Fanfic su artisti musicali > Guns N'Roses
Segui la storia  |       
Autore: La neve di aprile    04/08/2007    2 recensioni
Ricordo la prima volta che ti vidi, Izzy.
È una scena che si è stampata nella mia memoria, un marchio che non vuole saperne di sbiadire.
Pioveva da giorni, non c’era stato un attimo di tregua. Nemmeno il più piccolo spiraglio di sole.
Il cielo continuava a vomitare pioggia sulla città, che scintillava.
Le luci dei lampioni, le vetrine, i grattaceli: si rifletteva tutto nelle strade coperte di pozzanghere.
E adesso che gli anni sono passati, che le cose sono cambiate, mi rendo conto che forse la mia vita, la tua vita, sarebbe stata diversa se le cose avessero preso una piega diversa.
Forse ci saremmo risparmiati tante cose, forse saremmo stati persone diversi.
Ma non sarebbe stata la stessa cosa.
REVISIONE IN CORSO.
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Hand in glove'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

HAND IN GLOVE
#7 TROUBLE IN HEAVEN

 

 

PARLA ROXANNE:

Il tempo non si ferma mai.
Non arresta mai il suo incessante scorrere, non si blocca mai per pietà di chi subisce il suo influsso.
Il tempo, come mi dicevi quando la notte mi stringevi tra le tue braccia, è il più terribile dei tiranni.
Non concede tregua, non sa cosa sia un armistizio, aborrisce la pace.

Il tempo, mi sussurravi tra i capelli mentre lottavo per non scivolare nel sonno, esiste solo per combattere con noi una guerra che finirà solo con la nostra capitolazione.
Puoi provare a ingannarlo, dicevi, puoi provare ad addomesticarlo, ma non potrai mai vincerlo.
La cosa brutta, Izzy, è che con il passare degli anni il tempo gioca brutti scherzi.
Il peggiore tra tutti, è la confusione.
È la sua mano che si infila fra i tuoi ricordi e i tuoi sogni e li mescola, fino a confonderli gli uni con gli altri.
E chi può dire adesso se quel pomeriggio, passato in un campo di grano poco fuori la vostra LaFayette, io lo ho solo immaginato o c’è stato davvero?
Chi può dire se Axl mi dedicò davvero I think about you, quando i rapporti tra voi due andavano sempre più deteriorandosi, cercando in tutti i modi di arginare la crisi?
Chissà se davvero, durante uno dei vostri ultimi concerti tutti assieme, ho ballato con Steven sulle note di Patience o se lo ho solo sognato in una delle tante notti in cui siamo stati separati.
Chi, chi può restituirmi quelle che erano certezze?
È una sensazione orribile, frustrante.
È non saper più distinguere il vero dal falso, è il vivere in un limbo di mere illusioni e fragili verità.
È il motivo per cui, a lungo andare, la gente smette di sognare.
Si rifiuta, semplicemente, di prolungare un’agonia che non trova fine, è il sacrificio che cerca di allontanare sempre più la resa perché tutti sanno che quando il confine tra sogni e ricordi crolla del tutto, allora il tempo sta per mietere una nuova vittima.
Nessuno vuole morire e per questo si smette di sognare, ecco tutto.

 

Kick me down
with broken bones
you picked a fight
now stand your ground.
 

Velvet Revolver, Spectacle.

 

NEW YORK’S RITZ, 2 febbraio 1988

Roxanne era schiacciata contro il palco da una forza che nessun fisico e nessun matematico sarebbe ma stato in grado di imbrigliare in una formula complicata da mandare a memoria a scuola.
L’euforia che impregnava l’aria era inebriante, palpabile, densa come miele e altrettanto dolce.
Stordita, allungò le braccia sul palco ancora vuoto, socchiudendo gli occhi: mancava una mezz’ora buona prima dell’inizio dello spettacolo, e lei avrebbe potuto essere dietro le quinte, assieme a loro, a ridere e scherzare.
Avrebbe potuto essere assieme a Mandy, Erin e qualche altra ragazza con cui aveva scambiato al massimo due parole in croce, in quei due mesi di viaggi, concerti e sbronze colossali.
Quasi rimpiangeva quel “no” categorico che aveva urlato quando Izzy le aveva detto di poter rimanere sul palco, assieme ai tecnici, e guardare lo spettacolo da lì.
“Mai sei impazzito o cosa?” aveva strillato offesa, svegliando bruscamente Slash che si era appena addormentato accanto a lei, i riccioli e il viso abbandonati sulla sua spalla “E io dovrei guardarvi da dietro le quinte e perdermi il bello? Amore, lasciatelo dire ma non hai capito un cazzo di me, eh!”
Inutile dire che Slash aveva apprezzato poco il suo spirito da fan che non rinuncia alla ressa per amore della musica e dei concerti passati in mezzo alla gente, guardandola torvo e andandosene a dormire da un’altra parte.

Si era offesa, constatò con un mezzo sorriso mentre posava le mani sul palco e allungava le braccia, per allontanarsi quel tanto che bastava per permettere ad un po’ d’ossigeno di riempirle i polmoni.
Era come se stesse sostenendo sulla schiena la pressione di una cascata che precipita giù da un monte. Non una cosa nuova, non era certo il primo concerto a cui partecipava, ma una tale intensità non l’aveva mai sperimentata.
Il fiato le morì in gola quando si ritrovò spinta contro il palco, il duro ferro conficcato nel petto.
E mancava appena mezz’ora all’inizio del concerto, dio solo sapeva cosa sarebbe successo dopo.
Gemette, sconfortata, massaggiandosi lo sterno, e scoccò un’occhiata quasi di sfida in direzione degli amplificatori, dove immaginava si nascondesse il sorriso trionfante di Izzy. Ma non c’era nulla, a parte quella lunga fila di cassoni neri con sopra scritte argentate, illuminate dai fari quasi arancioni.
Marshall, per lo più. Cercando di assecondare le spinte alle sue spalle, come un’alga abbandonata alla marea, si stupì nel pensare come il tempo era stato veloce. Inclemente. Aveva strappato via i giorni come fossero erbacce in un giardino che contempla solo la maestosità dei secoli.

