X.
– EPILOGO
Sei così bella, ma vorresti sparire
in mezzo a tutte queste facce,
come se con te svanisse anche il dolore
senza lasciare tracce.
Marco
non accendeva il cellulare da
tre giorni; si era isolato in casa, aveva staccato il cavo del telefono
e
passava il tempo lavorando al computer o strimpellando con la chitarra.
Talvolta lo attraversava il pensiero che qualcuno avrebbe potuto
cercarlo per
questioni importanti e allungava una mano verso il cellulare,
ritrovandosi
tuttavia a ritrarla non appena si ricordava di ciò che
sarebbe potuto apparire
sul display.
Messaggio
di Aurora.
Messaggio
di Ettore.
Messaggio
di Rachele.
Riflettendo
in quelle ore di fronte a
complicati calcoli matematici che apparivano sullo schermo del computer
– e che
lui risolveva con minore facilità rispetto al solito
–, si rese conto che non
avrebbe potuto ricevere un sms da parte di Aurora: perché
mai lo avrebbe
cercato? Fosse stato in lei sarebbe partito con il primo treno o volo
verso la
meta più lontana per schiarirsi le idee e capire se
desiderava realmente
restare nei Moonlight Sonada, alla continua presenza di Marco.
Un
sms da Ettore? Se il ragazzo
avesse scoperto quello che era successo tre giorni prima nella sala
prove, non
avrebbe perso tempo a scrivergli: si sarebbe presentato davanti al suo
appartamento, avrebbe buttato giù la porta e
l’avrebbe inchiodato al muro con
le sue enormi braccia.
In
realtà Marco sapeva bene che non
avrebbe ricevuto messaggi o chiamate da parte di Aurora o Ettore.
Temeva
Rachele.
Temeva
uno dei suoi soliti sms su
quanto si annoiasse a lezione, sulla giacca improponibile indossata dal
suo
professore, sull’ultimo film di fantascienza che aveva visto
con le sue amiche
senza che loro ci capissero niente.
Temeva
di sentire la sua voce allegra
che gli chiedeva come stava o se si potevano vedere quella sera.
Dopo
quello che era successo con
Aurora, Marco non trovava il coraggio di guardare negli occhi Rachele;
ufficialmente loro due non erano ancora una coppia – né credeva lo sarebbero diventati, a
quel punto – però si
frequentavano, andavano al cinema insieme, cenavano fuori, tutti motivi
per cui
lui non avrebbe dovuto provocare un’altra ragazza. Anche se
quella ragazza era
Aurora, anche se avrebbe potuto amarla per il resto dei suoi giorni.
Con
quell’ultima considerazione si
rese conto di quanto stesse diventando melodrammatico; si decise infine
ad
afferrare il cellulare e ad accenderlo. In quel momento, nel pomeriggio
del
terzo giorno, qualcuno suonò il campanello
dell’appartamento. Per qualche
secondo Marco rimase immobile, spaventato dagli innumerevoli volti che
gli
balenarono nella testa – Aurora, Rachele, Manuel, Ettore, di
nuovo Aurora,
ancora Rachele, Silvia, Simona, Davide… –
finché non ricordò che aveva appena
decretato la fine del suo periodo di reclusione.
Aprì
la porta, preparandosi al peggio
– rappresentato da un uomo di trent’anni dai
bicipiti immensi che gli spaccava
in testa la sua Fender.
-
Ehi, ciao!
Come
aveva immaginato, la voce di
Rachele gli raggelò il petto, ma c’era qualcosa di
più: il tono della ragazza
sembrava forzatamente euforico e i suoi occhi azzurri tendevano a
spostarsi dal
viso di Marco all’interno dell’appartamento, come
se stesse cercando di
scoprire per quale motivo lui fosse sparito dalla circolazione.
-
Ciao, - la salutò Marco con un
sorriso tirato. Non riuscì a baciarla sulle labbra, le fece
solo segno di
accomodarsi. – Entra pure. Come stai?
Rachele
si gettò sul divano,
evidentemente nella speranza di sembrare a proprio agio,
però la schiena
esageratamente dritta la tradì.
-
Bene! E tu? Che fine avevi fatto?
-
Avevo bisogno di tempo per pensare,
- rispose Marco con sincerità: non poteva fingere che
andasse tutto bene, non
era giusto per entrambi.
