Streetlight People
10. Don’t Stop
Believing #2
“Working
hard to get my fill
Everybody wants a thrill
Payn’ anything to roll the dice
Just one more time”
Feliciano sentì vibrare il
cellulare nella tasca dei
pantaloni, e dopo averlo afferrato osservò lo schermo ora
illuminato a indicare
una chiamata in arrivo. Il nome sul display era quello di suo fratello.
“Ehi, Lovi! Non indovinerai
mai dove sono!”
Non fece nemmeno in tempo a terminare
quelle parole che
l’altro stava già urlando nella cornetta.
“Esatto idiota, non ho la
più pallida idea di dove tu sia!
E’ proprio questo il problema! Ho provato a telefonarti a
casa ma tu non
c’eri!”
“Infatti non sono a
casa.”
“L’ho notato!
Adesso potresti cortesemente dirmi dove sei?!”
“Alla National
Gallery.”
“Cos- Alla National
Gallery?! Sono le dieci del mattino!”
“Lo so, è appena
aperta! Non c’è quasi nessuno, infatti.”
“Feli…”
“Dimmi
fratellone.”
“Cosa diavolo ci fai alla
National Gallery a quest’ora,
tutto solo?”
“Oh, ti sbagli Lovi. Non
sono da solo!”
Dall’altra parte del
telefono calò un silenzio improvviso,
seguito da un profondo sospiro.
“Con chi sei?”
“Con Ludwig!”
“…E chi cazzo
è Ludwig?!”
“Un ragazzo che ho
conosciuto ieri sera mentre tu ti
divertivi con Antonio.”
“Non puoi andartene per
musei con un tizio che conosci da
meno di ventiquattr’ore, Feliciano! E comunque non usare
parole che potrebbero
venire fraintese, non sono tutti ingenui come te al mondo!”
“In che senso?”
“Io e
quell’idiota di uno spagnolo non ci stavamo
‘divertendo’, stavamo solo…oh, al
diavolo! Non è quello il punto! Tornatene
subito a casa e pianta in asso quel poco di buono.”
“Lud non è un
poco di buono! E’ molto gentile, anche se
forse è un po’ timido. Ora che ci penso vi
assomigliate parecchio, sono sicuro
che andrete d’accordo.”
“Oh mio Dio, ti ha drogato
non è così? Non c’è altra
spiegazione, stai delirando!”
“Lovi, ti devo lasciare.
Devo entrare adesso, e non è
educato parlare al cellulare in un museo.”
“Chi se ne importa
dell’educazione in un momento come
questo!”
“Ciao, fratellone! A
dopo!”
L’ultima cosa che Feliciano
sentì prima di riattaccare fu
un’imprecazione ben poco carina. Ma in fondo ci era abituato,
suo fratello si
scaldava molto facilmente.
Entrò nella grande sala d’ingresso della galleria,
dove pochi minuti prima
aveva lasciato Ludwig.
Quando questi lo vide, gli andò immediatamente incontro.
“Tutto a posto?”,
chiese con sguardo apprensivo.
“Certo,
perché?”
Il tedesco si
tranquillizzò notando l’espressione rilassata
dell’altro.
“Chi era al
telefono?”, chiese allora, “Non che siano affari
miei ovviamente. Insomma, se era, che ne so!, la tua ragazza o qualcosa
del
genere non sei assolutamente tenuto a dirmelo.”
“Era mio fratello, sembrava
un pochino agitato. Chissà cosa
gli è successo! A volte proprio faccio fatica a capirlo.
Pensa un po’, credeva
addirittura che tu fossi un poco di buono.”, disse
allegramente l’italiano
trotterellando allegro verso una tela che aveva attirato la sua
attenzione.
Ludwig si irrigidì. Aveva
fatto male, decisamente male a
fidarsi della calma di Feliciano. Probabilmente in quel momento, da
qualche
parte in una centrale di polizia di Londra, suo fratello stava facendo
una
denuncia di rapimento.
“Aspetta, tu cosa gli hai
detto esattamente?”, chiese,
cercando di accertarsi di quanto rischiava la galera.
“La
verità.”, fece Feliciano mentre i suoi occhi
nocciola
vagavano sul dipinto con estrema passione, “Che ci siamo
conosciuti ieri sera e
che adesso sono qui con te. Non capisco perché abbia
supposto che mi avessi
addirittura drogato.”