 

All of my memories
Keep you near
It's all about us.
 

Within Tempetation, Memories.

 

Erano partiti da Los Angeles alla fine di gennaio, a bordo di un enorme pullman trasformato per l’occasione in una sorta di casa ambulante.
Quando l’aveva visto, Roxanne aveva sgranato gli occhi e si era messa a saltellare su e giù tra i due tavoli e le due file di cuccette dove avrebbero dormito da lì a due mesi, salvo per le soste in città, dove sarebbero andati in albergo.
Era come se, solo respirando l’aria all’interno del mezzo, avesse finalmente realizzato che partiva sul serio, che la promessa di Alec di riavere il suo posto al suo ritorno non se l’era sognata, che sarebbe stata parte di quella meravigliosa chimera che erano le tourneé.
Che era reale, che non era un sogno.
L’entusiasmo l’aveva travolta al punto che non era stata capace di contenerlo e lo aveva liberato, contagiando chiunque le si fosse avvicinato per capire cosa avesse.
“Parto con i Guns, parto con i Guns!” aveva cantilenato prendendo un malcapitato Slash per le mani e saltellando in tondo con lui, in un buffo girotondo che muoveva solo lei. Il chitarrista si era ritirato all’istante, non appena lei lo aveva lasciato libero per buttarsi su Steven, che era stato più collaborativo.
Complice, probabilmente, la notevole quantità di droga che si era sparato in vena.
“Andiamo in tourneé, andiamo in tourneé!” avevano cantato sotto gli sguardi sbalorditi del resto del gruppo e del loro menager che, con un sospiro, aveva tirato una manata sulla spalla a Izzy, come a dirgli che se l’era cercata lui.
Ma dal canto suo, il chitarrista era ancora troppo stupito per poter reagire in alcun modo a quella dimostrazione di felicità.
Il semplice fatto di averla lì aveva il sapore di un piccolo miracolo.
E anche quando il mal d’auto –ogni volta finiva così, l’idea che bere a stomaco vuoto e poi viaggiare in pullman erano un pessimo binomio non lo sfiorava nemmeno- lo aveva costretto a viaggiare disteso, con la testa sulle gambe di Roxanne e una bacinella stretta tra le braccia come fosse un orsacchiotto, gli era sembrato tutto assolutamente perfetto.

Erano stati giorni assurdi, ricordò Roxanne con un sorriso mentre si faceva accendere una sigaretta da una ragazza incredibilmente magra che le era franata addosso qualche minuto prima.
Bionda, occhi azzurri, bandana in testa e ray-ban a specchio: avrebbe potuto tranquillamente essere la sosia al femminile di Axl. Abbozzò un sorriso, ascoltando la sua parlantina sciolta, e le venne in mente Duff.
Lo stesso modo spigliato di confrontarsi con il mondo, quel misto di sconsideratezza e malizia che gli brillavano negli occhi, il sorriso aperto.
Certo, da ubriaco era tutta un’altra cosa, lo aveva visto ridursi a una sorta di vegetale nel giro di un’ora, più di una volta, per poi ritrovarselo il mattino dopo sveglio e pimpante come se nulla fosse, spazzolino in una mano e Jack Daniel’s nell’altra.
Come quando erano arrivati a Boston. La sera stessa, dopo ventinove ore di pullman passate a pizzicare le corde di una vecchia chitarra acustica e a dormine, Duff aveva ritrovato tutta la sua energia nell’esatto istante in cui aveva messo piede nella hall dell’albergo: aveva afferrato Mandy, la sua ragazza, con una mano e Slash con l’altra, annunciando che era ora di far festa.
E non c’era stato verso di dissuaderlo, uno dopo l’altro erano tutti capitolati e si erano ritrovati in una suite troppo costosa e troppo bianca a bere e fumare.
Ancora stravolto dall’ultimo concerto, Izzy era crollato subito e Roxanne aveva colto la palla al balzo per fuggire da quella Hellhouse in miniatura e nascondersi in una stanza molto più piccola –e economica- qualche piano più sotto, trascinandosi dietro il suo ragazzo, ubriaco fradicio.
Lo aveva guardato dormire, rannicchiato su un fianco e con una mano sotto la guancia, il viso finalmente disteso.

“Chissà quando iniziano!” si stava intanto lamentando la biondina, bevendo un sorso di birra “Spero presto, se non torno entro domani all’alba sono dannatamente fottuta. Ho detto i miei che andavo al solito club e invece ho fatto quasi mille miglia con un’amica solo per vedere Axl” la ragazza ridacchiò “Dici che se provo a salire sul palco mi nota?”
Roxanne trattenne una risata.
Erano più o meno la ventesima ragazza che le faceva la stessa domanda, ad ogni concerto ce ne era almeno una con quel chiodo fisso.
E a farla ridere, era anche il pensiero che lei per prima lo aveva avuto.