-
Ah -. Rachele si scostò una ciocca
di capelli dietro l’orecchio, provocando una fitta nello
stomaco di Marco. –
All’inizio credevo che non volessi vedermi, ma poi Manuel mi
ha chiamata
allarmato perché non riusciva a mettersi in contatto con te
ed essendo a Torino
non poteva “piombarti in casa”, sue testuali
parole. Così sono passata a
trovarti -. Si sforzò di ridere. – Ora posso
rassicurarlo!
-
Rachele, - esordì Marco dopo un
respiro profondo, - ho riflettuto molto, come ti ho detto… E
credo che sia
arrivato il momento di smettere di prenderti in giro.
-
Dimmi solo che non l’hai fatto
intenzionalmente.
-
No, mai! Non c’è stato nemmeno un
momento in cui abbia pensato che uscivo con te
perché…
-
Perché ti ricordo Aurora, -
concluse mestamente Rachele. Sollevò un angolo della bocca
in una smorfia che
avrebbe dovuto essere un sorriso. – Mi ero accorta delle
somiglianze tra di noi
quando ci hai presentato nella sala prove e mi sono chiesta
perché non mi
avessi parlato prima di lei; dopotutto avevamo molti gusti in comune,
mi
sembrava strano che non te ne fossi mai accorto. È stato
quando ho incontrato
Ettore a Viterbo, vicino casa mia, che ho collegato ogni tassello:
quella sera
eri andato da Aurora.
-
Avresti potuto lasciarmi, - mormorò
Marco, intuendo quanto dovesse essere stata dura per la ragazza.
Rachele
scosse la testa,
rivolgendogli un sorriso triste. – Vorrei poter dire che non
l’ho fatto perché
aspettavo che tu ti mostrassi un “vero uomo” e mi
spiegassi, o forse ti
accorgessi di come stavano le cose. Sarebbe una bugia, almeno in parte:
non ho
affrontato il discorso perché volevo stare con te. Non so,
probabilmente
speravo che tu l’avresti dimenticata, col tempo -.
Sospirò. – Ma non è andata
così.
Il
primo istinto di Marco fu di
stringere Rachele tra le braccia; lo fece subito, senza esitare,
sapendo che
con tutte le sue esitazioni non aveva fatto altro che ferire se stesso
e le
persone che gli stavano intorno: doveva dichiararsi immediatamente ad
Aurora,
doveva dirle che si erano davvero baciati quella notte a casa sua,
doveva
spiegare a Rachele che aveva ancora un’altra persona nella
testa. L’abbracciò e
Rachele si lasciò andare per un momento, appoggiando la
testa sulla sua spalla.
Quando
il cellulare di Marco squillò
– aveva finto di non sentire l’arrivo dei messaggi
– fu Rachele ad allontanarsi
da lui.
-
Rispondi, - gli disse, notando il
nome sul display. – Tranquillizzalo.
Manuel
urlò dall’altra parte della
cornetta: - Dove diavolo ti sei cacciato?!
-
Sono a casa.
-
Beh, potevi informarmi di questa
nuova “reclusione”! Aurora è con te?
Marco
aggrottò le sopracciglia. – No,
perché?
-
Non hai letto i miei messaggi?
Ettore la sta cercando da due giorni: è sparita anche lei.
Ettore
mandò giù un altro sorso di
birra e si asciugò con il braccio le labbra bagnate; se ne
stava in silenzio,
come se fosse solo, eppure dall’altro lato del tavolo Davide
lo scrutava preoccupato,
attento a ogni minimo dettaglio. Solitamente, quando il volto di Ettore
si
oscurava, il suo migliore amico cercava di fargli tornare il sorriso
facendo
qualche battuta sul fatto che fosse davvero sexy con
quell’espressione e che
avrebbe voluto saggiare la sua più che evidente
virilità.
Tuttavia
sembrava che Davide avesse
paura ad aprire bocca davanti a quello sguardo furioso.
Ettore
era consapevole del terrore
che incuteva nell’amico, ma non aveva alcuna voglia di
fingersi tranquillo e
ascoltare le cavolate di Davide: la sua ragazza non si faceva viva da
ormai due
settimane e l’unica notizia che aveva avuto di lei gli era
arrivata tramite Silvia,
rassicurata dalla madre di Aurora che sua figlia stava bene. Non sapeva
dove
fosse, né per quanto altro tempo sarebbe stata via e la
presenza di Davide lo
irritava ancora di più, poiché sospettava che
Silvia fosse a conoscenza di
particolari su quella fuga e che stesse cercando di tenerli nascosti.
