Granelli di sabbia
Hogwarts, primo settembre 1971
Sirius era sbalordito come
poche volte lo era stato fino a quel momento. In molti gli avevano raccontato
le straordinarie meraviglie di Hogwarts, ma non pensava che fossero davvero
così… meravigliose. Persino uno come
lui, abituato al lusso e allo sfarzo, era rimasto a bocca aperta una volta
intravisto il castello dalle acque del lago, in un crescendo di stupore fino
all’ingresso in Sala Grande. Non riusciva a staccare gli occhi dal soffitto
nonostante il collo teso cominciasse a fargli male; il cielo stellato sembrava
così dannatamente reale che per un attimo Sirius aveva pensato di trovarsi
veramente all’aperto.
Quando poi fece la sua comparsa
davanti ai nuovi studenti una strega dall’aria severa con un vecchio cappello
logoro tra le mani, Sirius sapeva già che si trattava della Professoressa
McGonagall e del Cappello Parlante, quindi fece a meno di prestare attenzione
ai discorsi sullo smistamento e iniziò a guardarsi intorno, alla ricerca di un
ragazzino con cui quella mattina aveva fatto amicizia, sull’Espresso per
Hogwarts; aveva dei capelli improponibili e parlava decisamente troppo, ma
Sirius lo aveva trovato comunque simpatico. Durante il tragitto, questo James gli
aveva praticamente raccontato tutta la sua vita, e Sirius aveva stranamente
trovato rincuorante tutto quel ciarlare incessante ed egocentrico, perché non
aveva affatto voglia di parlare di sé. Solo che, una volta giunti a
destinazione e scesi dal treno, lo aveva perso di vista tra la folla.
Dopo qualche secondo di ricerca
finalmente lo intercettò. Cercò di raggiungerlo facendosi strada a fatica
nell’ingorgo di matricole, e gli era veramente vicino quando qualcuno gridò:
« Black, Sirius! »
Sirius si voltò di scatto, il
braccio, che stava per richiamare l’attenzione di James, ancora sospeso a
mezz’aria.
Oh, cavolo. È già il mio turno, pensò.
Un po’ gli dispiaceva; sarebbe stato smistato a Serpeverde e il ragazzino
spettinato, che sul treno non aveva fatto altro che ripetergli di essere
praticamente certo di finire a Grifondoro, non gli avrebbe sicuramente più
rivolto la parola…
Sirius sbuffò e si avvicinò
svogliatamente allo sgabello posto al centro della sala.
Bene, un altro giovane Black, disse
una vocina dentro di lui quando il cappello gli venne posizionato sulla testa.
Sirius sapeva che la voce
proveniva dal Cappello Parlante, quindi non si stupì.
Ma c’è qualcosa di diverso in te; un animo indocile e
sfrontato come il tuo può stare bene solo in… GRIFONDORO!
Gli occhi di Sirius si
spalancarono per la sorpresa, la bocca si dischiuse in una piccola smorfia
sghemba.
Non ci poteva credere. Certo,
sul treno aveva detto qualcosa come forse
andrò contro la tradizione, ma stava scherzando. O meglio, avrebbe voluto
andare contro la tradizione, ma non credeva che sarebbe successo veramente.
Aveva la testa così piena di
pensieri che neanche si rese conto di aver raggiunto, più come un automa che
come un essere umano, la tavolata di Grifondoro. Stringeva mani e riceveva
pacche sulle spalle, ma la sua mente era altrove. E andò avanti così, fino a
cena conclusa, sentendosi come in una bolla di sapone, irrealisticamente
allegro e allo stesso tempo teso, tesissimo all’idea di quello che avrebbero
detto i suoi.
*
I piatti erano vuoti già da un
pezzo quando agli studenti del primo anno fu richiesto di seguire i Prefetti
per raggiungere i rispettivi dormitori. Sirius avanzava sovrappensiero con la
folla, le mani immerse nelle tasche anteriori dei pantaloni, quando una mano gli
si posò ben salda sulla spalla, facendolo voltare. A fissarlo con
un’espressione rabbuiata c’era sua cugina Narcissa.
« Che cosa vuoi?! » sbottò
subito lui, sulla difensiva.