“Non si può mai sapere,” commentò sibillina, “potrebbe essere che riesci a fartelo, per una sera” la fiamma dell’accendino guizzò rapida, illuminando l’espressione incredula della giovane davanti a lei.
“Ma...” balbettò a fatica, senza riuscire a prendere in considerazione l’idea “Ma... e Erin??”
La mora fece una smorfia, la sigaretta tra le labbra, raccogliendosi i capelli in una coda alta.
“Erin vede solo quello che vuole vedere” abbozzò un sorriso “E so per certo che più di qualche ragazza riesce a saltare nel letto di Axl senza che cada il mondo. Ce ne è una poi, tale Jackie, che è quasi un abituale...” agitò una mano in aria, disegnando una spirale di fumo e pensando a quella biondina magrissima che aveva incrociato di sfuggita nel corridoio di un albergo a Seattle.
Riusciva solo a ricordare i suoi occhi tristi e i movimenti nervosi delle mani.
Gettò un’occhiata all’altra, vicino a lei, che sembrava pendere dalle sue labbra, e sogghignò.
Quella si scosse, sbattendo le palpebre.

“E tu come sai tutto questo?” indagò sospettosa. Roxanne si strinse nelle spalle e sorrise candidamente.
“Ho le mie fonti” ridacchiò, e in quel momento le luci si spensero di colpo e cinque ombre comparvero sul palco.
“Please welcome” strillò una voce sul palco, mentre Axl stringeva tra le mani l’asta del microfono “The L.A hardest band: Guns-and-Roses!”

 

And they make me
Make me dream your dreams
And they make me
Make me scream your screams
 

Muse, Showbiz.

 

Fu come dar fuoco ad una miccia troppo corta: l’intera sala esplose in un urlo che fece tremare le pareti e il pavimento sotto i piedi di Roxanne, che si ritrovò sballottata a destra e a sinistra da una marea incontrollabile.
I riflettori si accesero sfarfallando, inondando di luce i cinque musicisti che avevano occupato il palco: al centro, Axl fissava il pubblico nascosto dietro le lenti a goccia di un paio di occhiali da sole, un’enorme bandana in testa e un’orrida giacca di finto pitone addosso.
Il cantante sfoderò il suo miglior ghigno sarcastico, che sollevò un’ondata di gridolini estasiati.

It’ so easy.
Roxanne storse la bocca, nel vedere come Izzy si agitava sul palco, con un entusiasmo che non era suo: come ogni volta che si faceva, o che pretendeva di muoversi di più, senza limitarsi a suonare e basta come suo solito, era terribilmente sgraziato, al contrario di Slash e Duff che, bene o male, riuscivano sempre a fare la loro bella figura.
Allontanò quei pensieri con una risata, alla vista degli assurdi capelli di Steven.
Erano letteralmente esplosi, diventando un enorme cespuglio biondo.
Peggio di quelli di Slash, urlò ad un incredulo Axl che la guardò malissimo, mentre le sfilava davanti stringendo a casaccio qualcuna di quelle mani protese verso di lui.

Lo ascoltò ringraziare MTV e incitare la folla ad urlare più forte, lo vide accontentato quando le urla si levarono così forti che per un attimo la sua voce ne fu sovrastata, tornando udibile solo per annunciare la canzone successiva.
Mr. Brownstone.
Fu durante il ritornello che Roxanne si convinse ad abbandonare ogni pensiero e tentò di lasciarsi trasportare dalla musica, urlando e saltando, fagocitata dall’euforia generale e dai movimenti di quella folla che si agitava come una piovra impazzita, allungando i suoi tentacoli tutto attorno al palco nel vano tentativo di stringerlo in una morsa ferrea e strappargli quei cinque ragazzi, la causa di quel caos che non aveva nulla di umano.
Si sgolò, abbracciando la biondina e saltando assieme a lei sul ritmo della canzone, provando di convincersi che preoccuparsi era solo uno spreco di tempo, come cantava Axl: era lì per divertirsi, tanto valeva farlo come si deve.
Ma qualcosa, che non riusciva a capire e ad identificare, continuava a ronzarle in testa. Infastidita, urlò più forte.

Out ta get me.
Izzy iniziava ad avere veramente caldo.
Le luci dei riflettori erano insopportabili, e non solo perché gli impedivano di vedere le facce di chi si ammassava sotto il palco: era come nuotare in una vasca piena d’acqua bollente.
Soffocante.
Inspirò a fondo l’aria rovente, satura del fumo delle sigarette che tanto lui quanto Slash avevano fumato, sfiorando le corde con decisione e buttando un’occhiata alla folla: niente.
Era come se alla fine del palco fosse stato fatto calare un sipario, a tratti nerissimo e a tratti bianco accecante, riusciva solo a sentire le urla passare oltre quella bizzarra cortina. Sbuffò.
Non gli piaceva suonare in posti da dove era impossibile vedere qualcosa, e non solo perché la faccia stravolta di Roxanne aveva un qualcosa di vagamente eccitante: il pubblico era la parte appagante del suo lavoro.
Vedere i sorrisi, vederli saltare.
Vederli sognare i loro sogni, vederli urlare le loro urla.
Si stava perdendo il più bello, e la cosa non lo metteva di buon umore.

Sweet child o’mine.
Roxanne era letteralmente piegata in due: le spinte che le arrivavano in schiena erano talmente forti che alla fine aveva ceduto e si era ritrovata con il busto premuto sul palco, in un’angolazione tale che aveva una perfetta visuale delle scarpe di Duff, Slash, Axl e Izzy.
Steven non riusciva a vederlo, ma lo sentiva fin troppo bene: ogni colpo contro le pelli della batteria era un vibrare del pavimento sotto di lei, un movimento da assecondare per non rimanere schiacciata da quel fiume in piena.
La biondina accanto a lei urlava come se fosse impazzita, saltando di qua e di là senza sosta con un’energia tale che la ragazza sorrise: anche lei era così, quando la musica la prendeva completamente.
Quella sera, invece, non riusciva a lasciarsi andare come al solito.
Colpa del posto?
Colpa del palco conficcato nel suo stomaco?
Provò a sollevarsi, ma una manata tra le scapole la spinse di nuovo giù.
Le sfuggì un urlo, che si perse nella ressa e nella confusione, e chiuse gli occhi.
Non aveva mai odiato così tanto quella benedetta canzone.

