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Autore: Nidham    16/01/2013    2 recensioni
Breve elucubrazione della mia ladra nel momento piu' triste del videogioco, quando una scelta porta a tragiche conseguenze. Fatemi conoscere il vostro parere, visto che è anche il mio primo tentativo^^
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Questa non è la strada per il castello.”

“Certo che no, mammoletta! Non ti farebbero neanche entrare, in questo stato.”

“Ma fanno entrare te...” il sarcasmo era gelido e non celava altro che stanchezza, priva di qualsiasi tentativo di amichevole spiritosaggine.

“Ascoltami elfetta, i nani non vengono fatti entrare da nessuna parte, vanno dove vogliono e senza bisogno di tante infiorettature o salamelecchi! Deve ancora nascere la guardia che possa tenermi fuori da qualche luogo o il cortigiano effeminato che osi protestare sul mio odore o lo stato della mia barba. Ma questo non vale per le femminucce come te; hai bisogno di darti una ripulita, indossare una camicia decente e magari levarti di dosso l'odore di stalla.”

“Non mi interessa, Oghren.”

“Non te l'ho chiesto. E ora sali, siamo arrivati.”

Si erano fermati di scatto, a metà di una viuzza pulita e anonima, in cui l'orrore del Flagello era stato brutalmente spazzato via dall'irremovibile ostinazione di quanti si illudevano di poter cancellare il dolore e la devastazione con un secchio di vernice e qualche restauro.

Il portone era di robusta quercia scura, rudemente intagliato e con un pesante batacchio di ferro.

“Che posto è?”

“Casa mia!” Oghren pronunciò quell'affermazione con un misto di fastidio e soddisfazione, come se non sapesse decidersi sui sentimenti da provare davanti a una simile realtà. “Alistair ha insistito perché avessi un buco personale in cui rintanarmi, qui, in città.”

“Suppongo non ne potesse più di vederti strisciare fuori all'improvviso da ogni angolo del castello... o di sentire il leggiadro suono dei tuoi rutti attraverso le pareti.”

“Se fosse per questo, sarebbe parecchio deluso. E ora muovi quei piedi, se non vuoi che ti porti su come un sacco di patate.”

L'interno era silenzioso e stranamente asettico, come il ventre di una donna sterile. Zevran trattenne un brivido, mentre un freddo improvviso gli scuoteva le membra; non c'era niente che desse vita a quel luogo, niente che lo rendesse reale, appartenente a qualcuno, tanto meno a una personalità straripante come quella di Oghren.

“Una tomba sarebbe più allegra.”

“Non passo molto tempo qui. Quando vengo nella capitale ho di meglio da fare che interpretare il ruolo della bella massaia, dannazione!”

“Non credevo fossi mai andato via.”

“Dovevo rintanarmi in questa città puzzolente ad attendere che il cielo mi cadesse in testa? Ho una vita da ricostruirmi e anche tu, per quanto ti piaccia dimenticarlo” Oghren gli puntò contro l'indice tozzo, bloccando con forza qualsiasi tentativo di recriminazione. “Ho sempre pensato che chiunque si lasci morire, per salvare qualcun altro, sia stupido, ma eroico. Però chi rimane in vita e si comporta come se fosse morto è stupido e basta!”

“Non mi interessa la tua opinione.”

“Questo è quello che dicono gli stupidi. Ma tu non lo eri, ragazzo. Non lo sei. Non sai bere e ti stai comportando da perfetto idiota, ma non lo sei davvero. Quindi adesso lavati, sistemati i vestiti e comincia a riprenderti quel dannato cervello da elfetta che stavi cercando di affogare in birra di pessima qualità.”

Il respiro uscì tremulo dalla gola dell'assassino, mentre le sue spalle si rifiutavano di piegarsi sotto il peso di un dolore troppo grande per poter essere portato in solitudine.

Incapace di decidere, stanco di fuggire, di ricordare, di dimenticare, stanco di obiezioni e proteste, stanco di ciò che era e di ciò che era stato, Zevran rimase interdetto e sperduto di fronte alla fermezza granitica dell'amico, chiedendosi se avesse alcun senso abbandonare l'autodistruzione solitaria a cui si era volontariamente condannato, per portare la morte che aveva nel cuore a quanti quella morte avevano voluto ignorare.

