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Autore: Nat_Matryoshka    16/01/2013    2 recensioni
10 - There is a lady sweet and kind [Loki/Sigyn]
"Era iniziato tutto da un sorriso e dalla più semplice delle domande. Per quanto potesse pensarci e ripensarci, Sigyn lo vedeva sempre allo stesso modo: quello con Loki non poteva essere stato un incontro casuale. Se c’era un fato –e in qualche modo sentiva che esisteva- li aveva voluti insieme fin dall’inizio."
[Raccolta di one-shot, centric! e pairing centric!]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jane Foster, Loki, Sif, Thor, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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One day for a promise

 

 

I want to be a part of it,
New York, New York
[Frank Sinatra – New York]

 

 

 

 

“Abbiamo scelto di trasferirla lontano dalla sua sede attuale per ragioni di sicurezza. Non si preoccupi, le forniremo noi l’alloggio e la sede per continuare i suoi esperimenti, e poi si tratta di una sistemazione provvisoria; le chiediamo solo di portare pazienza e di affidarsi alla nostra decisione. E poi… penso che New York le piacerà, dopotutto”.

Quando uno degli agenti dello SHIELD – lo stesso che le aveva riconsegnato le sue preziose attrezzature – le aveva annunciato che, per motivi che le erano oscuri, sarebbe stata trasferita lontana dal New Mexico, lì per lì aveva sollevato obiezioni: lasciare il suo studio, la comoda seppur precaria sistemazione nel camper e soprattutto Erik e Darcy, le era sembrato fuori discussione. Ma dopo che lo stesso agente aveva parlato a lungo con Erik, chiedendogli di spiegarle la situazione e di convincerla ad accettare, si era dovuta piegare. C’era qualcuno di grosso in ballo, qualcosa che lei da sola non avrebbe potuto affrontare, e tutto ciò che poteva fare era dar retta a chi si era incaricato di aiutarla, se non altro come indennizzo per i problemi che avevano causato alle sue ricerche. Anche se a malincuore, aveva iniziato a fare i bagagli.
Una nota positiva in tutto quel trambusto c’era stata: il suo appartamento, al quattordicesimo piano di un bell’edificio né nuovissimo né troppo vecchio era spazioso e rappresentava un rifugio decisamente stabile. Avere finalmente una stanza da letto, una da usare come studio e riempire di libri e apparecchi, una cucina, un bagno e addirittura un salottino era più di quanto avesse mai sognato di possedere, ed era il minimo che potessero darle, visto e considerato quanto le avevano chiesto in cambio.

 

La prima settimana, dedicata ad arredare e sistemare gli ultimi dettagli della sua nuova sistemazione, l’aveva trascorsa senza pensare a nulla, completamente immersa in una sorta di trance organizzativa che le aveva sgombrato la mente. Una volta che tutto era tornato a posto, però, quando il nome JANE FOSTER era comparso, nuovo fiammante, sulla targhetta del citofono e la sua camera da letto aveva finalmente assunto un aspetto decente, si era accorta di quanto si sentisse sola.
Le mancava Darcy, le sue chiacchiere e lamentele, le sue battute divertenti e la leggerezza – anche eccessiva – con la quale affrontava certi argomenti; le mancava Erik, che riusciva sempre a infonderle coraggio con la sua gentilezza e il modo di fare quasi paterno… e poi le mancava lui, soprattutto lui. Thor.
Sospirò, passandosi le dita sulle tempie stanche dopo almeno tre ore di studio intensivo sui libri che aveva preso in prestito alla biblioteca. Darcy ed Erik li avrebbe potuti sentire al telefono, almeno, e chiedere loro se avevano voglia di trascorrere qualche tempo nella città che non dormiva mai… con Thor, invece, non aveva avuto più alcun tipo di contatto, e non aveva idea di come avrebbe potuto fare per averne ancora, a parte continuare con le sue ricerche.

Si alzò, decisa a prepararsi una tazza di tè e ad andare a letto.

