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Autore: Sakura_no_Hana    16/01/2013    0 recensioni
DAL TESTO:
"Si, sono… Te l'ho detto… Un po'
frenetici…" Dice lui, scavalcandomi e dirigendosi verso la
porta di quell'obbrobrio. Bussa due volte alla porta, e però
non apre nessuno. Poi bussa di nuovo, e dà un calcio. Solo
adesso ci aprono. Apre un ragazzo con i capelli biondi e molto strani, la faccia lunatica e gli occhi semi aperti, che si spalancano quando vedono me... (Estratto dal capitolo 3)
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Nuovo personaggio, Tré Cool
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Chapter 2: now.
Adesso, dunque, è tutto cambiato. Vivo con quella mia zia che mi accolse come fossi sua figlia, e sono rimasta qui fino ad oggi. Una giornata come le altre. Sono passati due anni, e il caldo sembra sempre più afoso. Mi chiedo come sarà tra altri due anni. Intanto è mattina, una caldissima mattina che opprime tutto ciò che mi è intorno, e sembra quasi volermi fare fuori. Magari lo facesse. Mi alzo svogliatamente dal letto, e mi dirigo allo specchio che c'è in camera. Addosso ad esso ci sono diverse foto con le mie migliori amiche, dove loro sorridono e io invece ho il broncio, perché odio fare le foto e poi perché non ho nulla di cui sorridere, già sono brutta, poi non sono neanche fotogenica! Ci saranno si e no solo dieci foto, che hanno stampato e sono venute ad attaccare loro sul mio specchio. Ma non voglio certo toglierle, tanto, vedermi in quelle foto, o vedermi allo specchio, è sempre lo stesso scempio. Quando finalmente ci arrivo d'avanti, vedo il mio viso. Deturpato dal mascara nero pesante che metto sempre, anche quando non esco, e noto come si sia deformato il colore quando ieri sera ho pianto, e tutte le gocce di lacrime, hanno portato via il colore dagli occhi e lo hanno spostato sulle mie guance. Questo succede più o meno tutte le sere che esco con i miei amici e bevo. Non sono certo più lo stinco di santo che ero un tempo, voglio dire, le cose sono cambiate, ma non poi così cambiate, perché tanto non ho la possibilità di essere più strana di come già sono. Esco velocemente dalla stanza, e mi reco in bagno. Ieri sera ho vomitato l'anima lì dentro, dicendo a mia zia, quella povera vittima, che avevo mangiato pesante, due hamburger e tre pacchi di patatine. Una scusa che non avrebbe retto, perché puzzavo di alcol da svenire, ma uno che ha bevuto non sa elaborare scuse migliori. Ma è pure vero che era notte fonda, e lei era ancora mezza addormentata, perciò forse non avrà neanche capito che le ho detto. Velocemente prendo la mia roba e la metto in lavatrice, mettendola a lavare, così il puzzo non si sentirà più. Mi lavo la faccia, i denti, ma resto in pigiama, tanto non devo andare da nessuna parte. Esco dopo un po' e mi reco al piano di sotto, in cucina, per fare colazione. Mia zia è seduta a guardare i cartoni animati in tv e a bere del tè.
"Buongiorno zia… Dormito bene?"
"Si, tesoro. Tu?"
"Più o meno…"
"Come mai? Perché ieri hai vomitato??"
"Te l'ho detto già… Ho mangiato troppo…"
"Non mi convinci… Non mangi quasi mai!"
"Si, lo so, ma i miei amici mi hanno costretta, dicono che sono deperita e mi hanno fatto mangiare due hamburger con tanto di tre chili di maionese…"
"Ahahah beh, hanno più che ragione, non credi? Se non lo fanno loro, mi pare che sarò io a metterti all'ingrasso!"
"Sono vegetariana tanto, non riuscirai mai a farmi ingrassare con delle verdure!"
"Oh beh… Si può rimediare… Ah, e devo dirti una cosa urgente…"
"Spara!" Lei è propensa a dirmi tutto, ma suona il campanello, e lei scatta alla porta per aprire. È una donna che qualche volta ho visto nel portone, ha i capelli biondi ed è magrolina, avrà si e no una sessantina d'anni, è piena di rughe e trema tutta. Avete presente la vecchia che fuma come un turco dei Futurama? Beh, questa signora le assomiglia, solo che non fuma, credo. Mi avvicino alla porta per capire che è successo, e la sento parlare.
