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Autore: Just a dreamer_    11/01/2013    4 recensioni
'Take me home e 'Up all night'. I due cd che ci hanno fatto sognare. E se i loro testi si tramutassero in una storia? Ho deciso di scrivere questa fan fiction basata sulle loro canzoni, per cui una canzone equivale a un capitolo. L'idea mi è sembrata molto buona, sta a voi darmi un parere recensendo :)
Enjoy!
P.s. SI PREGA DI NON COPIARE
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ATTENZIONE! Come ho spiegato nell'introduzione, questa storia è particolare, ovvero che si basa sulle canzoni di 'Up all night' e 'Take me home'. Una canzone è un capitolo. Non riuscirò ad 'utilizzare' proprio tutte le canzoni però. Se avete la pazienza di leggerla, vi ringrazio infinitamente! Un'ultima cosa: lasciate una piccola recensione, magari con scritto secondo voi quale sarà la prossima canzone che userò per il secondo capitolo :)
Enjoy!
P.s. Se volete contattarmi su twitter sono @hi_Ilovethem


FOREVER YOUNG
 

Let’s dance in style, let’s dance for a while
Heaven can wait, we’re only watching the skies
Hoping for the best but expecting the worst
Are you gonna drop the bomb or not?

Ero seduto sulla veranda nella casa al mare dei miei. Mi avevano trascinato con loro, nonostante le continue discussioni sul fatto che non avevo la minima voglia di passare due settimane bloccato in uno stupido e noioso posto isolato dal mondo. Beh, non proprio isolato. Ero riuscito a farmi qualche amico (tendevo ad essere molto socievole e aperto) e quel pomeriggio ci eravamo dati appuntamento alla spiaggia, poco lontano da dove abitavo. Non che mi dispiacesse, ero un tipo che amava andarsene in giro, l’ho sempre preferito allo stare in camera steso sul letto a leggere qualche libro.
Osservai l’orologio. Era quasi ora di andare.
Misi una maglietta grigio chiaro e un paio di jeans, i più rovinati che avevo, dato che in spiaggia si sarebbero sporcati ancora di più. per precauzione al posto dei boxer indossai il costume, nel caso avessimo fatto il bagno. Le mie all-star nere mi aspettavano sullo zerbino. Non persi tempo a controllarmi i capelli, tanto era impossibile sistemarli. Avvertii i miei che sarei uscito, presi il cellulare e mi diressi in spiaggia.
 
Il vento fresco soffiava leggero, alzando di tanto in tanto un po’ di sabbia qua e la. Erano le cinque e ormai anche i ritardatari si erano fatti vedere. Conoscevo meno della metà di loro, ma non m’importava molto, li avrei conosciuti quella sera.
Uno di loro propose di giocare a calcio per passare il tempo e accettarono tutti quanti.
«E le ragazze?» chiese un tipo alto e moro. Non avevo idea di chi fosse, ma almeno stava pensando la mia stessa cosa.
«Arriveranno, sono sempre in ritardo. A loro piace farsi aspettare, sapete come sono, no?».
«Già, è sempre così. Allora, le porte sono pronte, le squadre pure. Si gioca!».
 
E giocammo per non seppi quanto tempo. La mia squadra perse 4 a 3 e come penitenza ci toccò immergerci nell’acqua gelata. Amavo le sfide e tendevo anche a cercarmele di tanto in tanto. Io e altri sette ragazzi ci buttammo senza esitazione, urlando per il freddo, che in pochi istanti ci fece tremare da capo a piedi. Quando passò il tempo stabilito per la punizione, uscimmo velocemente dal mare e prendemmo uno dei tanti asciugamani portati apposta per ciascuno.
La sera si stava avvicinando e il piccolo falò preparato pochi minuti fa era una perfetta fonte di calore.
Cominciavo a dubitare che le…
«Siamo arrivate a dare un po’ di vita!». Come non detto.
Dietro di me vidi dodici ragazze camminare tranquille dalla nostra parte. Due o tre le conoscevo già, ma altre mi erano del tutto nuove. E non erano niente male.
«Finalmente!» sospirò Tommy: «Avete battuto il vostro record di ritardo! Cos’avete fatto tutto il pomeriggio?».
«Cose da ragazze» rispose semplicemente Tessy mentre lo raggiungeva per salutarlo in un modo non proprio casto. Da quel che avevo capito non erano proprio fidanzati, si sentivano da tempo, ma non avevano mai ufficializzato il rapporto. Più che altro avrei detto che si divertivano. Ma in fondo non erano affari miei.
Osservai le altre ragazze. Ce n’erano davvero di tutti i tipi. Una di loro mi si avvicinò: «Ciao, posso sedermi?».
«Certo». Le feci spazio sull’asciugamano che nel frattempo si era asciugato.
La guardai per bene: sembrava alta (dal mio punto di vista), i capelli biondo scuro le arrivavano poco sotto le spalle, la pelle abbronzata lasciava intravedere una piccola voglia sulla gamba sinistra, non era particolarmente magra, occhi chiari, labbra sottili. Non era esattamente una fotomodella, ma era davvero una bella ragazza.
«Io sono Evie».
«Piacere, Harry».
 