Come poteva caderci così bene ogni volta? Era passata da un Donald Blake che capiva meglio i suoi pazienti della sua ragazza ad una cotta – perché di una cotta si trattava, nonostante il bacio che si erano scambiati e la sicurezza di essere ricambiata – per un tizio uscito fuori dal nulla che aveva investito due volte e che si era intrufolato nella base di un’organizzazione militare come se niente fosse. Se a tutto ciò si aggiungeva il fatto che si trattava di Thor, figlio di Odino, padre di tutti gli dei, la situazione si prospettava piuttosto complicata. Proprio quello che ci voleva.
Sbuffò e portò la tazza fino alla sua camera, sostituendo il libro che stava leggendo con un romanzo e concedendosi un po’ di relax. Lui le aveva promesso che sarebbe tornato, era vero, ma come poteva essere sicura che avrebbe mantenuto la sua parola? Per quanto in cuor suo desiderasse crederci, non era una stupida, e sapeva che rivederlo non sarebbe stato semplice.

Mentre si addormentava, sperando che la sua mente stanca le concedesse un po’ di tregua, si chiese se non fosse un suo marchio di fabbrica quello di trovare sempre qualche persona strana di cui innamorarsi.

 

****

Poco lontano dall’appartamento dell’astrofisica, un giovane biondo si girava fra le dita un foglietto stampato corredato di foto e indirizzo, con l’aria di chi sa di avere una missione molto importante da compiere e teme che il tempo a disposizione non sia sufficiente.

Thor sorrise automaticamente, rivolgendo lo sguardo agli occhi nocciola di Jane che lo osservavano dal foglietto. Ottenere quell’informazione era stato più semplice del previsto, ma non per quello la considerava meno importante, anzi: se non fosse stato per la gentile agente che gli aveva fatto la cortesia di scendere a patti con la creatura che chiamavano “stampante”, non avrebbe mai ottenuto un punto di partenza a cui appoggiarsi per cercarla.
Nonostante i più lo considerassero uno che si affidava maggiormente ai muscoli rispetto all’intelligenza, anche lui sapeva usare l’ingegno, e aveva capito che da solo non sarebbe mai stato in grado di far funzionare gli arnesi elettronici, né poteva perdere tempo provando a copiare i dati che gli occorrevano, col rischio di essere interrotto e dover fornire delle spiegazioni. Non restava che l’astuzia, e una giovane agente, impietosita dalla richiesta (tutto sommato innocente) di poter tenere una foto della ragazza che amava con sé, era stata la vittima ideale.
Non sarebbe mai arrivato ai livelli di Loki, ma sapeva cavarsela anche lui, rifletté tra sé. Specialmente se si trattava di una buona causa: sapeva che lo SHIELD aveva interesse nel proteggere Jane, ma voleva mantenere la sua promessa di andarle a fare visita finché ne aveva la possibilità, specie ora che suo fratello era lontano e non sembrava intenzionato a cercarla.

Tutto sembrava pronto per l’azione. Eppure, la parte più difficile doveva ancora arrivare: come poteva raggiungere casa di Jane?

In piedi in mezzo ad uno dei grandi marciapiedi che circondavano i grattacieli, si guardava intorno, un po’ disorientato, riflettendo sul da farsi. Era strano da pensare, ma proprio lui, il dio del Tuono che molti umani temevano e che gli altri dei rispettavano, si trovava in difficoltà nel compiere un’azione semplice come chiedere informazioni ad un passante qualsiasi.
Se lo avesse visto suo padre…
Quel pensiero bastò a farlo riscuotere: nessuno avrebbe mai assistito alla disfatta del potente figlio di Odino, anche se ad Asgard non avevano tutte quelle strane bestie meccaniche e le strade erano molto più ampie e meno intricate. E poi, in ogni caso, non voleva che i suoi compagni lo considerassero un vigliacco: bastava trovare un altro umano che si mostrasse gentile come l’agente, e avrebbe risolto in un attimo.
La soluzione sembrava essergli piovuta direttamente davanti, nella forma di un gruppo di persone che varcavano la soglia di un locale che un’insegna a caratteri rossi qualificava come Morrison Café.
La sua esperienza gli insegnava che un’azione rapida era sempre la strategia migliore: si avvicinò a grandi falcate alla porta contrassegnata dai cartellini che indicavano l’orario di apertura e di chiusura e l’elenco delle carte di credito accettate e la spalancò, illuminando per un attimo un gruppetto attonito di mattinieri che si godevano un caffè al bancone.

