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Autore: Circe    15/01/2013    3 recensioni
La battaglia non va per il verso giusto, gli Horcrux sono stati distrutti e la bacchetta di Sambuco non funziona a dovere. Il Signore Oscuro improvvisa quindi una ritirata tattica per non venire definitivamente sconfitto. Insieme a lui solo Bellatrix, la persecuzione dell'amore, un problema da affrontare e il potere da riconquistare.
E la storia ... si ripeterà.
Seguito di “Sgáth, che significa oscurità”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
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- Questa storia fa parte della serie 'Eclissi di luna: l'oscurità totale'
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Incubi dal passato: Andromeda

Erano passati quasi due anni, ormai, da quella notte, era passata tanta acqua sotto i ponti, tanto tempo di pace e normalità. Nonostante ciò, facevo ripetutamente ancora quel sogno. Non spesso, non frequentemente, ma lo facevo.

Iniziava sempre nella foresta proibita vicina alla scuola: quello che era stato il punto di ritrovo di quella battaglia.

Il sogno era sempre intenso allo stesso modo, non svanivano i ricordi man mano che passava il tempo: ero sempre circondata dal buio della foresta nella notte, dal freddo di quella sera di primavera, dall’incertezza di una guerra senza fine… eppure sapevo di non aver nulla da perdere.

Nel sogno come nella passata realtà combattevo, e combattevo strenuamente, senza pensare e senza fermarmi; fu poi per caso che me la trovai davanti.

Sempre, improvvisamente, era lì, nel sonno: un incubo oscuro che tornava a farmi visita perennemente.

La sognavo ancora, costretta dunque a ricordarla sempre.

Era inconfondibile con la sua arte nel combattere, con la violenza che infondeva negli incantesimi, col fuoco dei suoi occhi e della sua magia, la forza e il potere che avevo imparato a conoscere già quando eravamo poco più che bambine.

Era inconfondibile il suo manto scuro, elegante e ricercato nella battaglia, così fascinoso a modo suo e il terribile tatuaggio nero che portava sul braccio, quel marchio che ostentava con orgoglio.

Anche nel sogno la sentivo ridere, confondevo sogno con realtà di quei momenti, tanto erano simili e stampati nella memoria.

Quella risata mi fece come impazzire. Nel fragore della battaglia, in mezzo a incantesimi urlati e sussurrati, nel rumore dei battiti di tutti i cuori che galoppavano a ritmo di tamburi, la sua risata mi scatenò l’inferno.

Nulla avrebbe potuto trattenermi.

“Bella!” urlai verso di lei “Bella, guardami!”

Si voltò e mi guardò senza paura; non solo mi osservava, non solo teneva alti gli occhi davanti a me, occhi scuri e penetranti di crudeltà, non solo ciò: lei infatti si divertiva. Si entusiasmava come una bambina durante un gioco appassionante e divertente. Godeva nel combattere contro quel groppuscolo di persone che, insieme a me, si era raccolto attorno ad Harry Potter per combattere il suo Signore e lei stessa. I superstiti del male.

Aveva alzato uno scudo di nebbia e si proteggeva tramite questo dagli incantesimi avversi, facendosi così beffe di tutti noi che non conoscevamo le potenti arti oscure.

Combatteva per quell’uomo, come sempre, incurante di tutto, sicura di sé, uccideva persone come fossero mosche, nessuno sembrava vincere davanti al suo straordinario potere oscuro.

Rideva come se nulla fosse, e rivolse quella risata anche a me. Forse fu questo il grande errore.

Era particolare quel modo di ridere, e me ne ricordava un’altro altrettanto particolare: loro… così simili, così diversi.

Mi ricordò il mio splendido cugino! Erano straordinariamente simili e terribilmente opposti Sirius e Bellatrix, fin da bambini.

Fu forse proprio lui a fare il miracolo?

Nel sogno il suo potere e il mio a volte si sovrappongono come se fosse uno solo.

Insieme all’immagine di Sirius mi vennero in mente tutte le immagini delle persone che amavo, tutte uccise da lei, da mia sorella.

Allora sentii qualcosa, sentii una forza sprigionarsi dento di me, senza nemmeno pensare, la trasferii alla bacchetta come fosse un semplice incantesimo.

Ma era molto di più.

