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Autore: allegretto    13/01/2013    2 recensioni
Progetto nato nel giro di una notte grazie ad un sogno, e che coinvolge persone reali come in una specie di gioco di ruolo. In uno scenario apocalittico i ragazzi devono imparare a cavarsela da soli e a mettere in pratica le loro qualità e capacità, mentre fatti inspiegabili accadono intorno a loro.
Trama: In una notte spariscono tutti gli adulti o quasi. Rimangono solo bambini, ragazzi, giovani e qualche adulto, come la sottoscritta. L'ambientazione è Genova, principalmente Sampierdarena, ma non è detto. Il nemico non è ben identificato, all'inizio. E' successo qualcosa di irreparabile e si dovrà capire come e cosa è accaduto.
Storia scritta da me, ma con l' ausilio di DarkAngel90, MaikoxMilo e Michywinchester e con il betaggio delle stesse.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO DECIMO

 

“La vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia”

(Gandhi)

 

Sono passati tre giorni ed ancora siamo tutti sotto shock. Una serie di avvenimenti, uno più tragico dell'altro, ha contraddistinto la giornata.

In ventiquattro ore siamo passati dalla consapevolezza di sapere con chi dobbiamo confrontarci, grazie a Marta che ha rischiato la vita per riuscire a carpire tale informazione, a quello che hanno scoperto Simone, Daniele e Federico e, infine, al dramma consumato all'interno dell'ospedale.

Ora nell'Istituto Pietrine, ex scuola elementare e più recentemente casa di riposo, collocato strategicamente accanto al mio palazzo, nel quale abbiamo stabilito il presidio armato della zona, si tiene una riunione informativa. Tutti i vari capi dei gruppi della resistenza, formatisi nei giorni precendenti sotto il mio comando, sono riuniti per prendere delle decisioni, frutto di quello che siamo venuti a conoscenza nei giorni appena trascorsi.

“Riepiloghiamo, così capiscono anche quelli che sono arrivati in ritardo”, esclamo, lanciando un'occhiataccia a Matteo, Daniele e Simone, appena entrati e alla ricerca spasmodica di una sedia dove sedersi.

“Alla luce delle importanti notizie che ci ha portato Marta”, dichiaro, indicando la ragazza, la quale arrossisce per essere stata nominata davanti a tutti “e di quello che è avvenuto all'ospedale, abbiamo deciso di modificare alcune priorità che ci sembravano importanti nei giorni scorsi ma che ora hanno perso la connotazione dell'urgenza”, continuo, osservando tutti i convenuti che ascoltano con attenzione ciò che sto dicendo.

“Vorremmo da parte vostra dei suggerimenti su quanto è stato deciso e inoltre in questa sede verranno nominatii comandanti di ogni gruppo con i relativi vice-capi. E' di fondamentale importanza che ognuno di voi sia inserito nel gruppo adatto per le proprie attitudini e aspirazioni. Solo chi è motivato, può svolgere un ottimo lavoro. Di conseguenza, adesso Federico ci illustrerà come intendiamo muoverci nei prossimi giorni”, concludo, facendo segno al ragazzo di raggiungermi sulla pedana.

Il giovane si alza dalla sedia e con pochi passi mi raggiunge e dopo avermi salutata con un cenno della testa, si accinge a spiegare.

“Allora, questa alle mie spalle è la cartina della zona qui attorno. Ovviamente abbiamo dovuto ricalcarla a mano e non è venuta un capolavoro ma è chiara quanto basta. La zona strategica è via G.B.Monti e via dei Landi assieme al ponte di quota Quaranta. Tutti gli accessi devono essere controllati sia di giorno che di notte da guardie armate e all'inizio delle due mulattiere, ovvero la salita che va giù in corso Martinetti e quella che va su al Belvedere”, continua a spiegare Federico, indicando sulla cartina i vari punti, aiutandosi con un righello, “verranno costruiti degli sbarramenti per impedire a chiunque di accedere a questa zona. Inoltre abbiamo deciso di non prestare più il nostro aiuto giù alla Fiumara. E' troppo lontana e troppo pericoloso per noi andare avanti e indietro. Un dispendio di energie e tempo. Sono stati trovati dei ragazzi che possono tenere i bambini sotto controllo e dar loro tutto quello di cui hanno necessità. Ora Antonio vi parlerà della questione sicurezza e armamenti”, conclude Federico, facendo cenno ad Antonio a unirsi a lui sul palco.