Perché
allora Davide, che si definiva un “fratello”, non
costringeva la sua ragazza a
dire la verità?
No,
stava sbagliando, non doveva
prendersela con lui; in fondo Davide era lì, presente come
sempre, ed era certo
che facesse pressioni su Silvia che, dal canto suo, non gli sembrava il
tipo di
persona che si divertiva a far stare sulle spine gli amici.
-
Sai che hanno aperto un negozio di
fritti a Ostiense? – esclamò improvvisamente
Davide. – Potremmo prendere un
cartoccio di calamari o verdure e cenare a…
-
No, - lo interruppe Ettore, - non
ne ho voglia -. Bevve l’ultimo sorso di birra, poi
lanciò la lattina vuota
contro la parete della sua cucina. – Maledizione!
Sbatté
il pugno sul tavolo, facendolo
tremare, e si alzò dalla sedia per placare l’ira:
Aurora non immaginava nemmeno
cosa stesse provando in quel momento, cosa avesse provato per settimane senza ricevere suo notizie
o almeno una lettera in
cui gli spiegava perché fosse sparita. Ettore non sapeva
niente, niente, e questo lo faceva
andare in
bestia. Inizialmente aveva pensato che Marco c’entrasse
qualcosa, ma dopo
averlo incontrato con gli altri amici e avere visto la sua
preoccupazione si
era impedito all’ultimo momento di spaccargli il naso con un
pugno.
-
Ettore?
Il
tono con cui parlò Davide, che
osservava il cielo scuro fuori dall’appartamento, lo
riportò immediatamente al
presente; si affrettò a raggiungerlo e scrutò
fuori dalla finestra anche lui.
Aurora.
La
ragazza era in piedi di fronte al
suo cancello, come se stesse soppesando la possibilità di
citofonargli o meno.
Senza darle il tempo di pensarci ulteriormente, Ettore si
lanciò fuori di casa,
felice della prospettiva che, in qualunque modo fossero andate le cose,
ci
sarebbe stato Davide ad aspettarlo.
Come
poteva ancora chiedersi se
suonargli fosse la cosa giusta? Non le era bastato scomparire per due
settimane, lui non aveva sopportato abbastanza? Le avrebbe urlato
addosso, le
avrebbe ringhiato contro fino a spaventarla, rinfacciandole di essere
sparita
senza lasciare alcun biglietto; l’avrebbe anche presa a
schiaffi se vedendolo
avesse sorriso e, sì, lo avrebbe fatto anche se avesse
pianto. Voleva gridare,
mostrarle quanto avesse sofferto privo di qualunque sua notizia.
Uscì
dal portone con quelle
intenzioni, poi la vide accanto al cancello. Aurora si accorse della
sua
presenza, il dito ancora premuto sul citofono; il suo volto era colmo
di
tristezza.
Ettore
non le avrebbe fatto nulla,
l’avrebbe solo stretta a sé, ma quel semplice
sguardo gli fece capire che
Aurora non avrebbe restituito il suo abbraccio.
Aurora
tirò su con il naso, ma non
poteva fare altro che singhiozzare in silenzio: altri due piani e poi
finalmente avrebbe potuto gettarsi nel proprio appartamento, dove
nessuno
l’avrebbe vista piangere né udita singhiozzare.
Aveva scelto quel giorno per
tornare perché sapeva che i suoi genitori sarebbero partiti
per il fine
settimana e lei avrebbe potuto lasciarsi andare senza dover spiegare i
motivi
della sua tristezza; era stata dura convincerli a lasciare la
città nonostante
il suo rientro, però alla fine sua madre si era convinta.
Aurora poteva restare
sola.
-
Ho pensato molto in questo periodo... e in qualche modo sono riuscita a
fare
chiarezza suoi miei sentimenti.
Strinse
le palpebre per ricacciare
indietro le lacrime salite al ricordo del discorso fatto solo due ore
prima a
Ettore; si chiedeva ancora come fosse riuscita a guidare fino a casa.
Era
assurdo, inspiegabile che lei avesse lasciato il ragazzo che aveva
desiderato
per più di un anno e mezzo, prima ancora di entrare nei
Moonlight Sonada; era
assurdo perché Ettore era il ragazzo dei suoi sogni, il tipo
di uomo che nei
film la faceva sempre emozionare, quello per cui fin da bambina
sospirava prima
di andare a dormire.
