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Autore: Hikari93    15/01/2013    8 recensioni
Partecipante al "One a mounth! Naruto Contest - I mesi dell'anno", indetto da Sakurina the best.
Dicerie raccontano che parte del potere dello Tsukuyomi infinito sia ancora attivo e che catturi i cuori agitati e incerti, facendo vivere loro ciò che desiderano ardentemente. Sasuke, in missione con Sakura, incapperà proprio in questa illusione.
Dal testo: “«Sai, Sasuke-kun, dicono da qualche parte i fiori di ciliegio fioriscano a febbraio.»”
ATTENZIONE! Spoiler del capitolo 590 e sull'identità di Tobi.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la serie
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Nick: Hikari93;
Titolo della storia: Li(f)e;
Lavoro scelto: Famiglia;
Personaggio assegnato: Sasuke Uchiha, Sakura Haruno – SasuSaku;
Rating: Verde;
Genere: Introspettivo, a tratti fluff e a tratti malinconico;
Avvertimenti: Oneshot + Spoiler sull’identità di Tobi e – anche se quasi impercettibile – sul capitolo 590;
Trama: Dicerie raccontano che parte del potere dello Tsukuyomi infinito sia ancora attivo e che catturi i cuori agitati e incerti, facendo vivere loro ciò che desiderano ardentemente. Sasuke, in missione con Sakura, incapperà proprio in questa illusione.
Dal testo:  “«Sai, Sasuke-kun, dicono da qualche parte i fiori di ciliegio fioriscano a febbraio.»”
Note dell’autore: (vedi sotto
)
 
 




 
 

Li(f)e

 
 
 

«Sai, Sasuke-kun, dicono da qualche parte i fiori di ciliegio fioriscano a febbraio.»
«Impossibile. Sei la solita credulona.»

 
 
 

*

 
 
 

Non si sconfiggeva il freddo di una notte d’inverno con uno scoppiettante fuocherello che più ardeva la legna e più pareva estinguersi. Nonostante tutto, Sakura aveva avvicinato i palmi alla fiamma quanto più possibile. Talvolta, quando la calura abbatteva la sensibilità della pelle, li allontanava e vi soffiava sopra, per poi riadagiarli nello stesso punto finché non li sentiva ardere nuovamente. E così una, due, tre volte.
Sasuke, invece, seduto sull’albero di fronte, con le gambe a penzoloni e la schiena dritta, non sembrava patire il freddo, come se non stesse indossando gli abiti leggeri che Sakura gli vedeva addosso.
«Finalmente domani si torna a casa» cominciò lei, entusiasta, stiracchiandosi. «Questa missione mi ha proprio distrutta. Non vedo l’ora di concedermi un bel bagno caldo.»
«Non dobbiamo abbassare la guardia. Non ancora, almeno fin quando non saremo arrivati a Konoha» la ammonì. «Dovremmo spegnerlo» e il suo sguardo si rifletté nelle fiamme.
«Credo che tu sia eccessivamente prudente, Sasuke-kun» gli confidò, ricordandosi del tempo che aveva impiegato per convincerlo a lanciare una palla di fuoco sulla legna che aveva già raccolto e ammucchiato.
«Non voglio problemi. Tutto qui.»
Sakura lasciò cadere la questione, ritenendo che se davvero Sasuke fosse stato preoccupato di probabili intoppi, alla fine sarebbe riuscito a convincerla. In ogni caso, nemmeno lei era una sprovveduta, anzi, si riteneva una persona molto riflessiva, e anche per questo motivo decise che evitare di discutere con Sasuke su questioni di dubbia importanza fosse la cosa migliore da fare.