« Cosa voglio?! » iniziò quella, inviperita, « Grifondoro, Sirius?! Fra tutte le Case, proprio Grifondoro?! La Casa degli idioti senza
cervello?! Prima mia sorella dà di matto e fugge col primo Sanguesporco che le capita, e adesso questo… Manca davvero poco e
saremo lo zimbello di tutti— »
Sirius non le permise di
concludere; fece dietrofront e si allontanò. Non sono costretto a sentire queste cretinate. Non qui, pensò
arrabbiato.
« Sappi che se non mandi tu un gufo alla zia, lo farò io! » strillò quella alle spalle del
cugino, indispettita a morte per quella mancanza di considerazione.
*
L’allegro intermezzo familiare
lo aveva fatto rimanere indietro, e così Sirius aveva perso di vista sia i
Prefetti che i suoi compagni di dormitorio. Quando raggiunse la Torre di Grifondoro
― e la raggiunse dopo un bel po’, solo grazie all’aiuto di un ragazzo più
grande ― la Sala Comune era quasi vuota e la maggior parte della gente
era a disfare i bagagli. Si avvicinò di corsa alle scale a chiocciola e tentò
di risalire i gradini a due a due, ma, sorprendentemente, si ritrovò disteso per
terra.
Un ragazzo seduto in una delle
poltrone vicine al camino gli rise candidamente in faccia. A giudicare
dall’aspetto, doveva essere dell’ultimo anno.
« Ragazzino, quelle portano ai
dormitori femminili » disse divertito indicando le scale ai cui piedi si
trovava Sirius. « Tu devi andare da quella parte… »
Sirius si alzò in piedi
borbottando qualcosa e, maledicendo mentalmente sua cugina, salì di corsa l’altra
gradinata.
*
Non si poteva dire che Sirius
non fosse di cattivo umore quando spalancò la porta del suo dormitorio. In
realtà ne aveva spalancate molte altre, ma quella era la prima camera in cui si
imbatteva con un letto rimasto libero, quindi Sirius ci si ficcò dentro senza
troppe cerimonie.
« Ehi, ciao! » disse
allegramente qualcuno alla sua sinistra.
Sirius si voltò di scatto in
direzione di chi aveva parlato, l’espressione del volto che sfoggiava
l’esclusivissimo broncio dei Black.
Il ragazzo che lo aveva salutato, lo riconobbe immediatamente, era lo Spettinato del treno. Dopo lo
smistamento e la successiva serie di disavventure, Sirius lo aveva completamente
messo nel dimenticatoio.
« Oh, sei tu… » borbottò
Sirius.
James, che non si aspettava
tutta quella freddezza, lo guardò prima sorpreso, poi lievemente accigliato. Sirius
se ne accorse e distolse lo sguardo, troppo nervoso per dire qualsiasi cosa che
potesse sembrare abbastanza amichevole da risolvere la situazione.
Calò il silenzio e Sirius, che
detestava sentirsi a disagio, si guardò intorno con aria sfacciata,
concentrando l’attenzione sugli altri due ragazzini presenti nella stanza. Il
primo, che lo fissava pacatamente e che aveva in mano un paio di calzini
appallottolati, sembrava sul punto di cadere malato; il viso sottile era così
pallido che la lunga cicatrice che gli spaccava a metà il sopracciglio destro
risaltava sulla pelle come un lampione nel cielo notturno. La trasandatezza
della sua divisa, logora e rattoppata in più punti, appariva così vistosa che
Sirius dovette, inaspettatamente, trattenere a forza una smorfia di disappunto
seconda solo a quelle di sua madre. Il secondo ragazzino, un tipo dall’aspetto
grassoccio e insignificante, lo scrutava invece nervosamente, mordendosi le
unghie con una tale violenza che Sirius si chiese come facesse ad avere ancora
cinque dita per mano.
Il silenzio adesso si era fatto
davvero troppo pesante, e Sirius,
consapevole del fatto di apparire come un autentico
piccolo bastardo arrogante, fece toccare al suo malumore picchi
vertiginosi.
Non potevo cominciare peggio di così, pensò rabbiosamente mentre si avvicinava al letto rimasto libero e iniziava a frugare nel suo
baule in cerca del pigiama. Con la coda dell’occhio vide James fare spallucce e
lanciare agli altri due occhiate eloquenti.