveva capito che Manuel non poteva essere fermato. – Mi dispiace che Davide non sia voluto venire.

- Solidarietà maschile: credo che ci metterà più tempo, a farsi andare giù questa cosa, rispetto a quanto ce ne vorrà a Ettore! Ma forse farà qualcosa di stupido anche lui e si presenterà qui.

Silvia sorrise e Marco le circondò le spalle con un braccio. – Che dici, li raggiungiamo?

- Certo che sì! Ehi, io voglio il cavallo rosso!

Marco corse per arrivare prima di lei e in quel momento i suoi occhi neri incontrarono quelli castani di Aurora.

Era stato stupido, ma ne era decisamente valsa la pena.

 

Sognavi di essere trovata

su una spiaggia di corallo una mattina

dal figlio di un pirata.

Chissà perché ti sei svegliata.


E come ultima citazione non potevo che usare una frase di Nobu (Nana): "Manda pure in frantumi le mie illusioni, non ho paura. Tanto non saprei come fare a cancellare la tua immagine dal mio cuore." Ulteriori credits: l'immagine del capitolo è stata fatta da Dark Aeris.
Che dire? Con questo capitolo - che sinceramente mi piace meno degli altri, meno commedia e più sentimentale - si chiude la mia sfiga-long. Spero vi sia piaciuta! Purtroppo non posso postarvi la valutazione del contest, perché ho dimenticato di copiarla e sono andata sul forum a cercare la discussione, ma tutti i post del contest sono stati cancellati O.O Boh, forse un bug!
Ad ogni modo, ringrazio tutti coloro che hanno letto questa storia, chi l'ha messa nelle preferite, nelle ricordate e nelle seguite, e soprattutto chi ha recensito la sfiga-long! :D
Presto, tornando alla storia originale e lasciando perdere questi "What if?" (che poi finiscono sempre alla stessa maniera, tutta colpa di Marco), pubblicherò due storie dedicate a Silvia e Davide: una raccolta comica di tre flash su una loro vacanza al mare e una lunga one-shot contenente tematiche delicate e una fortissima presenza di angst.
Grazie ancora!

Medusa
   
 
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