Quindi si lasciò riscaldare ancora un po’ dalle fiamme sfavillanti, godendo del silenzio – talvolta era troppo, con Sasuke era sempre troppo – tutt’intorno che l’avvolgeva peggio del calore del fuoco. Sakura lo trovava terribilmente bello, forse perché le ricordava Sasuke, oppure perché finalmente i pensieri potevano vagare liberi e spensierati, e finché si trattava di pensieri positivi, tutta la vita che aveva davanti le pareva tale.
I primi tempi era stato strano riuscire a riflettere senza cadere in ragionamenti gravosi e rimandarsi al passato. Alla guerra, alla morte, a un Sasuke nemico e lontano.
Se Sakura si guardava alle spalle, vedeva tutto nero. Ne era trascorso di tempo, e quel nero non si limitava a essere soltanto una macchiolina puntinata, però ora che tutto aveva trovato il suo lieto fine sembrava che quel periodo di agonia fosse durato quanto lo sbattere delle palpebre. Le ferite non sanguinavano più e i giorni passati a singhiozzare fino a quando l’aria nei polmoni lo permetteva assomigliavano a un terribile incubo.    
Bastava scrutare un po’ più in fondo gli occhi di Sasuke – no, gli occhi di Itachi – per accorgersi che era cambiato tutto, ma talvolta era bello illudersi e credere in una parvenza di realtà.
La legna scoppiettò, e una scintilla svolazzò in aria. Sakura ritornò presente a se stessa, ancora seduta a terra, ancora con i palmi alle fiamme e ancora con Sasuke seduto sull’albero con le gambe a penzoloni.
La stanchezza le piombò addosso d’un colpo, e si ritrovò stufa sia di pensare che di mantenersi sveglia. Sbadigliò cercando di fare quanto meno rumore possibile, ma, come al solito, a Sasuke non sfuggì – dacché si erano avvicinati, a Sasuke non sfuggiva mai niente. Con gli occhi di Itachi sembrava essere capace di vedere attraverso tutto e tutti.
Saltò già dal ramo, atterrandole al fianco. La studiò dall’alto della sua statura, poi decise. «Hai bisogno di dormire.»
«Posso farcela ancora» mentì.
«Se rimani sveglia adesso, non sarai abbastanza vigile quando sarà il tuo turno di guardia.»
Sakura spalancò gli occhi. «Turni di guardia? Anche oggi?»
«Come dicevo prima, finché non saremo a Konoha non potremo stare tranquilli.» Le diede le spalle e avanzò di qualche passo verso il tronco di un altro albero. Si sedette composto, le spalle adiacenti alla corteccia. «E ora dormi» le consigliò piuttosto bruscamente.
Sakura non s’indignò, preferendo ancora una volta evitare di discutere e lasciar fare a Sasuke come voleva, e capì come mai, una volta, dopo averli beccati in una delle loro pseudo discussioni stupide, Naruto li avesse additati come marito e moglie.
Allora, col sorriso a colorarle le labbra, si alzò e lo raggiunse. Si abbassò al suo livello e, intrappolatogli il volto tra le mani, gli posò un casto bacio sulle labbra.
«Sì, lo so che siamo in missione» gli disse, ridendo, dato che Sasuke, prima che partissero, l’aveva avvertita che le smancerie non era incluse nel loro incarico e che sarebbero stati soltanto due shinobi qualsiasi. «Volevo solo ricordarti di dover fare solamente il tuo turno di guardia, e di svegliarmi questa volta, anziché fare tutto da solo.»
Sasuke si liberò dalla sensazione delle sue mani riscaldate sulle guance e girò la testa di lato. «Sei tu che hai il sonno pesante.»
«Ovviamente, Sasuke-kun.»