"Buongiorno signora Matilde. Mi dica, qual è il problema?"
"Buongiorno… C'è una chiazza sul soffitto del bagno, che non so da dove venga… Se può dire a suo marito di venire a dare un'occhiata…"
"Signora cara, mio marito è il proprietario del palazzo, non un tubista. Vedrò di chiamare qualcuno che venga a controllare che c'è di rotto"
"Grazie, arrivederci"
"Arrivederci" La signora se ne va sbuffando e piuttosto delusa. Mio zio è il proprietario del palazzo, infatti. L'ha fatto costruire lui qualche tempo fa, quando era giovanissimo, e ha fittato a delle persone ognuna delle case. Questa signora viene parecchie volte ultimamente, credo che la sua demenza sia parte della vecchiaia. Dopotutto non è poi così vecchia, ma io dico gli anni che dimostra, non quelli che ha.
"Che c'è zia?"
"La signora Matilde… Poveretta è vecchia, il marito è morto sei anni fa, da allora non sa come mandare avanti qualsiasi guasto… Si rivolge sempre a John, ma non si rende conto che infondo è solo il proprietario del palazzo, non è un riparatore universale…"
"Ma quanti anni ha?"
"Mi pare settantanove, o qualcosa giù di lì…"
"A me sembrava più giovane"
"E certo, non conosci ottantenni, ci credo che non ti sembra poi così vecchia"
"Si… Forse è come dici… Comunque che mi dovevi dire?"
"Vuoi la colazione?"
"Non questa cosa!! L'altra!"
"Si, si dopo ne parliamo, ora mangia che devi ingrassare un po', se no m diventi uno stecchino!!" Lei gira attorno alla questione. Deve trattarsi di qualcosa di orribile, oppure qualcosa che odio profondamente. Me lo sento dentro. Tutte le volte che lei mi dice che deve dirmi qualcosa di importante, e poi sorvola sulla questione, è una cosa brutta. Mi prende per il polso e mi tira in cucina, nella sala da pranzo. È una piccola stanzetta, dopotutto la cucina non è enorme, è abbastanza normale. Appena entri dalla porta di ingresso ti trovi un grande atrio, a sinistra c'è il salottino, dove c'è un divano a semicerchio e una tv, con un tavolino di vetro, sopra ad un bel tappetino persiano. A destra c'è la cucina, con un tavolo per quattro tondo al centro della stanza, l'angolo cottura è proprio dietro, e sopra di esso è attaccato al muro una specie di fila di mobili per viveri e piatti e accanto alla cucina, tra essa e il muro, c'è il frigorifero. Invece, a sinistra della cucina, proprio accanto al lavandino, c'è un muretto, con una base di marmo, dove sono posti barattoli disposti in ordine delle iniziali di ciò che contengono, e quindi di grandezza anche, perché mia zia è molto attenta ai particolari. Oltre il muretto c'è un altro pezzo di stanza, dove c'è un armadietto con detersivi, spugne, spazzole, pezze, scope, secchi, buste per l'immondizia e buste per la spesa, e dopo c'è la finestra, che emana una luce incredibile. La finestra è come una porta, e appena la apri, puoi uscire fuori, e godere di un ampio panorama sulla zona di periferia, poco distante dalla zona industriale, ma comunque, non troppo inquinata, perché le fabbriche sono molto lontane da qui. Il terrazzo è una specie di orto botanico: ci saranno almeno sette specie di piante, e almeno quattro di verdure e roba simile. Infatti, proprio al centro del terrazzo c'è questo enorme giardino, che continua fino alla stanza successiva, ovvero quella del soggiorno, quello grande però, e intorno a questa aiuola, gira un marciapiede di mattoni rossastri. Essendo molto ampio, comunque sono presenti due panchine su ogni lato, delle panchine di pietra impossibili da spostare perché sono pesantissime, almeno per me, ma sono di granito, perciò per lo zio non sono difficili da spostare. A ridosso della scale c'è una porta, e da lì si entra nel soggiorno gigante, una specie di salone da feste, mentre al piano sopra c'è la mia camera, quella degli ospiti e tre bagni. La camera dei miei zii invece, e a sinistra della scala a chiocciola che porta di sopra, e quindi di fronte al soggiorno. Mi siedo ad una delle sedie e zia Dora mette sul tavolo una tovaglietta tutta colorata, e posa sopra una ciotola. Prende il pacco dei cereali e io ne verso un po' nella ciotola, mentre lei prepara il latte. Aspetto un po', e guardò i cartoni in tv, girando la testa verso il salottino, e poi sento suonare alla porta.