Il giovane, alto e longilineo, scatta su dalla sedia con rinnovata energia. Dopo aver dato una pacca sulla schiena a Federico, tira fuori un foglietto dalla tasca dei jeans e si accinge a leggere ciò che ha scritto.

“I nomi che adesso leggerò sono i nominativi dei capi gruppo del settore sicurezza. Vi spiego dopo cosa dovranno fare e in che modo. Va bene?”, esclama con calma, guardando tutti con uno sguardo penetrante. Tutti annuiscono, timorosi. E' risaputo che se Antonio ti fa una domanda o una richiesta tu devi acconsentire immediatamente. Non perchè il ragazzo sia particolarmente violento o irascibile ma solo perchè la sua postura richiede obbedienza immediata. Fa quell'effetto...

“Marco, D'Alex, Daniele. I vice-capo sono Matteo, Michela, Simone”, spiega, fermando con un'occhiata le mani alzate dei nominati. “Ragazzi, a tempo debito le domande. Ora non abbiamo tempo. Devo finire di spiegare. Marco e Matteo sono responsabili della ricerca dei viveri, medicinali e di tutto quello di cui abbiamo bisogno. D'Alex e Michela si occuperanno di addestrare all'uso delle armi e a fare servizio di guardia. Daniele e Simone si occuperanno della logistica. Quindi Marco è nominato 'ufficiale all'approvvigionamento'; D'Alex, 'ufficiale agli armamenti'; Daniele, 'ufficiale della logistica'; Matteo, Michela e Simone sono i vice e possono agire in assenza del loro diretto superiore. Marco, D'Alex e Daniele devono riferire a me. Domande?”, chiede poi Antonio, vedendo un mare di mani alzate.

“In che senso ufficiale della logistica? Cosa dovrei fare?”, chiede Daniele dubbioso.

“Devi trovare luoghi sicuri dove stivare le vettovaglie, sarai responsabile di tutti i materiali e mezzi che verranno utilizzati dagli altri e dovrai fornire l'elenco di tutto quello che serve a Marco in modo che la procuri nel più breve tempo possibile”, risponde prontamente Antonio.

Daniele scrolla la testa, cercando di assimilare l'immane compito che gli è stato assegnato. Poi si gira a guardare Simone, il quale, anche lui con lo sguardo attonito, inizia a valutare i pro e i contro della situazione.

“Ufficiale agli armamenti? Bene, ma Antonio ho cinque fucili e quattro pistole. Mi dici che ci faccio io con quelle? Avrò circa una trentina di ragazzi da addestrare....”, esclama la sorella di Marco, sospirando.

“Si, D'Alex hai ragione. Cercheremo di trovarti più armi e comunque sto già insegnando io ai ragazzini come usare arco e balestra. Solo i grandi potranno usare le armi da fuoco!”, risponde Antonio.

“Cosa intendi per grandi?”, chiede Matti, dall'alto dei suoi tredici anni.

“Ahahah, Matti, direi dai quindici anni in su. Tu sei ancora un po' piccolo....”, ridacchia Antonio.

“Uffa!”, replica il piccolo ma coraggioso cavaliere.

“Adesso se non avete altre domande da fare”, dice Antonio, a discapito delle numerose mani ancora alzate “do la parola a Francesca”, indicando la minuta ragazza dai capelli neri che siede in prima fila.

Lei si alza, raccoglie una grossa agenda, zeppa di fogli, e si dirige verso la pedana.