 
 
 

*

 
 
 

«L’ha sentito dire Naruto…»
«Mh, quell’usuratonkachi…»
 

 
 

*

 
 
 

Sasuke non voleva sembrare scontato o inutilmente piagnucolone, ma dalla quantità infinita di erba aghiforme che gli si appiccicava addosso, contro la stoffa dei pantaloni, pungendolo, comprese perché quello fosse chiamato Villaggio dell’Erba. Non poteva sgranchirsi nemmeno un muscolo che l’appuntito fascio verde gli pizzicava la coscia. Tutto quello era detestabile.
Adocchiò la sagoma di Sakura che dormiva leggera, completamente presa dalla stanchezza. La missione le aveva prosciugato le forze, e parte della colpa – doveva riconoscerlo – era stata anche sua, che si era ferito a una gamba – ora fasciata. Glielo aveva detto che si trattata solo di uno striscio, ma Sakura non aveva voluto sentire ragioni. Sicuramente, non era stato il suo incidente ad averle regalato quella condizione fisica, tuttavia Sasuke non riusciva a smettere di pensare che fosse anche così.
Comunque, quando fu convinto, dopo qualche ora trascorsa nell’immobilità più assoluta, che i possibili pericoli erano già stati annientati in precedenza e che quindi nessuno li aveva seguiti, si alzò. Anche perché il suo limite di sopportazione di quelle erbacce era stato ampiamente superato.
Non se ne accorse nemmeno, ma si incamminò. Non si allontanò troppo, s’infiltrò di qualche altro passo nel bosco.
Camminare lo tranquillizzava. Farlo non aveva un senso, ma la nullafacenza lo dilaniava, gli faceva ricordare che aveva dovuto trascorrere ben tre anni senza potersi muovere autonomamente, potendo vivere soltanto con un anbu in casa – oltre che con una moltitudine di anbu intorno casa – e senza chakra a disposizione. Straniero nel suo Clan. Una vita monitorata, piena del suo passato. Bastava guardarsi allo specchio per vedere gli occhi di Itachi impiantati al posto dei suoi e ricordare. Del volto rassicurante di sua madre – poi sporcato dal rivolo di sangue che le scorreva dal mento e dallo squarcio al petto –, dell’espressione severa di suo padre – sostituita dallo sguardo vuoto e morto – e del sorriso di Itachi – rimasto un sorriso fino alla fine. Ricordava della sua famiglia, e non lo faceva col sollievo di chi si era slegato dalle catene del passato. Un giorno ci sarebbe riuscito, però. Se lo promise.
Furono dei massi intorno a un laghetto – pareva più una pozzanghera gigante – a iniettargli nuovamente la voglia di fermarsi. La Luna si specchiava dentro le acque smorte, ondeggiando lentamente quando un soffio di vento invernale la scuoteva.
Fu guidato da uno strano impulso che lo obbligò a sedersi proprio lì, di fronte alle acque, e lui, senza pensarci troppo, lo fece per davvero. Fissò gli occhi sulla superficie, come se volesse guardaci attraverso, in profondità. Lo sguardo non riusciva a filtrare in basso, e l’unica cosa che Sasuke poteva osservare era la Luna.
La Luna piena.
Quante volte gli aveva macchiato di sangue i sogni, quella stessa Luna? Quante volte l’aveva maledetta e detestata? Strizzò le palpebre, inspiegabilmente calmo, senza sentir nascere dentro di sé il solito rancore. Forse perché l’ultima volta che l’aveva vista c’era stata Sakura a stringergli la mano e a riempirgli la testa di talmente tante chiacchiere che anche soltanto sperare di rimuginare sul passato fu impossibile. Perché Sakura produceva tanto chiasso. Tantissimo. E probabilmente era questo il motivo per cui lui faceva silenzio.  
Mostrò di nuovo le iridi, fu un attimo.
Perse la cognizione del tempo e la freschezza della roccia lungo le gambe che si appoggiavano a essa. Non fu più capace di muoversi né di tenere le palpebre sollevate. Dovette reprimere l’istinto di farsi scudo con un braccio perché non gli riusciva.
Fu prima bianco, poi nero, poi…

 
 
 

*

 
 
 

«Dicono che sia l’effetto dello…» Sakura esitò, stuzzicandosi il labbro coi denti, «… Tsukuyomi infinito.» Era febbraio quando accadde, ricordi, Sasuke-kun? «Come se qualcosa fosse rimasto e intrappolasse gli animi agitati, incerti. Fa desiderare loro ciò che vogliono.»
«E’ impossibile. Obito e Madara sono stati battuti, lo Tsukuyomi fermato. Non è possibile. E’ una sciocchezza, Sakura.»
Lei si fece pensierosa; si mordicchiò un’unghia. «Probabilmente hai ragione tu, Sasuke-kun.»
 

 
 

*

 
 
 