-
Non tornerai sui tuoi passi, vero?
No,
non sarebbe tornata indietro: non
aveva ancora capito cosa provasse per Marco,
“l’eterno amico” delle
protagoniste dei libri, il ragazzo che arrivava sempre secondo e
osservava la
sua amata raggiungere all’altare l’uomo dei sogni.
Forse, però, era giunto il
momento di smettere di paragonare la propria vita alla finzione, forse
Aurora doveva
finalmente aprire gli occhi; tuttavia, per quanto le fosse risultato
chiaro, in
quelle due settimane di lontananza, che non poteva amare Ettore se la
sua mente
era colma di dubbi, non riusciva ancora a definire i suoi sentimenti
per Marco.
Ma non doveva fare per forza una scelta tra i due, no? Poteva anche
solo capire
che non era pronta per una storia importante con Ettore, che aveva sei
anni più
di lei, un lavoro e una casa propria, e che Marco era solo un amico di
cui,
inspiegabilmente, era gelosa.
-
È stato bello rivederti.
Represse
un singhiozzo e si portò una
mano davanti alla bocca. Ormai era arrivata, doveva solo raggiungere la
porta
in fondo al corridoio e…
Marco.
Forse,
senza rendersene conto,
desiderava così tanto vederlo che lo riconobbe ancora prima
che alzasse la
testa. Era seduto a sinistra della porta, gli avambracci poggiati sulle
ginocchia e lo sguardo rivolto a terra; la testa scattò
verso l’alto quando udì
i passi di Aurora raggiungere il terzo piano.
-
Aurora… - esordì, portando una mano
sul pavimento per darsi la spinta necessaria ad alzarsi.
-
Come sei entrato? – le chiese lei,
sentendo ancora un tuffo al cuore al suono della sua voce.
-
Il mio palazzo non è l’unico dove i
condomini lasciano sempre il portone aperto, - si sforzò di
sorridere Marco.
Quel
sorriso, quel sorriso.
-
Da quanto tempo sei qui? Sapevi
quando sarei tornata?
-
Potrei dirti che avevo deciso di
accamparmi fuori dal tuo appartamento, nutrito dai vicini con biscotti
e
crocchette per gatti, finché non ti saresti fatta vedere, ma
temo che più che
romantico passerei per patetico. La verità è che
mi ha avvertito Silvia, mi ha
detto che il tuo volo era atterrato alle due. Perché sei
arrivata solo adesso?
Sono passate diverse ore.
-
Dovevo parlare con Ettore -. Aurora
si morse le labbra, trattenendo le lacrime: era arrivato il momento di
chiarire
la faccenda una volta per tutte, aveva già rimandato
abbastanza e le sue
esitazioni non avevano nuociuto solo a lei. – Ci siamo
lasciati.
-
Oh, che caso: due single nello
stesso corridoio! – tentò di scherzare Marco.
-
Tu…?
-
Non importa cosa provi per me: non
posso stare con Rachele se solo sfiorando una chitarra riesco a sentire
la tua
voce.
Era
difficile, era maledettamente
difficile dirgli che non
lo ricambiava se Marco continuava a parlarle in quel modo.
-
Devo parlare anche con te -. Trasse
un respiro profondo; avvertiva le lacrime salire, ma non aveva la forza
per
fermarle. – Io… io non so come dirtelo -.
Perché era stato più facile spiegarlo
a Ettore?
Marco
si avvicinò. – Parla, fallo.
Di’ tutto quello che hai da dire; manda pure in
frantumi le mie
illusioni, non ho paura. Tanto non saprei come fare a cancellare la tua
immagine dal mio cuore.
Quelle parole colpirono Aurora come
un calcio nello stomaco.
Era troppo: superò Marco e scappò in casa,
sbattendo la porta dietro di sé. O
almeno così credeva.
Marco fermò la porta con
un piede e la spinse per aprirla
completamente. Senza dire una parola afferrò il volto di
Aurora e la baciò,
spingendola contro il mobile all’ingresso.
Allora lei non ebbe più
bisogno di pensare.
Lasciò che le mani di
Marco le sfilassero il giacchetto
mentre la lingua cercava la sua, la trovava e la cercava ancora:
sembrava che
Marco stentasse a convincersi che tutto ciò stesse accadendo
realmente, che
dopo mesi finalmente poteva baciare le labbra di Aurora e lei lo
ricambiasse.