My Michelle.
La sua preferita, pensò Izzy con un sorriso, mentre Axl rubava qualche minuto parlando con il pubblico.
Duff gli si fermò accanto.

“Caldo del cazzo.” lo sentì brontolare, facendosi aria con una mano.
“Ringrazia che hai quella maglia addosso.” commentò cupo il chitarrista.
Il bassista ghignò, guardando la camicia a maniche lunghe e il panciotto che il chitarrista indossava.

“Scommetto che ti sei messo quella roba per lei.” insinuò divertito.
"Mh."
“Morirò giovane per causa tua, Izzy. Non solo ti sei rincretinito da morire, ma sei pure arrossito. Scommetto quello che ti pare che mi hai fatto venire il diabete.”
“Pensa a suonare, Duff, pensa a suonare..” gli intimò Izzy riacquistando un po’ di autocontrollo e ringraziando Slash per essersi messo ad improvvisare una bizzarra intro per la canzone.
Duff gli passò accanto lanciandogli un’occhiata che non aveva bisogno di parole per esser spiegata e si buttò sulla melodia, pizzicando dolcemente le corde del suo basso.
Il chitarrista, invece, guardò inquieto il pubblico: ancora non riusciva a vedere Roxanne.
Eppure era sicuro fosse da qualche parte sotto il palco.
Solo quando la musica esplose di nuovo, in tutta la sua intensità, vide una ragazza piegata in due sul palco: capelli sciolti, una maglietta nera troppo grande per lei.
Quella stessa maglietta che avrebbe riconosciuto tra mille perché era sua, la stessa che lei gli aveva preso con una linguaccia dicendogli che così sarebbe stato come guardare il concerto abbracciata a lui, causando un eccesso di risate e zuccherro nel sangue di Duff, che aveva assistito alla scena.
Era alla sua destra, e sembrava urlare. O stava cantando?
Con la faccia praticamente schiacciata ai piedi di Duff?
No, decisamente non stava cantando.
Non sembrava nemmeno divertirsi, quando reclinò il collo all’indietro e mostrò ai riflettori il volto contratto in una smorfia.
Continuò a suonare, pensando stupidamente a non perdere il ritmo, gettandole di tanto in tanto qualche occhiata, indeciso sul da fare.
Doveva mandare qualcuno a recuperarla? Adesso era immobile.
Solo al primo ritornello, quando Duff gli sfrecciò accanto per fiondarsi sul microfono, si accorse delle occhiate di Slash.
Gli si avvicinò solo quel tanto che bastava per sentirsi dire un tirala fuori di lì subito cazzone piuttosto perentorio e non ebbe bisogno di altro: tornò indietro di corsa e, fermato il primo tecnico fermo ai lati del palco, gli urlò di recuperare la sua ragazza.

“Chi?!” gridò in risposta il ragazzo, senza capire.
“La mia ragazza! Roxanne! Piccola, magra, capelli scuri, maglia nera e se non muovi quel culo del cazzo presto sarà pure tagliata a metà dal palco!” ruggì il chitarrista, prima che un verso cantato con particolare ferocia da Axl lo richiamasse al centro della scena.
Knockin'on heaven's door.
Roxanne riaprì gli occhi mentre Axl giurava di non poter più prendere in mano una pistola e puntarla contro qualcuno.
Tossì un paio di volte, inspirando l’aria satura di fumo e cercò di mettersi seduta.
Una pezza bagnata le scivolò via dalla fronte, cadendole in grembo: dove diavolo era finita? Sul fatto che non fosse più in mezzo alla ressa, non ci pioveva sopra.

Era su un divano sfondato, dal colore indistinguebile nella penombra, e, vicino a questo, c’era un tavolino con sopra una bottiglietta d’acqua mezza vuota.
Inorridendo all’idea di essere finita in una sorta di pronto soccorso temporaneo, cercò di fare mente locale.
L’ultima cosa che ricordava erano Duff e Izzy sul palco, vicini.
Era quasi sicura si stessero parlando, ma non poteva dirlo con certezza dal momento che aveva visto solo i loro piedi.
Poi era iniziata My Michelle e neanche al primo ritornello qualcuno le era franato addosso facendole letteralmente vedere le stelle.
Poi quelle si erano spente e si era ritrovata lì.
Ma non poteva essere un pronto soccorso temporaneo, allestito in fretta e furia: non c’erano i soliti infermieri rompi scatole e sentiva fin troppo bene la musica.
Sbuffando, allungò le gambe davanti a se.

“Ah, ti sei svegliata.”
La voce la colse alla sprovvista, facendola sobbalzare: una porticina si era aperta, facendo cadere sul pavimento una lama di luce tremula, intermittente.
Sulla soglia era ferma una sagoma femminile che riconobbe subito.