Il tedesco impallidì
definitivamente. Ecco, ora la gattabuia
per sequestro di persona era assicurata. Non poteva nemmeno aspettarsi
che
Gilbert e i suoi amici dementi gli pagassero la cauzione: conoscendoli
era già
tanto sperare che gli portassero le arance.
“Mi chiedo come mai fosse
così agitato. Oh bè, d’altronde
è
sempre stato molto apprensivo nei miei confronti.”, aggiunse
Feliciano
spostandosi verso un altro quadro, seguito da quella che ormai era
l’ombra di
Ludwig.
Il tedesco lo guardò,
cercando di capire come diavolo facesse
quel ragazzino a non avere mai alcuna percezione di quello che gli
capitava
attorno. Doveva esserci davvero un intero universo dentro quella sua
testolina rossiccia.
Si morse l’interno della guancia quando si sorprese a sperare
che magari un
giorno lo avrebbe mostrato anche a lui.
L’italiano si voltò all’improvviso nella
sua direzione, distogliendo
l’attenzione dalla tela variopinta davanti ai suoi occhi per
puntarli in quelli
dell’altro, che si sentì arrossire inevitabilmente.
“A proposito,
Lud.”, iniziò con una voce stranamente dolce.
“Io
non ho una
ragazza. E nemmeno ‘qualcosa del genere’.”
Detto questo tornò a
guardarsi intorno con meraviglia alla
ricerca di qualcos’altro che valesse il suo interesse.
Ludwig ci mise qualche istante ad assimilare quelle parole. E non
bastò tutta
la visita alla National Gallery affinché si desse una
risposta definitiva sul
motivo per cui l’italiano avesse specificato quel particolare
della sua vita utilizzando
un tono del genere. Una cosa gli sembrava decisamente ovvia
però: quel
ragazzino, che era entrato così all’improvviso
nella sua vita, stava anche per
cambiarla radicalmente, che lui lo volesse o meno. E per quanto la cosa
lo
spaventasse, non potè evitare di sorridere a quel pensiero.
“Some will win
Some will lose
Some are born to sing the blues
No, the movie never ends
It goes on and on and on”
Antonio aveva osservato il ragazzo
seduto di fronte a lui
per tutto il tempo che questi aveva passato al telefono con il
fratello. Non
aveva capito molto della loro conversazione, in quanto Lovino aveva
parlato sempre
in italiano e infine, anche se lui non poteva esserne certo, era
addirittura
passato a uno stretto dialetto meridionale.
Inizialmente era evidentemente arrabbiato, la fronte aggrottata e gli
occhi
ambrati stretti in due fessure. Era carino anche così. Le
sue guance trovavano
un’occasione in più per tingersi di rosso, e
questo era semplicemente
adorabile, anche se magari gli altri clienti del caffè dove
si trovavano non
erano proprio d’accordo a giudicare dalle occhiate che
lanciavano loro,
probabilmente esasperati dal tono di voce dell’italiano.
Ma poi lo spagnolo era riuscito chiaramente a leggere su quel viso che
tanto
gli piaceva una preoccupazione latente, e non aveva potuto evitare di
avvicinarsi a lui per intrecciare la mano destra con la sua, nel
tentativo di
tranquillizzarlo. Forse sovrappensiero, lui l’aveva stretta
di rimando.
Fatto sta che quando Lovino chiuse
finalmente la chiamata,
era furioso.
“Che è
successo?”, chiese Antonio con un mezzo sorriso.
L’italiano
sbuffò sonoramente, e dopo qualche istante
rispose: “Mio
fratello è alla National
Gallery. Con un tizio.”
L’altro inarcò
un sopracciglio, perplesso. “…E allora?”
A quella semplice domanda, Lovino
reagì come un gatto a cui
è appena stata pestata la coda.
“Come sarebbe a dire?! Non
può andarsene in giro con un
ragazzo che ha incontrato solo ieri sera!”
Antonio non voleva ridere, davvero,
aveva ormai capito che
farlo sentire preso in giro era una pessima idea. Ma non
riuscì sinceramente a contenersi.
“Che hai da ridere,
bastardo?!”