«Sasuke-kun?»
Non si stupì quando si trovò innanzi una Sakura in grembiule, con tanto di spatola in mano, che lo guardava stranita, ma sempre sorridendo. Non si sorprese nemmeno del pancione arrotondato che le impediva di azzeccarsi troppo ai fornelli, né del fatto che lui, adesso, stesse stringendo tra le braccia un bambino sui quattro, cinque anni al massimo. Non si scosse quando riconobbe quell’ambiente come casa sua.  
«Che c’è, Sakura?» rispose, invece, tranquillo.
«Non hai risposto a Itachi.»
A Sasuke non servì domandare spiegazioni, perché in cuor suo sapeva già chi fosse Itachi, così come aveva compreso totalmente la situazione. Sin da quando avevano messo piede al Villaggio dell’Erba, lui e Sakura – la vera Sakura, quella della sua realtà e con la quale era in missione –, si era fatta strada dentro sé una curiosità sempre più imponente.
Si diceva che qualcosa dello Tsukuyomi infinito fosse rimasto da qualche parte, e a quanto pareva ci si era trovato in pieno. Forse sarebbe durato un attimo, o forse… avrebbe potuto viverci per sempre.
Comunque, abbassò lo sguardo sul bambino tra le sue braccia, sistemandoselo meglio contro il petto. «Che cosa vuoi, Itachi?» gli domandò.
Gli parve di scorgere del risentimento sulle labbra del piccolo – che si imbronciarono infantilmente –, dovuto, con tutta probabilità, al fatto che il padre non gli avesse dato retta.
«Ti ho chiesto se oggi pomeriggio andiamo a vedere i ciliegi in fiore» borbottò. «Anche i nonni ci tengono tanto» aggiunse, anche se a Sasuke parve più un pretesto elaborato affinché non potesse proprio dirgli di no.
«Anche i nonni, eh?» sussurrò.
Non ci fu bisogno di pensare a quali nonni il bambino si riferisse. Se era davvero intrappolato in uno scadente surrogato di Tsukuyomi infinito, allora i suoi genitori dovevano stare più che bene. Ricordava quando la vita perfetta del vero e potentissimo Tsukuyomi infinito lo aveva costretto a un’esistenza talmente ottimale e senza schegge di impurità, che davvero aveva desiderato di rimanersene lì per sempre. Aveva rivisto il volto rassicurante di sua madre, l’espressione severa di suo padre e il sorriso di Itachi.
Però ricordava anche e soprattutto la fine di ogni cosa, quando il peso della verità si era fatto sentire insieme al corpo di Sakura che lo abbracciava fino a stritolarlo, piangendogli sulla spalla, felicissima. Intorno, la guerra, ricominciata, era pronta a essere vinta.
«Dimmi, Itachi» riprese poco dopo, quando decise di smettere di torturare la curiosità di suo figlio che, dacché gli aveva posto la domanda, non aveva staccato nemmeno un istante gli occhi speranzosi da lui, «in che mese siamo?»
Il bambino se ne sorprese, e soltanto dopo qualche secondo di titubanza si fece sentire: «Febbraio. E tra un po’ sarà anche il mio compleanno» puntualizzò.   
«Già, febbraio.»
«E allora, papà? Ci andiamo o no?» insistette Itachi, che non stava più nella pelle. «Guarda che non sono soli i nonni a volerci andare» rincarò, «ma anche lo zio Itachi. Me lo ha detto, sai? E anche mamma, e Miku…» Il ragazzino spostò gli occhi sul pancione di Sakura – che rideva della stessa colorata risata della vera Sakura – e arricciò il naso. «Anche se non lo può ancora dire… ma so che è così. Perciò non puoi essere l’unico a non volerci andare.»
Sasuke sospirò. «Già, hai ragione.»
«Grazie, papà!» Itachi gli si lanciò al collo, abbracciandolo con la stessa irruenza di sua madre. Avrebbe voluto sentirlo tutto e per davvero, quell’abbraccio; percepire le braccia ancora magroline che gli toccavano le spalle e anche i capelli, le mani che si intrecciavano tra loro.
Era tutto schifosamente fittizio, tanto che a Sasuke fece rabbia. Si adirò con se stesso perché sapeva – dannazione – di trovarsi in un’illusione, e sapeva come uscirne. Poteva, avrebbe potuto in qualunque momento.
Ma lì era pieno zeppo di sorrisi e di calore, tutto nell’immediato. Non esisteva un passato, e forse non c’erano tante speranze per il futuro. Anzi, probabilmente avrebbe vissuto nell’unica dimensione del presente. Ma in un presente buono che lo seduceva.
Le cose non stavano come aveva pensato all’inizio; gli sembrava di essere ritornato al tempo della guerra, della grande illusione che l’aveva imprigionato. Anche quella volta Sasuke aveva dovuto combattere contro la sensazione di benessere che, per quanto si fosse ostinato a negarlo, non lo aveva lasciato indifferente. Una parte di lui aveva sempre desiderato sia restarci che tornarci – anche quando aveva sentito il corpo di Sakura stringerlo e le sue lacrime sopra la spalla.
Sasuke guardò quella sua famiglia. In quel momento, circondato dal calore di più affetti, capì che avrebbe voluto rimanere.
 