Erin.
Si trattenne dal chiederle se si divertiva a provocare infarti alla gente, comparendo all’improvviso, scegliendo invece di alzarsi in piedi e raggiungerla
“Vieni,” le disse con un sorriso mesto, “o impazzirà, se non ti vede tutta intera, e il povero disgraziato che ti ha portato qui passerà un brutto quarto d’ora.”
Welcome to the jungle.
Izzy era nervoso.
Non solo sfuggiva alle telecamere più del suo solito, ma continuava a gettare occhiate a quello spiraglio scuro dove si ammassavano i tecnici, un nugolo di persone pronte a scattare ad ogni minimo accenno di problema, nella speranza di scorgere, oltre a Mandy, Erin e Perla, anche Roxanne, magari un po’ sbattuta ma sorridente.
Forse non ho minacciato abbastanza quel coglione, si disse ignorando le mosse da perfetta porno star di Axl, che mandarono in completo e totale visibiglio la parte femminile del pubblico.
Gli occhi verdissimi del cantante brillavano, e non solo della luce dei riflettori: era nel suo elemento e chiunque se ne sarebbe accorto.
Stare accanto a lui in quel momento era impossibile, continuava a saltare su e giù, ballava, strillava, si contorceva e miagolava come fosse in preda ad un orgasmo.
Izzy si chiese con che coraggio stessero trasmettendo il concerto in televisione, era uno spettacolo che sfiorava l’indecenza.
Rimase accanto a Steven, mentre Duff, Slash e Axl si esibivano in cima al palco, rischiando di essere afferrati da una di quelle mille mani che si allungavano verso di loro, continuando a guardare alla sua destra con tanta insistenza che il batterista, nonostante l’alcol e la droga, gli urlò di darsi un calmata.
Lo guardò stralunato e scosse il capo.

“Non c’è un cazzo da stare tranquilli!” ruggì al biondino, che in tutta risposta sgranò i suoi enormi occhi azzurri e lo guardò come se non avesse detto nulla, scrollando le spalle. Il chitarrista sospirò: era inutile.
Aveva la gola chiusa da un nodo e al solo pensiero che le fosse successo qualcosa gli si riempivano di lacrime gli occhi.
Se solo avessi insistito un po’ di più, si rimproverò aggrottando la fronte, se solo non l’avessi lasciata stare lì sotto.

“Giuro che lo ammazzo, quel coglione.” sibilò non appena la canzone giunse al suo termine.
Ringraziò silenziosamente il cielo, quando Axl annunciò che avrebbe fatto una piccola paura, e corse verso le quinte, lasciandosi inghiottire dall’oscurità.

“Tu davvero credi che sarebbe capace di fare una cosa del genere?” stava chiedendo nel frattempo Roxanne, un fianco appoggiato contro una colonna di implificatori.
Erin, accanto a lei, ridacchiò, seguendo con gli occhi i movimenti di Axl sul palco.
Il suo sorriso, per quanto triste potesse essere, non si era incrinato nemmeno quando una voce femminile – che Roxanne aveva immediatamente associato alla biondina con cui aveva parlato all’inizio del concerto - aveva urlato Axl I love you.

“Oh, io dico di si. Avresti dovuto sentire cosa ha promesso di fare al povero Mike se non ti avesse trovata!”
“Faccio fatica a..” s’interruppe, letteralmente travolta da Izzy che l’abbraccio con tanta forza da mozzarle il respiro.
“Grazie al cielo stai bene.” sussurrò il ragazzo, prendendole il viso tra le mani e guardandola negli occhi.
Non le diede il tempo di dire nulla, baciandola e abbracciandola di nuovo.
“Giuro che è l’ultima volta che ti lascio stare lì sotto, non ho mai avuto così tanta paura, non farmi preoccupare mai più così, ti prego. Intesi?”

E prima che Roxanne potesse avere il tempo di protestare o dire qualsiasi cosa era di nuovo sul palco, pronto a ricevere la sua pioggia di applausi: il cantante stava presentando uno per uno i suoi gunner, Steven “pop-corn” Adler, Duff “the king of beer” McKagan, Izzy “accanto a lui per dieci anni” Stradlin e Slash “mezzo uomo e mezzo bestia”.
All right, shut up” rise il chitarrista al microfono dopo il lungo discorso di Axl circa la sua natura, scuotendo il capo per allontanare una cascata di riccioli neri dagli occhi “Anyway, I'm gonna dedicate this song real quick. And I'm not gonna say anything offensive so that we can make it on TV. This is the song that is not dedicated to drinking or drug addiction or any of that kind of stuff. This song is basically about a walk in the park. This is something called...”
Nightrain.
Corse veloce, la canzone.
Spinta dal sollievo, spinta da un entusiasmo sempre crescente, spinta dall’ilarità della dedica di Slash che aveva piegato in due una buona metà dello staff, spinta da un’energia esplosa tutta d’un colpo, spinta dall’impazienza di correre dietro le quinte e bere un bicchier d’acqua per dare un po’ di sollievo alle gole ormai prosciugate di ogni singola goccia di saliva.
Ebbe a malapena il tempo di chiedersi come diavolo facesser Axl a cantare ancora nonostante le sue folli corse e i suoi folli balletti che già le note erano quelle del finale.
Era come se finalmente tutti i pezzi del puzzle fossero al loro posto, l’armonia era tornata, il fragile equilibrio che rendeva un live veramente buono si era ristabilito e li sovrastava con il suo sguardo benevolo.
Sorrise, scorgendo con la coda dell’occhio Roxanne intenta a cantare e a saltare accanto a una sorpresissima Erin.
Axl chiuse la canzone con uno dei suoi impossibili acuti, il viso contratto in una smorfia per la fatica e la stanchezza al punto che, per un attimo, Izzy credette dovesse fermarsi e riprendersi.
Ma non lo fece.
E lo spettacolo continuò nella notte.

Paradise city.
Roxanne urlò per la gioia ancor prima che Axl finisse di pronunciare il titolo della canzone, facendo trasalire vistosamente buona parte delle persone accanto a lei.
“Ma non ti stufi mai?” le chiese Erin, guardandola imitare il cantante.
“Di che cosa?” domandò a sua volta Roxanne, tenendo gli occhi chiusi e ondeggiando sul ritmo della chitarra di Slash, scandito dai rintocchi secchi della batteria.
“Di essere sempre così entusiasta, dopo due mesi di concerti. È sempre la stessa cosa, in fondo..” osservò.
La ragazza si immobilizzò, voltandosi a guardarla. I grandi occhi scuri erano sgranati, luminosi nella penombra.

