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Autore: Neverland Moony    11/01/2013    2 recensioni
«Noi siamo streghe. Passiamo ad Hogwarts gran parte della nostra vita. Conviviamo con fantasmi di ogni genere. Ma non hai mai l’impressione che tutto questo sia surreale? Non ti sembra mai di guardare quello che ci accade intorno attraverso una finestra? Non… » era la frase più difficile da pronunciare per lei, perché conteneva in quelle poche parole l’incubo che ormai faceva ripetutamente e senza minimi cambiamenti almeno una volta al mese da anni «N-Non hai mai avuto paura del fantasma del tuo passato?»
Genere: Avventura, Azione, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Potter, Lily Evans, Marlene McKinnon, Sirius Black | Coppie: Sirius Black/Marlene McKinnon
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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L’esplosione era stata devastante.
Una parte era venuta giù a pezzi. Proprio addosso al Mangiamorte.
I soccorsi da parte dell’Ordine Della Fenice erano stati immediati. Fortuna che almeno Albus Silente si fidava della sua parola.
Dedalus tastò il pavimento con le mani.
Era stato scaraventato contro una parete, vicino al letto dove era disteso.
La ferita alla testa si era aperta nuovamente, e questo non era un bene.
Fece una smorfia di dolore e assottigliò gli occhi guardando fuori dalla stanza, tramite la parete in gran parte crollata.
Oramai si era fatta l’alba, eppure il cielo era scuro.
Non c’erano nuvole, ma un freddo più glaciale del normale si era impossessato dell’aria che circondava il castello di Hogwarts.
Il Mangiamorte sotto le macerie era svanito del nulla.
Si trovava solo nella stanza.
Gli unici suoni provenivano dall’esterno, ed erano quelli che caratterizzavano una guerra.
Dedalus si trascinò fino a dove il Mangiamorte aveva fatto cadere la bacchetta che apparteneva a Ded in persona.
Non poteva restare lì impalato a vedere tutto quello accadere.
Provò a ricordare un vecchio incantesimo curativo per le ferite superficiali che gli aveva insegnato il padre da bambino.
Non aveva bisogno di pronunciarlo ad alta voce.
Dedalus riusciva a evocare incantesimi non-verbali egregiamente.
In un batter d’occhi la ferita si era rimarginata. Restava solo il sangue rinsecchito a contornarla.
Il ragazzo si morse il labbro e aiutandosi con le braccia si tirò su.
Scendere le scale in quelle condizioni sarebbe stato impossibile. Avrebbe impiegato troppo tempo.
Si ricordò che l’Infermeria si trovava nelle vicinanze della parte di campo che circondava l’edificio scolastico in cui facevano lezione di volo.
Una scopa lì ci sarebbe stata di sicuro.
Stese una mano fuori dalla finestra.
«SU!» gridò.
Ma ovviamente era troppo distante perché una scopa prendesse il volo verso di lui.
Un’altra esplosione poco distante da lui gli fece raggelare il sangue nelle vene.
Con la coda dell’occhio riuscì ad identificare una scopa poggiata sul campo, che qualche ragazzo aveva dimenticato di mettere apposto.
La puntò con la bacchetta e fece una pausa.
Fare un incantesimo non-verbale con così poche energie su un oggetto così distante sarebbe stato inutile.
Deglutì sperando che funzionasse.
«Accio scopa!»
Un istante dopo la scopa si era alzata da terra e si era fiondata verso la sua direzione.
Dedalus l’afferrò grazie ai suoi ottimi riflessi e si mise a cavalcioni su di essa.
Non era mai stato un asso nel volo. Questo aveva offerto un’altra scusa per prenderlo in giro ai ragazzi della scuola, specialmente Serpeverde.
La verità era che a livello teorico era certamente un asso. Ma quando si trattava di volare, aveva sempre finto di essere impacciato a farlo.
Soffriva di vertigini.
Ma questo non lo aveva mai detto a nessuno.
Respirò profondamente. Voleva essere coraggioso.
Coraggioso non perché non avesse paura, ma perché nonostante il terrore che lo stava divorando dentro voleva riuscire a fare la scelta giusta e a volare su quella scopa.
“Non guardare in basso”, si disse mentre ordinava mentalmente alla scopa di alzarsi.
Questa seguì l’ordine e un attimo dopo, senza che lui se ne rendesse conto, stava volando.
Fece il giro della scuola.
Dissennatori ovunque. Mangiamorte anche.
Lui riusciva a malapena a schivarli. Rischiava grosso, ma doveva capire e doveva trovare i suoi amici. Ad ogni costo.
Vide d’un tratto Andromeda Black. Un troll stava per colpirla in pieno.
«NO!»
Il panico si stava impossessando sempre di più di lui.
Ma agì d’istinto.
Indirizzò verso il basso la scopa andandosi a schiantare contro la testa del troll.
Dedalus pensava che avrebbe perso il controllo e si sarebbe sfracellato al suolo, ma così non accadde.
Il troll perse l’equilibrio e cadde a terra, mentre Dedalus riuscì a bilanciarsi dopo l’impatto con la fronte della bestia.
Fece una piroetta in aria per poi afferrare al volo Andromeda e farla montare dietro di lui.
«Dedalus, che sta succedendo?» la ragazza aveva un’espressione confusa in volto. Non si sarebbe mai aspettata aiuto dalla persona che fino al giorno prima era considerata dalla maggior parte della scuola un pazzo.
«Ti porto al sicuro.» si limitò a dire brevemente Ded.
Scortò con la scopa Andromeda fino ad Hogsmeade. Almeno lì, in mezzo alla gente, sarebbe stata più protetta.
Per tutto il tragitto non le aveva dato uno straccio di informazione, non le aveva rivolto la parola.
Questo non perché lui la odiasse per come l’aveva trattato in tutti questi anni.
Ma perché aveva bisogno di pensare, e per una volta a bocca chiusa.
Lui non odiava Andromeda Black, affatto. Le voleva bene.
Un “bene” un po’ strano, come l’avrebbero definito gli altri.
Gli stava venendo la nausea da quanto era teso.
Si sentiva così impotente.
Voleva fare qualcosa per proteggere Hogwarts.
Gli venne in mente una storiella. Era una storiella davvero buffa.
Una volta, era andato a visitare Marlene nella Londra babbana.
E insieme avevano visto un film. Faceva piangere, ma era davvero bello.
Parlava di una ragazza malata di tumore al cervello alla quale non restavano altro che tre mesi di vita.
Questa ragazza era una amante degli uccelli. E la sua razza preferita era un uccello canoro.
Non sapeva perché, ma gli era saltata alla mente una frase ben precisa del film.
E poi c'è questo uccello canoro che pensa di morire ogni volta che cala il sole.
E la mattina quando si sveglia è così contento di essere vivo che si mette a cantare la sua melodiosa canzone.
Io canto ogni mattina da quando ti conosco[1].”, recitava il film.
Dedalus non si era mai innamorato di nessuno.
Non aveva mai provato la gioia di amare. E di essere amato.
Lui aveva sempre ripetuto che non ne aveva bisogno, che stava bene così.
Ma nessuno sta bene da solo.
Scosse il capo e cacciò quel pensiero dalla mente.




[1] Frase tratta dal film di cui ho parlato nella FanFiction, "L'amore che resta" 
  
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