"Ma che diavolo succede stamattina?" Mi scappa un pensiero ad alta voce e mia zia ride. Io mi dirigo alla porta, e apro. Mi ritrovo il postino e gli rivolgo uno sguardo acido. Quell'imbecille è la seconda volta che viene fuori orario, adesso ha veramente scassato le palle.
"B-buongiorno, questa è casa Deletti?"
"C'è scritto Deletti sul campanello?"
"Ah, mi scusi. Arrivederci" Dio quanto non lo sopporto! Ma è cieco come una talpa o che gli succede? È un ragazzo della mia età, ha l'acne e degli occhi minuscoli e neri, e ha i capelli lisci e cortissimi e tutti appiccicati. Mi sorride imbarazzato, e poi va via.
"Senti, la prossima volta, leggi bene l'etichetta, perché non l'hanno messa per fare buona impressione! E poi, prima che torni di nuovo, c'è niente per noi? L-a-m-b-r-e-t-t-i." Gli faccio lo spelling del cognome, e lui si gira verso di me. Adesso ricordo anche dove l'ho visto! Viene nella mia scuola, nella classe affianco alla mia! È uno dei secchioni che vedo spesso in giro con qualche altro secchione come lui.
"S-si… Ecco qui"
"Grazie, a domani" Prendo la lettera dalle mani e la rigiro, e poi lo saluto, chiudendo la porta senza neanche guardarlo. Credo che sia andato via. Mia zia continua a ridere.
"Perché lo tratti così? Poveretto!!"
"Ma povera me che gli vado sempre ad aprire, dannazione! Comunque questa lettera è per me"
"Chi la manda?"
"Zia Kate, da Berkeley…"
"Mmm… Era di questo che dobbiamo parlare"
"Allora la apro dopo che avremo parlato."
"Va bene. Adesso vieni a sederti, il latte è pronto"
"Grazie" Poso la lettera sul marmo del muretto, e poi mi siedo. Lei mi guarda ancora divertita e poi scoppia a ridere. "Che c'è di così divertente?"
"Penso ancora a quel povero ragazzo! Tutte le volte gli rispondi male!"
"Ma sbaglia sempre porta! E che cacchio, c'ha gli occhi piccoli e non legge, almeno si mettesse un paio di occhiali, no?"
"Ti guarda come se fossi un bulldog! Ahahah ha paura di te! Oppure ha una cotta"
"Ma che cotta, è lui che c'ha il cervello bruciato! Lo studio eccessivo uccide!" Rido io, lei sorride solo adesso.
"Si, ma è anche vero che c'è gente col cervello bacato"
"Quelli sono recuperabili"
"Si, come no! Come quel tale, Edoardo! Ahahah ha il nome di un intellettuale, eppure sembra avere un blocco mentale"
"Edoardo è mezzo scimunito… Secondo me quello in casa non ha una bella situazione"
"Ma fuma?"
"Si, un pochetto. Non è come un turco, ma credo che ci arriverà. Che sia stonato, si sa. Se è pure drogato, non lo so"
"Va bè… Comunque quel povero ragazzo non merita certo questi schiaffi morali da te!!" Ride a crepapelle.
"Ahah senti chi parla, la moralista!! Bella mia, tu non ne sai niente di ragazzi al giorno d'oggi… Non siamo più accaniti al jazz! Dai immaginati un ragazzo di oggi che va matto per il jazz, è inaccettabile, lo prendono per uno sfigato!"