“Sono stata nominata 'ufficiale territoriale' e anche se mi è stato spiegato più volte di cosa mi debbo occupare, ho ancora qualche dubbio in merito. Intanto ho pensato di suddividere il mio compito in settori con a capo un responsabile: Minori, Animali, Infrastrutture, Equipaggiamento. Per quanto riguarda gli ufficiali incaricati, le persone saranno scelte tra Ilaria, Marta, Michela e Desirèe. Vorrei che le ragazze che ho nominato, decidessero loro stesse dove essere collocate. Per quanto riguarda il centro di coordinamento della Fiumara è stato nominato ufficiale responsabile Valentina”, spiega con calma, consultando la sua agenda ricolma di nomi e rapporti.

“Domande?”, chiede poi, vedendo le espressioni sorprese di Marta e Michela.

“Perchè è stato deciso di utilizzare i gradi dell'esercito?”, chiede Marta, agitandosi sulla sedia, a causa del suo nervosismo e dei postumi della ferita alla gamba.

Francesca, non riuscendo a rispondere alla domanda, si gira verso di me, con sguardo interrogativo.

“Perchè seguire una struttura gerarchica di tipo militare facilita il compito di chi deve eseguire gli ordini e per chi li deve dare. Siamo in una situazione di emergenza e, a volte, sottostare a degli ordini in condizioni di pericolo, può essere utile far leva sull'obbedienza e sulla fedeltà al gruppo”, spiego io, alzandomi dalla sedia dove mi ero seduta in prima fila.

“I bambini piccoli che sono giù alla Fiumara li lasciamo giù? Ce ne siamo occupate fino a ieri e ora improvvisamente li abbandoniamo?”, chiede Ilaria, preoccupata.

“Si capisco, è stata una decisione sofferta ma non possiamo occuparci di loro. Prenderemo soltanto quelli che hanno una parentela con quelli più grandi che sono già qui”, spiega Francesca.

“Ma non possiamo lasciarli giù. Sono in pericolo ed è una zona non difendibile!”, ribatte Desirèe.

Altri ragazzi iniziano a protestare.

“A tale proposito, vorrei che tutti voi veniste a conoscenza di quello che è accaduto tre giorni fa ed è per questo che siamo arrivati a prendere queste decisioni. Forse sapere esattamente quello che è successo dalla viva voce delle nostre protagoniste, vi farà comprendere che è necessario rivedere le nostre priorità”, spiego, cercando di far sentire la mia voce, in mezzo alla cacofonia della sala.

“SILENZIO”, urla Antonio.

Tutti si zittiscono.

“Marta, per favore, vieni qui e racconta a tutti cosa hai visto sulla collina sopra Belvedere”, esclamo io, guardando la ragazza in questione.

Lei avvampa sentendo tutti gli sguardi addosso a lei. “Chi? Io?”, replica poi, incerta.

“Si, Marta. Voglio che sia chiaro a tutti quali siano le implicazioni!”, dichiaro, mentre le faccio cenno di raggiungermi.

“Ah, va bene, ma...io non...credo di...”, balbetta nervosamente Marta, avvicinandosi a me. Respira velocemente per la tensione ma piano piano si calma, iniziando a parlare:

“Ho seguito Ira, il pastore tedesco che è sempre con me in questi giorni, fino al ciglio della collina. Lei era ferma. Seduta come se mi stesse aspettando. A fatica l'ho raggiunta. Mi faceva male la gamba e continuavo a perdere sangue, così mi sono seduta a terra, accanto a lei. E ho guardato giù in direzione della barriera autostradale di Genova-Ovest”, spiega Marta, dapprima con voce incerta poi via via sempre più sicura.

“Continua, Marta”, la incito ad andare avanti.