“Ascolta, noi ci siamo
conosciuti ieri sera e guardaci: ci
stiamo tenendo per mano e, non per dire, ma poche ore fa ci stavamo
baciando su
una ruota panoramica. Tuo fratello sta solamente facendo un giro
turistico di
una galleria d’arte con quel ragazzo.”
Non appena l’altro
realizzò che sì, in effetti stava davvero
stringendo la mano dello spagnolo, la ritrasse immediatamente.
“E’
completamente
diverso.”, rispose seccato, “Mio fratello
è terribilmente ingenuo. Tu non lo
conosci, non sai quante stupidaggini ha fatto nella sua vita. E chi
è che l’ho
deve tirare fuori dai casini? Io ovviamente, sono suo fratello
maggiore! Con
che faccia potrei tornare da mio nonno se gli succedesse
qualcosa?”
Antonio sorrise nuovamente. Ecco,
anche quel lato di Lovino
era estremamente bello, quella premura con cui si prendeva cura di suo
fratello
facendola sembrare come una regola obbligatoria, quando in
realtà era evidente
che l’unica cosa che lo spingeva a tanto era il gran bene che
voleva al
gemello.
“Lovi, calmati. Feliciano
è un ragazzo di diciannove anni,
dopotutto: che gli può succedere di male? Hai paura che
resti incinto?”
Lovino alzò gli occhi al
cielo: “Non prendermi per il culo!
E’ una situazione che tu non puoi capire. E poi il nome di
quel tizio non mi
ispira affatto fiducia.”
“Perché?”
“Credo sia tedesco. Non mi
piacciono i tedeschi.”
“Non fare così!
Sai, uno dei miei migliori amici e suo
fratello sono
tedeschi.”
L’italiano lo
guardò in tralice: “E credi che questo deponga
a suo favore? No, perché è l’esatto
contrario invece.”
Antonio ci pensò per
qualche istante: “Mh, in effetti
Gilbert non è proprio quel genere di persona
a cui qualcuno affiderebbe il proprio fratellino. Però suo
fratello, Ludwig, è
davvero un bravo ragazzo.”
Gli occhi ambrati
dell’altro guizzarono su di lui,
improvvisamente sgranati.
“Aspetta…Ludwig,
hai detto?”
Antonio annuì perplesso.
“E questo Ludwig era con
voi, ieri sera? In quel locale?”
Un altro consenso da parte dello
spagnolo, il quale sembrava
sempre più confuso, soprattutto quando Lovino si
accasciò sul tavolo.
“Posso sapere anche io il
perché di tutta questa
disperazione?”, chiese allora con un sorriso comprensivo.
L’italiano rispose
mugugnando, il viso ancora affondato tra
le braccia: “Il tizio che è con Feliciano si
chiama Ludwig. E l’ha conosciuto
ieri in quel locale.”
E fu allora che anche Antonio
capì, sgranando gli occhi
verdi.
“Tu dici che è
una cosa possibile?”, chiese all’altro mentre
un sorriso meravigliato gli si dipingeva sul viso.
Lovino alzò finalmente il
viso verso di lui, guardandolo in
tralice: “Il fatto che mio fratello sia stato adescato da un
tuo conoscente?
Oh, nulla di più probabile.”
Lo spagnolo scosse la testa:
“No, voglio dire: credi davvero
che sia possibile che nella stessa sera io abbia conosciuto te e lui
tuo
fratello? Sembra una cosa così assurda!”
“Non venirmi a parlare di
quell’enorme stronzata del
destino, perché giuro che me ne vado.”, fece
l’italiano alzando gli occhi al
cielo.
Antonio sospirò:
“Dico solamente che sarebbe incredibile,
non trovi? Insomma, già io lo ritenevo un miracolo quando ti
ho visto ieri
sera…”
Lovino arrossì,
distogliendo lo sguardo da quello ormai
adorante dello spagnolo: “Non ti avevo detto di smetterla con
queste frasi
melense? E poi stanno arrivando i nostri caffè, quindi
taci!”
In effetti, pochi istanti dopo si
avvicinò al loro tavolo un
ragazzo orientale con in mano un vassoio.
“Due espresso,
giusto?”, chiese questi con voce pacata.