"Ma almeno è sfigato! Quelli che vanno dietro al rock li prendono per drogati!"
"Ma non lo sono! Cioè… Non tutti! Non bisogna fare di tutt'erba un fascio!!"
"Dai ammettilo! La maggior parte dei rocchettari è drogata"
"E va bene!! Lo ammetto, sono drogati. Ma non i fan, i cantanti. C'è una buona differenza"
"Come vuoi… Ma intanto il jazz è una musica più orecchiabile di quella di oggi!"
"Lo sai che odio la musica! Non sto a difendere né il jazz né il rock, né altro."
"Mmm… Non ho mai conosciuto una capra più capra di te!" Si alza e cominciamo a giocare, buttandoci sul divano. Poi mi alzo e le tiro un cuscino addosso, mentre lei resta stesa a guardare la tv, e alla fine io salgo sopra a mettermi dei vestiti puliti, perché devo scendere giù a gettare la spazzatura. Salgo sopra e apro l'armadio nella mia camera. Un pantaloncino in denim nero, una canotta bianca rigata e un paio di Converse basse nere. Scendo in cucina e prendo la spazzatura da terra, mi dirigo verso la porta ed esco, per scendere giù. Nel portone si sente un freddo bestiale, nonostante l'estate comunque non sia passata davvero, perché è solo il primo settembre. Fra poco comincia di nuovo la scuola, e non mi importa una cippa di questo. Avrei mandato tutto a farsi fottere tempo fa, ancora prima di cominciare il primo. Ma i miei insistevano che la scuola è importante, perciò cominciai lo scientifico, sbagliando completamente, perché avrei potuto prendere un istituto tecnico, e il problema finiva al quinto anno. Ma hanno insistito così tanto, che alla fine era come se avessero dovuto andare loro a scuola, e non io. Esco velocemente dal palazzo e mi dirigo verso il cassonetto che si trova sull'altro lato della strada. Mentre corro, sento una macchina arrivare, mi giro, e riconosco l'auto di mio zio. Suona una volta e mi sorride, uscendo il braccio dal finestrino. Si avvicina a me, rallentando ed esce fuori la testa, mentre io mi fermo.
"Denise! Che fai qui?"
"Butto la spazzatura"
"Ah, va bene. Saliamo assieme?"
"Si, due secondi, e vengo" Lui sorride, e va a parcheggiare l'auto. Loro due sono una specie di coppia perfetta. Mia zia mora, con i capelli lunghi, di statura media, magra con gli occhi castani, una bella voce, un bel viso. Mio zio i capelli biondi, la carnagione chiara, gli occhi verdi, alto e magro, e muscoloso, ma non troppo. È solo due anni più grande della zia, solo che purtroppo non possono avere figli. Beh, ci sono io, no? Mi muovo a buttare la spazzatura, e torno al portone, per risalire con zio John. Lui è americano, come mio padre. Infatti il mio cognome è italiano solo perché i miei nonni erano italiani emigrati in America. Mio zio arriva subito dopo e risaliamo assieme a casa.
"Allora Dora te l'ha detto?"
"Che cosa?"
"Allora non te ne ha parlato… Adesso che saliamo ne parliamo"
"Ma perché siete così misteriosi?!" Lui sorride, ma io sono abbastanza scocciata di tutto questo mistero. Arriviamo a casa in ascensore, e lui apre la porta. Entriamo in casa, e la zia si gira un po', e ci guarda, sorridendo. Poi si alza e si dirige verso di noi, abbracciando mio zio.
"Allora?" Comincio io con tono abbastanza impaziente. La zia si stacca da zio John e mi guarda con aria interrogativa.
"Cosa?"
"Prima mi è arrivata la lettera, adesso mi dite tutti e due che avete da dirmi qualcosa. Mi spiegate che succede?"