Aveva mangiato dei cibi senza sapore e ascoltato aneddoti che non aveva vissuto. Come il giorno del suo matrimonio – a detta di Sakura uno dei racconti preferiti del loro bambino –, oppure quello dell’elezione di Naruto a Hokage.
Dopo pranzo, Itachi era corso su in camera a riposare, come Sakura aveva voluto. Non senza protestare, ma alla fine le scale erano state salite con passi lenti e pesanti in attesa di probabili ripensamenti. Sakura e Sasuke, invece, si erano accomodati sul divano, soli, con Miku che si frapponeva tra loro. Le stoviglie sporche erano state momentaneamente abbandonate al loro destino.
«Nascerà tra un po’» parlò Sakura, la voce ricca di emozione. «Tra una settimana o poco più, probabilmente.»
Febbraio, di nuovo. Ancora i fiori di ciliegio.
Probabilmente, ripensando a ciò che Sakura – la ragazza del suo tempo – gli aveva raccontato, quegli elementi dovevano essere delle costanti.
In ogni caso, Sasuke non si mosse, né parlò né diede segni di assenso. Lasciò che la mano di Sakura lo prendesse per il polso e lo guidasse al centro del pancione, lasciandoglielo accarezzare piano. Sasuke non sentì la vita sotto ai polpastrelli, non c’era quello che aveva immaginato. Vuoto. Non esisteva la famiglia lì dentro.
«Senti, Sakura» sillabò, a disagio, «raccontami di Itachi.»
Lei rise, come se lo volesse prendere in giro. Le fu difficile muoversi, vista la sua situazione, ma le bastò allungarsi di poco per raggiungere la bocca di Sasuke e baciarla piano. Sasuke spinse le labbra in avanti, quel tanto che bastava per esporsi in un tentativo di contraccambio, ma nemmeno stavolta andò come doveva essere per natura. Il bacio di Sakura sapeva d’inverno e di falso, o forse era Sasuke stesso a essersi convinto che fosse così.
«Cosa vuoi che ti racconti di lui, eh?» gli chiese a fior di labbra. «Sei sempre stato presente, lo conosci benissimo.»
«Tutto. Quando è nato, per esempio…»
Sakura appoggiò la testa sul suo torace, goffamente, e gli attorcigliò le braccia intorno al collo. «Era febbraio quando nacque. Di mattina. Fuori c’erano i ciliegi in fiore. Non sono mai stati così belli come nel giorno della nascita del nostro bambino. Ricordi com’era piccolo? Tu dicesti anche che era bruttino, con quelle labbra e gli occhietti talmente minuti da essere invisibili, e le braccia e le gambe cortissime. Lo prendesti subito in braccio, titubante; non gli staccasti gli occhi di dosso per tutta la notte, nonostante cercassi di non darlo a vedere, fingendo di star riposando. Oh beh» ridacchiò, «non che quel demonio ci abbia fatti dormire granché, per i primi mesi. Senza parlare della braccia atrofizzate! Ne abbiamo trascorse di nottate in bianco tra biberon bollenti e dondolii. Sembra ieri che ti ciondolava la testa dal sonno, Sasuke-kun, mentre lo tenevi in braccio. Ha imparato a camminare presto, è cresciuto tra i litigi tuoi e di Naruto, a pane e ramen. E adesso è già un ometto che prima o poi comincerà le prime missioni da piccolo genin. Ti confesso che ho un po’ paura. Tu no?»
Sasuke non se la sentì di commentare su questioni che non riteneva sue. Aveva ascoltato silenziosamente, e più proseguiva la conversazione e più tutte le assurdità di quell’illusione venivano fuori. Una a una, e Sasuke riusciva a coglierle sempre meglio. Alcune cozzavano dannatamente con quel mondo, tanto che, scioccamente, si domandò come facesse la falsa Sakura a non rendersene conto.
«Perché lo abbiamo chiamato Itachi?» chiese a bruciapelo.
Sakura alzò gli occhi verso i suoi, un’increspatura li rendeva incerti. Il sorriso delle sue labbra, però, faceva a pugni con quell’insicurezza, come se quella Sakura sapesse perfettamente che nella sua visione delle cose c’era più di qualcosa che non andava.
«Cosa sono queste domande, oggi, Sasuke-kun?» rise ancora lei. «E’ il nome di tuo fratello.»
«Lo so.»
«E quindi? Devo per caso ricordarti che gli sei molto legato?» lo punzecchiò. «Se Naruto ti avesse sentito, ti avrebbe sicuramente preso in giro, chiedendoti se ti fossi bevuto il cervello.»
Sasuke lasciò cadere la questione, però dentro di sé era tutto chiaro. Sorrise sarcastico, perché quell’illusione tentava di raggiungere così tanto la perfezione da crollare su se stessa alla ricerca estenuante di essa.
«Mio fratello non è morto» disse soltanto, in un bisbiglio, mentre si alzava dal divano per raggiungere la finestra. Fuori, dei vaporosi ciliegi in fiore abbellivano il giardino.
Avrebbe chiamato suo figlio Itachi, se avesse avuto il privilegio di poterne tenere uno tra le braccia – per davvero. Lo avrebbe fatto perché sentiva che era dannatamente giusto così, come un marchio a fuoco che potesse sia fargli ricordare per sempre di suo fratello e del bene immenso che gli aveva voluto – e che gli voleva sempre –, e sia per riscattarlo e far rivivere il suo clan da chi, contro la sua umanità, era stato costretto ad ammazzarlo – da Itachi.
Non sarebbe stato sensato da parte sua nominare un altro Itachi se il suo Itachi fosse stato vivo. Non lo avrebbe fatto, ne era convinto.
Inoltre… voleva condividere parte del suo passato col suo bambino, in modo che fosse più semplice, quando sarebbe stato abbastanza grande, spiegargli la verità che a lui avevano nascosto per tanto, spiegargli chi era stato Itachi Uchiha. Lo trovava anche un modo per dare continuità alla sua famiglia, come se ripartisse dal vecchio – ma sempre attuale – per dare luce al nuovo.
 