“Ma... mi stai prendendo in giro per caso?” indagò, trattenendo il respiro.
L’altra scosse il capo.
“Oh santo cielo! Erin, è semplice: non mi stufo perché è impossibile stufarsi. Guardali!” allungò un braccio, indicando i musiciti sul palco “Sono i Guns! Sono quanto di meglio Los Angeles ha sputato fuori negli ultimi due, tre anni. Sono..” s’interruppe un attimo, guardando allibita Axl che impediva a Slash di cantare il ritornello accanto a lui. “Quell’uomo non è normale” commentò, mentre il chitarrista allargava le braccia sconsolato al gesto di conforto di Izzy, con cui ora divideva il microfono.
Erin sorrise, scrollando le spalle.

“E’ un gran egocentrico.” lo giustificò.
“No, è una primadonna isterica.” la corresse Roxanne, sfoderando un gran sorriso e soffiando un bacio a Izzy, voltatosi in quel momento a guardarla.
Lo vide curvare le labbra rapidamente, prima di tornare a suonare rivolto al pubblico.

“Comunque,” riprese Erin, passandosi una mano tra i folti capelli biondi, “non riesco proprio a capire come tu faccia a essere sempre così piena di vita durante i concerti e..” scoppiò in una vivace risata, guardando la ragazza accanto a lei intenta a saltare, a piroettare, del tutto incurante di qualsiasi parole non riguardasse il testo della canzone.
“Andiamo Erin!” urlò senza riuscire a sovrastare la confusione che rimbalzava da una parete all’altra, senza sosta “Lasciati andare! Chissenefrega se la canzone l’abbiamo sentita fino alla nausea, è splendida e rimane sempre tale! Dai!” tese le mani verso la bionda, che dopo un attimo di indecisione le strinse, lasciandosi andare in un girotondo sfrenato.
Quando la band le raggiunse, durante una breve pausa prima dei bis, stavano ancora ridendo, tenendosi la testa come a voler farla smettere di girare così vorticosamente.

“Visto?” esclamò Steven, puntando un dito contro Roxanne, rivoltò a Izzy “Sta benissimo. Una calmata potevi dartela tranquillamente!”
"Stevie, fino a dieci minuti fa non stava niente bene." replicò gelido il chitarrista, posando lo strumento sul divano sfondato e agguantando la bottiglietta d’acqua che la mora gli porgeva. Lei gli fece una linguaccia, andando ad abbracciare il batterista.
“Non è vero, stavo benissimo!” protestò allegramente “Ho avuto solo un attimo di smarrimento, ecco..e poi, mica è la prima volta che mi succede”
"Ah no?" s’informò il biondino, ricambiando l’abbraccio e scompigliandole i capelli.
Lei si dimenò, strillando.

“Steven, sei sudato da far schifo!” urlò saltando via, come un grillo impazzito, cercando conforto da Izzy, che si ritrasse.
“Ah no, cara, da me non avrai niente.” sorrise candidamente, scrollando le spalle.
Roxanne lo guardò, interdetta.

“Prego?” chiese inarcando le sopracciglia e posando le mani sui fianchi.
Alle sue spalle comparve Duff, ghignando.

“Eddai, lascialo in pace. Il poveretto è quasi mezzo morto d’infarto e tu lo tratti male..”
“Io non lo tratto male, io sono obbiettiva!”
“No, sei solo acida.” intervenne Axl, con un sorriso smagliante che fece scattare Roxanne come una vipera a cui si ha pestato la coda.
“Senti un po’ nanetto, come sarebbe una bella dose di cazzi tuoi dritta in vena?” lo aggredì irritata.
Dall’inizio della tourneé, il cantante aveva colto ogni occasione per offenderla.
Battute, frecciatine, veri e propri insulti.
Non si era risparmiato, nemmeno quando tutta la band gli aveva fatto notare che il suo comportamente era un po’ esagerato, oltre che fuori luogo.
L’unica che sembrava non darci importanza era proprio Roxanne, che si limitava o ad incassare i colpi o a rispondere a tono, senza mai lasciare che la situazione degenerasse.

Erin intervenne, con un mezzo sorriso, abbracciando Axl.
“E lasciala in pace, Axl, dai. Che ti importa?”
Slash roteò gli occhi, buttando giù un sorso di whiky.
“Siete più melansi del solito, fate schifo.” commentò burbero “Mi si stanno cariando i denti solo a sentirvi.”
“Concordo!” Steven annuì vigorosamente, tirando una poderosa manata sulla schiena del chitarrista riccioluto, dopo avergli tolto di mano la bottiglia.
Izzy affondò le mani nelle tasche dei pantaloni, curvando le spalle, una sigaretta tra le labbra.
“Sei l’emblema della felicità.” gli disse sarcastico Duff. Il ragazzo lo guardò male, mentre Roxanne scoppiava in una risata, in risposta ad una battuta di Slash.
Il bassista scrollò le spalle, lasciandolo solo.
Una delle prime cose che aveva imparato di Izzy era che, quando era arrabbiato, la cosa migliore da fare era lasciarlo solo.
Tanto meglio, si disse inghiottendo una generosa sorsata di liquore, perfetto per la prossima canzone.

Mama Kin.
E in effetti, Izzy non suonò mai Mama Kin tanto bene come quella sera.
Sentiva la canzone pulsargli nelle vene assieme alla rabbia.
Scorreva assieme al suo sangue, lasciandolo stordito e senza fiato, capace solo di correr dietro alle urla che originalmente erano stato di Steven Tyler.
Perché fosse così arrabbiato, poi, non lo aveva ancora capito.
Si era irritato per l’atteggiamento sconsiderato di Roxanne o per il modo in cui Steven l’aveva abbracciata?
Da quando poi, era così geloso? Di Steven, poi!
La creatura più innoqua nel raggio di un migliaio di miglia, l’unico con cui avrebbe lasciato la sua ragazza senza sentirsi attanagliato da una strana ansia, cosa che succedeva puntualmente quando si trattava di farla stare per anche solo cinque minuti sola con Slash o Duff.

