Era
una notte buia e tempestosa, ed Harry Potter
si rannicchiò ancora di più nella sua fredda
copertina nel sottoscala. Anche se
ormai aveva già dieci anni i temporali gli incutevano ancora
molto timore e,
del resto, non poteva neanche rifugiarsi nel lettone degli zii
altrimenti
sarebbe stato sgridato di nuovo, al contrario di suo cugino.
Ebbe un sobbalzo nel mentre di un lampo e,
sentendo dei rumori, schiuse un’anta per guardare cosa stava
succedendo. Era
tutto buio e non si riusciva a vedere granché, quindi decise
di uscire dal suo
rifugio sicuro per dare un’occhiata in giro:
d’altra parte gli zii e Dudley
stavano dormendo, non si sarebbero accorti di nulla…
Mosso
da questa consapevolezza, iniziò a girare
per casa controllando in ogni angolo.
Gli
vennero i brividi ascoltando dei miagolii
esterni che gettavano una nuova inquietudine nell’atmosfera
già carica di
tensione.
Osservò
attentamente prima la porta sul retro,
poi quella d’ingresso e, avendo appurato che erano ben
chiuse, il giovane Harry
aveva deciso che si stava soltanto lasciando condizionare dalla tetra
atmosfera
di quella notte.
Sì, era sicuramente frutto della sua spiccata
immaginazione.
Glielo ripetevano sempre sia gli zii che i
maestri di scuola, soprattutto quando parlava di moto volanti e
bacchette
magiche...
Tranquillizzato quasi del tutto, il piccolo
Potter si stava apprestando a ritornarsene a dormire quando,
all’improvviso, il
rumore di oggetti di acciaio che armeggiavano con la serratura della
porta d’ingresso
lo fecero pietrificare sul posto.
Un nuovo lampo squarciò il cielo, nuovi cigolii
invasero la casa e, prima di poter fare alcunché, Harry
Potter sentì un dolore
lancinante alla testa e cadde a terra perdendo i sensi.
Dopo
quelle che gli sembrarono ore, Harry si
risvegliò. Nel sottoscala.
Dire
che fosse sorpreso era poco.
Era
stato tutto un sogno? No. Il dolore alla testa
c’era ancora.
Ma
allora cosa era successo?
In
un altro luogo, Severus Piton rifletteva
su quanto Harry Potter effettivamente assomigliasse al padre.
Grugnì
irritato, ringraziando il fatto
che Albus gli avesse chiesto di sorvegliare il prescelto:
aveva dovuto non
solo confondere il ladro che tentava di entrare in Privet
Drive e
consegnarlo alla polizia babbana, ma anche addormentare il piccolo
Potter e
rimetterlo in quel buco del sottoscala dove lo facevano vivere i
Dursley
altrimenti, con tutta probabilità, lo stupido
coraggio da Grifondoro che
già possedeva lo avrebbe messo in un mare di guai.
Non
dovrà mai sapere di questo episodio, stabilì
Severus Piton.
In
un attimo si smaterializzò nella sua camera da
letto e, maledicendo i geni dei Potter e la
nottataccia che aveva
appena passato, decise di meritarsi una bella
dormita.
Non
avrebbe mai più aiutato il figlio di Potter,
mai più, e sprofondò in un sonno profondo senza
sogni senza sapere che, in un
futuro molto prossimo, le sue sarebbero state le ultime parole famose.