EVIE
Non vedevo l’ora di andare alla spiaggia! Ci eravamo dati appuntamento con i ragazzi nel pomeriggio, ma per alcune ragioni io e le altre eravamo riuscite a raggiungere il gruppo solo verso sera.
Per l’occasione non avevo messo niente di speciale, solo i pantaloncini neri e una canottiera rossa; per precauzione indossavo anche una felpa perché in quei giorni il clima non era troppo estivo.
Mi ero unita alle ragazze mezz’ora fa e avevamo deciso di arrivare in ritardo, sembravamo delle bambine.
«Così mancheremo ai ragazzi» aveva spiegato Coline, la mia migliore amica. Lei si che sapeva come comportarsi con i ragazzi. Sembrava capace di leggere nelle loro menti. Non che fossero complicati, ma lei faceva quasi sempre la mossa giusta nel momento giusto. Ed io volevo imparare da lei, che ormai era una specie di maestra. Aveva addirittura il suo CCR, che sarebbe il Codice di Comportamento con i Ragazzi. Poche regole, che a quanto pare funzionavano. «Li abbiamo fatti aspettare abbastanza, direi che possiamo andare».
Percorsi ansiosa la breve stradina che conduceva alla spiaggia, piena di orme. Poco lontano c’era un fuoco acceso che illuminava quattordici ragazzi.
«Siamo arrivate a dare un po’ di vita!» urlò Ellen, la ragazza più festaiola che abbia mai conosciuto.
«Finalmente! Avete battuto il vostro record di ritardo! Cos’avete fatto tutto il pomeriggio?».
«Cose da ragazze» disse Tessy. Raggiunse Tommy e lo baciò.
Le altre si sistemarono intorno al fuoco, chi per conto suo e chi vicino a qualcuno. Notai un ragazzo poco lontano da me. era riccio (se quei suoi capelli potevano avere una definizione), con un bel fisico. Non l’avevo mai visto da quelle parti. In effetti, conoscevo più o meno tutti tranne lui. E quella era ‘un’ottima occasione per fare amicizia’, come aveva detto Coline.
«Ciao, posso sedermi?».
Lui non esitò: «Certo».
Gli sorrisi, sistemandomi vicino a lui sul telo: «Io sono Evie».
«Piacere, Harry».

Let us die young or let us live forever
We don’t have the power but we never say never
Sitting in a sandpit life is a short trip
The music’s for the sad men