“Si. Improvvisamente c'è stato un bagliore tra la galleria e la barriera. Poi uno stridio e poi un altro lampo di luce abbagliante. Nel momento in cui la luce si è affievolita, è comparso un motociclista. E' come se fosse passato attraverso una tenda o una finestra deformata. In pratica è apparso dal nulla!”, spiega la ragazza. “Poco dopo ne sono arrivati altri cinque nello stesso modo. E non erano moto normali e sì, io sarò anche ignorante in fatto di motociclette, ma in questi giorni mi sono letta tutte le riviste in materia e niente di quello che ho visto esiste in realtà. Con i miei ricordi e l'aiuto di Matti che ha fatto lo schizzo, siamo arrivati a produrre questo disegno”, dice Marta, facendo segno al piccolo Matteo di darle il cartoncino con su disegnata una moto. “Sembra uscita da 'Guerre Stellari'”, esclama Daniele, guardando il disegno. “Si, sembra proprio il veicolo che guidavano i soldati di Darth Vener inseguendo Luke e Han Solo nel sesto episodio...”, aggiunge poi il ragazzo.

“E non è tutto. Quelli che sono scesi dalle moto avevano una specie di armatura addosso. Una tuta li ricopriva, come se fossero stati dei robot. Ma quando si sono tolti i caschi, erano umani. O almeno a me sembravano tali!”, conclude la ragazza, davanti a una platea attonita.

“Grazie, Marta. La tua testimonianza è stata preziosissima!”, esclamo, abbracciando la ragazza. “Ma non è tutto. Un altro particolare ci ha fatto decidere di abbandonare il centro commerciale giù alla Fiumara e sì, abbiamo preso tutte le precauzioni del caso. Daniele o Simone volete spiegare cosa avete visto?”, chiedo dopo ai due ragazzi.

Daniele fa cenno a Simone di andare sul palco. Simone annuisce e si alza, avvicinandosi al palco. Dopo aver preso posto, inizia a raccontare: “Stavo cercando un mezzo di locomozione, in un autosalone sopra il grande magazzino per il tempo libero a Campi, quando da una vetrata, ho visto un carroarmato venire verso di me. Mi sono messo a gridare, cercando di raggiungere Federico e Daniele che erano al piano di sotto. Quell'affare continuava imperterrito ad avanzare verso di noi e quando siamo riusciti a uscire a rotta di collo all'esterno, quello ha iniziato a sparare sull'edificio. Ha continuato a farlo finchè tutto non è crollato. Dentro, per fortuna, non c'era nessuno ma tutto quello di cui avevamo bisogno è rimasto sotto. In pratica, per usare un'espressione di Claudia, stanno facendo 'terra bruciata'”, afferma, con voce tremolante, il ragazzo.

“In questo momento tutti i bimbi della Fiumara stanno per essere spostati dentro l'istituto Don Bosco. Sono stati reclutati tutti i ragazzi che vagavano per il quartiere per svolgere questo lavoro ma noi abbiamo altre priorità. Intanto dobbiamo sopravvivere noi e tutti i ragazzini che abbiamo in gestione e poi, se possibile, trovare dove hanno portato gli adulti e capire se c'è una remota possibilità di risolvere questa immane catastrofe”, continuo a spiegare.

Gli animi sono più calmi. Tutti stanno vagliando quelle nuove informazioni e valutando i cambiamenti. Sono certa, però, che quello che starà per essere raccontato dalla viva voce di Michela farà pendere la bilancia dalla nostra parte.

“Michela, te la senti di raccontarci, ciò che è accaduto all'ospedale?”, chiedo alla ragazza, seduta in un angolo con un neonato in braccio a cui sta dando un biberon colmo di latte caldo.

Si alza e viene sul palco. Si siede accanto a me. Le faccio una carezza sul viso. Sono tre giorni che non parla e non dorme. Piange a tratti e ovunque vada porta con sé quel bimbo, da cui non si vuole staccare.

Francesca le si siede accanto e le tiene la mano. Le sussurra che le starà vicina e non la lascerà andare ma è importante che racconti quello che ha visto tre giorni prima. Lei annuisce e inizia a raccontare i fatti fino all'arrivo dei soldati nel padiglione della maternità. Il silenzio irreale della sala accoglie la nascita del bimbo con un sospiro di sollievo che si infrange quando la ragazza inizia a raccontare ciò che è avvenuto dopo:

“Il piano era buono: passare dal cornicione, rientrare dalla nursery e calarsi dal montacarichi della biancheria sporca. Mi ero accorta prima che c'era una scaletta che portava al piano di sotto.