“Chi di voi è il figlio di Morris?”

Il barista lasciò cadere una delle tazze che stava lavando, alla vista dell’uomo biondo e decisamente massiccio che lo fissava con aria risoluta, chiedendosi dove fossero in momenti del genere gli avventori che si lamentavano di quanto fosse noioso il suo locale.

 

****

New York era una città dalle mille attrattive, quello non era da mettere in dubbio. Ma che si trasformasse in una giungla di automobilisti impazziti e passanti pronti a spintonarti se solo non avevi l’accortezza di spostarti in tempo appena iniziava a piovere, non glielo aveva detto nessuno: l’aveva sperimentato quella mattina, quando le era venuta la malaugurata idea di uscire e affidarsi ai mezzi pubblici per un paio di commissioni. Se solo si fosse portata dietro un ombrello o perlomeno una giacca col cappuccio si sarebbe risparmiata la corsa infinita dietro all’autobus che neppure si era degnato di aspettarla, e la conseguente inzuppata che l’aveva accompagnata fino a quando non aveva raggiunto il negozio in cui si riforniva di cibo… dove non aveva comunque trovato un po’ di pace, affollato com’era di casalinghe e gente che aveva avuto la sua stessa idea di fare la spesa durante l’orario di lavoro. Almeno si stava all’asciutto, rifletté. Per quanto cercasse di non pensarci, però, la differenza tra la sua nuova vita e quella fin troppo tranquilla del New Mexico le appariva sempre più evidente.

Riuscì a prendere quel tanto che bastava per non dover uscire un’altra volta durante la settimana e si sistemò sulla panchina della fermata dell’autobus, ansiosa di tornare a casa e di ributtarsi a capofitto tra studio e faccende domestiche che, almeno, avevano il potere di distrarla dai pensieri che la assillavano e non risparmiavano nemmeno i suoi sogni.
Sogni che, tanto per cambiare, avevano Thor per protagonista e si concludevano in maniera assurda, con il loro matrimonio in cima ad un grattacielo, o angosciante, con l’enorme mostro di ferro contro il quale l’aveva visto combattere che lo finiva mentre una voce stridula rideva. Si era svegliata con gli occhi pieni di lacrime – non sapeva neppure lei se di paura o di tristezza – e aveva deciso che, per quella notte, ne aveva abbastanza di brutti sogni: guardare la tv sul divano del salotto avvolta nel plaid di pile che le aveva regalato Darcy le sembrava l’unica maniera di dimenticare l’incubo.

A peggiorare ulteriormente le cose, quella stessa mattina, ad un’ora che qualunque essere umano con un po’ di buon senso avrebbe giudicato assurda, aveva ricevuto una telefonata nientemeno che dallo SHIELD, che l’aveva informata che si, era stata trasferita da poco a New York, ma che per ragioni logistiche dettate da ordini impartiti all’ultimo momento (o almeno così le era sembrato di capire, in quel turbinio di termini tecnici) era stato deciso un suo ulteriore trasferimento a Tromsø, in Norvegia, ovviamente pagato dall’organizzazione. Non si sarebbe dovuta preoccupare di nulla se non di radunare la sua roba e stilare un elenco dei macchinari che avrebbe richiesto per la sua nuova sede: si sarebbero occupati loro del resto. Avevano colto inoltre l’occasione per augurarle una permanenza tranquilla, e dopo essersi assicurati che non c’era niente di cui la giovane potesse aver bisogno avevano riattaccato, lasciandola stordita, a chiedersi se quella conversazione fosse avvenuta davvero o se non si fosse piuttosto trattato dell’ultimo stralcio di uno strano sogno.

Dopo un inizio di giornata simile, rifugiarsi in Thor e nei pensieri che lo riguardavano rappresentava un sollievo, per quanto ingarbugliati potessero essere.
Com’era possibile che una persona che aveva frequentato così poco le avesse lasciato dentro tanti ricordi e sensazioni così difficili da gestire?