Si aggrappò al mobile per non cadere, premette il corpo
contro quello della
ragazza e infine la spinse contro il muro.
Rimasero un attimo in silenzio per
riprendere fiato, poi
Marco le sorrise.
- Com’era la storia?
“Chi non è disposto a sembrare stupido
non merita di essere innamorato”?
Marco sorrise a Silvia mentre le
passava la porzione di
patatine fritte. Intorno a loro la musica delle giostre si mescolava
alle grida
eccitate dei bambini; era una sera di febbraio e l’aria era
ancora pungente, ma
la pioggia aveva deciso di lasciare in pace Roma per qualche ora.
- Che dici, me lo sono meritato?
Silvia intinse una patatina nel
ketchup e finse di
riflettere. – Uhm… Cinque mesi di attesa, un
viaggio per Capodanno sprecato,
una notte quasi “al freddo e al gelo” in un
parcheggio di Viterbo, tre
settimane di illusione con un’altra ragazza… Ma
devo dire che forse lei ti
batte: un biglietto di sola andata per Vienna.
- Ahia, hai ragione, -
esclamò Marco, addentando il suo
panino. – Mi sarei aspettato una follia del genere solo da
Manuel.
- Prima o poi lo farà.
Sono certa che un giorno non arriverà
alle prove e chiamandolo scoprirete che è in America!
- A Brooklyn.
- Perché proprio a
Brooklyn?
Marco si strinse nelle spalle.
– Boh, mi dà l’idea che sia
il luogo ideale per incontrare la ragazza dei suoi sogni.
- Alta? Mora?
- Bionda. E con una voce angelica.
Silvia rise. – Conosci
proprio i suoi gusti!
- A dire la verità, non
gli piace quel genere di ragazza;
però, a quanto pare, non si può mai dire -. Marco
spostò istintivamente lo
sguardo su Aurora, che sedeva divertita sul cavallo di una giostra
accanto a un
euforico Manuel: non si chiese nemmeno come avessero convinto i
proprietari a
farli salire, ormai aveva capito che Manuel non poteva essere fermato.
– Mi
dispiace che Davide non sia voluto venire.
- Solidarietà maschile:
credo che ci metterà più tempo, a
farsi andare giù questa cosa, rispetto a quanto ce ne
vorrà a Ettore! Ma forse
farà qualcosa di stupido anche lui e si
presenterà qui.
Silvia sorrise e Marco le
circondò le spalle con un braccio.
– Che dici, li raggiungiamo?
- Certo che sì! Ehi, io
voglio il cavallo rosso!
Marco corse per arrivare prima di lei
e in quel momento i
suoi occhi neri incontrarono quelli castani di Aurora.
Era stato stupido, ma ne era
decisamente valsa la pena.
Sognavi di essere
trovata
su una spiaggia di
corallo una mattina
dal figlio di un
pirata.
Chissà
perché ti sei svegliata.
E come ultima
citazione non potevo che usare una frase di Nobu (Nana): "Manda pure
in frantumi le mie illusioni, non ho paura. Tanto non saprei come fare
a cancellare la tua immagine dal mio cuore." Ulteriori credits:
l'immagine del capitolo è stata fatta da Dark Aeris.
Che dire? Con questo capitolo - che sinceramente mi piace meno degli
altri, meno commedia e più sentimentale - si chiude la mia
sfiga-long. Spero vi sia piaciuta! Purtroppo non posso postarvi la
valutazione del contest, perché ho dimenticato di copiarla e
sono andata sul forum a cercare la discussione, ma tutti i post del
contest sono stati cancellati O.O Boh, forse un bug!
Ad ogni modo, ringrazio tutti coloro che hanno letto questa storia, chi
l'ha messa nelle preferite, nelle ricordate e nelle seguite, e
soprattutto chi ha recensito la sfiga-long! :D
Presto, tornando alla storia originale e lasciando perdere questi "What
if?" (che poi finiscono sempre alla stessa maniera, tutta colpa di
Marco), pubblicherò due storie dedicate a Silvia e Davide:
una raccolta comica di tre flash su una loro vacanza al mare e una
lunga one-shot contenente tematiche delicate e una fortissima presenza
di angst.
Grazie ancora!
Medusa