Da lì, ci siamo rese conto che non ci saremmo mai potute inoltrare per i viali dell'ospedale fino all'uscita: erano invasi da camion militari e soldati. Di certo non potevamo stare lì: i locali erano freddi e umidi. Con quattro neonati e una puerpera bisognosa di cure era necessario spostarsi ma la via di uscita era chiusa”, narra Michela e il racconto è talmente particolareggiato che è come se stessimo seguendo un film, come se quel disgraziato giorno tutti quanti fossimo stati in quel malefico ospedale.

…....

Michela e Mò uscirono approfittando del buio per cercare un modo per arrivare al cancello di uscita. Passando in mezzo alle aiuole si erano ben presto accorte che era impossibile. Erano in troppe. Un minimo rumore e i soldati di guardia le avreebero sentite. L'opzione 'farsi prendere come prigioniere' era tramontata nel momento in cui, con un altoparlante, un tizio le aveva informate che farsi trovare all'esterno equivaleva a morte certa. E il trovare il corpo di un'infermiera crivellata di colpi in un cespuglio di rigogliose ortensie, ne era la macabra conferma.

Tornate nel magazzino, informarono le compagne di sventura che, oltre alla possibilità di ritornare in reparto e farsi catturare così vive, non c'erano altre alternative.

Monica non la prese bene. Si mise a piangere, stringendo a sé il bimbo appena nato, farfugliando che si sarebbe immolata, piuttosto che abbandonare suo figlio. Le ragazze cercarono di farla ragionare. L'unica che riuscì a calmarla un po' fu Michela. Con il suo modo scanzonato e a volte un po' irriverente, era sempre in grado di trovare lati positivi anche quando non ce n'erano.

Nell'aggirarsi fra quei cumuli di biancheria sporca, Eleonora scovò una piantina dell'ospedale. Con la luce della torcia, riuscì a trovare il punto in cui si erano rifugiate e poi ebbe un'illuminazione.

“Michela! Michela! Vieni qui, ho trovato il modo di uscire!”, esclamò, cercando di farsi sentire, benchè sussurasse.

“Cosa hai trovato?”, le chiese la ragazza, accorrendo.

“Guarda”, disse, indicando con un dito un condotto che si apriva dietro al padiglione otto e sbucava dietro al pronto soccorso.

“Bisogna però arrivarci al padiglione otto”, replicò Chiara, dopo aver raggiunto le ragazze.

“Non so neanche dove sia questo reparto”, ammise Michela, sconcertata.

“In linea d'aria è qui dietro ma bisogna fare un pezzo di strada allo scoperto...”, disse Chiara, cercando di ricordarsi la strada.

“C'è un sentiero qui dietro che porta a un giardino creato per le partorienti, da lì un viottolo porta al parcheggio per i medici e al padiglione in questione”, esclamò Monica, quando le ragazze la informarono della scoperta.

Michela e Mò uscirono dal magazzino alla ricerca del sentiero.

Dopo dieci minuti di ricerca infrutttuosa, Michela riuscì a trovare una rampa per carrozzine che portava a un piccolo spiazzo con delle panchine e aiuole fiorite, il cui profumo inebriava l'aria.

Mò rimase fuori a illuminare il cammino, semi-nascosto da un folto gruppo di verbena, piccoli fiorellini rosa-lilla, la cui fioritura dava un ampio margine di protezione e il cui profumo faceva per un attimo dimenticare la tragicità della situazione.

Con Michela in testa ed Eleonora in fondo a chiudere il piccolo drappello di temerarie, ognuna con un marsupio dove avevano messo un neonato a testa, riuscirono ad arrivare nel piccolo giardino. Mò si diresse verso il viottolo per esplorarlo, mentre le ragazze facevano del loro meglio per non far piangere i bimbi. Il tempo stringeva. Ben presto avrebbero iniziato a reclamare di essere sfamati e cambiati. Anche Monica non stava bene: l'emorragia aveva ripreso il suo corso e doveva essere arrestata al più presto. Se non avessero trovato quel condotto, la conclusione sarebbe stata scontata...