Non c’erano state tante parole tra lei e Thor. Mancavano le discussioni e le riappacificazioni, i confronti e i pensieri condivisi che l’avevano legata a Donald per tanto tempo, per quanto la loro diversità li avesse portati alla rottura; mancava la consapevolezza di essere nel bel mezzo di una relazione che, nel bene e nel male, la completava, la faceva sentire minuto dopo minuto una donna realizzata e innamorata. Ecco, forse stava proprio lì la differenza: con Thor non aveva mai dovuto pensare troppo.
I suoi sguardi, i tentativi prima impacciati poi sempre più sicuri di adattarsi a quell’ambiente del tutto nuovo per lui, le piccole attenzioni che le rivolgeva le scaldavano il cuore, solleticavano quella parte di lei che era rimasta affascinata dallo straniero caduto dal cielo dal primo istante in cui lo aveva visto. Poco importava se un universo intero sembrava dividerli; l’astrofisica così razionale da voler controllare anche un sentimento inafferrabile come l’amore (soprattutto dopo l’ennesima delusione) si era lasciata andare guidata da quella scintilla che l’aveva colpita, e tutto il resto non contava più nulla. Nel bacio che gli aveva lasciato prima che si separassero aveva infuso tutto il suo desiderio di fargli capire quanto avesse rappresentato per lei, nonostante il poco tempo a disposizione, e la volontà di lasciargli un segno, uno qualsiasi, purché mantenesse la sua promessa…

E invece se ne stava lì, a farsi coprire di pioggia e a riflettere su quanto fossero assurdi e sbagliati i suoi gusti in fatto di uomini, lontana chilometri dal luogo in cui era abituata a vivere, sola e costretta a farsi proteggere da un’organizzazione che fino a pochi mesi prima neppure aveva mai sentito nominare. Ah, e senza ombrello né acqua calda per farsi una doccia, ora che ci pensava, dato che quella mattina una vicina di pianerottolo l’aveva gentilmente informata che sarebbe mancata almeno fino al primo pomeriggio, a causa di alcuni lavori.
L’autobus per fortuna era arrivato. Facendosi largo per salire, Jane non poté trattenersi dal pensare che, se proprio lo SHIELD aveva intenzione di aiutarla, avrebbe fatto meglio a pagarle una vacanza di un anno in qualche posto lontano e riposante.

 

****

Quella della mattina appena trascorsa sarebbe rimasta tra le vittorie più memorabili della lunga carriera di guerriero di Thor: non solo era riuscito nel suo intento – trovare casa di Jane grazie alle indicazioni fornitegli dal barista figlio di Morris – ma si era anche introdotto nella sua abitazione senza creare altri problemi, in barba alla difficoltà presentatagli dalla porta dell’appartamento della ragazza, che sembrava programmata per resistere alle sue spallate. Era bastato un colpetto secco di Mjolnir (lo stesso martello che aveva suscitato più di un’occhiata curiosa da parte dei passanti, giù in strada), però, a convincere la serratura a cedere, nonostante quest’ultima ora penzolasse con aria un po’ malinconica dal lato della porta. Poco importava: ci avrebbe messo poco a sistemarla.

Decisamente soddisfatto, si era aggirato per l’appartamento, dando un’occhiata alla dimora dove Jane trascorreva le sue giornate. Conosceva già oggetti come il computer portatile, le mensole della cucina e il letto, ma ciò che lo aveva incuriosito maggiormente, ovvero la cabina doccia e il porta-asciugamani che fungeva anche da termosifone, si trovavano nel bagno. La doccia in particolare, dotata di una radio, era stata oggetto delle sue attenzioni: doveva esserci di sicuro una piccola donna imprigionata dal pannello di piastrelle, e un eroe al servizio della gente degno di questo nome non avrebbe esitato un attimo a liberarla. Dietro, ovviamente, non c’era niente, ma la prudenza non era mai troppa, e comunque anche quel danno avrebbe potuto sistemarlo senza fatica: almeno qualunque essere si fosse trovato in difficoltà lì dietro si sarebbe potuto mettere subito al sicuro.

L’ultima stanza a ricevere la sua visita fu quella dove la ragazza dormiva.

