Ormai non gli importava più di niente, tantomeno di Pietro.
Che lo picchiasse pure, quanto gli pareva, tanto non sentiva più nessun tipo di dolore.
Nulla più gli faceva male.
Entrò in classe.
Tutti abbassarono lo sguardo.
La professoressa gli chiese, con prudenza, come stava. Rispose sinceramente tanto non c'era bisogno di mentire. -"Malissimo"-.
A quel punto un ragazzo si alzò.
Gabriel non si girò per vedere chi era.
Non gli importava.
Sentì che si dirigeva verso di lui.
Dalla pesantezza dei passi capì che era Pietro.
Gli toccò la spalla.
Non reagì.
Disse -"vieni fuori ti devo parlare"-.
Qualcosa, nella testa di Gabriel, lo incitava a seguire il suo nemico.
Si alzò.
Uscirono.
Si guardarono.
Era quello di sempre: alto e grosso, capelli a spazzola e portava l'immancabile orecchino doro sull'orecchio destro.
Di nuovo i pensieri avevano distratto Gabriel dalla realtà.
Pietro piangeva.
Gabriel non capiva ma voleva capire. -"Pietro, che ti succede?"-.
Gli raccontò la sua storia: anche suo padre era morto.
Era successo quattro anni prima.
Disse che lo capiva.
Disse che faceva il bullo per sfogo.
Disse che era arrabbiato, perennemente arrabbiato.
Infine si scusò per come lo aveva sempre trattato. Disse che si sarebbe scusato anche con gli altri.
Aveva cominciato a piangere anche Gabriel.
Era tutto così strano.
D'improvviso il mondo sembrò una barzelletta.
Una di quelle che, però, non fanno ridere.
Le persone di tutto il mondo sembrarono frutto della fantasia di un uomo.
Un uomo che aveva inventato quella stramaledetta barzelletta chiamata:
Mondo.