«È la prima volta che vieni qua?» chiesi. Mi incuriosiva. Era come la novità del momento.
«Si, sono con i miei. Hanno comprato da poco una casa qua vicino che usano per le vacanze e mi hanno obbligato a venire qua» disse volgendosi verso di me. e notai subito i suoi occhi verdi, illuminati dalle fiamme.
«Non ti piace il posto?».
«Ma non è quello, mi piace ma, sai com’è, avrei preferito stare con i miei amici, anche se qualcuno adesso lo conosco».
«Si, ti capisco, nemmeno io vorrei allontanarmi dagli amici. Però ho imparato una cosa: devi sempre fare nuove esperienze, perché non si sa mai che succeda qualcosa di inaspettato. E no, non è una frase fatta che ho letto da qualche parte se è questo che stai pensando» aggiunsi.
Lui rise, scuotendo i capelli con le mani un paio di volte: «E come fai a dirlo?».
«I miei viaggiano molto e da piccola mi sono sempre lamentata in ogni posto che visitavamo. Con il tempo però ho imparato ad apprezzare ciò che facevano per me, ovvero tentare di infilarmi nella testa un po’ di cultura. Da quando ho capito quant’è importante non tirarsi indietro, sono un po’ più sicura di me stessa. O meglio, non è che mi butto nella prima esperienza che mi capita a tiro, ma ho meno paura in generale». Mi accorsi un secondo dopo del discorso da filosofa decaduta che avevo appena fatto. «Oddio scusa, non volevo essere così invadente, è che certe volte parto per la tangente e dico quello che mi passa per la testa» mi affrettai a dire.
«Tranquilla, non fa niente. Almeno mi hai raccontato qualcosa di te».
«Dopo due secondi che ci conosciamo» aggiunsi.
«Si, in effetti. Quindi adesso tocca a me, no? Se ti annoio dimmelo».
Annuii: «Per me va bene, tanto l’alternativa sarebbe ascoltare le cazzate che sparano Martin e Kevin».

Some are like wather, some are like the heat
Some are the melody and some are the beat
Sooner or later they all will be gone
Why don’t they stay young?

HARRY
Parlammo per non so quanto tempo, due ore, forse tre. C’eravamo detti praticamente l’uno la vita dell’altro. Sembravamo quasi amici da sempre. Era una ragazza simpatica, amava scherzare e questo mi piaceva. Però era anche timida. Ricordo di averle detto che i suoi pantaloni le stavano davvero bene ed è arrossita all’istante. Mi sembrò una bambina, in senso buono. Quando parlava dei libri che le piacevano le si illuminavano gli occhi, poi sorrideva imbarazzata e si scusava per parlare così tanto. Ma non ci davo molto peso, era piacevole guardarla.
«Chi ha voglia di farsi un bagno?» esordì Ellen.
Dei mormorii di assenso furono zittiti da Jionny: «Va bene per tutti. Soprattutto alla squadra perdente che ha già sentito com’è l’acqua per noi» disse ridendo.
Alzai le mani in segno di resa: «Io vi avverto che non sarà piacevole».
Evie mi guardò sorpresa: «Sei andato nel mare?».
«Era la punizione».
«Non pensavo fossi così scarso a calcio» scherzò.
«Non ero io quello scarso!».
«Si, tutte scuse». Le diedi una leggera spinta.
«Vediamo come te la cavi con il nuoto allora, signorina sotuttoio!».
Lei sembrò irrigidirsi: «No, io non vengo, andate voi» cambiò espressione tutto d’un tratto.
«Cosa c’è?» chiesi alzandomi. Metà delle persone erano già in acqua e gridavano come se avessero visto uno squalo, schizzandosi a vicenda. E io non vedevo l’ora di raggiungerli. «Evie, tutto ok?» ripetei.
Lei si strinse nella felpa e si portò le gambe al petto: «Fa freddo, non voglio prendermi un accidente».
«Oh andiamo, sembri mia madre! Non fare la fifona, al massimo ti verrà un po’ di raffreddore».
«E ti sembra poco?».
Scoppiai a ridere: «Ma ti senti? Sbaglio o sei tu quella che mi ha detto di fare nuove esperienze?». Annuì. «E allora vieni con me! non costringermi a portarti la di peso».
«Tanto non riesci a prendermi in braccio» ribatté secca.
«Vuoi vedere?» la presi da dietro sotto le ascelle facendola alzare; posai le mani sui suoi fianchi, pronto per prenderla sulle spalle, mi bloccò divincolandosi.
«No Harry, non ci provare nemmeno!». Mi avvicinai e portò le mani in avanti: «No, non ti azzardare!». Sorrisi maligno. Lei indietreggiò ancora e ancora. Non si era accorta che si stava allontanando dal falò, troppo occupata a minacciarmi.
«Dai Evie, non fare la difficile». Mi bastavano ancora pochi metri. Quando si accorse dov’era sbarrò gli occhi. «Trattieni il respiro, mi raccomando» dissi prima di prenderla in braccio e buttarmi in acqua tenendola stretta.
«Harry qualunque sia il tuo cognome, sarà meglio che ti guardi le spalle d’ora in poi!» gridò riemergendo.
«Styles» dissi ridendo.
«Bene, Harry Styles, prima o poi mi vendicherò».
«Mamma mia, che paura!». Prendendomi alla sprovvista, mise le mani sopra la mia testa e mi spinse sott’acqua. «Vuoi la guerra?».
«No! Siamo pari adesso».
Passò qualche secondo di silenzio, dove mi accorsi di stare a guardarla troppo  da vicino solo quando le sue guance divennero rosse e mormorò: «Puoi anche lasciarmi adesso».
La liberai dalla presa. Era come se fossimo rimasti solo io e lei, intenti a fissarci e abbassare lo sguardo subito dopo, un po’ per imbarazzo, un po’ per diffidenza. La conoscevo da poche ore e la trattavo come se fosse la mia migliore amica. Forse era meglio prendere le distanze. E lei me lo stava facendo capire. Oppure era solo a disagio per la troppa confidenza? Non osavo chiederglielo, sarei passato per un completo idiota.
«Harry, hai visto uno squalo?» scherzò Daniel a qualche metro da me. Stava ‘lottando’ con uno parecchio robusto che conoscevo solo di vista. E, nonostante la sua corporatura, Daniel lo teneva bloccato senza troppi sforzi.
Agitai la mano in aria: «Non ancora». Mi girai di nuovo verso Evie, ma nel frattempo era sgattaiolata via e ora stava chiacchierando animatamente con Amie, Beckah e altre ragazze. Chissà di cosa stavano parlando, forse di me. Scossi la testa. Chi diavolo stavo pensando? Dovevo smetterla, mi stavo facendo troppe paranoie. Probabilmente non le interessavo neanche. Anzi, ne ero quasi certo.
 