"Si… Ma siediti e calmati." Dice la zia, e io faccio come dice. Mi siedo su una sedia, e loro fanno lo stesso. Mia zia si gira di poco e prende la lettera da sopra il muretto, e la mette al centro del tavolo. "Aprila"
"…" La guardo con aria interrogativa, e prendo la lettera lentamente. comincio a scartare la carta e il cuore comincia a battere a mille. Sembra che voglia esplodere in un secondo nel mio petto, e le vene mi pulsano nella testa, divento rossa come un peperone e improvvisamente sento un formicolio che mi porta calore ovunque ci sia uno straccio di abito posato. Prendo un elastico tra i miei braccialetti e lego i miei lunghi capelli, e penso. Se mi fa questo effetto adesso che la sto aprendo, figurati quando avrò letto. Lentamente estraggo la lettera. La carta è ruvida e filigranata, di un giallognolo tipo quello delle lettere antiche. Zia Kate vive in America, ed ha tipo una quarantina di anni. È l'altra sorella di mio padre, ed è una tipa perfettina, odiosa e maniaca di correzione ed educazione. Quando ero piccola e mia madre andava a lavoro, ricordo che restavo a casa con lei, quando ancora abitava in Italia, e mi vestiva con certi abiti da nobile, che mi vergognavo d'avanti a tutti. Menomale che alle elementari indossavamo sempre un grembiule da sopra, e perciò niente e nessuno poteva vedere che avessi sotto. E oggi mi arriva una lettera da lei, e sono sicura che è una cosa orribile. La leggo ad alta voce, tanto conosco l'inglese perché sono bilingue grazie a mio padre. Con voce tremante, man mano che leggo, le lacrime non escono a stento, represse da una rabbia tale che vorrei strappare questo fogliettino in mille pezzettini minuscoli, così né la lettera né il suo brutto ricordo mi potranno tormentare ancora.
"C-cara Denise. È da un po' che non ci scriviamo, e perciò, prendendo io l'iniziativa, scrivo in questa occasione. Come sai, fra pochi giorni comincia la scuola. Ma la tua istruzione, ora che tuo padre non c'è più, purtroppo, è anche un mio problema. Dora e John non sono dei genitori, e perciò non comprendono l'importanza della tua formazione. Qui abbiamo grandi università, perciò verrai qui a studiare, e resterai finché non ti sarai laureata. Saluti, zia Kate." Resto un po' zitta. Le lacrime e il viso diventano infuocati, tanto che sembro un drago in procinto di esplodere e gettare fuoco a destra e a manca. "QUELL'ARPIA!!! COME OSA DIRE CHE DEVO ANDARE Lì PERCHÉ QUI NON SIETE IN GRADO DI CAPIRE L'IMPORTANZA DELLA MIA FORMAZIONE CULTURALE?? MA CHI SI CREDE DI ESSERE? LEI E QUELLA VIPERA DELLA FIGLIA!!!" Faccio uscire tutto il fiato che ho in gola. Ormai sono di tutti i colori dell'arcobaleno, e il mio umore è più nero della pece, e più scuro e buio della notte. Come diavolo osa lei impormi di andare a vivere da lei? Con quella vipera della figlia, idiota e perfettina, mica tanto ingenua e una vigliacca che spiffera tutto alla madre, qualsiasi cosa tu dica. Se vado a vivere lì, finirò impiccata.
"Ehi, Denise, smettila! Stai solo rovinando la tua salute! Non preoccuparti, riusciremo a farti restare qui"
"Si, ma zio quella è un'arpia vera e propria!! Farà di tutto per farmi andare da lei, e io non voglio condividere la casa con quell'essere inutile di Ramona! Quella ragazza è piccola ma è un demonio! E poi perché non mi avete detto nulla? Scommetto che vi aveva chiamati già da giorni, e voi mi avvisate così? Adesso? Avete aspettato che io fossi pronta??"
"Non te la prendere Denise… Abbiamo cercato di ragionare con lei prima, ma è irremovibile…" Dice zio John. Io non rispondo, allora attacca zia Dora.
"Mi dispiace Denise… Cercheremo di fare il possibile"
Detto questo, mi alzo, e con le lacrime che ormai escono a dirotto, ma senza singhiozzi, gli dico un'ultima cosa.