Sasuke avrebbe voluto già svincolarsi da quella realtà, e l’avrebbe anche fatto se non avesse sentito il forte bisogno di vedere i suoi genitori e suo fratello ancora. Si impose che quella doveva essere la fantomatica ultima volta, ma sapeva benissimo che se gli avessero offerto di nuovo l’occasione, tra un paio di anni o quando fosse, avrebbe accettato senza fiatare.
Le mani del piccolo Itachi si aggrappavano alla sua, di mano, e a quella di Sakura, stringendo con dolcezza. Sasuke avrebbe voluto vedersi dall’esterno, anche rischiando di rimanere talmente affascinato da quella situazione da non riuscire a liberarsene più.
Era confuso; una parte di sé chiamava tutto quello normalità, lo denominava famiglia. Erano una famiglia. Per un secondo Sasuke pensò che non importasse poi tanto dove si trovasse, quanto ciò che stava vivendo.
Passeggiò, tollerò, gli piacque.
Solo sulle prime trovò difficoltà nel riapprocciarsi a sua madre – che, appena lo vide, gli scoccò un bacio in fronte come quand’era bambino – o a suo padre, col quale non aveva avuto mai modo di chiarirsi per davvero. Vedere suo fratello, poi, lo rallegrò addirittura. Rivedeva spesso, dietro le palpebre serrate che volevano oscurare il presente, il loro ultimo incontro e, sebbene fosse rammaricato dal fatto che non avrebbe più potuto sentire né toccare Itachi, Sasuke sapeva che era stato detto e fatto tutto ciò che era necessario. Neanche altri dieci secoli di vita avrebbero potuto avvicinarli maggiormente.
Come tutti i presenti, anche lui alzò lo sguardo verso i rami più alti dei ciliegi.
«Wow, è uno spettacolo bellissimo!» commentò il piccolo Itachi, che si era accomodato sulle spalle di Sasuke perché da lì poteva toccare qualcosa di quella meraviglia senza fine.
Tra l’abbondare di petali, spiccavano pezzi di cielo azzurro, e fra essi Sasuke riconobbe la stessa Luna piena che aveva visto al laghetto.
Si ordinò di ignorarla, ancora per un altro po’, solo un po’.
Poi capì. La confusione divenne troppa e i sorrisi più radiosi di quanto il suo passato gli concedesse di sopportare. Anche Sakura rideva a crepapelle, lei che gli aveva mostrato più le sue lacrime che la sua gioia – perché lui, con le sue scelte, aveva fatto in modo che fosse così.
Sasuke non era più immerso in una situazione che poteva tollerare. Si era abituato al chiacchiericcio dei suoi compagni di team, ma non sapeva ancora andare oltre. Non conosceva il modo per approcciarsi a così tanta felicità, non l’aveva ancora imparato. Naruto e Sakura non glielo avevano ancora insegnato.
«Basta» bisbigliò, e il sussurro si perse ancora una volta tra la confusione. Non lo udì nessuno, perché Sasuke non faceva parte di quella gente. Non era quella la sua famiglia.
Vide sua madre che colloquiava con Sakura, mentre Itachi cercava di racimolare dal nonno ogni più piccola informazione su qualche jutsu che voleva già imparare. Suo fratello li guardava sereno.
Avrebbe mentito se avesse detto di non aver sofferto nello scegliere. Non si trattava del troppo consumo di chakra, né della difficoltà di sciogliere un inganno così semplice.
Fu guardare negli occhi la vita che avrebbe voluto a distruggerlo.
«Kai

 
 
  

*

 
 
 

La freschezza della roccia e il gelo dell’inverno. Sasuke seppe di essere ritornato a casa.
«Sasuke-kun! E meno male che insistevi coi turni di guardia» lo sfotté Sakura, avvicinandoglisi di corsa. «Ti sei allontanato nonostante la gamba fatta male. Avresti fatto meglio a startene fermo. Ma che te lo dico a fare. E poi… presumo che nemmeno stavolta mi avresti svegliata.»
«Hai finito?»
Sakura si accigliò. «Scusami, la prossima volta evito di preoccuparmi per te.»
«Meglio.»
«Che cosa stavi facendo?»
Sasuke si trovò in difficoltà. Non seppe cosa voler dire e cosa voler tenere per sé. Sentì Sakura appoggiarsi contro la sua spalla, e automaticamente le cinse la vita. Le toccò la pancia da sopra ai vestiti doppi, ma la sentì comunque irrigidirsi.
«Sai, Sakura, da qualche parte i fiori di ciliegio fioriscono a febbraio.»