Durante i sogni sento ancora quel particolare calore nella mano, come se l’energia si fosse triplicata, la sensazione è così potente che mi sveglia, quasi sempre allo stesso punto del sogno. Quando torno in me tremo ancora leggermente per questa scarica che si libera in me al solo ricordo di quell’istante.

Mi serve sempre un po’ di tempo per comprendere che sono nel mio letto, nella mia casa e non in piena battaglia.

Mi sveglio e ripenso, collego realtà con la fantasia, tanta era la concitazione che resta tutto confuso nella mia mente.

Ricordo l’incantesimo illuminato di oro, un colore così particolare per una magia, lo rivedo uscire dalla mia bacchetta così velocemente da colpirla in pieno, devastarla completamente; ricordo poi solamente di essermi sentita stanca e leggera. Come in una nuvoletta silenziosa e bianca, come se mi avessero tolto un peso, una sensazione opprimente di minaccia.

Per rendermi conto realmente di ciò che avevo fatto nel momento della battaglia dovetti guardare i volti dei miei compagni: i ragazzi traumatizzati, le madri che avevano perso i figli come me, i guerrieri che tentavano l’impossibile per compiere il loro dovere.

Fu leggendo quegli sguardi che capii realmente cosa avevo appena fatto: avevo ucciso Bellatrix Lestrange. Non avrebbe più stroncato la vita di nessuno.

L’avevo uccisa io, con le mie stesse mani, i miei stessi poteri e ne ero felice, sollevata.

“Morta…” ripeto ogni volta che faccio quel sogno “non esiste più, finita.” mi calmo e mi alzo a sedere sul letto.

A volte mi stropiccio gli occhi, a volte mi massaggio le tempie. In quell’occasione feci un sospiro lungo e pensieroso e mi risistemai i capelli. L’incubo era finito e io non avevo più forze, ma non dovevo più temere.

Vedevo il suo copro in terra, ancora magro e sciupato, ormai agonizzante. Un piccolo rivoletto di sangue le sgorgava dalla tempia e un altro dalle labbra: un’immagine terribilmente reale nell’oscurità della mia stanza da letto. E poi la scena successiva, disgustosa e raccapricciante.

Scossi la testa e accesi alcune candele bisbigliando “Lumos.” Non volevo pensarci più.

Di ciò che avvenne in seguito, l’importante era solamente che avevamo sconfitto il male, lo avevamo eliminato tutti insieme, con l’unione delle forze, null’altro.

Decisi di dare un’occhiata ai bambini e intanto calmarmi un po’. Ogni volta che mi capitava di svegliarmi la notte e ripensare all’ultima battaglia, guardavo i piccoli come per assicurarmi che stessero bene, che non gli venisse fatto nulla di male.

Andai prima da Teddy: a lui avevo lasciato la camera di Ninfadora, dove l’atmosfera era calda e protettiva e lo potevo avere vicino. Sirius dormiva sul tappeto vicino alla finestra e Teddy nel suo lettino era tranquillo, dormiva beato come sempre.

Sgath, lo immaginavo già, non l’avrei trovato a dormire tranquillo.

Cambiai stanza e andai nella sua, più piccolina e appartata rispetto a quella di Teddy, ma l’avevo sistemata con amore e attenzioni per accoglierlo al meglio.

Sgath sembrava capire spesso i miei sogni, soprattutto quello. Lo trovai infatti sveglio, quasi attento, lo sentivo nel buio guardarmi col suo sguardo enigmatico e le labbra mute. Il serpente alato sempre al suo fianco.

Lo accarezzai per qualche istante mormorandogli dolci parole, il piccolo si calmava pian piano, ma non si riaddormentava mai facilmente.

Prendeva sonno solo ed esclusivamente quando mi allontanavo completamente, portando via con me anche quella piccola fonte di luce che era la mia bacchetta magica.

Nella stanza calava la più completa oscurità.

Dormiva solo in pieno buio, nel silenzio. Questo mi stupiva sempre di lui, ma non mi era nemmeno del tutto nuova quell’abitudine, così strana per i bambini, ma non riuscivo in nessun modo a ricordare dove l’avessi mai potuta sentire precedentemente.

Tornavo sempre a letto pensierosa ed erano quasi le prima luci dell’alba.

   
 
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