“Se non vuoi farlo per te stesso, o per quanti di noi si preoccupano per te, fallo per lei” il nano gli si era avvicinato tanto che l'olezzo del suo fiato lo colpì con la violenza di un pugno. “Se i tuoi sogni fossero più di semplici incubi, potresti avere un lavoro da fare.”

“Sono incubi!” Zevran strinse i pugni, come per trattenere a forza quella flebile verità, cui egli stesso aveva iniziato a non credere. Se non lo fossero stati, cosa avrebbe significato? Cosa avrebbe potuto fare? Già una volta non aveva saputo proteggerla, quante volte ancora avrebbe dovuto fallire?

“O forse, per qualche diavoleria che io ignoro, la piccola Eilin ti sta chiamando...”

“A quale fine? Vuole che la raggiunga nella morte? Se fosse così non ho bisogno del consiglio di nessuno, sono capacissimo di accontentarla da solo.”

Un pugno lo colpì con violenza sulla mascella, facendolo barcollare e schiarendogli la mente annebbiata dal liquore.

“Non bestemmiare!” la voce di Oghren era minacciosa e carica di una rabbia a lungo repressa, che minacciava adesso di rompere gli argini, tracimando incontenibile dai suoi occhi, dalla sua bocca e dalle sue mani. “Proprio tu, che dici di amarla, non bestemmiare!”

“Ma perché me?” sibilò Zevran, quasi augurandosi che quella ferocia, fredda e vuota, dietro la quale nascondeva la disperazione, avrebbe provocato il nano fino a spingerlo a cacciarlo. “Se avesse bisogno di un qualsiasi stramaledetto aiuto metafisico, perché non cercare colui che amava e che ha sposato? Perché non tormentare lui? O magari Wynne o persino Morrigan, che, almeno, avrebbero saputo riconoscere le sue invocazioni? E non avrebbero fatto passare mesi, senza far niente per soccorrerla... se non bere con più decisione... e maledire la notte e le sue creazioni...”

Alla fine la sua voce non era divenuta altro che un sussurro e, sebbene si ostinasse a mantenere lo sguardo fermo e impassibile, Oghren vide le lacrime non versate dietro ai suoi occhi, l'oscurità di una ferita mai rimarginata, ormai in cancrena, in fondo al suo cuore, e provò pena per quell'uomo a cui la vita aveva tolto tanto e donato tanto poco.

Ad ogni modo, certo che qualsiasi tentativo di accondiscendenza sarebbe stato sgradito, mantenne il volto truce e minaccioso, mentre lo trascinava quasi di peso verso un catino di acqua gelida in un angolo e, senza tante cerimonie, gli immergeva la testa sotto, più e più volte, fino a farlo boccheggiare, fino a farlo tornare totalmente sobrio e conscio di quanto forte fosse la pena che niente, nemmeno la sua incredibile volontà, avrebbe mai potuto nascondere.

“Non ho la minima idea del perché Eilin possa esser ricorsa a te, se davvero, in qualche assurdo modo, sta cercando aiuto dal mondo degli spiriti” brontolò, infine, mentre tendeva un asciugamano polveroso ad uno Zevran scarmigliato e mezzo affogato, ma più simile a se stesso di quanto non fosse stato da mesi. “Forse perché si fidava di te, perché non l'hai mai tradita e perché sei stato tu e tu solo a starle accanto fino alla fine. O forse perché la morte l'ha resa completamente pazza! Non lo so e non mi importa. So, però, che se tu non scoprirai la verità, il dolore che provi, per il tuo assurdo senso di colpa, diverrà tanto feroce che non ti basterà la birra di tutto il regno per tenerlo a bada. Adesso, dato che ho già dato fondo a tutta la mia pazienza e alle mie buone maniere, e che non mi rassegnerò a vederti suicidare lentamente, in modo tanto futile, puoi decidere se preferisci seguirmi con le tue gambe o se vuoi che ti chiuda in un sacco, ti imbavagli e ti trascini fino al castello come un vitello mugghiante.”

  
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