Al parcheggio ci arrivarono senza difficoltà, ma ovviamente era stato usato anche dai soldati che ormai brulicavano per l'area come formiche alla ricerca di briciole di pane. Nascoste dai rami degli oleandri, guardavano l'attività frenetica di quegli uomini in uniforme che impedivano loro di arrivare al tunnel e alla libertà tanto agognata.

“Michela, tu e Chiara, andate con Monica e i bimbi dal padiglione. Ele ed io rimaniamo indietro e vi copriamo”, esclamò Mò, risoluta.

“Ci coprite? E con che cosa?”, chiese Chiara, stupita.

“Le bombe incendiarie che abbiamo fatto prima. Ne abbiamo un po' negli zaini. Creiamo un diversivo...”, spiegò la ragazzina, iniziando a tirare fuori le molotov.

“E da quale telefilm hai tirato fuori questo piano?”, chiese, poi, Chiara, sorridendo compiaciuta al coraggio della sua amica.

“Me lo ha raccontato Michela prima...”, rispose lei, indicando la ragazza più grande.

“X-Files”, replicò Michela, passando le sue bombe incendiarie ad Eleonora.

“E ci vorrebbe Mulder qui, adesso...”, mormorò Monica, sofferente ma con un lieve guizzo di interesse negli occhi. “Se me lo fossi ricordato prima, avrei chiamato mio figlio William...”, aggiunse poi, facendo una carezza al piccolo, accocolato tra le sue braccia.

“Sei ancora in tempo, Monica, per cambiare nome a tuo figlio. Lo sai?”, disse Chiara alla donna.

“Ero una bambina quando vedevo quella serie e quando nacque quel bambino, giurai a me stessa che se avessi avuto un maschio, lo avrei chiamato così...”, spiegò la donna.

“Per quale motivo?”, chiese Eleonora, curiosa.

“Era un miracolo. Nato da una donna sterile e frutto di un amore intenso e clandestino, mi aveva appassionata forse di più di tutta la storia narrata dal telefilm”, spiegò la donna, abbandonando per un attimo la tragedia nella quale era capitata.

“Sarà meglio muoverci”, disse Chiara a Michela. “Monica non ha più molto tempo. Se non intervengo subito, quel bimbo rimarrà orfano”, aggiunse l'infermeria, sospirando e poi passandosi una mano sugli occhi stanchi e arrossati.

La manovra diversiva permise alle tre giovani di arrivare all'imboccatura del tunnel incolume. Si fermarono ad aspettare le altre due ragazze mentre attorno a loro risuonavano esplosioni e raffiche di mitra. Gli obiettivi della retroguardia erano i serbatoi dei camion e quelli stavano saltando in aria. Tutto andava secondo i piani...

“Perchè ci mettono così tanto. Maledizione!”, sbottò Chiara, rivolta a Eleonora e Mò che non le avevano ancora raggiunte e con lo sguardo fisso al volto sempre più pallido di Monica.

“Vado a vedere!”, esclamò Michela, alzandosi in piedi e posando il marsupio con uno dei bimbi al suo interno.

Chiara saltò in piedi e inpedì fisicamente alla ragazza di mettere in pratica il suo intendimento. Nonostante la minutezza del suo fisico, riuscì nell'intento. Era un suicidio e il ritardo delle due ragazze significava che erano rimaste intrappolate e tornare verso di loro era troppo pericoloso. Michela ne era consapevole ma il pensiero di lasciare indietro Eleonora, sua compagna di scuola e amica di lunga data, e Mò era inconcepibile.

Nonostante il pianto irrefrenabile e le suppliche, Chiara sospinse la ragazza verso il condotto con i marsupi dei neonati, mentre lei sollevava quasi di peso Monica, ormai allo stremo delle forze.

A metà del tunnel, accadde l'inevitabile. La donna scivolò a terra, esangue.

“Michela, prendi in braccio il piccolo William e mettiti tutti i marsupi che puoi sulle spalle”, Chiara istruì la ragazza.