 
 
 

*   *   *

 
 
 

Sasuke si rifiutò di entrare in sala operatoria. Le urla di Sakura gli toglievano ogni già di per sé improbabile voglia. Aveva impedito anche a Naruto di andarci, sebbene l’amico ne sarebbe stato, a sua detta, molto entusiasta. Sasuke non gliene aveva fatto parola direttamente, ma si era ingelosito al pensiero che Naruto avesse potuto vedere suo figlio prima di lui. Perciò, gli toccava sorbirselo.
«Dai, Sakura-chan, spingi!» diceva, e già un’infermiera si era timidamente permessa di far notare al nuovo Hokage di doversi trattenere. «Coraggio, coraggio, vedo la testa!»
«Dobe, piantala» sbottò infine Sasuke, i nervi al limite della sopportazione.
«Lasciatelo dire, teme, tu non sei troppo normale. Come fai a essere così… tranquillo?»
«Taci.»
Tranquillo? No che non lo era, assolutamente. Gli pareva che Sakura fosse entrata lì dentro da una mezza vita. Avrebbe punito suo figlio per essersi fatto attendere così a lungo.
Quando le urla finalmente cessarono, sia lui che Naruto sobbalzarono. L’infermiera accorse radiosa, e raggiunse subito Sasuke.
«Complimenti, è un bel maschietto. Prego, mi segua.»
Sasuke non se lo fece ripetere. Affondò le mani nelle tasche, cercando di afferrare le gambe attraverso il tessuto e di impedir loro di mostrarsi tanto molli e instabili. Naruto lo seguì senza troppa irruenza, e Sasuke lo apprezzò.
Entrando, si accertò della salute di Sakura con un’occhiata. Per quanto volesse farsi sentire vicino e darle quante più attenzioni possibile, venne catturato completamente dall’esserino minuscolo che sua moglie stringeva tra le braccia.
«E’ bellissimo, Sasuke. Vero?» mormorò Sakura, a mezza voce.
Sasuke la guardò intensamente, permettendosi di ignorare per qualche secondo il bambino per poter dedicare uno sguardo carico di gratitudine a Sakura, che l’aveva reso padre, che avverava il suo desiderio di ripopolare il clan Uchiha.
Si abbassò per afferrare gentilmente il bambino, e nel mentre scoccò un bacio lieve sulla fronte di Sakura. Infine si fece da parte, sapendo che qualcuno dietro di sé proprio non ne poteva più di aspettare.
«Sakura-chan, come stai?» domandò preoccupato Naruto, e a queste seguirono mille altre domande e future raccomandazioni che Sasuke non volle neanche ascoltare.
Coccolò goffamente Itachi, sfiorandogli con l’indice prima il naso e poi le guance. Fu lieto di sentirlo calmo contro di sé, di sentirlo veramente, senza doverlo vivere come un’illusione.
Diresse lo sguardo alla finestra appannata: era febbraio, e fuori non c’erano alberi di ciliegio.  
 

 
 
 

























 
 
 
 

Ho tantissime cose da dire su questa fanfiction. Ma tante, tante, tante, e spero di non dimenticarmene nemmeno una.
 
#1. Partiamo dal titolo, “Li(f)e”. Sicuramente, un titolo scritto in tal modo risulterebbe scorretto, ma, come mi è venuto in mente, me ne sono profondamente innamorata, perché è adattissimo alla mia oneshot. Come avrete capito, si oscilla tra realtà e illusione, tra “life” (vita) e “lie” (menzogna). C’è un Sasuke che sa tutto, sa dove si trova e sa come andarsene. Sa qual è (e cos’è) la sua vita tanto quanto sa che quella in cui sta vivendo è una bugia gigantesca che, nella sua perfezione di ogni giorno, non è vita.
 