Sbuffò, aggirandosi inquieto sul palco ed evitando accuratamente di guardare, anche solo di sfuggita, in direzione di Erin e Roxanne, che immaginava sedute per terra, occupate in una fitta chiacchierata.
Era sicuro che non stesse ballando o cantando, ricordava perfettamente il giorno in cui l’aveva vista storcere la bocca in una smorfia, nel sentire la canzone sulla radio.
Non mi piace, Izzy, aveva detto aggrappandosi al suo braccio come una scimmietta, mentre camminavano lungo le strade di Nashville, non è vostra. Non mi convince più di tanto.
Lui aveva scrollato le spalle, senza dare troppa importanza alla cosa, e aveva lasciato correre.
Da allora, però, aveva notato che ogni volta suonavano Mama Kin, Roxanne si fermava e riprendeva fiato, per quanto fosse possibile farlo.

Slash gli sfrecciò davanti, il torso lucido di sudore illuminato dalla luce bollente dei riflettori e una smorfia sul viso.
Urlò qualcosa, facendo un cenno verso una piccola folla di tecnici ammassati alle spalle delle due ragazze, comodamente accoccolate sul pavimento.
La mora si accorse per prima del chitarrista e, con una rapidità che lo lasciò decisamente sorpreso, lo raggiunse.
Izzy, con la coda dell’occhio, la vide scambiare qualche battuta con Slash, prima di annuire e trafficare con la Gibson del suo amico, concentrata.
Il ragazzo le sorrise mestamente, quando alzò la testa dallo strumento, e tornò al centro del palco, senza perdere una sola nota fino alla fine della canzone, quando, piuttosto furbidondo, non scagliò lo strumento dietro le quinte, facendosene portare un’altro.

“Qualche stronzo l’ha sputtanata.” lo sentì ringhiare ad Axl, mentre buttava giù un sorso d’acqua “E la bimba l’ha fatta durare quel tanto che bastava. Ma giuro che se prendo il coglione che l’ha sfiorata lo faccio a pezzi con le mie mani.”
Izzy scoccò un’occhiata alla sua ragazza, di nuovo in piedi, pronta per il gran finale. Se possibile, era ancora più arrabbiato di prima.
E continuava a non capire perché.

Rocket queen.
Fu il delirio.
Roxanne se ne accorse a malapena, ma fu il caos più totale.
Uomini troppo grassi che saltavano sul palco per accendere una sigaretta a Slash, ragazzine dai capelli permanentati che saltavano addosso ad Axl, la folla completamente in balia della musica, il broncio di Izzy.
Lo aveva guardato bene, durante Mama Kin, ed era arrivata alla conclusione che era arrabbiato.
Che lei lo aveva fatto arrabbiare.
Non sapeva come, non sapeva perché, ma aveva questa vaga sensazione.

Per questo lo lasciò in pace, a concerto finito, mettendosi in un angolo della stanza a chiacchierarare con Mandy e Perla, mentre i ragazzi scolavano litri d’acqua e alcol, concedendosi tutte quelle sigaretta che non erano riusciti a fumare mentre suonavano.
L’aria dello stanzino divenne ben presto irrespirabile, tanto che gli stessi musicisti iniziarono a tossire e proposero, all’uninsono, di andare a festeggiare.

“E dove?” domandò Mandy, incollandosi al fianco di Duff.
“E cosa importa dove, è una città talmente grande!” Steven scrollò le spalle “Basta che andiamo.”
“Io passo, ragazzi.” annunciò Roxanne “Sono stanca e, a differenza vostra, tra due giorni faccio ritorno alla mia solita, banale e noiosa vita da cameriera.”
“Noo!” protestò il batterista “No, non puoi tirar pacco Roxy!”
“Proprio perché poi torni a casa dobbiamo festeggiare!” rincarò Slash, con un mezzo sorriso. Izzy lo fulminò.
“Per quanto mi riguarda, può anche tornarsene a casa e non farsi più vedere.” commentò acido Axl, asciugandosi il viso con un panno bianco che Erin gli aveva messo sulle spalle. Duff schioccò la lingua contro il palato, senza dire nulla.
“Anche io ti voglio bene, stronzetto.” brontolò la ragazza, raccogliendo i capelli in una coda “E se non fosse che davvero non posso, verrei con voi solo per darti fastidio.”
“Izzy, la lasci andare così?” tentò ancora Steven, appoggiandosi ad una spalla di Duff, dispiaciuto. Il chitarrista scrollò le spalle.
“Se vuole andare, lasciala andare.” borbottò senza nemmeno alzare gli occhi dalla chitarra cui stava pizzicando le corde.
Roxanne sorrise, abbassando lo sguardo.

“Sarà per un’altra volta, Stevie.” gli fece l’occhiolino, strappandogli un sorriso “Divertitevi anche per me! Buona notte, ragazzi!” agitò la destra, prima di aprire la porta e scivolare fuori.
Si, decisamente Izzy era arrabbiato con lei.
Ma perché?

 

I've never seen a night so long,
When time goes crawling by.
The moon just went behind a cloud,
To hide its face and cry.
 

Johnny Cash, I’m so lonesome I could cry

 

Roxanne saltò sul letto, rimbalzando un paio di volte come un peso morto.
Affondò il viso nel cuscino, inspirando a fondo la debole traccia di profumo lasciata da Izzy la notte precedente, quando era rimasto a dormire con lei.