EVIE
 Parlavo con Amie, Beckah, Daphne e Alexia seduta sulla riva. In realtà avevo solo una vaga idea di quello che stavano dicendo, non riuscivo a togliermi dalla testa quel ragazzo. Da quanto lo conoscevo? Metà pomeriggio, forse meno, se non poche ore. Escludendo il fatto che da quando ci eravamo presentati avevamo raccontato più o meno dalla nostra nascita, tutti i diciassette anni di vita di ognuno. E non sapevo nemmeno cosa mi avevo spinto a farlo. Fin dal primo momento che l’avevo visto, sembrò avere un’aria vagamente familiare, e forse era quello il motivo per cui gli avevo parlato così facilmente. Mi ero sforzata di ricordare dove l’avevo già visto, ma con scarsi risultati. Probabilmente l’avevo scambiato per qualcun altro, anche se il presentimento non se ne andava.
Coline ci raggiunse e mi abbracciò, bagnata dalla testa ai piedi. «Coline!» la sgridai, ma non mi diede retta.
«Evie, sai chi è quel ragazzo? Siete stati insieme per tutto il tempo» cambiò discorso Alexia.
«Si chiama Harry Styles» risposi senza pensare, ancora assorta nei miei pensieri.
«Di che cosa avete parlato? Vi sarete detti qualsiasi cosa».
«Niente di specifico, solo…» iniziai, mettendo dei sassolini l’uno sopra l’altro per formare una piccola piramide.
«Un momento» m’interruppe Coline con lo sguardo fisso su Harry, che nel frattempo s’immergeva senza sosta: «Come hai detto che si chiama?».
«Harry Styles, perché?». la pila di sassolini crollò rovinosamente dopo il quinto. Sbuffai per poi ricominciare.
«L’ho già sentito» allora avevo ragione. A meno che la mia migliore amica non avesse le allucinazione ero contenta di non essermi sbagliata. «Ma dove?» socchiuse gli occhi senza staccare lo sguardo dal ragazzo in questione, che per fortuna non si era accorto di niente.
«Smettila di guardarlo così, sembri una maniaca omicida» la avvertii. Certe volte faceva proprio paura.
«Ci sono! È nella nostra stessa scuola!» esclamò.
La guardai confusa: «Mi sembra strano, me lo ricorderei se fosse così».
«Evidentemente hai la memoria corta. Sono sicura di quello che ho detto. Forse non ti sembra possibile perché viviamo praticamente solo nel nostro gruppo e conosciamo a mala pena i ragazzi al di fuori della nostra classe. O meglio, io li conosco a mala pena, tu fai fatica anche a sapere i nomi delle cheerleader e i giocatori della squadra di football». Non avevo tutti i torti. Non eravamo delle emarginate sociali, semplicemente preferivamo starcene per conto nostro.
Poi, mi venne in mente dove l’avevo già visto: nell’aula di chimica. Era andato storto un piccolo esperimento e avevano fatto evacuare la classe. Io ero nel corridoio, stavo andando in bagno e notai un gruppo di ragazzi seguiti dal professore uscire di fretta. E fu allora che lo vidi, mentre si copriva la bocca con la maglia e correva lontano da quella puzza insopportabile.
«Ora ricordo! Te ne avevo parlato il giorno del ‘disastro chimico’».
«Appunto! Vedi che ho sempre ragione?».
«Si, come no» dissi dandole una pacca sulla spalla.
«Hai intenzione di dirglielo che siete nella stessa scuola?».
«Deve accorgersene da solo e se non lo farà, pazienza. Tanto si dimenticherà di me nel giro di qualche minuto quando torneremo a casa».
Le altre ragazze ci avevano abbandonato da poco, stufe dei nostri ragionamenti inutili, erano tornate dagli asciugamani. «Sarà meglio che le raggiungiamo e mettiamo i vestiti ad asciugare» disse Coline alzandosi e pulendosi i pantaloni. Ci avviammo verso il fuoco che ardeva ancora e prendemmo i teli. Poi, chiamammo il resto del gruppo che se la spassava ancora in acqua.