#2. Come avrete notato, poi, ho ipotizzato che Obito e Madara siano stati in grado di portare a termine il loro piano e di innescare questo potentissimo genjutsu. Ho ipotizzato anche che parte di esso, data la sua immensa forza, sia rimasta per cause sconosciute. Date pure sfogo alla fantasia. XD
 
#3. Il mio tema era la famiglia. Ho cercato di analizzarlo sotto diversi punti, sparpagliandoli un po’ per il testo. Il primo, sicuramente non salta facilmente all’occhio, ma l’ho inserito appunto per insinuarmi, pian piano, nel tema. Mi riferisco alla frase: “e capì come mai, una volta, dopo averli beccati in una delle loro pseudo discussioni stupide, Naruto li avesse additati come marito e moglie”. Non che il matrimonio ed esclusivamente il matrimonio sia una forma di famiglia, ma sicuramente è una delle tante.
Ovviamente, non poteva mancare il riferimento alla famiglia Uchiha. Ritengo che quando si parli di Sasuke, tracciandone un’introspezione quanto meno decente (si spera, almeno xD), citare Fugaku e Mikoto sia necessario. Beh, parlare di Itachi, poi, a mio parere, è fondamentale. Non per niente, è colui che ha caratterizzato tutta la psicologia di Sasuke da che era bambino, quindi… XD
Credo che per rendere al meglio Sasuke, bisogni per forza accennare al suo passato, in parole povere. xD
Dunque, da un lato l’ho visto come “famiglia Uchiha che c’è stata” e dall’altra, ovviamente, come “famiglia Uchiha che ci sarà” (ovvero quella con Sakura e il bambino). Ho provato a dare una spiegazione anche al perché del nome Itachi, utilizzandolo come una sorta di legame tra le due famiglie sopra citate – l’Uchiha che è stata e quella che sarà.
E poi, naturalmente, è culminato tutto nella nascita di Itachi, e quindi nella vera e propria formazione di una nuova famiglia per Sasuke (nel ricordo di quella di origine, naturalmente).
Non mancano riferimenti anche a famiglia nel senso di “legami stretti”: “Si era abituato al chiacchiericcio dei suoi compagni di team, ma non sapeva ancora andare oltre. Non conosceva il modo per approcciarsi a così tanta felicità, non l’aveva ancora imparato. Naruto e Sakura non glielo avevano ancora insegnato.”
 
#4. Il mese di febbraio. Spero di averne fatto un uso alquanto originale, rendendolo una costante di questa illusione insieme ai fiori di ciliegio. In special modo, poi, febbraio diviene anche il mese in cui lo Tsukuyomi infinito è stato attivato. E’ come se il tempo si fosse fermato in quel momento, ecco. xD
E’ stato un po’ difficile cercarne un utilizzo che non mi riportasse a San Valentino, lo ammetto (xD), ma l’ho scartato a priori proprio perché è un tema di cui si abusa spesso. .___.
 
#5. Una mezza sciocchezza: il corsivo sta a indicare o i pensieri dei personaggi o qualche parola marcata, da leggere – diciamo così – con più intensità. XD
Se eventualmente qualche parola in corsivo risulta attaccata a quella seguente, chiedo scusa, ma non so perché fa così. Mi capita spesso anche quando pubblico; si attaccano da sole e io me ne accorgo solo in un secondo momento. =___=”
E poi, spero che si capisca che le frasi centrali, che appaiono tra la narrazione, si riferiscono a un dialogo avuto tra i due protagonisti.
 
#6. Il SasuSaku, la mia coppia. Forse non se ne parla nello specifico – visto che la storia è maggiormente dal punto di vista di Sasuke – ma si vede nei piccoli gesti (i pochi baci che si scambiano), nelle battute iniziali che possono essere genuine, ora, naturali, come avviene tra chi si conosce da sempre e si ama. E, ovviamente, nella nascita di Itachi e nel fatto che Sasuke abbia scelto Sakura come sua compagna di vita. E, dato che lo Tsukuyomi mostra ciò che “gli animi agitati” “vogliono”, Sasuke desiderava una famiglia da Sakura già prima (e ciò lo mostra anche il gesto di Sasuke che accarezza la pancia di Sakura dopo essere uscito dall’illusione).
 
#7. Ignoro quanto sia distante il Villaggio dell’Erba da Konoha. Chiedo, grazia. xD 
 
E niente, spero di aver svolto un lavoro discreto. Mi spiace di essermi dilungata così tanto (XD) e di aver annoiato, ma stavolta ci tenevo davvero a puntualizzare tutto, perché, mai come questa volta, credo e spero di non aver lasciato nulla al caso. ^____^
 
Grazie tante per aver letto, spero di cuore che sia stata una shot piacevole. ^____^
 

 
   
 
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