Ad un cenno del capo di Lovino, il
cameriere appoggiò le due
tazze sul tavolo con cautela. Notando però che lo spagnolo
lo stava fissando si
fermò con aria preoccupata.
“Qualcosa non va?”
Antonio sorrise amichevolmente.
“In realtà volevo chiederti
una cosa...”, s’interruppe un istante per osservare
la targhetta con il
nome che il ragazzo
portava sul petto, “Kiku Honda.”
Sia l’asiatico che
l’italiano lo guardarono perplessi.
“Mi dica pure,
signore.”, mormorò quindi Kiku con fare
educato.
A quel punto Antonio lo
guardò dritto negli occhi, per poi
domandargli in tono solenne: “Dimmi, Kiku. Tu credi nel
destino?”
Se il moro sembrava sorpreso da
quella domanda tanto
stramba, Lovino stava davvero per alzarsi ed andarsene tanto era
imbarazzato.
“Non posso credere che tu
abbia davvero disturbato questo
povero tizio per una stronzata del genere!”,
sbottò infatti, ancora incredulo
che l’altro avesse seriamente chiesto una cosa simile a un
completo
sconosciuto.
Stranamente però, il
‘povero tizio’ stava sorridendo
gentilmente. “Oh, non si arrabbi. Non mi ha disturbato
affatto, anzi, è una
domanda molto interessante. E poi sa, è buffo: ieri sera un
mio caro amico
americano mi ha domandato la stessa cosa.”
“E tu cosa gli hai
risposto?”, chiese di rimando Antonio,
mentre Lovino si schiaffava la mano sul volto vedendo come
l’asiatico stava
incoraggiando quella buffonata senza senso.
“Sinceramente? Che io credo
proprio di sì.”, rispose il moro
per poi prendere il vassoio e congedarsi.
“Hai visto? Dovresti
crederci anche tu, Lovi.”, disse lo
spagnolo per poi prendere un sorso di caffè.
L’italiano
sbuffò: “Scordatelo. E comunque, non osare farlo
mai più: che ti è saltato in testa?”
“Volevo
sorprenderti.”
“Più che altro
mi hai fatto venire voglia di tirarti un pugno
in faccia.”
Antonio lo fissò per un
lungo istante, per poi fargli
l’occhiolino.
“Ti
amo
anche io.”
“Don’t stop believing
Hold on to the feeling
Streetlight people…
Don’t stop!”
Angolino
dell'Autrice: |
E’ finita. Oddio,
l’ho finita davvero. Non credevo si
provasse una soddisfazione tale a vedere una storia conclusa, e invece
sono qui
e non mi capacito di esserci davvero arrivata in fondo. Wow.
Prima di tutto, è doveroso condividere con voi questo
piccolo headcanon che non
sono riuscita a inserire nella fanfiction (altrimenti questo capitolo
sarebbe
diventato un’enciclopedia u.u): il caffè in cui si
trovano Antonio e Lovino
nella scena finale è anche quello dove lavorano Elizaveta e
Yasmine. Quindi,
Kiku è un loro collega oltre ad essere amico di Alfred (come
spero si sia
capito…?). Lo so, dovrei mettermi a scrivere storie meno
complesse :’)
Dopodichè, via con i ringraziamenti stile notte degli Oscar:
vorrei ringraziare
tutti quelli che hanno letto la fanfiction prima di tutto, e in
particolare
chiunque l’abbia messa tra le preferite, le ricordate, le
seguite…insomma,
chiunque abbia lasciato traccia del suo passaggio uwu E
infine, un grazie particolare a chi mi ha
lasciato un commentino, facendomi un sacco di complimenti
(immeritatissimi,
siamo sinceri u_u) e dando un senso a quello che scrivevo. Quindi ecco,
vi cito
pure belle personcine: Melabanana_
,
Giuls Koshka, yanyan,
Tsukiyama Kun
Beilschmidt, sara_sakurazuka,
MelaH_, shaya21, BananaH.
Insomma, grazie a tutti ♥
Non pensate di esservi
liberati
di me, perché tornerò a rompervi
l’anima molto presto. Quando meno ve lo
aspetterete, io colpirò con una nuova long che non
aggiornerà mai. State pronti
u.u
Perciò…
See ya
soon,
people!