Rispetto alle altre, in quella regnava un certo ordine. Il letto era stato rifatto, la piccola libreria era ammassata di libri sistemati in pile e il tappeto dal disegno floreale abbinato alle tende sembrava essere stato sbattuto da poco. L’unico elemento che turbava quell’armonia apparente era il comodino. Thor gli si avvicinò incuriosito, per scoprirlo ingombro di vari oggetti capovolti, come se una manata li avesse colpiti all’improvviso: una scatola di pillole semi-aperta, un romanzo dalla copertina rigida rotolato a terra e una cornice rovesciata a faccia in giù, che ad un più attento esame rivelò contenere una sua foto.
Il giovane prese l’oggetto dagli angoli appena smussati tra le mani e lo rigirò un paio di volte, come se non credesse davvero a ciò che vedeva. Eppure, ricordava bene il giorno in cui Darcy, la strana assistente di Jane, gliel’aveva scattata, dicendo che sarebbe andata su un libro o qualcosa di simile, e il sorriso di Jane al vederla attaccare, in piccolo, sul tesserino che gli aveva creato un alibi con quelli dello SHIELD… più i ricordi si incastravano tra loro, più il motivo della sua visita gli pareva ovvio. E, assieme ai ricordi, iniziava a subentrare una leggera fitta di rimorso.

Chissà dov’era lei, in quel momento. Chissà se il suo arrivo le avrebbe fatto piacere. Con gli occhi della mente vedeva una Jane spaventata fare un incubo e rovesciare ciò che si trovava sul comodino, in un impeto di paura nel dormiveglia, poi cercare di calmarsi, accarezzare con le dita quella foto (lo avrebbe fatto davvero?) e tentare di ricominciare la sua routine quotidiana che l’avrebbe portata alle sue ricerche… senza sapere che, a non molti chilometri da lei, l’oggetto di quelle ricerche si era messo sulle sue tracce e la cercava, con la sua stessa testardaggine.
Solo che avrebbe potuto metterci molto meno, sospirò. E, per la prima volta in quella giornata, il suo sorriso baldanzoso sembrò sfumare.

****

Ladri.

Quella doveva essere la giornata delle sorprese, rifletté amaramente la giovane scienziata. Ricapitolando: incubi, pioggia, niente acqua calda, neppure un ombrello, autobus stipato, vestiti fradici addosso, buste della spesa che minacciavano di cedere, e ora anche dei ladri mattinieri? Oh, fantastico. L’ideale per completare la giornata!

I visitatori in questione non dovevano essere proprio dei maestri nel loro “lavoro”, dato che la maniglia era lì dove un forte colpo l’aveva mandata, e sia il pomello al centro della porta che lo stesso legno erano ricoperti di impronte. Il concetto però non cambiava: c’era qualcuno in casa, qualcuno che doveva essersi fatto pochi scrupoli a sfondare la sua porta (incurante del fatto che sul pianerottolo c’erano altri tre appartamenti abitati, pieni di persone che sarebbero potute accorrere allarmate dai rumori) e a penetrare all’interno, attratti dall’idea di poter accumulare un presunto bottino. Se non fosse stata preoccupata da quanto avrebbe potuto trovare in casa probabilmente le sarebbe scappata una grossa risata al pensiero che quella gente la ritenesse ricca, o come minimo in possesso di apparecchiature appetibili. Poveri illusi…
Varcò la soglia con attenzione, posando le buste alla base dell’attaccapanni e dirigendosi con la massima lentezza verso la sua stanza, laddove i rumori le sembravano più forti. Si rammaricò di non avere con sé un dissuasore elettrico, nonostante Darcy le avesse raccomandato caldamente di procurarsene uno (“È sempre utile, non ne potrai più fare a meno… ho steso quella montagna di muscoli del tizio biondo in un secondo, non male no?”), ma avrebbe comunque trovato un valido sostituto: setacciando il salotto con lo sguardo, l’occhio le cadde sulla scopa che aveva dimenticato di riporre dopo l’ennesimo tentativo di dare una ripulita. Se la sarebbe fatta bastare.