It’s so hard to get old without a cause
I don’t want to perish like a fading rose
Youth like diamonds in the sun
And diamonds are forever

HARRY
I vestiti ormai si erano asciugati ed eravamo riuniti tutti davanti al falò, ancora più vivo grazie alla poca legna aggiunta; il freddo si sentiva a mala pena, coperti dagli strati di giacche e teli.
Senza farlo apposta, mi ero ritrovato seduto vicino a Evie, che non sembrava turbata dalla mia presenza. Perché avrebbe dovuto esserlo poi? L’imbarazzante momento in mare era passato e se l’era già dimenticato.
Tessy e Tommy si erano appartati da un pezzo e Daphne si divertiva a fantasticare su cosa stessero facendo con Alexia e una che si chiamava Stephanie. Il resto del gruppo era intento a raccontarsi storie dell’orrore. Daniel ne sapeva parecchie ed era bravo a immedesimarsi nei personaggi, cambiando espressione e tonalità della voce. evie, Amie e Coline lo ascoltavano rapite e sobbalzavano ad ogni minimo accenno ad una morte crudele.
 «Il killer si stava avvicinando, la pioggia batteva sul terreno freddo. La povera ragazza si trascinava con tutte le sue forze verso la salvezza, la quale era troppo lontana, al contrario dello spietato assassino che brandiva un coltello, sottile e affilato. Lei urlava, non sapeva più cosa fare, la sua mente era confusa…».
Sentii la mano di Evie stringere la mia. Rimasi spiazzato da quel contatto. E lo fu anche lei, perché si voltò verso di me con un’espressione confusa.
«Scusa… la storia…» balbettò. Cercava solo un appiglio di sicurezza per non iniziare a tremare. Era un po’ esagerato secondo me, in fondo era la classica storia dove la povera vittima muore sotto le mani di un uomo pazzo.
«Il killer la prese per i piedi e la fece scivolare sul terreno fino a portarla sotto di lui. Lo sguardo assetato di sangue di lui incontrò quello in lacrime di lei…».
La mano che Evie aveva tolto tornò. Non sapevo cosa fare, non si era ancora girata a chiedermi scusa come prima. E sinceramente non volevo che lo facesse. Dopo tre secondi si aggrappò al mio braccio.
«Il killer si passò la lingua sulle labbra, come per gustarsi letteralmente la sua paura. Lei lanciò un ultimo grido di terrore, prima che il coltello del killer si conficcasse nel suo collo. Aaaah!!» urlò Daniel alla fine del racconto, facendo fare dei salti di due metri al pubblico. Evie mi venne addosso e cademmo tutti e due. Scoppiai a ridere.
«Oddio, scusa Harry! Ti ho fatto male?» mi chiese preoccupata.
«No, tranquilla» risposi continuando a ridere.
«Non sapevo di essere così portato per gli horror» intervenne Daniel: «dovevate vedere le vostre facce!».
«Smettila, non è divertente!» Amie aveva abbracciato Coline con il probabile rischio di soffocarla.
«Si invece! Ho un talento innato».
«Per spaventare la gente!».
Daniel alzò le spalle: «È pur sempre qualcosa».
«Se non fossi così scossa ti strozzerei» sibilò Coline. Lei e Amie si alzarono indignate e se ne andarono a fare quattro passi. Daniel guardò prima me, poi Evie e con una scusa ci lasciò anche lui.
«Allora…» cominciò lei fissando la sabbia.
«Allora» ripetei.
«Scusa ancora per prima, non volevo».
«Tranquilla, non mi sono fatto niente».
C’era un clima strano e non ne trovavo il motivo. Fino a poco tempo fa parlavamo senza fermarci, come vecchi amici, ora era come se niente di tutto ciò fosse successo, come se si fosse cancellato tutto ed eravamo dal punto di partenza.
«Tutto bene?» mi decisi a chiedere.
«Certo, perché?».
«Sembri strana, ma forse era solo una mia impressione».
«No, che pensi?».
«Allora perché prima eri così socievole, poi mi hai ignorato, poi mi sei venuta addosso e ora non mi parli? Qual è il problema?».
«Nessuno… scusa, mi sono comportata come una bambina».
«Ehi tranquilla, volevo solo accertarmi che fosse tutto a posto». le sorrisi per rassicurarla e lei ricambiò.
Un ragazzo biondo ci chiamò: «Ragazzi, spegnete il fuoco e prendete gli asciugamani, andiamo a guardare le stelle!».