"Il possibile non è sufficiente." Corro nella mia camera, e chiudo a chiave, gettandomi sul letto per sfogarmi. Zia Kate se la possono immaginare tutti come una tipa in tubino nero con un giacchettino rosa, gli occhiali neri con la punta, una collana di perle, senza trucco, o al massimo un rossetto rosso poco evidente, i capelli raccolti in uno chignon, décolleté neri, l'aria severa, e zitella a vita. Si, perché è stata sposata, ma povero zio Carl, ne deve aver passate con quella sclerata nevrotica, e perciò l'ha mollata poco dopo che quell'arpia di Ramona ha compiuto dieci anni, e cioè cinque anni fa. Ha fatto molto più che bene, ma tanto se davvero io vado lì a vivere, di sicuro scapperò e mi rifugerò in qualche posto. Intanto, immersa nelle lacrime, mi addormento sulle lenzuola blu della mia camera, sotto la finestra, dove è il mio letto, e dove accanto c'è un termosifone incastrato in un'apertura nella parete. Mi risveglio di pomeriggio, ho ancora la lettera in tasca, e saranno le cinque. Almeno mi avrà detto il giorno? La riapro e vedo se c'è una nota a fine pagina, e infatti, forse per le troppe lacrime o la rabbia, la fretta, qualsiasi cosa, non ho notato un P.S. nel quale c'è scritto che il dieci dovrò partire per Berkeley. C'è scritto il giorno, la scuola dove andrò, il corso e cazzate varie. La Pinole Valley High School. Cerco su internet, dovrò almeno sapere che cosa mi aspetta, no? Accendo il pc, apro subito una pagina di Google e cerco la fantomatica scuola. Dicono che sia quella più economica, ma comunque una buonissima scuola. Ci sono anche le foto di diversi corsi, come quello di inglese, quello di musica, al quale mi ha iscritto l'arpia- crede che siccome so suonare la chitarra, voglio frequentare una specie di corso avanzato-, e quello di arte. Ma tanto sono corsi vecchi, perciò le persone non saranno le stesse. Comunque chiudo di nuovo il mio portatile e mi metto un paio di jeans e una camicetta a quadri celeste che allaccio con un nodo sul ventre. Scendo giù e mi rivolgo a mia zia.
"C'è scritto che andrò via il dieci" La mia voce è atona, senza emozioni e senza un men che minimo sentimento di dispiacere o altro. "Preparo le valige, e stasera esco, per salutare qualcuno che è ancora qui." Lei mi guarda, si avvicina per abbracciarmi e consolarmi, ma mi allontano.
"Mi dispiace che sia finita così. Tu mi hai tenuta qui per due anni, mi hai accudita come una figlia, e mi dispiace doverti lasciare, e anche essere arrabbiata con te, ma è inevitabile. Credevo che avreste fatto di più per
non farmi andare via, ma invece avete fatto poco contro quell'arpia che non mi ha chiamata una volta per sapere come sono stata dopo che i miei genitori sono morti." Lei mi guarda con le lacrime agli occhi.
"Io ti capisco. Mi sento uno schifo, perché non ho saputo fare nulla. Mi dispiace davvero tantissimo…"
"Anche a me" Mi allontano, e prendo dall'armadio accanto alla scala una valigia, quella verde, grande e più capiente delle altre che ci sono. La salgo sopra, e poi la zia mi rivolge un'ultima domanda.
"Vuoi una mano?"
"No, grazie" Salgo velocemente sopra e metto la valigia sul mio letto. Comincio a prendere tutti i vestiti invernali che ho, anche se in California non c'è bisogno di chissà che cosa calda, proprio come qui giù in Italia. Forse questo aspetto non cambierà e non mi mancherà. Appena finito di mettere i vestiti invernali e anche alcuni estivi, preparo un'altra valigetta per le mie Converse e un beauty-case con tutte le mie cose. Intanto si fanno le sette, e mi preparo per uscire. Mi lavo i denti, senza neanche aver pranzato, ma tanto andrò sicuramente da qualche parte con i miei amici, perciò non c'è bisogno di mangiare. Mio zio invece sta dormendo, perché ha lavorato un bel po' questa settimana. Intanto io esco, e intanto chiamo Kevin, il mio migliore amico, che mi verrà a prendere con il motorino, per passare l'ultima serata assieme a lui e agli altri. 
  
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