Armata alla bell’e meglio, silenziosa e battagliera (almeno sperava di sembrarlo), Jane Foster si acquattò lungo il muro del corridoio che l’avrebbe condotta dal salotto al resto delle stanze, stando ben attenta a non farsi sentire e tendendo contemporaneamente l’orecchio a qualsiasi suono. Stranamente i ladri non sembravano aver toccato nulla, né in salotto né in cucina (a parte il bagno, da cui proveniva una inquietante puzza di intonaco sbriciolato, ma a quello avrebbe pensato dopo), e non avevano ribaltato mobili o forzato cassetti per scoprirne il contenuto. Probabilmente immaginavano di trovare qualcosa di più prezioso in camera da letto, pensò la ragazza, e strinse più forte a sé la scopa: le era sembrato di intravedere una figura spostarsi con un fruscio leggero accanto alla sua libreria, e la sagoma di quello che sembrava un lungo drappo di tessuto, ma poteva benissimo essersi sbagliata da quella distanza.

A noi due, ladro.

Con un colpo rapido di gambe si portò di fronte alla porta della stanza, la scopa protesa sopra la testa in equilibrio precario, la bocca spalancata nell’anteprima di un grido che avrebbe dovuto spaventare il suo avversario…
Fu in quel momento che il ladro decise di voltarsi. E bastò uno sguardo a farla ammutolire, mentre la scopa cadeva a terra con uno schiocco sordo al quale nessuno prestò attenzione.

Nella sua camera da letto c’era Thor.

Era proprio Thor, quel Thor. Quanti altri avrebbero dovuti essercene, al mondo?
Jane aveva fantasticato a lungo sul suo ritorno, sia durante le notti insonni che nei momenti in cui si dedicava ai suoi studi: lo immaginava come un evento felice, si, ma decisamente poco realizzabile, almeno per il tempo in cui si trovava. L’idea che il giovane sarebbe potuto apparire così, all’improvviso, senza alcun avvertimento e soprattutto lasciando dietro di sé maniglie staccate e disastri non l’aveva minimamente presa in considerazione… eppure, la sua figura alta avvolta nel mantello che gli aveva visto addosso durante il loro ultimo incontro e Mjolnir stretto in mano lasciavano poco spazio alle alternative. E poi c’era il sorriso, quel sorriso nato da un misto di amore e spensierata felicità che, lo aveva scoperto presto, dedicava solo a lei, e i capelli che sembravano catturare la luce del sole, gli occhi che si piantavano nei suoi e li riempivano d’azzurro, e il suo sguardo, e…

La sua mente continuava ad inviarle messaggi impazziti di euforia, ma lei non riusciva a trasformarli in azioni. Le tremava il labbro, mentre cercava le parole adatte.
Farfugli poco comprensibili, di chi sembra riprendere un discorso interrotto da poco.

“Ti sei introdotto qui senza dire nulla. Mi hai distrutto la porta. Riempito il bagno di calcinacci. Impolverato tutti i pavimenti. E… e…”

Una pausa. Sentì le lacrime fare capolino all’angolo degli occhi, ma cercò di scacciarle. La voce, però, non voleva saperne di restare salda.

“Hai mantenuto la promessa”.

Lui si limitò a sorridere, di nuovo. “Sono tornato”.

Buttargli le braccia al collo e rannicchiarsi tra quelle del compagno come una bambina poteva non essere un’azione degna di Jane Foster, astrofisica e brillante studiosa, ma era più che sufficiente ad esprimere ciò che provava in quel momento.
Senza che se ne fosse resa conto, le lacrime erano iniziate a scorrere, e assieme a quelle i piccoli pugni che gli tempestavano il petto e facevano da intervallo ai tentativi di lui di farla star ferma, di rassicurarla sul fatto che era lì davvero, non si trattava né di un incubo destinato a sciogliersi, né di un sogno troppo realistico. Continuò a versare lacrime che non sapeva definire di gioia, di sollievo o di rabbia, e mentre ogni consapevolezza crollava sentiva di essere stupida, stupida a credere che quello sarebbe stato l’inizio di qualcosa di duraturo e ancora più stupida a voler tagliare ogni speranza alla radice, e intanto continuare a piangere, come se non ci fosse nient’altro intorno a loro, a quello scenario vagamente assurdo di una casa semi-dissestata dove un dio sceso da Asgard e un’umana che da troppo tempo non ascoltava i suoi sentimenti si incontravano…

“Jane? Jane, basta. Non devi piangere, ora. La mia presenza non è gradita?”