“Non ti lascio qui. Scordatelo!”, esclamò Michela, risoluta. “Di qui non mi muovo!”

“No, invece vai e cerca di raggiungere la fine del tunnel in cerca di aiuto. Se vedi che non sono ancora arrivata, mi mandi incontro qualcuno. I bambini prima di tutto. Sono troppo importanti!”, esclamò la ragazza, inginocchiata accanto alla puerpera, la quale respirava a mala pena.

“MICHELA! Porta via William!”, gridò Monica, con le sue ultime forze.

Quel grido scosse la ragazza dal torpore. Come un automa, raccolse i marsupi, se li sistemò addosso e poi, accosciandosi accanto alla donna, le prese il bimbo dalle braccia, non prima che sua madre avesse potuto dare un bacio in fronte al bimbo.

“Ti affido mio figlio. Fai in modo che cresca forte e coraggioso come sei tu, figlia mia!”, mormorò la donna, facendo una carezza sul viso della ragazza.

“Vai, ora, Michela. Vedrai che andrà tutto bene!”, esclamò Chiara

“Torno indietro appena posso, Chiara. Non fare brutti scherzi. Mi raccomando. Abbiamo...ho bisogno di te!”, disse Michela, ricambiando l'abbraccio e dopo un ultimo sguardo verso quelle due donne, si volse verso il tratto di tunnel che doveva percorrere e a passo svelto si avviò verso l'uscita.

Giunta al termine di quella lunga e stretta galleria, Michela si guardò attorno timorosa di trovarsi davanti qualche altro soldato. Quando le sembrò che tutto fosse silenzioso e la via sgombra, uscì fuori. Fece però pochi passi, visto che andò a scontrarsi contro il corpo solido di Antonio.

“Michela! Grazie al cielo! Sono ore che ti cerchiamo!”, esclamò lui, avendola riconosciuta subito. Accanto a lui si materializzarono Marco e Matteo.

La ragazza, senza fiato e sconvolta, spaventata dal trovarsi davanti a tre esseri tutti vestiti di nero e con il volto annerito, crollò addosso a Marco, il quale fece fatica a sorreggerla.

“Dove sono le altre ragazze?”, chiese Antonio, mentre gli altri due ragazzi cercavano di prendere i bambini in braccio.

“Chiara è nel tunnel. Le altre sono tutte morte e la colpa è solo mia!”, farfugliò la ragazza.

“Come sono morte? Michela, cosa dici?”, chiese Antonio, sconcertato. “Matteo, portala al nido! Marco ed io andiamo a dare un'occhiata”, ordinò Antonio, armando la balestra, con una freccia.

In silenzio come due gatti predatori giunsero a metà del tunnel dove trovarono una donna riversa a terra. Era morta. Accanto a lei un bimbo. Morto anch'esso. Era finto sotto il corpo della donna, soffocato, probabilmente. Sentirono sparare alla fine del condotto e poi alcune voci li spronarono a tornare sui loro passi e alla svelta. Riuscirono a raggiungere Matteo e lo aiutarono a portare i bimbi sopravvissuti mentre un neonato rimaneva saldamente tra le braccia di Michela che continuava a ripetere come se fosse una litania. “William è mio figlio e lo tengo io... William è mio figlio e lo tengo io...”, sconcertando non poco i tre ragazzi.

….

La sala è immersa nel silenzio più assoluto, se non si tiene conto di quelli che si soffiano il naso oppure di molti che singhiozzano o piangono.

“Credo che siate perfettamente in grado di capire che non si può più scherzare su questo fatto e che dobbiamo assolutamente fare in modo di creare una zona sicura per evitare in futuro di dover contare delle perdite umane o registrare sacrifici di persone a noi care”, affermo, cercando anche io di trattenere con immenso sforzo le lacrime.

“Possiamo quindi contare sul vostro aiuto e appoggio?”, chiede Federico, raggiungendomi sul palco.

Tutti annuiscono, convinti. Il sacrificio di tre eroiche ragazze e la morte di molti innocenti convince i più che solo uniti e solo combattendo si arriverà alla verità!

  
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