La ragazza
Onde di fuoco le scendevano
su una spalla, scoprendo il
suo collo aggraziato.
Due occhi di smeraldo mi
fissavano curiosi, mentre
le labbra, rosse e piene come
amarene erano socchiuse.
Le afferrai un polso candido
per non farla cadere;
al contatto con la sua pelle
morbida mille scosse mi
attraversarono, percepii il suo
profumo alla rosa.
Il mio cuore ruggì di desiderio.
La volevo.
Elisabetta rimase a bocca aperta. Quell’uomo era il più bello e attraente che avesse mai visto. Non che ne avesse visti o conosciuti molti in diciotto anni di vita, ma lui li superava tutti. Alto, aggraziato, vestito di un ricco completo blu ricamato d’argento, lasciava perfettamente intendere il suo alto rango. Le aveva preso il braccio con una mano guantata per non farla cadere a terra, e la tirò su. Lei si ritrovò a pochi centimetri dal suo viso: bianco come il latte, incorniciato da folti capelli corvini, ondulati. La ragazza si rese conto di poter contare le lunghe ciglia nere che gli circondavano gli occhi azzurri e profondi, si accorse di sentire il suo respiro sul viso. Si disse che le sue labbra, quasi rosse quel viso latteo, sovrastate da due baffi neri, corti, erano invitanti, e poi si rimproverò per quei pensieri su un perfetto sconosciuto. Ritrovò l’equilibrio e lui la lasciò.
-Perdonatemi, non avrei dovuto starvi così vicino. Vi assicuro che sono un gentiluomo- le disse, con una voce profonda, con un leggerissimo accento straniero, affascinante. Lei arrossì sotto quello sguardo limpido. –Non c’è bisogno che mi chiediate perdono, anzi, vi ringrazio per avermi evitato una caduta- rispose, con una leggera riverenza. Lui annuì, rispose con un inchino e andò da quello che sembrava il suo amico, che lo chiamava. Lei rimase a guardarlo confusa mentre lui si allontanava con falcate lunghe a sicure. Poi decise di muoversi, camminando velocemente. Dopo venti minuti era a casa della signora Gozzi, un appartamento di quattro stanze e un balcone all’ultimo piano di una vecchia casa, e l’anziana non mancò di lamentarsi del suo ritardo. La donna, ormai sessantenne, curva, in carne, brontolona, acciaccata e scorbutica, viveva con la figlia, e la ospitava in cambio dell’aiuto che lei le dava in casa. Aveva sempre da ridire su tutto quello che la ragazza faceva, da quando annaffiava i fiori a quando puliva i pavimenti o cambiava l’olio delle lampade.
Elisabetta cucinò distrattamente, con la testa fra le nuvole, fantasticando sullo straniero che aveva incontrato, anzi, con cui si era scontrata prima, finché la signora la rimproverò. –Sei sempre con la testa fra le nuvole! Guarda qua, se non ci fossi stata io avresti fatto bruciare le patate!- la ragazza arrossì. -Perdonatemi, non era mia intenzione…- -Lo spero proprio!- la interruppe la vecchia, arrabbiata, che poi tornò nell’altra stanza. La giovane si chiese se la signora sarebbe mai cambiata. Probabilmente no. Finì di preparare e portò le pietanze in tavola. La figlia della signora, Camilla, arrogante e smorfiosa, tornò proprio mentre lei poggiava le caraffe sul tavolo. Il pasto fu abbastanza tranquillo: come al solito madre e figlia spettegolarono sulla gente del quartiere, ma Elisabetta questa volta non le ascoltò: nella sua testa rivedeva il viso dello straniero.
Dopo pranzo la ragazza chiese alla signora se poteva parlarle. La vecchia si tolse gli occhiali dal naso adunco, chiuse il libro che stava leggendo, e disse: -Su, forza, ti ascolto- -Ecco signora, volevo chiedervi il permesso di uscire questo pomeriggio- disse lei, con le mani dietro la schiena.
-E posso sapere il perché? Sei già uscita stamattina!- ribatté l’altra, con uno sguardo azzurro slavato, penetrante. –Vedete, al mercato ho sentito che il conte, quello straniero, cerca personale, e volevo provare a chiedere se hanno un posto per me-
La signora sospirò e le rispose: -Sì, immagino che tu possa andare, d’altronde oggi è domenica. E poi spero proprio che ti assumano: ho scoperto che non posso più mantenere un’altra persona. Io e mia figlia ci dovremo arrangiare e cavarcela da sole, dato che i soldi del mio defunto marito stanno calando. Te l’avrei detto comunque, ma hai fatto bene ad informarti prima per un altro lavoro-
La ragazza sorrise. –Molte grazie- poi andò in cucina, si sfilò il grembiule. Subito dopo si fiondò nella sua stanza e indossò il suo vestito azzurro, quello che preferiva perché aveva risparmiato molto per potersi comprare la stoffa e cucirlo. Si raccolse i capelli in uno chignon, si sistemò le scarpe e uscì.
Attraversò mezza città, agitata e speranzosa, e finalmente arrivò a villa Foscari. Bussò e attese con il cuore che batteva forte, e dopo qualche secondo le porta venne aperta.
Angolo autrice
ciao a tutti,
spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto :)
ringrazio chi recensice e anche chi mi segue silenziosamente!!
Un bacio,
BluStarMoon