Il silenzio, ora totale, la assordava. Come mai non sentiva il battito del cuore? Eppure, da quanto sembrava darsi da fare sbattendo contro la cassa toracica, avrebbe dovuto risultare forte e chiaro, come un uccellino impazzito che cercava di sfondare un vetro…
Alzò gli occhi e, incontrando quelli di lui, sentì di conoscere la risposta ai dubbi che l’avevano assalita poche ore prima: aveva scelto Thor – lasciandosi Donald alle spalle – perché con lui non doveva mai fingere nulla.
Di fronte a quelle parole, alla protezione nata dal suo abbraccio, era impossibile arrabbiarsi, o anche solo pensare di aver fatto la scelta sbagliata: in fondo, gettare per un po’ la sua maschera di efficienza e restare la ragazza impacciata (innamorata) che si imbarazzava e non sapeva bene come rispondere al suo baciamano non poteva che farle bene. E Thor, per quanto potesse sembrarle inavvicinabile, impetuoso, assurdo… era la sua scelta.

Lo baciò di nuovo, con la stessa foga del loro ultimo bacio, attirando il suo viso verso il basso e affondando le mani nella chioma bionda, cercando di imprimersi nel cuore ogni secondo di quello strano lasso di tempo che li vedeva assieme.
Come risposta era più che eloquente.

 

****

Quindi, ti sei preso una sorta di pausa dallo SHIELD. Devono essere in vena di favori e gentilezze, se non hanno fatto nulla per fermarti…”

All’incontro burrascoso era seguita la tranquillità, come alla fine di una tempesta. Jane sapeva bene di non poter sprecare un solo istante, e si era comportata di conseguenza: dopo averlo pregato di cambiarsi (per fortuna disponeva di una t-shirt da uomo scovata nel suo guardaroba, dare nell’occhio come nel New Mexico era l’ultimo dei suoi desideri) si era mobilitata per andare ad acquistare qualcos’altro per preparare un minimo di cena adatto ad entrambi, e Thor si era offerto di accompagnarla. Era bello passeggiare per le strade di New York fianco a fianco, una bustina di stoffa sottobraccio e lo sguardo del giovane che non la lasciava un attimo, come a volersi assicurare di averla veramente ritrovata; sembrava una normale uscita per spese di una coppia, un assaggio di vita quotidiana che la rendeva felice.
“Diciamo che mi hanno concesso un giorno di riposo. Lo chiamate così, giusto? Un giorno di riposo per ringraziarmi dell’aiuto offerto loro… ovviamente non potevo rifiutarlo.”
Si fermò, esitante. Avrebbe potuto raccontare la verità, ossia che la situazione era problematica e che Loki probabilmente aveva preso il controllo su Erik (che quasi sicuramente Jane credeva al sicuro dove lo aveva lasciato), ma preferì omettere quella parte: voleva tenerla il più lontana possibile da quegli intrighi e da suo fratello. Così si limitò a cingerle la vita con dolcezza.

“Chissà cosa direbbero se ci vedessero camminare tranquillamente per le vie di New York, mentre secondo loro dovrei restarmene chiusa in casa nell’anonimato più totale per sfuggire a chissà chi” sbuffò, per poi riprendere con un sorriso rassegnato “tra l’altro, poco dopo il mio trasferimento mi hanno comunicato che la mia sistemazione qui è solo provvisoria, tra poco mi spediranno a Tromsø… c’è da dire che, dato il freddo di ieri, mi sto già allenando per il clima, ma la cosa non mi rende granché felice. La Norvegia è decisamente lontana…”
Sugli occhi nocciola di lei cadde un’ombra. Thor le strinse la mano, come a volerle ribadire il suo appoggio: “Vuol dire che prenderò Mjolnir e ti verrò a cercare, dovunque tu sia. La Norvegia somiglia ad Asgard, da quanto ho sentito.”
Al pensiero di un Thor appeso al suo martello che fiancheggiava un aereo di linea in volo tra le nuvole, Jane non riuscì a trattenere una risata divertita, liberatoria, così come non ne faceva da molto. L’autobus che avrebbero dovuto prendere spalancò le porte e la giovane scienziata le varcò con passo sicuro, accompagnata dal dio e da un senso di completezza al quale non poteva non rivolgere un caloroso bentornato.