Avevano passato ore intere a chiacchierare, in un groviglio di lenzuola bianche e coperte frettolosamente scostate, parlando di tutto e di niente.
Avevano riso, fino ad avere le lacrime agli occhi, ricordando di quando Duff era quasi impazzito per attaccare un adesivo, trovato in un pacchetti di patatine, sotto le corde del basso, o di quando i capelli di Axl erano rimasti impigliati nella lampo della sua giacca e lui aveva strillato per mezz’ora buona mentre Erin tentava di liberarli senza strappare l’intera ciocca.
Avevano fatto l’amore, fino a sentirsene sazi, e poi ancora perché semplicemente non riuscivano a farne a meno, come se fosse intollerabile l’idea di stare vicini senza essere completamente uniti.
Avevano riso di nuovo, quando lo stomaco di Roxanne aveva brontolato tanto forte da coprire lavoce di Izzy.
Si erano guardati, prima di scoppiare in una fragorosa risata e imbandire un piccolo banchetto chiamando un ristorante cinese che li aveva sommersi di involtini primavera, riso alla cantonese e pollo in agrodolce.

E ora di tutto quello non restava altro che una leggera traccia di profumo.
Si alzò in piedi, stringendo il cusino al petto e raggiungendo la finestra, un’enorme vetrata che si apriva sul cuore pulsante di New York.
Guardò i taxi gialli sfrecciare senza sosta nella notte scura, sotto un cielo plumbeo, uniforme: non una stella, non uno sprazzo di cielo limpido, persino la luna nascondeva la sua faccia argentata dietro una coltre spessa di veli, celando i suoi freddi raggi agli occhi scuri della ragazza che si ostinava a cercarla.

“Ma ho fatto qualcosa di sbagliato?” le chiese con un soffiò che appannò il vetro “Ho detto qualcosa di male?”
Il cielo ricambiò le sue parole con il silenzio, mentre un’ambulanza correva veloce a sirene spiegate, da qualche parte a Manhattan.
“Forse è arrabbiato perché non volevo stare assieme alle altre ragazze.” ipotizzò, continuando a parlare con la notte “E siccome sono pure svenuta, allora si è arrabbiato ancora di più. O forse.. non lo so, non capisco. È geloso? È preoccupato? Fino a ieri andava tutto bene e adesso non vuole nemmeno che vada fuori con loro.” scosse il capo, mordicchiandosi le labbra “Forse Axl ha ragione, quando dice che questo non è il mio mondo.”
Le luci intermittenti di un aereo appena partito da La Guardia la salutarono vivacemente, prima di sparire inghiottite dalle nubi.
Roxanne sospirò, posando la fronte contro il vetro.

“Cazzo, sono proprio messa male.” scosse il capo, lanciando il cuscino sul letto e andando verso il bagno “Sto dando ragione a quel coglione.”
Fece scorrere l’acqua: era solo stanca, erano tutti stanchi.
Nulla che un bel bagno e una bella dormita non potessero sistemare.

“Si.” si disse una ventina di minuti dopo, immergendosi nella vasca piena di schiuma e acqua bollente “Domani si sitemerà tutto.”
Spero, aggiunse tra se e se, senza avere il coraggio di pronunciare quella parola ad alta voce.

 

PARLA ROXANNE:

Hai mai avuto paura di morire, Izzy?
Io si.
C’erano notti in cui mi svegliavo con il terrore di non riaprire mai più gli occhi ben radicato nel mio cuore, al punto che non riuscivo più ad addormentarmi e aspettavo che il sole sorgesse, guardando vecchi film in bianco e nero.
È stato allora, che ho iniziato a credere che nessuno vuole morire.
Sono sicura che nemmeno Kurt Cobain, in fondo, volesse davvero che tutto finisse quando premette il grilletto che lo strappò via da questo mondo, privandoci di una persona che racchiudeva dentro di se una terribile tristezza.
O magari invece voleva proprio farlo, voleva dimostrare a quel tiranno che non ci lascia fiato per respirare di essere indifferente dal suo potere, di gestire da solo i suoi giorni, di essere semplicemente libero di scegliere da se.
Forse il suo non fu un gesto di vigliaccheria, una fuga da una realtà che sotto sotto lo terrorizzava, ma un gesto nobile, un atto di puro coraggio per stoccare un affondo al tempo e umiliarlo.
Come a dire “Ecco, guarda qua! Io faccio quello che voglio, quando voglio!”

La cosa buffa del tempo, però, è che è il grande amico dei martiri.
Nomi consacrati alla gloria, che perdurano oltre i secoli e i millenni, perché appartenuti a persone le cui vite sono state interrotte prima del dovuto in nome della follia, dei capricci, di un ideale, di una guerra.
Lui, l’incubo dei Peter Pan che nascondiamo nel cuore, il terrore di chi è giovane e non vuole invecchiare, la paura nascosta dell’adulto che si vede trasformato in un vecchio.
Voi avreste potuto essere dei martiri, esattamente come Kurt.
Avreste potuto essere molto di più di quello che nemmeno osavate sognare.
Ma a differenza sua, il tempo e il fato scelsero per voi strade diverse, che vi portarono a distruggere quanto di più buono aveste mai fatto in tutta la vostra vita.
Sacrificaste i Guns N’Roses, in nome del volgare dio denaro.
Axl stesso inflisse il colpo di grazia, portando avanti uno strazio che infanga un passato dorato.

E ora siete destinati ad essere il riflesso sbiadito di un’epoca che ormai è tramontata e non sorgerà mai più.
Rimpiangi mai, le scelte che hai fatto ormai quasi vent’anni fa?

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Guns N'Roses / Vai alla pagina dell'autore: La neve di aprile