So many adventures couldn’t happened today
So many songs we forgot to play
So many dreams are swinging out of the blue
We let ‘em come true

EVIE
Stesi sulla spiaggia a guardare le stele, cosa potevo chiedere di meglio? Tessy e Tommy sbucarono da un cespuglio a una trentina di metri da noi. si sistemarono i vestiti alla bell’è meglio e ci raggiunsero.
«Spero abbiate usato la precauzione» rise Matty. Tommy lo mandò gentilmente a quel paese.
Coline mi scrollò: «C’è Harry che continua a lanciarti occhiate. Che ne dici se me ne vado e gli cedo il posto?» sussurrò.
La guardai storto: «Non ci provare».
«Bene Evie, io vado a cercare conchiglie, a dopo!» disse ad alta voce, in modo da farsi sentire almeno da Harry, che non perse l’occasione e si sistemò vicino a me.
«Così la tua amica è andata a cercare conchiglie eh?» disse sogghignando.
«Si, è diventato il suo hobby da circa trenta secondi».
«Diciamo che poteva inventarsi una scusa migliore».
«Doveva essere la prima che le è venuta in mente».
«Capisco».
Il cielo era limpido e si vedevano chiaramente anche stelle molto lontane. Lanciai un’occhiata a Harry: i ricci scompigliati gli ricadevano sulla fronte, rendendolo quasi buffo; i suoi occhi, così vivaci, erano un misto tra il verde e il marrone.
«Cosa c’è?» mi chiese di punto in bianco. Merda, se ne era accorto.
«Io… niente, mi era sembrato di vedere qualcosa». Ero un’idiota.
«Ci pensi mai al futuro?» mi chiese dopo qualche minuto di silenzio.
Girai la testa verso di lui: «Spesso».
«E cosa ti viene in mente?».
«Penso che non voglio invecchiare, voglio rimanere giovane per sempre. Non riesco a vedermi vecchia».
«Perché?».
«Non c’è un vero motivo. Perché dobbiamo invecchiare? La vita è troppo breve per essere vissuta in così poco tempo, non è giusto». Poi realizzai: «Scusa, ho fatto un altro dei miei discorsi noiosi».
Harry si mise su un fianco per guardarmi: «Mi piace ascoltarti, soprattutto quando fai questo tipo di discorsi».
Arrossii all’istante. Perché mi faceva quell’effetto? O meglio, da quando in qua legavo così tanto con uno conosciuto quello stesso giorno?

Forever young, I want to be forever young
Do you really want to live forever
Forever, or never young?

  
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