****

Erano promesse, rifletté. Una serie di promesse che si intrecciavano e piantavano le loro radici nel desiderio comune di rivedersi, mantenuto vivo dalla sua cocciutaggine e dalla forza d’animo di Thor. Promesse, nient’altro. Una semplice parola che aveva funzionato da sigillo al contratto non materiale che avevano stipulato: ritornerò. Se le parole possiedono una forza, beh, quella aveva mosso ben due universi. Niente male…
Si sentiva sciogliere, la mente piacevolmente vuota (era ora), la consapevolezza di essere nuda e al calduccio tra le braccia del suo uomo che le solleticava appena i pensieri e le impediva di sprofondare nel sonno ristoratore che da tanto aspettava… non voleva addormentarsi subito, non poteva.

Si girò piano e sfiorò col dito la guancia di Thor, delineandone il profilo, giocando con le piccole rughe d’espressione che incontrava, beandosi nell’osservare il suo respiro lento e regolare fargli alzare e abbassare il petto, fremere appena un labbro: a vederlo così, nessuno avrebbe mai riconosciuto in lui il figlio di Odino, il futuro re di Asgard: non era altro che un giovane addormentato, tranquillo come un qualunque essere umano che riposava.
Un sottile spiffero d’aria sfuggì dalla finestra socchiusa e le morse la pelle della spalla, facendole per un attimo tornare alla mente la Norvegia. Ne scacciò il pensiero, come la sensazione di freddo, accoccolandosi più vicina a Thor e appoggiandogli la testa sul petto, facendosi cullare dal ritmo di orologio del suo cuore. C’era tempo per pensarci, c’era tempo per riflettere su molte cose (riparazione del bagno compresa) e per dire addio (o arrivederci?) ad altre; la notte sospendeva tutto, avvolgendolo nel suo corso lento e dolce. Abbandonarsi era l’unica soluzione, e le stava più che bene.
Jane sorrise, nel silenzio della sua stanza. Era bello dormire accanto a lui.

Quella notte, finalmente, fece bei sogni.

 

 

****

Angolo (dei pensieri sparsi) dell’autrice

Devo ammetterlo, adoro Thor e Jane come coppia, nonostante nel film siano stati caratterizzati poco. Sarà che amo Natalie Portman e la trovo brillante nelle sue interpretazioni, sarà che amo “indagare” psicologicamente le ragioni di una coppia (?), per cui non ho saputo resistere alla tentazione di scrivere la mia visione personale del perché il loro rapporto esista, come al solito sperando di mantenermi IC. (Ho sempre paura di non riuscirci, con Thor…).
Per il resto, la fic si svolge in un periodo abbastanza imprecisato, a grandi linee diciamo tra la fine di Thor e l’inizio di The Avengers, fino al momento in cui Jane viene trasferita in Norvegiab (nel film Thor vede il suo nome nel monitor che gli mostra Coulson). Ovviamente è una What if?, per cui prendete come licenze poetiche le eventuali sviste XD

Grazie a TsunadeShirahime come sempre, per la sua pazienza e la volontà di leggere i miei piccoli obbrobri, e ad _Eleuthera_, beta d’eccezione che ha letto questo capitolo poco dopo che l’avevo scritto e ha contribuito a portarlo alla “fase finale” coi suoi consigli. Vi sono debitrice! :)
Grazie anche a Timcampy_, Valery_Snape, Lady Sigyn e Vaneshalla per avere inserito la storia nei preferiti, e a Merihon per averla inserita nelle seguite… E a voi lettori “dietro le quinte”, ma se mi lasciaste una recensione o una critica – anche piccola piccola – mi rendereste ancora più felice!

Alla prossima,
Nat

 

   
 
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